Risposte piacevoli e curiose

One of many entries in the debate over the "new star" (now known to have been a supernova) of 1604. Colombe thought Mauri was Galileo.

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            <title>Lodovico delle Colombe's Risposte piacevoli (1608): A Basic TEI Edition</title>
            <author>Galileo’s Library Digitization Project</author>
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                <orgName>the TEI Archiving, Publishing, and Access Service (TAPAS)</orgName>
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              <addrLine>Northeastern University</addrLine>
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               <title>Risposte piacevoli e curiose di Lodovico delle Colombe alle considerazioni di certa maschera saccente nominata Alimberto Mauri fatte sopra alcuni luoghi del discorso del medesimo Lodovico intorno alla stella apparita l'anno 1604. Nelle quali risposte si trattaro controversie d'Astrologia, Perspettiva, Filosofia, Teologia, e altre materie, non meno utili, che diletteuoli. Con tre tauole copiose, la prima delle quali contien le quistioni, la seconda le materie, la terza tutte le sentenze, motti, arguzie, similitudini istorie, e fauole, che sono in questa Opera. In Fiorenza, Per Gio. Antonio Caneo, e Raffaello Grossi compagni, 1608. Con licenza de' Superiori.</title>
               <author>delle Colombe, Lodovico</author>
               <pubPlace>Florence</pubPlace>
               <publisher>Caneo, Giovanni Antonio; Grossi, Raffaello</publisher>
               <date>1608</date>. 
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            <p>This TEI edition is part of a project to create accurate, machine-readable versions of books known to have been in the library of Galileo Galilei (1563-1642).</p>
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            <p>This work was chosen to maintain a balance in the corpus of works by Galileo, his opponents, and authors not usually studied in the history of science.</p>
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               <p>Lists of errata have not been incorporated into the text. Typos have not been corrected.</p>
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               <p>The letters u and v, often interchangeable in early Italian books, are reproduced as found or as interpreted by the OCR algorithm. Punctuation has been maintained. The goal is an unedited late Renaissance text for study.</p>
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               <p></p>
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 <docTitle><titlePart type="main">RISPOSTE 
	<lb/>PIACEVOLI,
	<lb/>E CVRIOSE
	<lb/>DI LODOVICO DELLE
	<lb/>COLOMBE
	<lb/>ALLE CONSIDERAZIONI DI
	<lb/>certa Maschera saccente nominata Alimberto
	<lb/>Mauri fatte sopra alcuni luoghi del 
	<lb/>discorso del medesimo Lodovico 
	<lb/>dintorno alla stella apparita
	<lb/>l'anno 1604. 
	<lb/>Nelle quali risposte si trattaro controversie d'Astrologia, 
	<lb/>Perspettiva, Filosofia, Teologia, e altre 
	<lb/>materie, non meno utili, che diletteuoli. 
	<lb/>Con tre tauole copiose, la prima delle quali contien le quistioni, la seconda
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 	<docImprint>IN FIORENZA, Per Gio. Antonio Caneo, e Raffaello Grossi compagni, 1608. Con licenza de' Superiori.</docImprint></docTitle>
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<pb n= "title page verso"/>
<lb/>Atteso il sopradetto referto concediamo, che la
<lb/>presente Opera si possa stampare in Firenze,
<lb/>osseruati prima gli ordini soliti: il di 4. d'Agosto
<lb/>1607.
<lb/>Piero Nicc. Vic. di Firenze.
<lb/>F. Arcangel. Placent. Vic. San. Off.
<lb/>Stampisi Paolo Vinta primo Aud. &amp; Sec. di
<lb/>S. Alt.
<pb n= "unnumbered i recto"/>
<lb/>AL SERENISSIMO 
<lb/>DON COSIMO
<lb/>MEDICI
<lb/>PRINCIPE DI TOSCANA .
<lb/>CHI haurebbe mai creduto S. P.
<lb/>che si ritrouassero huomini così
<lb/>peruersi, che ardissero di calunniare 
<lb/>il sole? Il Sole occhio del
<lb/>Mondo, bellezza del Cielo, grazia 
<lb/>della Natura, e perfezion
<lb/>di tutte le cose; di cui Anassagora addomandato,
<lb/>perche fosse venuto al mondo, rispose; per vedere, e
<lb/>contemplare il Sole. E Seneca, ricercando, perche 
<lb/>la Natura habbia prodotto alcuni metalli cotanto 
<lb/>chiari, e trasparenti; adduce fra molte ragioni,
<lb/>che il supremo Artefice volle, che, il Sole, auanzando 
<lb/>ogni corporea creatura di bellezza, potesse da noi
<lb/>rimirarsi in quegli, come in terso specchio, poscia
<lb/>che gli occhi nostri in lui stesso abbagliano. E pure
<lb/>è vero, che gli Atlanti da Erodoto detti Nasamoni
<lb/>come Pomponio afferma, con fuggeuole sguardo il
<lb/>maladicono, e quando nasce, e quando tramonta.
<lb/>Il vero sole Iddio, la cui somiglianza, i Principi
<lb/>quasi specchi lucidissimi, rappresentano; ha messo
<lb/>in terra il Sol dell'humana sapienza, Aristotele, di
<pb n= "unnumbered i verso"/>
<lb/>cui Platon disse, nol vedendo comparire a scuola,
<lb/>ab est veritatis philosophus: e volle, che fosse vn gentile, 
<lb/>perche si conoscessero le sole forze della Natura. 
<lb/>Io adunque, poiche sono alcuni pochi raggi, del
<lb/>le verità filosofiche di questo Sole, sparti perentro
<lb/>queste mie risposte fatte, alle Considerazioni d'Alimberto
<lb/>Mauri, dintorno al Discorso ch'io posi in
<lb/>luce non hà molto tempo, sopra la stella, che fù di
<lb/>nuouo osseruata nel Cielo; hò voluto dedicarle a
<lb/>V.A.S. ben che à me più conueueuol fosse opera di
<lb/>seruo, che di deuoto, accioche possano i Nasamoni
<lb/>che odiano quel Sole, con diritto occhio sostener di
<lb/>mirarlo nello specchio dell'autoreuol protezion di
<lb/>V.A.S. sì che lasciato il dispregio, e conosciuta la
<lb/>verità, s'acquietino in quella, che i saui, e i Principi
<lb/>col sapere, e col potere abbracciano, e difendono, dell'
<lb/>humana parlando, imperoche, sì come per lo contrasto 
<lb/>dell'oscuro dello specchio, e del chiaro del Sole, 
<lb/>vna temperata sembianza si cagiona, accioche
<lb/>veder si possa; così non è possibile, che nel mondo si
<lb/>vegga tutto il puro lume del vero, ma un’ imagine
<lb/>di quello tra l'ombre dell'intelletto humano. Io fra
<lb/>tanto humilismamente a quella m'inchino, e dal
<lb/>dator dello splendore le prego ogni gloriosa corona. 
<lb/>Di V.A.S.
<lb/>Deuotissimo vassallo.
<lb/>Lodouico delle Colombe. 
<pb n= "1 recto"/>
<lb/>RISPOSTE PIACEVOLI, E CVRIOSE
<lb/>di Lodouico delle Colombe alle considerazioni 
<lb/>di certa maschera saccente nominata
<lb/>Alimberto Mauri, fatte sopra alcuni luoghi
<lb/>del discorso del medesimo 
<lb/>Lodouico d'intorno alla stella 
<lb/>apparita l'anno 1604.
<lb/>Nelle quali risposte si trattano controuersie 
<lb/>d'Astrologia, Perspettiua, Filosofia,Teologia, e
<lb/>altre materie, non meno vtili,
<lb/>che diletteuoli.
<lb/>QVANTVNQVE inconueneuole molto
<lb/>si reputi appo gli intelligenti, e saui huomini,
<lb/>che alcuni, per lor principale impresa 
<lb/>bene spesso, si mettano a impugnar
<lb/>l'opere altrui; non è perciò, che quegli,
<lb/>che valorosamente sostiene, e ribatte le 
<lb/>calunnie, non debba, in vece di stimarsi vilipeso 
<lb/>(purche non habbian gl'auuertari 
<lb/>trapassato oltre i confini della soggetta 
<lb/>materia) hauerne lor grado assai più, che se taciuto hauessero. 
<lb/>Conciosiacosa che persone cotali sien negli affetti spine, ma rose negli
<lb/> effetti. O più tosto, contro la propria voglia, perche trafiggere
<lb/>intendono con gli scritti loro, fanno a guisa dell'api, leguali
<lb/>pungono sì, ma producono il mele ancora. Imperoche le 
<lb/>controuersie, come che mal'ageuolmente si sopportino, suegliano
<lb/>l'intelletto, assottiglian l'ingegno, rendon più prudente, e nelle
<lb/>discipline maggiormente esercitato fanno. Onde finalmente
<lb/>honorata loda, applauso più chiaro, fama più certa, e diuulgata si
<lb/>suol riportarne. Perloche il dottissimo Pico dimostrò anch'egli,
<lb/>dopò, che fù combattuto, che aggrado gli fosse stata la tenzone,
<lb/>nell'orazion, che scrisse dauanti alla sua apologia, dicendo, che
<lb/>per suo credere altro non vollero significare i Poeti, fingendo Pallade
<pb n= "1 verso"/>
<lb/>armata; e gli Ebrei per lo ferro, simbolo della sapienza, che
<lb/>la disputa, per imparar necessaria. E i Caldei, nella natiuità di
<lb/>colui che dee esser filosofo, voglion, che Marte risguardi 
<lb/>Mercurio di trino aspetto, perche coloro, che da simili guerreggiamenti
<lb/>perturbati non sono; più prestamente, per lo più, s'addormentano.
<lb/>La onde non sia chi pensi, che queste considerazioni,
<lb/>fatte contro il mio discorso della nuoua stella, mi siano discare,
<lb/>sì come ne anche l'amicizia dell'autor di esse, poiche m'hà per
<lb/>tal mezo procacciata si bella occasione. E se ben l'essersi egli 
<lb/>mascherato d'un finto nome, e le amare parole, senza cagione,verso
<lb/> di mè, e verso famosi scrittori vsate, potrebbon forse, mettere
<lb/>in cuore à chi che sia, che in alcuni luoghi delle mie risposte io
<lb/>hauessi le punture con animosità ritorte nella persona di lui, 
<lb/>nulladimeno, la proprietà della Cappa marina imitando, crederò
<lb/>più tosto esser degno di commendazione, che di emenda giudicato.
<lb/> E chi è quegli, che non lodi questa spezie di conchiglia, che
<lb/>mentre si stà, per goder la serenità del cielo, aperta come natura
<lb/>le insegna, sendo alcuna fiata, da qualche pesce importuno, per
<lb/>mangiarlasi assalita, non hauendo ella sentito il muouer dell'acque, 
<lb/>per la venuta di quello, acciòche dentro riserrar si potesse
<lb/>nella sua conca senza offesa veruna del nimico, sì che, messo
<lb/>dentro il capo vien da essa conchiglia stretto, e vcciso? Io, che
<lb/>cerco godermi il cielo, filosofando de’ suoi bei lumi, e fuggo 
<lb/>legare, se, affrontato, stringo il nimico, perche scusa meritar non
<lb/>debbo ? anzi potrò io ben dir col Veniero il medesimo che nella
<lb/>sua Idalba Tragedia egli disse. 
<lb/>Mie difese sforzate, han lor colpe punite.
<lb/>Hora, perche noi, signora Maschera, ò vero Alimberto Mauri, 
<lb/>desideriamo, che quegli, à cui aggradirà la lettura di queste risposte,
<lb/>e difese dintorno alle considerazioni da voi fatte sopra il 
<lb/>discorso nostro, non siano aggrauati di doppia fatica nel douer
<lb/>prender più libri nelle mani, per tale occasione, ma possano in 
<lb/>questo solo per facilità, e chiarezza maggiore agiatamente vedere
<lb/>ogni cosa à questa materia appartenente , con ischiettezza, e
<lb/>sincerita di scrittura trasportata; cominceremo dal principio
<lb/>delle considerazioni vostre, sin dal proemial ragionamento, quindi
<lb/> le risposte à quello seguiteranno, poscia la prima delle parti
<lb/>del discorso, sotto di cui saranno le considerazioni parte per parte,
<lb/>e immediatamente à ciascuna seguirà la risposta, traponendomi
<lb/> ancora entro di quelle douunque parrà di mestiere, per non
<lb/>far come voi, che, solamente le prime parole delle particelle 
<lb/>da voi fatte del discorso, notaste, accioche per la mala intelligenza
<pb n= "2 recto"/>
<lb/>di quelle, e per non l'hauer voi secondo il sentimento loro
<lb/>volute pigliare, e per molte parti di esso tralasciate, haueta
<lb/>cagionato lunghezza, e noia a’ Lettori, senza profitto di veruno.
<lb/>Voi adunque, voltato a i lettori dite cosi. 
<lb/>Considerazione prima. Perche dell'huomo è 
<lb/>proprio desiderio il saper le cose principalmente per
<lb/>la stessa loro nobiltà, utilita, e necessità al genere
<lb/>umano in tutti i secoli celebrate, quindi e, che
<lb/>egli cotanto in brama simile inferuorato, non
<lb/>sente per quelle conoscere fatica veruna. 
<lb/>Passa solingo i di, veglia, trauaglia.
<lb/>Strugge la vita sua, ne nulla cura.
<lb/>Anzi se pure una fiata aduien, che egli, schifate,
<lb/>come dice Cebete, i mostruosi scogli delle vane
<lb/>opinioni, peruenga alla vera scienza, senza 
<lb/>pentimento del passato tempo: stima felici quei
<lb/>giorni, auuenturose quell'ore, quando un vece
<lb/>di lusingheuoli trattenimenti prouo gli stenti
<lb/>amarissimi, ò per dir meglio, il dolcissimo 
<lb/>patir negli studi . Il perche poco amoreuole, e più
<lb/>tosto ingrato, e non meriteuole della grazia degli
<lb/>studiosi mi stimerei, se io nel solcare, che-
<lb/>fanno di questo mare delle scienze, non gli 
<lb/>ammonissi auanti, e quasi vedendo il pericolo 
<lb/>dell'ultima lor rouina .
<lb/>Risposta. O buono; sè gli effetti saguitan le parole, vadasi pure à 
<lb/>riporre il gran Palinuro rettor della naue d'Enea. Ma chisa, che
<lb/>di quì à poco non ui fuggiate sopra vna feluca, e ben presto?
<lb/>C. Non additassi loro quelle Sirene delle quali
<pb n= "2 verso"/>
<lb/>la natura, e'l sito.
<lb/>R.Che sito ; l'odore ? la positura: il luogo?
<lb/>C. Trauagliando io per alcun tempo sotto intendentissimo
<lb/>Nocchiero, hò, per quanto comporta
<lb/>la capacità del mio debole ingegno, apparato:
<lb/>accioche sicuri dal tema de’ cattivi passaggi
<lb/> non trattenuti da uani pensieri, tengano 
<lb/>continuamente veloce il corso del desiderio al 
<lb/>vero sapere.
<lb/>R. Bisognera procacciarsi d’altra scuola. E possibile, che vogliate
<lb/>far l'Aio addosso à gli studiosi; e alla magistrale ammonidi di
<lb/>quelle cose delle quali voi siete ancor sotto la sferza del 
<lb/>pedante? Certamente, che chi apprender i volesse arte retorica, per
<lb/>acquistar con essa la beneuolenza de’ littori ne suoi componimenti:
<lb/>venga alla volta del Mauri. 
<lb/>C.Vn discorso adunque di Lodouico delle Colombe
<lb/>soura la nuoua stella alle settimane passate.
<lb/>R. Non due, o tre, ma otto mesi sono, ò più.
<lb/>C.Venutomi per le mani, mi ha dato la prima 
<lb/>occasione di palesarmi, impiegandomi in cotale
<lb/> vficio.
<lb/>R. Veramente, che l'hauete intesa à correr la prima laneta da caualiere
<lb/>incognito; percioche, essendo voi non mediocre Astrologo,
<lb/>antiuedeste, che doueuate al primo arringo leuar le gambe
<lb/>all'aria; che perciò non hauete stampato primieramente le mie 
<lb/>verità, e poicia sotto di quelle le vostre ciance . Oltre, che il
<lb/>fallire ascoso apporta men vergogna, non si vergognando 
<lb/>d’esser veduto se non da se stesso: ma voglio ad ogni modo esser più
<lb/>cortese di voi, atteso che il fatto passerà al contrario del vostro.
<lb/>C. Imperche non poche in quel trattatello, per non
<lb/>le chiamare inconueneuolezze, vane opinioni,
<lb/>à guisa di piacevoli, ma inuidiose damigelle,
<pb n= "3 recto"/>
<lb/>si fanno innanzi per troncare il viaggio, à chi
<lb/>aspiraua di peruenire in cognitione di quella 
<lb/>Signora antichissima, nobilissima, e vtilissima 
<lb/>Astronomia. 
<lb/>R. Io tengo per certo, che se Torquato Tasso hauesse potuto vsurpar
<lb/>cosi bella descrizione, egli la cacciaua nel suo poema, per dipinger
<lb/>più al viuo quelle vaghe notatrici lusingheuoli, che aspirauano
<lb/>co’ loro allettamenti ad arrestare i passi di que due guerrieri,
<lb/>acciòche non richiamassero al campo il valoroso Rinaldo, che
<lb/>nelle delizie del giardin d'Armida se ne staua con essa tra le lasciue
<lb/>innolto. 
<lb/>C. Ciò vegga chi leggendo queste mie considerazioni
<lb/>di vero fatte per ispasso, quando non sapeua
<lb/>in che altro impiegarmi, non vorrà le manifestissime
<lb/>demostrazioni, el senso ostinatamente
<lb/>negare. 
<lb/>R. Voi siete ben montato in gruccia, ò su la merlina, per farti far
<lb/>dietro le fischiate à tutto ilpopolo; a dir che, per ispasso, l'habbitate
<lb/>fatte, e quando altro tempo non haueuate da gittar via.
<lb/>Parui però, che Aristotile, cioè le sue dottrine da me addotte siano
<lb/>da essere studiate per diporto? E chi volete, che vel creda? Se
<lb/>voi foste figliuolo delle Amazoni non portereste pericolo, che
<lb/>elle viazzopassero, come gli altri maschi, accioche voi non 
<lb/>faceste opere virili, e da prudente, non volendo restar superate
<lb/>da gli huomini in valore; atteso che queste son debolezze, che
<lb/>danno indizio di troppa mentecatagine. Ma, qual grande 
<lb/>occupazione, per vostra fè, vi suole ingombrar la mente, quando
<lb/>non vi mettete attorno à queste bagattelle d'Aristotile? Forse vi
<lb/>ritirate solitario sopra di eccelsa torre, per osseruar qualora i vaporo
<lb/>sorgono dal mare, uolandosene al cielo per imboccar le stelle, 
<lb/>accioche elle non muoiano della fame? Forse per veder qual di essi
<lb/>in celeste materia si conuerte, come teneuan gli Stoici, e vorreste
<lb/>io lo veggo nell'aria; tener voi ancora si vi diletta il rinnouelar
<lb/>l'antiche melensaggini, omai, sprofondate dal mio Aristotile?
<lb/>Con chi hauete voi disputa, che habbia tolto l'armi per 
<lb/>impugnar l'Astronomia? A che fine citar tanti autori, e farnesi grande
<lb/>spampanata, per confermar l'antichita, e nobiltà di quella contro
<pb n= "3 verso"/>
<lb/>chi mai non pensò di negarla? Voi mi fate souuenire il 
<lb/>prouerbio.
<lb/>Sambuci flores sambuco sunt melores,
<lb/>Percioche i fiori gittano odore, e il pedal fetore. Son buoni gli
<lb/>autori ma non son gia portati in mezo per conueneuole occasione,
<lb/>ne à proposito.
<lb/>C Ne io facendomi perciò grato li amatori delle 
<lb/>cose astronomiche, penso (perche altrimenti in
<lb/>niuna maniera il farei) fare ingiuria, ò dispiacere
<lb/>alcuno al Sig. Colombo. Imperoche non
<lb/>(hauendo io mai conosciuto, ne anco sentitone 
<lb/>fare alcuna menzione, si può benissimo giudicare,
<lb/>che ne per odio, ne per inuidia, ma per una
<lb/>certa libertà stata sempre comune à ogni secolo,
<lb/>di dire il parer suo in qual si voglia, quantunque
<lb/>autoreuole scrittura , mi sia messo a
<lb/>scriuere. -
<lb/>R. Il non conoscer mè nasce da questo, che non conoscete voi; ma
<lb/>io, che mè, e voi conosco, sò perche dite mè non conoscere. 
<lb/>Anche la gatta non porta odio a’ colombi, ma per amore ella chiude
<lb/>gli occhi, fingendo non vederli s'appiata in terra, fa vista non
<lb/>curante di essi, che le son vicini, per ciuffarli poi meglio: ma ella
<lb/>si riman con le beffe bene spesso, perche il colombo ha l'ale se la
<lb/>gatta ha le branche.
<lb/>C. Oltre che per non esser concesso à vn’ huomo il
<lb/>diuenir signolare, &amp; eccellente in diuerse 
<lb/>professioni, non li dourà parere strano, se egli essendo
<lb/>in altro affare molto esercitato, e perfetto viene
<lb/>nell'Astronomia da chi che sia, è ripreso, ò
<lb/>ricorretto.
<lb/>R. Non vedete, che questa puntura inzuccherata si ritorce contro di
<lb/>voi, posciache non bastandomi far l'arte dell'indouinare, volete
<pb n= "4 recto"/>
<lb/> spacciar ancor del filosofo, e del Teologo, si che di uoi si può dir
<lb/>garbatamente quel verso del Tasso.
<lb/>Confonde le due leggi à se mal note?
<lb/>C. Conciosiache chi non sà, che M. Catone è cotanto
<lb/>celebrato per le istorie, perche egli solo si legge,
<lb/>che in tre nobilissime facultà hà ottenuto il
<lb/>primo grado di perfezione? Quantunque, se
<lb/>ancora noi vogliamo credere à chi nel medesimo,
<lb/>ò dopo poco tempo fù di lui G. Aquilio nelle
<lb/>legge, M. Tullio nell'eloquenza, e C. Cesare
<lb/>negli affari di guerra gli fosse di gran lunga
<lb/>preposto. -
<lb/>R. Manco male, che se voi ritrouate le costure i tanti barbassori, mi
<lb/>posso contentar, che non la perdoniate ancora a me, che niente
<lb/>vaglio à petto di loro, ma dico ben, che l'esempio non conchiude
<lb/>nulla: imperoche, se quei tali auanzarono Catone in una disciplina,
<lb/>egli non è però, che fino a quel tempo, per quel che se ne
<lb/>sapeua tra gli huomini, egli non fosse stato eccellente; oltre, che
<lb/>eccedaua ad ogni modo in due altre, discipline, che il rendeuano
<lb/>sopra di essi ammirabile . Ne anche è uero, che non possa 
<lb/>dirsi eccellente quegli, che, hauendo il primo luogo nel saper
<lb/>qualche scienza, sia scoperto in essa da chi che sia d'alcune cose
<lb/>hauer conosciuto l'vltima perfezione, perche questa sapienza non
<lb/>è conceduta alle humane forze. Hora come huomo parlando,
<lb/>se possa, ò nò diuenire alcuno in tutte, o in gran parte delle scienze
<lb/>singolare, la lite per ancora sotto il giudice pende. Pure se
<lb/>tal materia fra voi e  mè disputar si douesse, credo, che alla fine il
<lb/>piato della ciuetta fatto haureste, che si rimase con molte penne,
<lb/>e poea carne. Egli è uero che alcuni vogliono, che non si possa
<lb/>peruenire in più discipline eccellente, perche vi si richiede gran
<lb/>memoria, e ingegno sublime, che non istanno insieme, dicono
<lb/>essi. Ma altri nulladimeno, il contrario affermano. Conciosiache
<lb/>le scienze, e la verità habbiano certa concatenazione insieme
<lb/>à simiglianza d'anello d'oro, sì che l'una si tira dietro l'altra, di
<lb/>maniera, che quegli, che ha difetto di memoria è dalla riminiscenza
<lb/> efficacemente per cotal cagione aiutato; aggiuntoui di più
<lb/>la forza dell'arte Ramondina, e somiglianti, acciò gioueuoli artifici.
<pb n= "4 verso"/>
<lb/>E coloro, che ingegno non hanno vsano la memoria, che gli
<lb/>habilita, e rende suegliati, per le molte, e varie cose, che ella 
<lb/>riserba; onde i tanti motiui adoperano si, che ogni mezano ingegno
<lb/>arriua al termine de’ sublimi. Anzi dirò più; che, per esser
<lb/>l'organo della memoria distinto dall'organo della cogitatiua, 
<lb/>possono molto bene eleuato ingegno, e felice memoria altresi in
<lb/>vn medesimo huomo ritrouarsi. Atteso che, se l'organo della
<lb/>cogitatiua inchina più uerlo l'humido, e quello della memoria verso
<lb/>il secco, (cosa, che alcune fiate accade) il medesimo huomo
<lb/>sara di tenace memoria, e di acuto ingegno. L'esperienza 
<lb/> (acciò ch'io taccia mille antichi) il dimostra nella persona del 
<lb/>famoso Pico, Torquato Tasso, Iac. Mazzoni stati nell'uno, e nell'altra
<lb/>mostri di natura veramente.
<lb/>C. Onde io diuero, non perche egli si dimostri poco
<lb/>pratico nella cognizione de Cieli, percioche
<lb/>questo può à qual si voglia forse accadere per
<lb/>la fieuoleza, e incapacità della natura humana,
<lb/>ma sì bene per vna certa arroganza, che
<lb/>per entro gli suoi scritti si scorge, son forzato e
<lb/>à raffrenare alquanto cotale orgoglio, e per la
<lb/>stessa verità delle cose trattate à rifiutare molti
<lb/>suoi vani capricci, ne quali in leggendo mi
<lb/>sono abbattuto. 
<lb/>R. Se la mia modestia è arroganza reputata da voi, perche io difendo
<lb/>Aristotele, pensate, che cosa doura stimari quella di chi 
<lb/>l’impugna, attorto. Io m'auueggo, che vorreste poter dire à mè,
<lb/>come quel cortigiano al principe suo, il quale essendo in pericolo
<lb/>d'affogare con esse lui, per certa fortuna di mare, disse; noi
<lb/>berem pur questa volta alla medesima coppa, poiche la barca ormai
<lb/>è piena d'acqua. ma io dubito non forse, auuenga a voi come
<lb/>a chi bene al fonte, che è solo a bere, e paion due.
<lb/>C. In quella guisa adunque, che Filopono, Simplicio,
<lb/>e Auerroe, sono chiamati, e tenuti fedelissimi
<lb/>ad Aristotele, ancorche alcune conclusioni
<pb n= "5 recto"/>
<lb/>sue sien da essi acerbamente rifiutate, non dubito
<lb/>punto, che io ancora quantunque in molte
<lb/>cose discordi; del Sig. Colombo, non habbia è esser
<lb/> per la stessa ragione chiamato, e tenuto amicissimo.
<lb/>R. Dirò, che vi date à credere, ch'io sia come la moglie di Giordan
<lb/>Tedesco, che dicena di voler megliò al marito, quando le daua 
<lb/>delle busse, e che sempre l'amor cresceua per quelle verso di lui.
<lb/>perche alla fine il buon Giordano le disse, moglie mia io t'ho dato
<lb/>tante volte, che se l'amore è cresciuto à proporzione, sarà troppo
<lb/>disordinato: però è ben finirla quì, e le segò la gola. Voi Sig.
<lb/>Mauri me n'hauete date da ritto, e da rouescio, e di male mazzate.
<lb/>qualche balordo ve ne vorrebbe bene: basta ben che, se voi la faceste
<lb/>finita quì senza più, che forse non ve ne vorrei peggio, ma io
<lb/>vi veggo sempre le man per l'aria, sì ch'io terno, che di quì a poco
<lb/>non tentiate anche tagliarmi le gambe, el collo.
<lb/>C. E tanto (nobilissimi lettori) ha potuto in me questa
<lb/>verità, che io ne anche mi son guardato à 
<lb/>riprouare, e dimostrar false alcune sentenze di
<lb/>scrittori antichi.
<lb/>R. Che marauiglia, se fino ad Aristotele l'hauete barbata?
<lb/>C. E alcune ragioni hauute fino à ora per vere di
<lb/>molti effetti.
<lb/>R. Di vero il male è stato assai, che huomo imperito ardisca por la
<lb/>bocca nelle dottrine di sì graui autori lacerandole, ma il peggio è,
<lb/>che di veruna cosa hauete pur detto ragione, che apparente sia 
<lb/>non che reale, e vera, e ben tosto il ui farò vedere. Disse bene il
<lb/>vero Tucidide;
<lb/>Imperitia audaces, res autem cogitata, atque
<lb/>considerata timidos facit.
<lb/>Ma chi volesse veder doue sta à casa, e à bottegha l'Arroganza, e
<lb/>l'Orgoglio, vadasene pure a trouar la tauola, che fatta hauete à
<lb/>questa vostra leggenduzza; e quiui trouerà scritto senza riguardo
<lb/>alcuno. Filosofi non si sanno seruir degli Epicicli, Eccentrici, e
<lb/>Equanti; Ipotesi Alfonsine senza dimostrazioni, superstiziose;
<pb n= "5 verso"/>
<lb/>esemplo di Macrobio, del Sacrobosco, e d'altri autori seguiti
<lb/>dal Colombo, dimostrato falso, &amp;c. Hora, in che gli condanna?
<lb/>in vna esperienza tanto manifesta al senso, che quegli, che la nega,
<lb/>si può dir, che sia più cieco della serua di Seneca, di cui scriue 
<lb/>Plutarco, che hauendo di notte repentinamente perduta la vista, sendo
<lb/>chiamata a giorno alto, attendeua a dir, che riposar la lasciassero,
<lb/>perche non era ancor di : ne volle mai creder che venisse da'
<lb/>suoi occhi il difetto, finche non le affermò Seneca esser giorno
<lb/>alto, e spalancate le finestre.
<lb/>C. Il perche forse molti pensieri, e molte opinioni, e
<lb/>perche men’ hà dato occasion l'autore, e perche
<lb/>la conformità de’ presi ragionamenti pareua il
<lb/>richiedesse, inserite in queste mie considerazioni,
<lb/>parranno per esser nuoue.
<lb/>R. Messer nò, questo difetto non hann'elleno.
<lb/>C. A chi che sia, ò strauaganti, ò troppo ardite;
<lb/>R. Cosi è veramente, e l'vno, e l'altro à chiunque le legge; anzi, che
<lb/>per dir meglio elle non parranno, perche elle sono.
<lb/>C. Ma qual'altro rimedio poteua io adoperarci,
<lb/>che ò tacere.
<lb/>R. E questo era il vostro megliore.
<lb/>C. Io che facendo in questa maniera i Lettori d'Astronomici.
<lb/>R. O là, qui manca vn puntello a questi Astronomici.
<lb/>C. Filosofi dubbiosi, e Pirroni, non mi pareua 
<lb/>conuenisse, ò apportarne quelle inuenzioni, che io
<lb/>da per me m'era andato sopra ciò considerando?
<lb/>R. Anzi, che voi in cambio di schifar cotesta setta, nella cui accademia
<lb/>facilmente trouate da impancarui per esser sempre vota, e poco
<lb/>men, che confitto l'vscio, vi mostrate quanto alle dubbiezze
<lb/>esser veramente pyronio nelle parole, ne'concetti, e nella persona.
<lb/>Imperoche il parlare oscuro, senza cercarne per hora altro
<lb/>esemplo, veggasi questo periodo precedente, lungo, e laconico
<lb/>dimaniera, che nulla più. I concetti, e le dottrine son tali per tutta
<lb/>l'opera, che, se bene vi siete quasi intifichito dentro, per lo stento,
<pb n= "6 recto"/>
<lb/>son piene di contradizioni, e dubbiezze nel principio, nel
<lb/>mezo, e nel fine, e di autori mal citati peggio intesi, e pessimamente
<lb/>oltraggiati; e fatto dire al mio testo quel che è piaciuto a
<lb/>voi, ma non già quelche dic'io lasciando stare, che per darci il resto
<lb/>delle vostre inuenzioni, per compimento dell'opera non hauete
<lb/>pur detto qual sia il creder vostro circa la nuoua stella per la
<lb/>qual vi siete messo a scriuere, e impugnar l'opinione altrui; ne hauete
<lb/>eziandio fatto parola in difesa della vostra diletta Astrologia
<lb/>giudiciaria. Quanto alla persona incerta, bastera dir, che, non si
<lb/>ritrouando Alimberto Mauri In rerum natura , ella sia 
<lb/>vna maschera sorella di Cecco di Ronchitti, suo suiscerato, come
<lb/>si vede per entro queste considerazioni ; di maniera , che
<lb/>appò lei toglie ad Aristotele il primo luogo. Vogliono i Pirroni
<lb/>i quali non son differenti da i Settici, ò in pochissime cose, che di 
<lb/>niuna cosa si dia scienza e come che à far parole di costoro, i
<lb/>saui si vergognino, o facciano solo quelle del nostro Poeta, 
<lb/>Non ragioniam di lor ma guarda, e passa;
<lb/>con tutto ciò, per esercizio di ingegno, sendo prouocato, mi 
<lb/>vien capriccio di non rifuggir la zuffa, più per hauer occasione di
<lb/>fondar salde dottrine, che di rouinar le debboli; conciosiache la
<lb/>vanità di esse, per se medesima le rouini, e il recitarle solo le condanni.
<lb/>Se voi adunque Signor Mauri, oltre all'esser dubbioso,
<lb/>voleste con questa brigata creder, che scienza non si trouasse, io
<lb/>vi domando se sapete, o non sapete, che non si dia scienza: se lo sapete;
<lb/>adunque si da scienza; se nol sapete; alle vostre parole non si
<lb/>dee prestar fede. E per dir come il dotto Agustino, chi dubita se si 
<lb/>possa hauere scienza di nulla, non dubita di dubitare. E io direi,
<lb/>che voi siete simili alla Fata di Plutario, che in casa sua si cauaua
<lb/>gli occhi riponendoli nel bossoletto, e quando era in casa d'altri
<lb/>se li poneua in testa per conoscere ogn'altra cosa che se stessa.
<lb/>Voi affermate di conoscer, che noi non habbiamo scienza delle
<lb/>cose, e non conoscete voi medesimi, che scienza hauete di non
<lb/>hauere scienza.
<lb/>C. Le quali, che, che elle si siano non posso negare,
<lb/>che se le piaceranno mi sia per esse sommamente
<lb/>grato.
<lb/>R. Sapete a cui elle piaceranno? a vostri ma non già a’ dotti. Io hauea
<lb/>da giouanetto composte alcune poesie ; e perche assai belle pareuano
<lb/>ad altri miei compagni della medesima età, credendomi che
<pb n= "6 verso"/>
<lb/>di molta stima fossero saltai in cimbali di farle publicamente 
<lb/>vedere, ma non per tanto non volli lasciar di chieder consiglio a
<lb/>vn letrerato huomo in cui molta confidenza hauer mi pareua, di
<lb/>cui la risposta fu cotale. Accadde a vn personaggio, che per esser
<lb/>reputato assai dotto nella sua patria, non vi essendo chi sapesse 
<lb/>couelle; partitosi per farsi conoscere ancora a Padoua, gli venne fatto
<lb/>acconciamente, ma troppo più, che voluto non haurebbe. 
<lb/>poscia, che essendo scorto da vno ingegnoso poeta il mandò a presentare
<lb/>alla scoperta di vna artificiosa ruota, credo io di zucchero,
<lb/>nella cui superficie dall'vna delle bande molte teste d'asino eran
<lb/>figurate attorno, e vna testa d'huomo il centro di quella occupaua:
<lb/>dall'altra parte humane teste la ruota circondauano, nel cui
<lb/>mezo dipinta vna testa asinina appariua. Daua la prima indizio,
<lb/>costui esser dotto a casa sua, perche in terra di ciechi vede assai que
<lb/>gli che hà solamente vn'occhio. La seconda il fè conoscere, che era
<lb/>ignorante fra i dotti di Padoua; e cosi con sua uergogna apparò
<lb/>più in un'ora à Padoua, che in molt'anni alla patria sua. Sig. mio
<lb/>(dissi) voi m'hauete messo in pensiero, che, se ben quella testa d'asino
<lb/>era di zucchero, bisogna, che molto amara fosse ad ogni modo
<lb/>à masticare; e perciò sara ben, che io non cerchi di questi regali.
<lb/>C. Si come per lo contrario, se non saranno riceuute
<lb/> con quello affetto, che le hò scritte à voi, à me
<lb/>basterà solo, parendomi pure assai, auerle 
<lb/>riuestite, e con ragioni, e con esempli naturali di
<lb/>sì fatta verità, ò almeno verisimilitudine, che
<lb/>perciò non apparendo in esse fuora parte alcuna
<lb/>vergognosa, ò inconueniente, come ben alleuate
<lb/>donzelle abbiamo arrossire per comparir nell'altrui
<lb/>cospetto.
<lb/>R. Guardate, che l'amor non u'inganni, e faccia parer come disse il
<lb/>Petrarca.
<lb/>Donne, e donzelle, e sono abeti, e faggi;
<lb/>Percioche elle appaiano come disse il Tasso,
<lb/>Figlie delle saluatiche cortecce.
<lb/>Orsù uolete ch'io ue la dica? a mè elle paiono honeste, appunto,
<lb/>qual fù la figliuola del Soldano di Babilonia, che per noue siate 
<pb n= "7 recto"/>
<lb/>fù contaminata, e ad ogni modo si uendè per pulzella. Ma uoi
<lb/>non hauete cosi ben saputo ricoprirle, che donzelle violate non
<lb/>si dimostrino: e come che uoi uogliate far testimono della purità
<lb/>di esse, alle uostre parole non si dee prestar fede, che padre ui 
<lb/>appellate di quelle, e ne siate l'adultero.
<lb/>C. Resterebbe, che io apportassi la cagione: perche
<lb/>hauendo io auuertite, e notate molte cose nel 
<lb/>primo discorso del Sig. Colombo, che in particolare
<lb/>s’ appartiene alla Astronomia, non sia entrato
<lb/>ancora nell'altra parte à dirne il mio parere
<lb/>nell'Astrologia, laquale egli à guisa di Licurgo,
<lb/>che vedendo alcuna fiata imbriacato gran parte
<lb/>del contado, fece con danno vniuersale de’ più
<lb/>nobili, e generosi spiriti estirpare tutte le viti,
<lb/>nel fin del trattato; per lo suo uso cattiuo, come,
<lb/>se qual si voglia scienza, ancorche in se stessa
<lb/>vtile, e perfettissima, non si possa dalla 
<lb/>maluagità degli huomini contaminare, dispregia,
<lb/>e vitupera cotanto.
<lb/>R. Oime, non posso più; s'a cosi lunga tirata di parole, io non ripiglio
<lb/>il fiato. Certamente se il menar del capo, e delle mani haueste
<lb/>potuto rappresentare ancora, io hauerei creduto ueder ragionare
<lb/>un'altro Grazian delle Codighe. Se Licurgo proibì uniuersalmente
<lb/>il uino, che di sua natura è buono, egli non fece forse 
<lb/>il maggior mal del mondo, perche pochissimi sono quegli, che
<lb/>ben se ne seruano, e senza quello, non sarebbe di peggio la natura
<lb/>humana. Nulladimeno si come il uino beuuto come, e quando
<lb/>conuiene è buono; cosi è non altramente dell'Astrologia adiuiene.
<lb/> Il uino souerchiamente usato, fa l'huomo rimbambito,
<lb/>ciancione, e pargli posseder tutto il mondo, e nulla possiede.
<lb/>Quegli, che disordinatamente crede, e si immerge nella giudiciaria
<lb/>Astrologia douenta bambino, perche dice, e tien per uera
<lb/>ogni astrologica menzogna, è reputato baione, e bagattelliero,
<lb/>perche à chiunque gli da innanzi uuol far ueder marauiglie in
<pb n= "7 verso"/>
<lb/>credibili ; predice tutte le future cose, e non preuede nulla. Vn
<lb/>contadino, che il trouò buono all'Oste, e tracanando senza discrezione;
<lb/>ciò che poscia rincontraua gli pareua l'un due, comepoco
<lb/>dianzi à uoi addiuienne, stimando, che il mio discorso, che è
<lb/>uno fossero due, ò più, dicendo.
<lb/>Nel primo discorso del Sig. Colombo.
<lb/>Giunto adunque il buon’ huomo à casa, in due suoi figliuoli, 
<lb/>s’abbatte, che ben quattro gli pareuano, e’ uerso la moglie 
<lb/>n’andò, adirato per darle , femina di mondo chiamandola : ella
<lb/>pur sue scuse, e difese faccendo diceua, se esser onesta donna, mentre
<lb/>che egli, che la paletta messa nel fuoco hauea, quando rouente
<lb/>la uide, disse, se tù se senza colpa piglia quel ferro, che non ti
<lb/>nocerà. La moglie, uedendo lui esser briaco, soggionse, dallo
<lb/>quà? egli presa la paletta, scottatosi la mano, e sbucciata, e ritornato
<lb/>in se fu tutt'una; percioche il fuoco del ferro asciugo'l uin
<lb/>del ceruello. Il medesimo accade a gli Astrologi, che dell'Astrologia
<lb/>ebri diuenuti credendosi ueder quel che non era, scottati
<lb/>alla fine rimasi ne sono.
<lb/>C. Alche quantunque io potesi dire: che per 
<lb/>risposta d'altri ageuolmente leuandosi tutti quei
<lb/>vituperi, ciò stato sarebbe al tutto superfluo, 
<lb/>solo rispondo, che ragioneuolmente non mi son
<lb/>messo à questa impresa. Imperoche essendo
<lb/>l'Astrologia fondata tutta nell'Astronomia, il
<lb/>dispregiatore di essa, per essere stato scoperto da
<lb/>me dotato di fallace, e mancheuole Astronomia,
<lb/>douerebbe esser per la’ gnoranza del merito 
<lb/>della causa.
<lb/>R. Che ui dissi, destemela alle gambe, e al capo? Di uero Mauri,
<lb/>che se leuate di queste fette, uoi non sarete una Maschera, ma una
<lb/>Machera, che uuol dire un coltellaccio. Domine, se cosi son
<lb/>fatti gli amicissimi, sarà ben hauerne manco, che uno.
<lb/>C. Come giudice incompetente, meriteuolmente 
<lb/>refiutato, e ributtato da qual si voglia intenden-
<pb n= "8 recto"/>
<lb/>te, e discreto lettore, al cui giudicio (si come io
<lb/>liberamente sottopongo ogni mia opera, e fatica)
<lb/>non dubito, che altresì non sia per acquietarsi,
<lb/>chi non essendo delle cose proprie souerchio
<lb/>amatore, ha per iscopo principale, in qualunque
<lb/>sorte di professione, di ritrouar solo la verità.
<lb/>R. Il fatto sta conoscerla, massimamente voi che disputando volete
<lb/>esser giudice e parte, pensando dar retto ad ogni modo il giudicio.
<lb/>A uoi conueniua scappar fuora con le vostre ragioni, e argomenti
<lb/>per difesa dell'Astrologia, se ve ne bastaua la vista in quella parte
<lb/>doue io la vitupero insieme con tutti i più famosi non dico Filosofi,
<lb/>e Teologi, ma Astrologi eziandio, come si uedrà alla come
<lb/>si vedrà nel fin dell'Opera, doue l'insolente turba degli Astrolagastri,
<lb/> e la superstiziosa Astrologia si condanna. Ma voi non ne farete
<lb/>altro hauendo veduto che il [censored] Lucio Bellanti, che in fauore
<lb/>de vostri concetti citato hauete, non seppe scappar d'alcune difficultà,
<lb/>e obbiezioni fatte dal Pico. I famosi si seruon di cotesta sorte
<lb/>d'astrologia tanto, quanto ella basta loro per ischernire, e beffare
<lb/> i semplici. Onde Catone si marauigliaua, quando s'incontrauano
<lb/>due astrologi, che non crepassero, per le risa. Ma veramente
<lb/>non hauete il torto a non entrare in mar senza biscotto, per che
<lb/>hauendo io di gia fracassati, come dite voi, e gittati al fuoco tutti
<lb/>i libri, e gli strumenti astronomici, che son fondamenti di quella,
<lb/>senza i quali sareste come mosca senza capo, da pratico mi hauete
<lb/>data contro la sentenza nell'Astronomia per fuggire il ranno
<lb/>caldo dell'Astrologia. Cosi fece non ha molto vn'arrogante 
<lb/>procuratore, che dinanzi al giudice disputando vna causa in vece di
<lb/>fermare il fatto con l'auuersario, e disputar de meriti, si rinfuocolaua
<lb/> gridando a sproposito, dicendo la uerità è, che noi habbiamo
<lb/>ragione, e uoi senza dire più hauete il torto. Onde l'auuersario
<lb/>dolcemente sorridendo, al giudice riuolto, disse, io debbo
<lb/>hauere a disputar la causa con uostra eccellenza, poi che il 
<lb/>giudice è costui. Anzi Sig.Mauri à noi tocca solamente a disputare,
<lb/>ma il giudicare ad altri s'aspetta. Io adunque à discorrer cominciai cosi.
<lb/>Discorso. Perche dell'huomo, e proprio talento desiderar di sapere,
<lb/>e massimamente la ragion delle cose di cui l'nuestigazione,
<lb/>se non impossibile, almeno difficilissima sembra all'humana 
<lb/>capacità; di quì è, che dietro a simil cose, come che la verità sia
<pb n= "8 verso"/>
<lb/>vna, molti variamente pronunziano la sentenza loro, e tale 
<lb/>adoperano l'acume dell'ingegno, che, tutto che vno sia, che dica vero,
<lb/>ò forse niuno appena si troua, chi discerner sappia qual di tanti
<lb/>pareri d'intorno a vn soggetto solo, per più probabile da riceuer
<lb/>sia. E tale appunto mi si rappresenta la’ materia di quelle nuoue
<lb/>stelle, che nel Cielo si dicono essere apparite, di cui fanno menzione
<lb/>gli Astrologi esserne stata veduta vna trentatre anni sono nella
<lb/>sede della Cassiopea, acciò ch'io taccia le più lontane, come fu
<lb/>quella, che vide Hiparco; e l'Ottobre passato 1604. alli 12. ò quiui
<lb/>intorno vn'altra nel sagittario s'è fatta a gli occhi nostri vedere.
<lb/>Quella per lo corso di due anni, e questa di uno incirca s'è mantenuta,
<lb/>auuenga che alcuni dicano l'ultima per ancora non essere
<lb/>sparita, ò ritornata di nuouo. La onde molti eleuati intelletti, 
<lb/>diuersi fra di loro, ne hanno diuersamente fauellato, e posto in luce
<lb/>la loro opinione, di maniera che l'autorità di quei tali separatamente,
<lb/>e le uigorose ragioni addotte in prò del proprio parere
<lb/>fin quì non hanno per mio auuiso altro, che nuoua dubitanza 
<lb/>cagionato, e lasciati i lettori nelle medesime difficultà, anzi
<lb/>maggiori; tra i quali io mi son uno. Onde cosi fieramente s'e adescato
<lb/>in me il desiderio di ricercar la uerità di cotale apparenza, che nulla
<lb/>più. Ne crederò io mai biasimo riportarne, quantunque egli
<lb/>non mi uenisse fatto di persuader per uera la mia sentenza, dintorno
<lb/>alla sostanza, e al modo nel quale possano tali stelle di nuouo
<lb/>nel cielo essersi dimostrate, a gli occhi nostri.
<lb/>Considerazione seconda. In quanto à questa 
<lb/>parte d'addur la sua sentenza circa la sostanza
<lb/>di questa nuoua stella, cioè se ella è composta
<lb/>della materia del corpo del Cielo, doue ella si 
<lb/>ritroua, come tiene Aristotele, ò se ella è vn fiore
<lb/>della terra, come dice Protagora, non si dee dire,
<lb/>che l'autore, per non l'hauer fatto apertamente,
<lb/>sia dotato di poca memoria, perciocche 
<lb/>prouando poco di sotto, che ella non è esalazione,
<lb/>ha pensato forse con la negatiua auer posto in 
<lb/>essere la sua quidità, o vero si è creduto, per
<pb n= "9 recto"/>
<lb/>auer giurato in verba Magistri, superfluo 
<lb/>addurne la sua opinione, dandosi ad intendere, che
<lb/>quindi, seguendo egli Aristotile, ogni discreto
<lb/>lettore, se la potesse immaginare.
<lb/>Risposta. La più fracassata ruota del carro, è sempre quella, che cigola.
<lb/>Voi vorreste (se ben non ne trouate buona via) cacciarmi addosso
<lb/>menda di smemorato, ma e' v'auuerrà come al vento Cecia,
<lb/>che soffiando trae a sè le nugole, in vece di mandarle altroue.
<lb/>Hauui però di sì fatta maniera velati gli occhi la passione, che non
<lb/>veggiate, ò pure sdegnate di veder la luce come i barbagianni? Non
<lb/>s'è prouato il tutto nella particella posta dauanti alla considerazion
<lb/>sesta, settima, ottaua, nona, decima, vndecima, duodecima. 
<lb/>diciottesima, e trent'esimaterza ? Paru'egli Signor Mauri, che la
<lb/>mia memoria habbia rintracciato, doue era memoria delle proue
<lb/>della natura di tale stella? Voletela più smaltita. Eccouela in quattro
<lb/>parole. Il Cielo è vna sostanza diuersa di natura dalla natura
<lb/>degli Elementi perche non è corruttibile, ne generabile, ne 
<lb/>capace di nuoue forme. Ma gli Astrologi tutti hanno dimostrato,
<lb/>e voi lo concedete, la nuoua stella esser nel Cielo; adunque tale
<lb/>stella è della natura, e sostanza celeste, e una di quelle, che vi 
<lb/>furono da principio, non sendo il cielo capace di nuoue forme,
<lb/>ne di mutation corruttiua. Che ne dite adesso qual di noi due ha
<lb/>mandato la memoria a zonzo? fate à mio senno confessatela alla 
<lb/>libera per che non istando ostinato almanco darete indizio, che
<lb/>l'habbiate ritrouata ricordandoui d'hauerla perduta. Anzi vi 
<lb/>varrete di quel bel detto di Seneca in Agamennone; -
<lb/>Quem penitet peccasse penè est innocens.
<lb/>Per mia fè, se mi fate di queste troppo spesso, che marauiglia sia
<lb/>ch'habbiate spacciatamente snocciolatomi contro 53. considerazioni?
<lb/>Sò ben che, se queste considerazioni fossero mie, come
<lb/>son vostre non l'haureste guardata a cacciar dauantila C, vn'S, 
<lb/>calzandoui per l'appunto, non volendo lasciar quella parola senza
<lb/>compimento. E quasi quasi, che elle son più che le righe dell'opera
<lb/>stessa. Sig.lettori, sò che il Sig. Mauri mi tien tanto parziale di
<lb/>Aristotele, che io non istimi Platone, ma in questo egli come in
<lb/>altre cose s'inganna; e sò che’ e non attenterebbe di contrastare,
<lb/>percioche con realissimi, e irrepugnabili dimostramenti vedrà,
<lb/>che si come questo suo parere io non lo seguo cosi egli nol
<lb/>consegue. peroche io son di opinione, che per esser questi due splendentissimi
<pb n= "9 verso"/>
<lb/>lumi, l'vno non ceda all'altro, e nel suo genere amendue
<lb/>son sommi, e in ciascuno di essi è qualche particolar'eccellenza,
<lb/>che à niuno il fa secondo. Ma Aristotele ha seguitato vn genere
<lb/>Ascoltatorio continouato, che è atititimo alle discipline. 
<lb/>Platone, s'è compiaciuto del Dialogico interrogando, e 
<lb/>rispondendo, per eccitar gli ingegni a speculare. Aristotele perche 
<lb/>voleua insegnar le cose materiali, e sensibili offeruò il metodo 
<lb/>diffinitiuo, e ordinatiuo delle scienze. Platone, perche voleua insegnar 
<lb/>le diurne non ordinò le scienze, e sminuiua il concetto delle
<lb/>cose sensibili per aggrandir le immateriali. Arist. aspirando
<lb/>a formare interamente le scienze, seguitando la via compositiua
<lb/>dalle cose essentialmente concatenate, con voci proprie, e strette,
<lb/>e non metaforiche, e ampliate a scruer si mise. Platone con
<lb/>fiume d'oro di eloquenza procedette, perche bramando solamente
<lb/>destar gli animi si, che gia fecondi si preparassero al parto, si
<lb/>serui delle ragion Dialettiche, e Retoriche delle arguzie, e 
<lb/>metafore, e dissimulazioni, e Socratiche Ironie accomodatissime
<lb/> a suegliar gli intelletti altrui. Si che chi l'vno senza l'altro
<lb/>studia, e chi si priua di Aristotele per Platone, ò di Platone per
<lb/>Aristotele mi par, che si priui d'vn'occhio. Adunque delle cose
<lb/>materiali per al presente trattando sara mia scorta Aristotele, ma
<lb/>nello stile eleggo Platone, volendo adoperar l'ironie, le metafore,
<lb/>le arguzie, e piaceuolezze, e simiglianti lumi, e colori 
<lb/>retorici, a fin che io sdormenti a cuni, e a miglior filolofia 
<lb/>risorgano, e in particulare delle sfere celesti; e se ben non si può
<lb/>conseguire interamente la notizia loro, nulladimeno vna menoma
<lb/>particella; che altri ne capisca vale assai più la giocondita, che 
<lb/>all'intelletto apporta, che se con le proprie mani, per dir cosi, si 
<lb/>toccassero suelatamente tutti gli effetti terreni, e le cause loro 
<lb/>insieme. Lo dice Aristotile ancora con una bellissima similitudine.
<lb/>Celestia, et si leuiter attingere possumus tamen
<lb/>ob eius generis cognoscendi excellentiam, 
<lb/>amplius oblectamur, quan cum hæc nobis 
<lb/>iuncta tenemus, ut quamlibet partem minimamque
<lb/>corporis puellæ diligenter vidisse gratius, &amp;
<lb/>iucundus est, quam cæterorum membra 
<lb/>hominum tota perspexisse, &amp; contrectasse. 
<lb/>Discorso. Conciosiache, almeno questo haura meritato lode in me,
<pb n= "10 recto"/>
<lb/>cioè l'essermi virtuosamente adoperato dietro a materia celeste, la
<lb/>qual non solamente è proporzionato oggetto più che qualunque
<lb/>altro di questo sensibil mondo all'intelletto, ma doue ancora 
<lb/>cotanti celebri huomini hanno sparsi gloriosi sudori; ne pare a mè
<lb/>per tanto, che habbiano fin'hora detto, a bastanza per quietare
<lb/>gli studiosi ingegni. 
<lb/>C. terza. Quantunque di quì si caui, che chi attende
<lb/>all'Astronomia meriti somma lode, come 
<lb/>l’Autore spera di fare egli, e nel fine del discorso 
<lb/>douendosi abbrucciare gli Almagesti, fracassare le
<lb/>Sfere, e rompere, e spezare quanti Astrolabi, e
<lb/>sestanti si trouano al mondo, s'argumenti allo
<lb/>sbeffamento douuto a’ seguaci di quella, come
<lb/>gente disutile, e vana, nondimeno non c'è 
<lb/>contradizione alcuna. Perche la'ntenzion dell'Autore
<lb/>è tale, che si fatte ciancie, e chiappolerie
<lb/>sieno leuate via, acciò gli Astronomi non vi
<lb/>perdano più tempo, e consumino il ceruello.
<lb/>Onde dalla condennazione di quei libracci non
<lb/>se ne può cauare il dispregio dell'Astrologia ,
<lb/>ma il zelo più tosto dell'autore, che l'huomo si 
<lb/>risolua à imparare vna volta cotale scienza senza
<lb/> tanti interrompimenti di capo, e beccamenti
<lb/>di ceruello.
<lb/>Risposta. Di vero, se reputate quì essercontraddizione, habbiate per
<lb/>fermo, che ella nasce solo dalla credenza vostra, e per vostro difetto.
<lb/>Impercioche, se haueste fatto differenza tra Astronomia, e
<lb/>Astrologia non hauereste fatto questa chiosa; e tanto, è più graue
<lb/>l'errore quanto vi reputate de baccalari maggiori, che habbiano
<lb/>le matematiche discipline, e che vi vantereste di diuidere, squartare,
<lb/>e sminuzzare il zero, e di trouar, come si dice il pel nell'vouo.
<lb/>Mà qual voi siate riuscito negli zeri si uedra ben tosto nel calcular, 
<pb n= "10 verso"/>
<lb/>che haurete fatto di quelle altezze, grandezze, e riuolgimenti
<lb/>del ciel cristallino, del primo Mobile, e di tutti gli altri, e
<lb/>del numero di essi ancora, poi che ne imputate me d'alcuni per
<lb/>non gli hauer calculati non abbisognando; a i quali computi 
<lb/>vedrem se arriueranno i vostri occhiali, poscia che dite, che non vi
<lb/>arriuano i miei. Hora tornando al proposito, se lodai l'adoperar
<lb/>l'intelletto nello specular la materia celeste, e l'Astronomia, non
<lb/>perciò in quel luogo hò fatto menzione alcuna d'Astrologia. Ma
<lb/>quando pur uoleste, che di essa eziandio hauessi inteso, non per tanto
<lb/>non mi son contrariato. Conciosiache ho lodato, e biasimato
<lb/>quella parte d'Astrologia, e quegli Astrologi, come si uede nel
<lb/> fin del mio discorso, che di loda, e di biasimo meriteuoli sono.
<lb/>Discorso. Posciache altri per non discostarsi dalla comune, e vera 
<lb/>dottrina Aristotelica affermante il Cielo essere incorruttibile, 
<lb/>ingenerabile, e di peregrine qualità incapace, si son posti in cuore di 
<lb/>voler credere, che le astronomiche demostrazioni siano state da i
<lb/>lor posseditori in cosi lontane misure male adoperate, e che essi
<lb/>nel senso fortemente si siano abbagliati.
<lb/>Altri per lo contrario sappiendo quanto vere siano lo Matematiche
<lb/>misure, che si toccano per dir cosi con le proprie mani, hanno
<lb/>detto, e cercato eziandio di prouare, che il Cielo e alterabile, e
<lb/>di corruzione, e generazione, e straniere impression soggetto, 
<lb/>come i corpi elementari sono. 
<lb/>Altri finalmente credendo nauicar sicuri fra Scilla, e Cariddi, non
<lb/>si opponendo alla verità dell'vna, e dell'altra scienza, affaticatì
<lb/>si sono per ritrouar modo, che quadri l'apparenza di tali
<lb/>stelle esser nel Cielo, e il Cielo ad ogni modo non dar luogo
<lb/>a veruna alterazione. Ma perche difficile è stato oltre modo
<lb/>a ciascuno il trouar mezo basteuole per conchiudere il suo 
<lb/>intento, di qui è, che nelle primiere tenebre per ancora rimasi 
<lb/>sono. Ne reputo io perciò, che il medesimo altresì addiuenire a me
<lb/>non possa auuenga che io mi creda la cagion di cotal mostruosità
<lb/>nel Cielo apparita far palese, diuersamente pure da quello, che
<lb/>insino addesso n'ho veduto andare attorno per le stampe, e scritto
<lb/>a mano.
<lb/>C. quarta. Di sì fatta progenie n'è scapato nouellamente
<lb/>un fuora, ilquale, non contentatosi farsi 
<lb/>conoscere in un suo trattato scritto in lingua natia,
<lb/>ora m'ha mandato alle stampe vn’ altro intitolato
<pb n= "11 recto"/>
<lb/>Anthonij Laurentini Politiani de numero,
<lb/>ordine, &amp; motu cœlorum aduersus recentiores,
<lb/>doue facendo anche egli del filosofo 
<lb/>naturale, il cui oggetto proprio è lo speculare la
<lb/>materia celeste, gli basta aprir’ inconsideratamente
<lb/>la bocca contra’l Magino, il Clauio, il
<lb/>Copernico, e tant'altri saui del secolo antico, e
<lb/>mettersi, con modestia non più vdita, à biasimar
<lb/>semplicemente, e non refiutar, come egli dice
<lb/>(poich’e' non adduce alcuna ragion, che vaglia)
<lb/>l'altrui mestiero, cioè il numero, l'ordine, e’ l
<lb/>moto de’ Cieli, oggetto particulare dell'Astronomia;
<lb/> come se troppo modesto, e saputo non
<lb/>dea esser giudicato quegli, che di continuo auendo
<lb/>atteso all'arte u.g. del tagliare, e cucir panni,
<lb/>ardisse in pittura per altro eccellente 
<lb/>riprender’ oltre all'attitudine delle vesti, ò la chiarezza
<lb/>de'colori, o’l troppo oscuro dell'ombre, per
<lb/>lequali il saggio pittore venisse à dare à simil
<lb/>ritratto tutto'l viuo, e tutto’ l bello, che in quello
<lb/>si nascondesse.
<lb/>Risposta. Quegli, che è chiamato non risponda, perche hò torto io a
<lb/>volerla con questo prode huomo. E forse che egli non vuol metter
<lb/>in aia col Lorenzini, ilquale fin da fanciulletto diede publicamente
<lb/>più uolte semi del suo valore, e con quello si hà guadagnato
<lb/>la cattreda della filosofia nel dignissimo studio di Padoua, e 
<lb/>non trae manco honor la cattreda da lui, che egli da lei: ma che
<lb/>è peggio Sig. Mauri di posta gli date vn solenne saggio della 
<lb/>arcifilosofia vostra, affermando, che il proprio oggetto della
<lb/>natural filosofia à la materia celeste; che Dio vel perdoni. Il volersi 
<pb n= "11 verso"/>
<lb/>difender non ci haurà luogo nelle repliche: perche vol non
<lb/>volete, che il filosofo naturale consideri il moto del Cielo, e 
<lb/>pure se è corpo naturale non può senza il moto esser suggetto della
<lb/> natural filosofia, poiche Natura
<lb/>Est principium motus, &amp; quietis,
<lb/>Si che non potrete ritirarui con dire, che intendete della materia
<lb/>celeste, come parte del suo obbietto adeguato, acciò ch'io parli
<lb/> col proprio termine, perche ò parte, ò tutto il filosofo considera
<lb/> sempre l'ente, il corpo, o la sostanza, come mobile. Oltre
<lb/>che Arist. nel 2. della Phy.t. 17.18. dice che l'Astrologia è parte 
<lb/>della Fisica. Ne è buono Astrologo, chi non è buon filosofo. Voi
<lb/>cercate con guadagnarui nome di cattiuo filosofo, di perder
<lb/>quello di buono Astrologo, e siete per la buona via, ne vi giouera,
<lb/>che i defensori d'Astrologia giudiciaria sian l'armi del Diauolo;
<lb/> perche hormai gli sono state tolte da troppo possenti auuersari
<lb/>senza speranza di mai più riauerle; perche non è per riuscirli
<lb/>con questi il medesimo, che con quel ladro. Fece patto vna volta
<lb/> il Diauolo con vn ladroncello di aiutarlo in iutti i suoi furti; li
<lb/>succedeuan bene; vn dì entrato in casa d'vna bella donna, e toltole
<lb/> vn uago abito monachino da state di taffettà scarnato, che la
<lb/>faceua apparire assai più lasciua, e allettatrice; il diauolo subitamente
<lb/>gli diede vi sorgozzone, e glie lo fe por quiui. O che modo
<lb/> di fare è questo (disse il ladro) mancar di parola? Io hò promesso
<lb/>d'aiutarti rubar l'altrui, e non quel che è mio, rispose il
<lb/>diauolo; non sai tù, che queste sono armi mie? 
<lb/>Discorso. Hora perche da coloro, che il Cielo stimato hanno esser 
<lb/>corruttibile, non si è prouato se non con alcune ragioni appartenenti al
<lb/>proprio concetto loro in quanto alla sostanza, e al modo circa la
<lb/>nuoua Stella comparita nel Cielo, senza, che habbiano distrutti,
<lb/>e reprouati gli Aristotelici fondamenti, e conchiusioni, come fare
<lb/>ad ogni buon Filosofo si richiede: perciò crediamo esser basteuole
<lb/>distruggere i principi, e ragioni di quegli nel medesimo tempo,
<lb/>che si tratteranno le sentenze de’ medesimi per breuità 
<lb/>maggiore. Impercioche, hauendo questo adempito non ui haurà
<lb/>dubitanza veruna, che la di già inuecchiata, e comunemente,
<lb/>riceuuta opinione d'Aristotile restera nella sua candidezza primiera.
<lb/>Ma perche non faccia mestiere di lungo discorso contro coloro,
<lb/>che la sostanza celeste mancheuole, e caduca dimostrare intendono,
<lb/> sara ben fatto, accioche si prendano di quì le soluzioni alle
<lb/>prouanze loro, mostrar per via di conchiusioni discorrendo, che
<lb/>al Cielo non corruttibile, non generabile, non ricetto di qualità
<pb n= "12 recto"/>
<lb/>contrarie, non della natura, e  materia sia de’ corpi elementari.
<lb/>C.quinta. Cecco di Ronchitti, altrimenti detto il 
<lb/>Padouano, proua con alcune ragioni generali il 
<lb/>Cielo essere corruttibile, mà ò per essere il suo linguaggio
<lb/>forestiero, ò per essere egli di quegli 
<lb/>Astronomi lambiccantisi il ceruello in quei pazi
<lb/>libri, meritamente viene à essere, ò non 
<lb/>inteso, è dispreggiato dall'Autore, alle quali 
<lb/>ragioni potrebbe chi che sia soggiugnere le infrascritte.
<lb/>Risposta. Cecco, per quanto hò saputo è vn bello ingegno, che sà
<lb/>molto bene la vera Filosofia; ma egli si compiace di far vna burla
<lb/> à i troppo corriui, e far vista di parlar da vero; e perciò finge
<lb/>il nome e la fauella, e si chiama contadino, perche i saui 
<lb/>conoscano, che sa di dir cose da villano. Io dunque mi goderò il 
<lb/>priuilegio che mi concede, trattandolo da tale; che però anche si
<lb/>traueste alcuna fiata nobil caualiero da zanni, ò altra ridiculosa 
<lb/>persona, esponendosi alle percosse dell'voua, e della neue sapendo,
<lb/> che ne vergogna, ne danno gli si apporta; anzi ne gode, e
<lb/>ride con quegli che l'infestano. Del rimanente Cecco spogliato, io
<lb/>il reuerisco, e honoro, ne hò mai, ne haurò intenzion d'offenderlo.
<lb/>Ma uoi compar, se vi siete creduto, che dica da verò, quanto
<lb/> habbiate fatto male a credergli, e imitarlo, non ci andra guari,
<lb/>che il vi farò conoscere. Io di vero assai vi ringrazio, che habbiate
<lb/>preso la maschera d'immaginata persona; accioche io mi
<lb/>possa difender non offendendo, ne diguastando à niuno, ragionando
<lb/> io contro l'aria solamente. Vn certo, perche in maschera 
<lb/>passò a posta dinanzi all'uscio d'vn suo nimico, il quale, come che
<lb/>conosciuto l'hauesse, fingendo non saper chi fosse valutosi dell'occasione,
<lb/>con arguto motteggiar lo beffò, dicendo, chi è costui,
<lb/>che porta il viso sopra la maschera? volendo inferir, lui esser brutto
<lb/>di viso, per si fatta maniera, che egli si cambiaua da la maschera.
<lb/>Le uane opinioni Sig. Mauri, e gli strauaganti capricci, e le roze
<lb/>parole vi fanno vn brutto viso, che non piace, ricoperto dalla 
<lb/>maschera di finto nome ; anzi guardate, che peggio non ui auuanza.
<lb/>Douete sapere, che Carlo sesto Re di Francia, per occasion di certo
<pb n= "12 verso"/>
<lb/>sposalizio, dopo i balli del festino, con alcuni caualieri si trauestì,
<lb/>ponendosi al viso maschera di Leone, o d'altro saluatico 
<lb/>animale, e con certa materia viscosa sù le nude carni, egli e' compani
<lb/>suoi s'attaccaron del lin pettinato, fingendosi pelosi, intantoche
<lb/>orribili, e mostruose fiere pareuano. Giunti nella sala, e fra
<lb/>le brigate saltando, il Duca d'Orliens, per ueder meglio s'accostò
<lb/>con vn torchio acceso, che nella mano tenea; e andò cosi la bisogna,
<lb/>che vna fauilla, schizzando su i velli del lino, tosto leuò fiamma,
<lb/>non solo sopra quegli del Re, ma degli altri mascherati ancora, i
<lb/>quali tutti vi morirono, e'l Re vi moriua eziandio se vna femina
<lb/>con vn suo manto nol copriua prestamente, quella fiamma 
<lb/>affogando. Voi adunque, sendo comparito, per ischernire altrui
<lb/>con le saluatichezze, e fantasticherie, ven’ andrete in fumo, e 
<lb/>fiamma co’ seguaci insieme; percioche non potrà ricoprirui il
<lb/>manto dell'autorità non sendo voi huomo grande. Io non voglio
<lb/>già pagar le villanie del medesimo conio; perche io, con
<lb/>vostra pace, leuo per impresa vna maschera di bella, e leggiadra
<lb/>Ninfa con dolce color di rose sparto per le sue guance, con biondi,
<lb/>anzi dorati, crespi, &amp; ondeggianti capelli dintorno alla fronte,
<lb/>posta in campo nero, accioche meglio appaia ; e il motto
<lb/>Cum hac nihil, perche non mai voglio esser finto in niuna
<lb/>operazione. Fatti in quà Cecco; che di tù? Sig.Mauri con vostra
<lb/>buona grazia io mi farò lecito di riferire nella fauella nostra gli
<lb/>stessi concetti suoi, perche io vi dò parola di portarli in mezo 
<lb/>fedelmente come stanno, ne per questa volta vi muoua a sospetto
<lb/>il difetto vostro, cioe, che io sia per far de’ vostri, come hauete 
<lb/>fatto de’ miei rendendoui pan per focaccia, che nol farei per l'oro
<lb/>del mondo. Oltre che ad ogni modo veggo, che ui uestite della
<lb/>sua gabbana aggiungendoui sopra, perche paia alla cittadinesca,
<lb/>certa fornitura assai uecchia, e rigattata tante uolte, che a chi non
<lb/>guarda ella par nuoua. Il Padouano M. lo Cecco vostro dice. Il
<lb/>voler affermar, che il Cielo sia ingenerabile, e incorruttibile, e
<lb/>che perciò non vi si possan generar nuoue stelle, non ui essendo 
<lb/>contrari, e parer d'Aristotile, e di sua brigata, che non sanno se son
<lb/>uiui, ne quel che si dicano uolendo parlar del Cielo. R. O Cecco 
<lb/>sa’tù quel ch'io ti vuò dire; uà pian con que’ buoi; non uedi che tù
<lb/>esci del seminato? C. Oltre a ciò io mi credo in Cielo esser cosi ben
<lb/>caldo, freddo, humido, secco come si sia qui. R. Sta allegro, che il
<lb/>Mauri tuo figlioccio ui seminare di qui à poco un gran campo di faue,
<lb/>beffando mè, che non credo in quei celesti monti fare i baccelli,
<lb/>ma solamente quà giù, ne' nostri piani: e sai se e ‘ci fanno 
<lb/>rigogliosi; egli tel dica. C. Perche, si uede, che u'è il denso, il raro, il
<pb n= "13 recto"/>
<lb/>lucente, e l'oscuro, e tutti l'un all'altro contrari. Aggiungesi à
<lb/>questo, che gli elementi sono in Cielo, ma che non son della fatta
<lb/>de’ nostri, ma più perfetti, e questo dice Platone, e perciò è
<lb/>trasparente il Cielo R. Pian, piano; che tù mandi i barberi per 
<lb/>palazzuolo in cambio di tenerli per la diritta. Percioche tu scambi
<lb/>le parole di Platone C. Di più anche gli Elementi hanno il moto
<lb/>circulare alloro proprio, come della terra afferma il Copernico.
<lb/>Dico ancora, che il Cielo, e medesimamente lo dice il Copernico,
<lb/>non il muoue; e cosi male dice Aristotele, che vuole, che se
<lb/>vn minimo corpicciuolo si aggiugnesse al corpo celeste, egli 
<lb/>cesserebbe dal suo moto. R. Per certo S. Mauri, che uoi siete entrato
<lb/>in un laberinto, che per uscirne ci uorrà altro che baie; O andate
<lb/>à impiacarui con Cecco: e v'ha fatto ben cader della padella
<lb/>nella brace, e forse ui cuocera in modo, che non sara più ben
<lb/>del fatto uostro. Chi harebbe mai creduto, che ui foste accordato
<lb/>seco a dir contro Aristotele, e con ischerno ? Di cui dice 
<lb/>Dante.
<lb/>Vidi’l maestro di color che sanno; e
<lb/>Auerroe il secondo Aristotele piglia la sua difesa cosi dicendo;
<lb/>Aristoteles sapientossimus inuenit scientiam 
<lb/>Naturalem, Diuinam, &amp; Logicam easque 
<lb/>compleuit, &amp; in vno indiuiduo inuentri tantam 
<lb/>virtutem miraculum est. 
<lb/>Del quale Auerroe Dante disse. 
<lb/>Auerrois che'l gran comento feo, 
<lb/>Hora, uedete bel caso ch'è il uostro; uoi m'hauete dato un rabbuffo 
<lb/>de'buoni, dicendo, che io poteua lasciar d'apportar le medesime 
<lb/>ragioni, che dal Lorenzini sono state dette, e non u'accorgete ,
<lb/>che questa pina scossa cadrà sul uostro capo. Impercioche essendo
<lb/>di peggior condizion dell'Ebreo rificcate à mostra un mantel
<lb/>uecchio, senza qualche nuoua manifattura, acciò che non si 
<lb/>riconosca, che e rubato. Le uostre proue fieuoli, e magre inuenzioni, e
<lb/>logore si rimarranno in bottega di cui le uolle uendere auanti a
<lb/>uoi, se non douentate miglior rigattiere. Ma gli argomenti, e ragioni
<lb/>mie , perche non son mie, ne del Lorenzini, mad'Aristotele,
<lb/> e di tutti i famosi, sono state messe in campo perche son le uere,
<lb/>fondate, sufficienti. E che dico più ? Per esser del Grande Aristotele,
<lb/>sono, e saranno sempre nuoue, e massimamente à chi non 
<lb/>l’intende: ne si deuono, ne posson mutare, ne tampoco sciogliere:
<pb n= "13 verso"/>
<lb/>e per prouar la verità de Cieli incorruttibili contro a chi 
<lb/>l’opposto afferma, senza hauer pur tentato di riprouare, o rispondere
<lb/>a gli argomenti peripatetici, come se di niun momento fossero,
<lb/>non doueua io altre ragioni addurre, che quelle, che le sicure 
<lb/>sono, e le inuitte. Ma voi per acquissarui nome di eleuato ingegno,
<lb/>con certi concetti antichi, e tralasciati in derisione, de’ loro 
<lb/>inuentori hauete suscitate certe opinioni, non dirò filosofiche, ma
<lb/>più tosto fauolose, affermando, che il ciel non si muoua, che egli
<lb/>quieti di quiete propriamente detta, che habbia moto retto, che
<lb/>la terra secondo sè tutta si muoua circolarmente, che il circolar 
<lb/>mouimento sia proprio di tutti gli elementi, che i Cieli siano 
<lb/>armoniaci, cioe, facciano suono, che nel Cielo siano contrari 
<lb/>corruttiui, che sia tangibile, che la Luna habbia monti, oltre alle 
<lb/>contrarietà, che da questi concetti appaiono nel vostro ragionamento;
<lb/>ne lascio di dire, che sotto l'orbe lunare haureste voglia di
<lb/>metterui il uacuo, come che voi habbiate voluto con certi 
<lb/>falsi argomenti cacciar nel mio conto questo tarantello, ma non
<lb/>la correte, anzi vi farò tosto veder, che i viluppi della tela vanno
<lb/>al pettine. Io mi marauiglio, che il ghiribizo non u'habbia
<lb/>tocco di destar l'opinion di Philolao, che diceua, che il Sole
<lb/>era vn gran piatto di uetro;  o di coloro menzionati da Plutarco,
<lb/>dicenti il Sole esser feccia dell'aria. Signori lettori, io per
<lb/>questo non mi sbigottisco, che costui arrouesci il Cielo, la terra,
<lb/>gli elementi, e quasi tutta, la natura; perche vn saggio Rè 
<lb/>dauanti a cui dolendosi vn uecchio, che gli Spartani voleuano far
<lb/>nuoue leggi, e lasciar le antiche, e buone, conchiudendo, che 
<lb/>ogni cosa andaua al contrario. Rispose il Rè state di buona volgia,
<lb/>perche fin quando era fanciulletto mio padre diceua cosi, e perciò
<lb/>se di nuouo vanno à rouescio ella s’ addrizzeranno. Cosi dico io a
<lb/>i peripatetici, presto s'adrizzeranno queste arrouesciate filosofie,
<lb/>e i mali filofosi resteranno beffatti, come è accaduto al Telesio, 
<lb/>e simili strauaganti ceruelli. Se voi credeste Signor Mauri
<lb/>occupar la fama, e la gloria d'Aristotele, e di tutti gli antichi uoi
<lb/>siete fortemente ingannato, e vi succedera lo stesso, che auuenne
<lb/>a quel Tiranno, che uolendo oscurare il nome, e la memoria
<lb/>de’ Principi antecessori comando à un pittor, che leuate, e 
<lb/>ricoperte l'arme de gli altri, che poste erano al palazzo vi 
<lb/>dipingesse la sua. Il valent'huomo conoscendo l'insolenza, non si 
<lb/>pote ritener, che sotto quelle, che rifaceua non dicesie.
<lb/>Durabit tempore curta.
<lb/>Il Tiranno, domandando perche hauesse scritto cosi: egli, temendo, 
<pb n= "14 recto"/>
<lb/>rispose, perche i miei colori son di poca stima, uolendo
<lb/>intender ueramente della pazia di lui. Ma noi intendete dell'vna
<lb/>e degli altri, poiche hauete cancellate le memorie degli antichi
<lb/>occultando il mio testo in cui elle eran figurate co'vani colori de'
<lb/>vostri concetti, e con la dottrina male autorizata, vi siete
<lb/>pregiudicato; per non s'intender ciò, che vi diciate, non si uedendo
<lb/> quel che dic’io, per torre ancora a me quel che non è in 
<lb/>vostro potere il renderlo quando uoleste. Ma io vi vuò dar vna 
<lb/>nuoua da calze: per quel ch'io ueggouoi siete a mal partito; 
<lb/>percioche essendo Aristotele dalla mia, io tengo la spada per lo 
<lb/>manico, e voi per la punta; ne ci ha scampo ueruno al fatto 
<lb/>uostro, perche, uegnendo innanzi vi infilzate, e ritirarsi è 
<lb/>uerogna. Hora cred'io, che non uorreste hauer conosciuto
<lb/>Cecco, se non quanto dice hauer conosciuto mè; vi stà il douere;
<lb/>doueuate lasciarlo ragionar dell'aratro, e non della filosofia.
<lb/>Venghiamo a’ ferri sù; che hà egli conchiuso contro Aristotele?
<lb/> non ha riprouato le ragion dell'incorruttibilità del Cielo; non
<lb/>ha prouato la corruttibilità, se non con ragioni alle quali è statto
<lb/>mille uolte efficacissimamente risposto da tutto’l torrente
<lb/>de’ filosofi, e teologi, e da gli astrologi eziandio, se non sono stati
<lb/> puri astrologi, e della feccia. Non sentite voi rossore d'hauermi
<lb/>con tanta audacià rimesso per dottrina di tanta importanza 
<lb/>à ueder lui, che osa cotanto contro le scuole comuni? L'argomento
<lb/> suo più solenne è hauer detto d'Aristotele, e di tutti, che
<lb/>basta aprir la bocca, e che non sanno se son viui volendo parlar
<lb/>del Cielo. Il caldo adunque, il freddo, l'humido, il secco doureste
<lb/> ormai hauere inteso, che son qualità attribuite al Cielo 
<lb/>uirtualmente, e non formalmente, si come anche nel Sole diciamo,
<lb/>e nella Luna, e’n tutte l’altre stelle esser tutte le cose, che la terra
<lb/>genera, e produce, percioche vi sono in virtù, ma formalmente,
<lb/>e in atto sono in terra, e a’ propri luoghi loro fuor del Cielo.
<lb/>Quanto al raro, e denso del Cielo da cui uorrebbono con troppa
<lb/>fastidiosaggine argomentare i filosofastri ritrouarsi la sù il 
<lb/>caldo, e’l freddo &amp; c. Si risponde, che non da altro nascono cotali
<lb/>accidenti nel corpo celeste, che dalla diuersita della - situazion
<lb/>delle parti di esso Cielo; imperoche nel denso le parti son più 
<lb/>uicine, e spesse; e nel raro più sparte, e lontane fra di loro. Oltre
<lb/>à ciò il raro, e’l denso in due maniere considerar si possono, cioè, 
<lb/>è per generazione non sendo la densità altro, che vna mutazion 
<lb/>di maggior mole, in minore, e la rarita in maggior di minor
<lb/>mole: e in cotal modo son contrari corruttiui, perche son capaci di 
<lb/>alterazione, e mutazione i corpi in cui si ritrouano tali qualità
<pb n= "14 verso"/>
<lb/>ò per creazione, e in questa maniera si ritrouano sempre
<lb/>a vn modo inuariabili, e inalterabili per sempre i corpi loro, per
<lb/>che non hanno contrario; e in questa guisa appunto sono i celesti
<lb/>globi incorruttibili. E se bene qualche contrario si ritroua
<lb/>nel Cielo, come pari, dispari, ec. Nulladimeno simili contrarietà
<lb/>non son corruttiue, come dice S. Tommaso. Non 
<lb/>cominciando adunque il Cielo per generazione, il raro non è 
<lb/>rarefattibile, ne il denso condensabile, ne per lo contrario il denso
<lb/>rarefattibile, e il raro condensabile. L'esperienza lo dimostra
<lb/>apertamente nella Luna il cui raro, e denso stanno sempre nel
<lb/>medesimo luogo, e immutabilmente, come nella via Lattea 
<lb/>ancora, e nell'altre stelle, che son parte più densa del lor cielo,
<lb/>senza hauer fatto giamai niuna varieta. Ma io vi fò sapere vna 
<lb/>cosa di più, accioche ueggiate, che non sono sdegnato contro di
<lb/>uoi, se ben m'hauete ferito, come si suol dire, con la lancia da
<lb/>Monterappoli, che pugne per tutti i uersi; anzi al contrario di
<lb/>uoi, uoglio adoperar la lancia d'Achille, che feriua, e sanaua nel
<lb/>medesimo tratto; ne douete hauer per male alcune piccole 
<lb/>punture del senso, sè cagionan la sanità dell'intelletto. Onde potrete
<lb/>dir poi col Petrarca.
<lb/>Vna man sola mi risana, e punge.
<lb/>Sentite,e tenetene conto. Quando le qualità del raro, e denso del
<lb/>Cielo, e degli elementi fossero della medesima spezie, non per tanto
<lb/>non si argomenterebbe efficacemente per conchiudere, che il
<lb/>Cielo, e gli Elementi fossero della medesima natura sostanziale
<lb/>specifica. Alla altra obbiezion della contrarietà del lume, e
<lb/>delle tenebre la resoluzione è questa. O noi consideriamo il 
<lb/>lume come congenito, e proprio; o come alieno, e accidentale.
<lb/>Se nel primo modo, la risposta va di pari passo con le precedenti
<lb/>del raro, e denso: se nel secondo; si risponde, che se bene il 
<lb/>Cielo si può alterare, come la Luna, ciò è vero, d'alterazion perfettiua,
<lb/>quando riceue il lume del Sole, ma di alterazion corruttiua
<lb/>non gia. Ma perche nel Cielo non è, assolutamente parlando,
<lb/>oscurità, non si può di uero affermar, che ui siano semplicemiente
<lb/>contrari di chiaro, e di oscuro, se non impropriamente. onde
<lb/>non essendo veri, e propri contrari non possono altramente 
<lb/>cagionar corruzion nel corpo celeste. E che in quel corpo trasparente
<lb/>non solo, ma eziandio nelle parti opache della Luna, non 
<lb/>sia veramente oscurita se non in rispetto al Sole, alle Stelle, e
<lb/>all'altre parti del Cielo più, ò manco luminose, lo dice Auerroe,
<lb/>affermando la diafamita del Cielo, non mai ritrovarsi in potenza.
<pb n= "15 recto"/>
<lb/>ma sempre esser la natura sua in atto luminosa. E poco dopo
<lb/>vuol, che il Cielo non riceua mai oscurita, auuenga che ciò 
<lb/>appaia nella Luna adiuenire per causa dell'eclissi, e per la diuersità
<lb/>de’ siti di quella col Sole, Impercioche non son propriamente
<lb/>tenebre, etiam che si concedesse la Luna esser fatta di natura 
<lb/>trasparente, e non luminosa, e forse è d'amendue queste nature 
<lb/>composta. Resta adunque, che il chiaro , e l'oscuro del Cielo non
<lb/>sian contrari, e massimamente contrari corruttiui, come 
<lb/>vorreste di compagnia col uostro Cecco. Sentite di grazia, nel secondo
<lb/>del Cielo Auerroe, come egli si dichiara; ecco le proprie 
<lb/>parole.
<lb/>Lunæ macula retius est, quod sit aliqua pars
<lb/>in superficie Lunæ, quæ non recipiat lumen à
<lb/>Sole secundum modum recipiendi aliarum  
<lb/>partum , &amp; hoc non est prohibitum in 
<lb/>corporibus celestibus, quoniam, sicut in eis 
<lb/>inuenitur illuminosum aliquo modo, ita oscurum,
<lb/>vt Luna. 
<lb/>Vedete come apertamente inferisce, che sì come nel Cielo non
<lb/>è assolutamente il non luminoso, cosi impropriamente vi è
<lb/>l’oscuro.
<lb/>Se voi a dispetto del Mondo volete pur sostener, che la machina 
<lb/>celeste sia composta de’ quattro elementi, e verificar fin l'iperbole 
<lb/>de 'poeti.
<lb/>Cælum fretumque miscet. Non dite almeno,
<lb/>che non sian della fatta de'nostri, e, se pur volete cauarui
<lb/>questa voglia, non ci mettete Platone a parte, senza sua licenza:
<lb/>perciò, che egli non fu mai si tordo, che volesse fare a guisa
<lb/>del tordo. 
<lb/>Che sibi mortem cacat,
<lb/>Come fate voi, che à somiglianza di quest'vccello vi producete
<lb/>il visco, e la pania contro per restarui preso. Ogni semplice huomo
<lb/>argomentera controui così. Se gli elementi di cui risulta il
<lb/>Cielo non son della fatta de nostri; adunque il Cielo non è 
<lb/>corruttibile. percoche, le questi son corruttibili, quegli, che compongono
<pb n= "15 verso"/>
<lb/>il Cielo saranno incorruttibili, non essendo della natura
<lb/>di questi. Oh voi haurete ragione a dare il vacuo tra i nostri elementi,
<lb/>e’l Cielo, perche quegli altri elementi si son logori a fabbricarne
<lb/>così gran corpo, e vi e rimaso quel vano. Sig. Alimberto
<lb/>a voi tocca a far questa concordanza, e non al pedante; per che a
<lb/>sgrammaticar ben questa grammatica altro ci vuol che vn 
<lb/>semplice grammatico; poiche, come vedete, se la celeste materia
<lb/>non è capace di corruzione, per non esser della medesima elementare
<lb/>corruttibile, voi haurete contrariato a le vostre conclusioni, 
<lb/>mediante le quali sostente il Cielo posseder le medesime qualità,
<lb/>e passioni corruttiue de’ corpi elementari, e sullunari. Se voi
<lb/>seguitate cosi le cose passeranno appunto com'io dissi poco fà
<lb/>cioè, l'arrouesciate s'addirizzeranno di vostra mano senza ch'io
<lb/>mi c'affanni sopra. 
<lb/>Platone sta di mal talento con esso voi, e non la può inghiottire: per
<lb/>che disse tutto il contrario di quel che gli attribuite. Egli vuol che il
<lb/> Cielo resulti del fiore, e delle delizie di questi elementi da noi 
<lb/>conosciuti, e non d'altra sorte: ne perciò si credette, che per esser fatto
<lb/>di materia corruttibile egli non fosse altresi caduco, e mancheuole.
<lb/>Ma perche è stanza d'Iddio, e de beati, dice, Dio hauer
<lb/>detto.
<lb/>Natura vestra ( à i Cieli parlando ) estis dissolubilia, 
<lb/>voluntate autem mea indissolubilia. 
<lb/>Se voi haueste letto Platone, e non vi foste rapportato a Cecco,
<lb/> il qual voi dite, che io per disprezzarlo, o non intendere, non hò
<lb/>veduto, non rimaneuate gabbato. Che pensate, che i buon filosofi
<lb/>vadano per apparar le buone dottrine all'Aia, e al campo a 
<lb/>ritrouare i pantaloni, e gli zanni per le piazze, per legger, e sentir
<lb/>le cicalare loro ? Questi modernuzzi non si leggon, se non 
<lb/>quanto basta per attutir la loquacità di essi, e moderare il souerchio
<lb/>ardire. A quella purità, e eccellenza di mistione di elementi,
<lb/>di cui pur vorreste, che il Cielo fosse composto abbastanza 
<lb/>haueua io nel mio discorso soluta ogni difficultà, senza, che da parte
<lb/>dell'autoreuole, arcicanonizato, e in vtroque, anzi c'e chi 
<lb/>dice in quattroque addottorato Cecco di Ronchitti, mi steste a 
<lb/>infastidir della replica, senza che v'habbiate aggiunto qualche nuoua
<lb/>manifattura. Ma di bel nuouo per leuarmi da gli orecchi questo
<lb/>fracidume di lui, e voi insieme, replico, gli elementi a patto veruno
<lb/>mai non poter mutar natura purifichinsi, e assottiglinsi quanto
<lb/>si vogliano, per che non lasceranno mai d'esser corruttibili 
<lb/>(secondo le parti s'intende) e riterranno sempre le medesime qualità
<pb n= "16 recto"/>
<lb/>contrarie, e prima mancherebbon d'esser, che d'esser tali. A la
<lb/>Ah io la'ntendo voi non vedeuate il bandolo da suiluppar questa
<lb/>matassa di tante vostre contradizzioni, e per ciò vi risolueste a
<lb/>non ci dar di naso, pensando, che il gabban di Cecco vi ricoprisse,
<lb/>se la guerra, non s'attaccaua; perciò che altro non si sarebbe 
<lb/>ricercato, e vi siete ingannato d'assai: anzi vi dò vn ricordo, che è
<lb/>in potestà di qualunque huomo il cominciar le risse, ma non già
<lb/>il finirle. Hor vedete quant'era meglio non andare innanzi alla
<lb/>cieca, e auuertire a quel passatoio, che non toccauate questa stincata.
<lb/>Mi ricorda in proposito, che vn giouane assai auuentato
<lb/>camminando di notte alla balorda, diede del capo vn buon colpo nella
<lb/>colonna (da cui prende nome la stessa via dou'ella è ritta) e stornato
<lb/>alquanto indietro, Ohi, diss'egli, perdonatemi, ch'io non vi 
<lb/>haueua veduto (pensando, che la colonna fosse vn huomo) e 
<lb/>non sendogli risposto, ne ricordandosi della colonna, come quegli,
<lb/>che temeua di peggio, riuolto al compagno, che seco haueua,
<lb/>disse, ch'ha egli risposto, ha’ tu sentito? Cosi hauestu sentito la percossa, 
<lb/>soggions'egli, com'I ho sentito, la risposta: perdona più
<lb/> tosto tù alla tua scempiataggine; non vedi, che hai dato nella
<lb/>colonna ? Cecco, il padouano vostro cioè, non argomenta a 
<lb/>sufficienza, perche supposto, che il Cielo fosse composto, di quattro
<lb/> elementi d'altra fatta, non perciò dir si debbe che per tal 
<lb/>cagione e’ sia trasparente, conciòsiache il medesimo eziandio 
<lb/>adiuerrebbe quando cotali elementi fossero della fatta de'nostri, 
<lb/>come l'esperienza dimostra nelle gioie, che traspaiono, come che
<lb/>generate, e composte siano di tutti e quattro questi elementi. Ma
<lb/> altramente argomenta Platone. Impercioche vuole, il Cielo esser
<lb/>della natura elementare, perche è visibile, e tangibile; proprieta,
<lb/>che diuero son delli elementi, e delle cose resultanti di quegli. 
<lb/>Bene, e vero, che principalmente di fuoco, e di terra afferma esser
<lb/>prodotto il Cielo, e secondariamente per ragion della vnità, e
<lb/>consolidazion delle parti ci aggiugne la mution dell'aria, e 
<lb/>dell'acqua. Hora, che tali ragioni certamente non conchiudano di
<lb/> necessità, chiaramente si conosce: perche il semplice elemento
<lb/>della terra nel suo stato natiuo, lontano dalla miltione, si potra 
<lb/>vedere, e  toccare. Imperoche, diffondendosi in essa terra; lo splendor
<lb/> del Sole, verra per la sua opacita a terminarla vista; e per
<lb/>l'interuento del freddo, e del sacco sarà tangibile; e nulladimeno 
<lb/>gli altri elementi saranno separati da quelli. Anzi che il cielo
<lb/>veramente, non è tangibile , per le ragioni, che si diranno a suo
<lb/>luogo. Nondimeno e da auuertire, che cessando il mouimento
<lb/>celeste le qualità tangibili saranno nelli elementi, e ne corpi gloriosi, 
<pb n= "16 verso"/>
<lb/>quanto alla sostanza, ma non già quanto all'azione, perche
<lb/>saranno contenute per la forma della gloria, si come per la forma
<lb/>naturale, accioche non si dissoluano. 
<lb/>Quanto a quel concetto, che attribuite al Copernico, se ben non è
<lb/>suo, ma di Heraclide Pontico, Niceta Siracusano, e Aristarcho, che
<lb/>voleuano solamente la Terra secondo sè, tutta muouersi velocemente
<lb/>in giro, e che voi con Cecco insieme hauete da sì lunghe tenebre
<lb/>cauato fuora per isciorinarlo in poco, acciò che non intigni
<lb/>affatto; prima, che io risponda fa mestier, ch'io sappia da voi se
<lb/>siete carne, ò pesce? Sò che mi risponderete, non potendo altro,
<lb/>con quelle parole che cita Varrone. 
<lb/>Quid multa? factus suam vespertilio, negue
<lb/>in muribus plane, neque in volucribus sum: 
<lb/>Conciosiache anche affermate il Cielo muouersi circularmente:
<lb/>e che è più strauanganza, volete che questo moto sia proprio del
<lb/>Cielo Empireo, e accidentale a gli altri Cieli, e cosi state in
<lb/>fra due, e non date ne'n Cielo, ne'nTerra. E che si, che queste,
<lb/>contrarietà vi mettono in briga trà uoi, e Cecco? Forse hauete
<lb/>discordato apposta per non esser due a far male, e hauete fatto peggio.
<lb/>A lo Scatenato da Perugia sù per la piaggia di sant'Ercolano,
<lb/>via molto repente, essendo ghiacciato, cadde precipitosamente vn mulo
<lb/>di molti, che ne guidaua, eroppe il collo; veduto questo gridaua
<lb/>lo Scatenato, discordia, discordia. Perche di tù così, gli fu domandato?
<lb/>Perche gli altri non s'accordin con quello, rispos egli. Ma
<lb/>voi vi siete accordati ambedue a far male, benche habbiate discordato.
<lb/>Pure perche vorreste in fatti conchiudere (come che habbiate
<lb/>la faccia di Proteo di mille sembianze) che mouendosi 
<lb/>circolarmente la Terra, gli altri elementi, e’l Cielo; il Cielo 
<lb/>conseguentemente fosse della stessa natura degli elementi, e che sì 
<lb/>come quegli hanno il mouimentto retto, e’l circolare, cosi fossero i
<lb/>medesimi moti, e riuolgimenti nel corpo celeste, senza, che 
<lb/>nascer ne potesse inconueniente veruno; io stimerei, che le 
<lb/>efficacissime ragioni dell'eccellentissimo Astrologo, e filosofo Padre
<lb/>Clauio, poi che non vi acquietano quegli, che son solamente 
<lb/>filosofi; vi bastassero senza più. Dimostrando egli la Terra per
<lb/>niuna maniera ne per sè, ne per accidente, secondo sè tutta 
<lb/>muouersi. Oltre acciò l'esperienza il dimostra per molte guise 
<lb/>euidentissimamente. Imperciocche non è egli uero, che per lo uelocissimo
<lb/>corso della Terra sempre apparirebbe, che soffiasse impetuoso
<lb/>vento opposto al mouimento di quella? Quegli, che di mira
<lb/>tirar uolesiero con archibuso, o balestra giamai non colpirebbono
<pb n= "17 recto"/>
<lb/>il segno, è à caso colpirebbono. Colui, che muouesse il passo 
<lb/>dirittamente contro al rapidissimo volgimento della Terra; ò 
<lb/>cadrebbe boccone, o farebbe i passi innanzi sciancatamente; si come
<lb/>qualunque huomo, che andasse il corso di quella secondando 
<lb/>cadrebbe rouescio, ò vero andrebbe all'indietro caminando. Ma che
<lb/>stò io à dir più? Certamente non può esser se non sospetto di erronea 
<lb/>dottrina, dicono autor grauissimi, quegli che contro la comune
<lb/>peripatetica, e Teologica scuola osa temerariamente stampare. 
<lb/>E voi, che è peggio, vi arrischiate, a quel che molti, anzi tutti 
<lb/>i famosi Astrologi hanno temuto d'affermare, cioe, che il Cielo 
<lb/>sia corruttibile, i quali per non cadere (e voi medesimo il confessate)
<lb/>in cotanto graue errore si son per lungo tempo, e con 
<lb/>assidue contemplazioni stillati il ceruello per ritrouar Epicicli, 
<lb/>Eccentrici, Concentrici, e quanti deferenti, e somiglianti figure, 
<lb/>e partizioni in quei globi celesti, per non esser astretti dalle 
<lb/>varie apparenze a creder contro la verità, che la sù siano contrarietà,
<lb/>e alterazioni corruttiue repugnanti all'esperienza, poi che per tanti
<lb/>secoli sempre immutabile si è veduta la forma de corpi celesti, si che
<lb/>alle ragioni irrepugnabili dell'aristotelica dottrina omai 
<lb/>inuecchiata, e comunemente riceuta, temerità sarebbe il contrastare.
<lb/>E forse, che, per aggrauarui più nell'errore, non hauete dato vna
<lb/>buona sbarbazzalata al Sig. Lorenzini, perche habbia messo mano 
<lb/>contro il Padre Clauio, il Copernico, e'l Magino, per che sono
<lb/>autor famosi. E chi è più famoso d'Aristotele, per non parlar
<lb/>di tanti teologi da eui è seguitato, e pur non glie l'hauete 
<lb/>perdonata? Voi vedete ben'il bruscol negli occhi altrui, ma non già
<lb/>la traue, che è ne vostri. Anzi, voi medesimo hauete contro gli
<lb/>stessi autori, come che tanto gli stimiate, audacemente parlato
<lb/>come dissi poco dianzi, è si mostrera non ci andrà molto quanto
<lb/>senza ragione habbiate ciò fatto. Per vostra fè, chiv'ha fatto
<lb/>non solamente il priuilegio di poter censurare, e scriuer contro
<lb/>cui vi piace, ma che possiate a vostro talento anche negarlo
<lb/>a gli altri? 
<lb/>Le vostre aggiunte, che hauete attaccate a queste proue della 
<lb/>corruttibilita; fatte dall'onnipotente intelletto Ronchittico, in cotale
<lb/>inconsiderazion quinta; di vero assai peggiori della mala 
<lb/>derrata, che ne ha fatta Cecco, son queste.
<lb/>C. Prima, doue son contrari atti nati à farsi nel 
<lb/>medesimo subbietto, e nel medesimo tempo 
<lb/>incompatibili insieme, quiui di necessità si ritroua generazione,
<pb n= "17 verso"/>
<lb/>e corruzione. Ma nel Cielo vi
<lb/>sono il raro, e'l denso. Lo dice oltre all'autore
<lb/>Alberto Magno, non senza l'autorità di 
<lb/>Aristotile, poich’e’ vuole, che le stelle sieno vna parte
<lb/>più densa de’ Cieli. Vi sono il chiaro, e lo scuro,
<lb/>il chiaro e manifesto, perciocchè si veggono le
<lb/>stelle, e i pianetti risplendenti. L'oscuro poi non si
<lb/>vede egli palesemente negli ecclissi della Luna ?
<lb/>Questi son contrari atti nati, ec. adunque.
<lb/>R. Delle contrarietà del raro, e del denso, che nel ciel si ritrouano si è
<lb/>detto quanto fa di mestiere; ma per integnarui questo di più, si 
<lb/>aggiugne, che Auerroe dice, la rarità, e densità celeste conuenir
<lb/>con queste sullunari equiuocamente, cioè in nome; come per
<lb/>esemplo il Sole dipinto, e  il Sole del Cielo, ò uero il can 
<lb/>celeste, e'l can terreno, che non hanno commune altro, che 
<lb/>il nome. e per ciò tali qualità nel Cielo non son contrari
<lb/>corruttiui. 
<lb/>C. Si conferma la minore, poiche nel Cielo vi è 
<lb/>moto, vi è ancora la quiete, laquale semplicemente
<lb/>secondo Aristotile è contraria al moto. Il 
<lb/>moto è chiaro; ma che la quiete vi sia, l'affermano
<lb/>tutti gl'Astronomi con Aristotile, quando
<lb/>dicono i poli della machina celeste essere immobili.
<lb/>E’ quantunque Auerroe conoscendo ciò 
<lb/>essere contro à suoi assiomi, cercasse accordar
<lb/>Aristotile, e prouare'l contrario, con tutto questo
<lb/> per essere state le sue ragioni sottilmente 
<lb/>rifiutate da Gio. Battista Capuano à lui in cotal
<lb/>fatto per breuità mi rimetto. In oltre lo confesesa
<lb/>il nostro Colombo con tutti i Teologi, dando
<pb n= "18 recto"/>
<lb/>il Cielo Empireo senza moto alcuno.
<lb/>R. Io vi fo saper da parte d'Aristotele tutto il contrario, se bene il 
<lb/>vorreste far dir come uoi, ma egli non è Pasquin di Roma. 
<lb/>Imperoche, ò uoi parlate di quiete impropriamente presa, e questa 
<lb/>non fa approposito, ò intendete di propria quiete, e questa non
<lb/>è nel Cielo; conciosiacosa che dica Aristotele.
<lb/>Tunc enim dicimus quiescere, quando, &amp; in
<lb/>quo Aptum natum est moueri non mouetur,
<lb/>quod aptum natum est. 
<lb/>Ma i poli della celeste machina sono immobili, e non atti a 
<lb/>muouersi, e'l Cielo empireo altresi; adunque non si può dir che 
<lb/>propriamente sia quiete nel Cielo, poiche non si dicon quietare quelle 
<lb/>cose, che non son mai state mobili. Oltre a ciò il corpo celeste 
<lb/>non è capace di contrarietà di moto, e di quiete; impercioche la
<lb/>sua forma, si come non inchina, effettiuamente al moto, cosi ne 
<lb/>anche alla quiete; onde non gli può esser violenta, ne contraria.
<lb/>E Aristotele dice. 
<lb/>Non esse pertimescendum ne celestia corpora
<lb/>stent: e soggiugne, Quia non inest eis potentia 
<lb/>contradictionis,vt moueantur, et non moneantur. 
<lb/>E perciò quando nel luogo da voi citato dice, che il moto, e la 
<lb/>quiete son contrari non parla del Cielo. Ma come al Ciel 
<lb/>conuenga la quiete, ecco il medesimo Aristotele: con queste parole.
<lb/>Vnde, &amp; sphera quodammodo mouetur, &amp;
<lb/>quiescit, cum eundem occupet locum. 
<lb/>Sì che basta, che egli si muoua circa il luogo, cioè d'intorno
<lb/>al centro, e quieti nel medesimo luogo, poi che mai non si 
<lb/>parte secondo se tutto dello stesso luogo. Onde impropriamente
<lb/>si quieta il Cielo. In questo sentimento fece l'impresa sua 
<lb/>il Cardinale Don Luigi da Este, lagual'era vna Sfera, ò Orbe
<lb/>celeste, il motto , In motu immotus. E ben veramente
<lb/> l'impresa, egli s'impresse nell'animo, poiche, come dice Torquato
<lb/>Tasso, nel dialogo dell'Imprese tra i mouimenti della 
<lb/>fortuna, e delle guerre, stette sempre immobile, e costante
<lb/>appunto come sta la mia dottrina al combatter della vostra. Bisogna
<lb/>pesar ben le parole d'Aristotele, quando volete citarlo, accio-
<pb n= "18 verso"/>
<lb/>che non ui diate della scure sul piè, facendo col citarlo contrario
<lb/>officio, come vi è accaduto spesso. Hauete guadagnato ben assai
<lb/>ad ogni modo, posciache non ui abbisognerà per tal conto
<lb/>leggere il Capuano. imperciòche la guerra tra lui, e Auerroe 
<lb/>non ha che far col fatto nostro. Oltre a ciò, se nel Cielo 
<lb/>Empireo fosse propria quiete, farebbe di mestier, che nel medesimo
<lb/>corpo si ritrouasse anche il moto, e non in corpo alieno, a 
<lb/>uoler che fossero in esso Empireo contrari il moto, e la quiete.
<lb/>C. Anzi che per questa via ancora si scorge, che
<lb/>Aristotile non stimaua assurdo il dar al Cielo sì
<lb/>fatta quiete, conciosiache è chiaro, che egli necessariamente douea presupporre un simil corpo 
<lb/>immobile; poiche egli attribuisce il destro, e'l sinistro
<lb/> al Cielo dicendo il destro di esso esser l'Oriente,
<lb/>e’l sinistro l'Occidente, non solo rispetto à
<lb/>noi, ma anche per sua natura, la qual differenza
<lb/>di posizioni in niun modo si può saluare, essendo
<lb/>tutte le sfere mobili, auuegnache inesse la parte,
<lb/>che ora è destra, fra poco è sinistra. Argomentando
<lb/> adunque bisogna, che egli s'imaginasse 
<lb/>vna sfera, e un cielo quieto fermo, e stabile.
<lb/>R. Sapete, come è chiaro come l'acqua d'Arno quando vien grosso.
<lb/>Aristotele pone il destro, e sinistro senza fallo veruno nel corpo 
<lb/>celeste fermo, e immobile, se voi sapeste conoscerlo, come che queste
<lb/>condizioni non facciano lassù quella quiete, che voi andate
<lb/>cercando, e perciò trouate miglior via, che questa non è la buona
<lb/>per quietare la vostra inquietudine. Sentite.
<lb/>Est orbi procul dubio virtus diuersa scilicet dextra, 
<lb/>&amp; sinistra quoniam sunt ei loca inceptionis,
<lb/>et status ex opere factionis sua. 
<lb/>Adunque bisogna dire, che auuenga che’ il destro, e sinistro
<lb/>significhino gli estremi della latitudine, nondimeno non disegnisi
<pb n= "19 recto"/>
<lb/>solamente quei termini, ma che habbiano relazione ancora al
<lb/>moto: Onde niun corpo propriamente potrà dirsi hauer destra
<lb/>parte, e sinistra se non quegli, che hanno diuersità di influenza
<lb/>dal motor suo, ciò è prima, e più efficacemente da vna parte, che
<lb/>dall'altra. Imperoche non la pietra, non la pianta, ne la statua 
<lb/>propriamente si può dir che habbiano la destra, e la sinistra, se non
<lb/>metaforicamente, e per similitudine; e questo perche non hanno
<lb/>il motore intrinseco, o congiunto da potersi muouer da luogo à
<lb/>luogo; ma gli animali, che riceuono l'influenza del motore più
<lb/>in vna parte, che nell'altra, e che di luogo à luogo si muouano;
<lb/>veramente si dicono hauer la dritta, e la manca parte, perche la
<lb/>virtù del cuore, sendo più potente nella banda destra, che nella
<lb/>sinistra, cagiona intrinsicamente questa diuersità, che non si 
<lb/>varia per mutar di luogo; e perciò è propriamente, e non per 
<lb/>similitudine attribuita la manca, e la destra parte a gli animali: Onde
<lb/>Auerroe dice, che il piè sinistro dell'animale si muoue per accidente,
<lb/>e il dritto come principale; e che quando il destro piede
<lb/>si muoue il sinistro ha per suo proprio officio sostenere la mole
<lb/>del corpo. Hora anche nel Cielo si ritroua la destra, e la sinistra
<lb/>propriamente, ma non già vniuersalmente, poscia che non 
<lb/>tutti gli orbi celesti muouono, come il Cielo Empireo. La qual
<lb/>destra, e sinistra nasce dalla virtù del mottor congiunto; e perciò
<lb/>disse Aristotele Virtus diuersa, Perche donde è il 
<lb/>principio del moto si piglia per la destra parte; conciosiache il motore
<lb/>influisca secondo la sua disposizion principalmente dall'Oriente,
<lb/>nella qual parte di Cielo sempre vniformemente, e in qualunque
<lb/>parte di Cielo volgendosi giunga, quiui più immediatamente, e
<lb/>più prestamente riceue l'influenza, che l'altre parti non 
<lb/>fanno. Onde soggiunge Aristotele. 
<lb/>Quoniam sunt ei loca inceptionis, &amp; status
<lb/>ex opere factionis suæ.
<lb/>Bene è vero, che questa differenza è tra’ l Cielo, e l'animale, che
<lb/>questo ha il motore intrinseco, e unito à sè; e quegli l'ha estrinseco,
<lb/> e non vnito; sì che il destro negli animali, e il sinistro pone
<lb/>distinzion nelle parti di essi animali di maniera, che quella 
<lb/>che è destra, e sinistra vna siata sempremai tale si conserua perche
<lb/>opera vniformemente secondo l'influenza del suo motore: ma 
<lb/>nel cielo la destra non si muta con le parti mobili di esso corpo,
<lb/>impercioche quella disposizion non è assoluta, non sendo animato
<lb/>il Cielo, ma hà relazione all'influenza del motore, che 
<lb/>riman sempre quiui in quella parte fissa. E auuertasi, che se bene
<pb n= "19 verso"/>
<lb/>ho detto la destra esser l'Oriente secondo Aristotele, e gli altri 
<lb/>filosofi fondati in questa ragion, che il moto, incominciando , hauria
<lb/>principio da leuante, come destra del Cielo, posciacne il Polo
<lb/>Artico è quelgli à cui dobbiamo uolger la faccia, perche è palesato
<lb/>à cotal fine al nostro emispero; non mi è nascoso, quantunque
<lb/>poco al nostro proposito rileui, che i Teologi prendan per destra
<lb/>parte l'Austro per voltar la faccia all'Oriente, come le nostre Chiese
<lb/>imitano, rizzando a quella parte l'altar maggiore: e che gli
<lb/>Astrologi tengan per la dritta banda l'Occidente, atteso che 
<lb/>risguardano il Sole a mezo giorno: e che finalmente i Geografi
<lb/>affermino la parte destra essere il Settentrione, allegando, per 
<lb/>ragion, che il più alto polo è il dritto, volgendo la fronte col Sole
<lb/>all'Occidente. Sì che pigliate per destra parte qual vi piace più,
<lb/>che tra noi non ne sarà contesa, come accadde a quel segretario,
<lb/> che sendo sopra vn ponte stretto, che non haueua appoggio
<lb/>dalla dritta mano, uolle dar la destra da galant'huomo al Principe
<lb/>con cui era. ma'l buon Principe disse, io ui baccio la mano
<lb/>del fauore, per questa volta noi uogliam riconoscer la vostra serui
<lb/> tù, però andateci uoi. Ma torniamo a bomba. 
<lb/>C. Secondo, Doue è violenza, none durabilità,
<lb/>ma nel Cielo è violenza; poiche il primo Mobile
<lb/>rapisce le sfere inferiori al moto diurno
<lb/>Preter naturam, e quello che è preter naturam,
<lb/>è violento, trouandosi la violenza 
<lb/>secondo Aristotile douunque la cagione e
<lb/>origine u.g. del moto è esterna. Se adunque vi si 
<lb/>ritroua il violento, vi sarà l'instabile, se questo
<lb/>l'alterabile, adunque il corruttibile.
<lb/>R. Questo argomento è della medesima stampa del passato. Quando
<lb/>considero l'arrischiate sentenze, e parole, che vi lasciate scappar
<lb/>di bocca, non posso non mi ricordar d'vn faceto huomo, che 
<lb/>vedendosi correr dauanti vn giouane di gambe sottilissime, facendo 
<lb/>marauiglie disse per certo costui fa miracoli. Io dimandando perche?
<lb/>Rispose, perche egli corre su due cannucce, e non teme di romper
<lb/>si il collo. Cosi voi andando sopra fragili cannucce di sofistiche
<lb/>argomentazioni, che gran fatto è che elle si siano sgretolate 
<lb/>sottoui, senza che habbiate conchiuso nulla? Chi non sa che doue, e
<pb n= "20 recto"/>
<lb/>violenza non è durabililità? ma che nel Cielo sia violenza, 
<lb/>questo si nega; e la ragion della negazione è perche non hauendo il 
<lb/>corpo celeste inchinazione, e attitudine al moto, ne alla qui te; ne
<lb/>repugnanza all'vno, e all'altro, si che quieti, o muouasi, ne l’vno
<lb/>ne l'altra gli sien contrari; ne seguita chiaramente, che lassù non 
<lb/>sia violenza, come disopra si mostrò, per le parole d'Aristotile. 
<lb/>E hauete così presto leuato la credenza, e l'opinion dal Clauio, 
<lb/>che hauete riuolto mantello, e non seguitate il suo parere? Egli
<lb/>è pure Astrologo eccellente; e nulladimeno non vuole, che il 
<lb/>moto del primo mobile sia violento (si come il nouero di tutti i
<lb/>famosi affermano) in niuna maniera a gli altri Cieli sottoposti. 
<lb/>Auuertite, che Aristotele citato da voi non intese mai nella fisica, 
<lb/>o altroue, del moto del Cielo, parlando di moti contrari. E chi 
<lb/>v'ha insegnato interpretar queste parole Præter naturam?
<lb/>il proprio significato loro è sopra, e fuora di natura, ma non già 
<lb/>contra natura, se bene alcune fiate si prendono per contra natura
<lb/>come ha fatto lo stesso Aristotele, e poco appresso il dimostrerò. 
<lb/>ma perchè, se non si caua dalla necessità del concetto, non si
<lb/>debbono mai intender tali parole, per significanza di contrarietà
<lb/>in Arist. Guardate a non esser tanto ardito nella interpretazion
<lb/>delle voci, che vi accada come a quel saccente medico, che leggendo
<lb/>nella cattreda di Padoua quelle parole Iugulare febrem
<lb/>usque ad animi deliquium, Che i Medici uoglion, che in
<lb/>alcuni febricitanti sia efficace rimedio, ciò è farsi tanta, estrazion
<lb/>di sangue, che l'infermo voglia cominciare à venir meno, e vulgarmente
<lb/>si chiama scannar la febbre; interpretaua altramente, cio è
<lb/>inclusiue, e non exclusiue; e con parole gonfie, e gloriose inuitò 
<lb/>i suoi vditori a veder l'esperienza, che voleua senza fallo lasciar
<lb/>l'infermo netto dalla febbre alla presenza loro. Andarono; egli
<lb/>incisa la vena lasciò vscire il sangue, e l'anima; e quando si pensò
<lb/>che fosse suenuto (il che non douea fare) lo trouon morto. E cosi in
<lb/>cambio di scannar la febbre, scannò il frebbicitante, per voler dar
<lb/>senso storto a quelle parole bene intese da gli altri. Così a voi,
<lb/>vengan pur (se n’hauete niuno) i vostri studiosi scolari; rizzinsi
<lb/>in punta di piedi, e faccian calca allegramente per vederui
<lb/>medicar la filofofia d'Aristotele, che scorgeranno da i termini
<lb/>male intesi suenata, suenuta, e morta per voi la verità della aristotelica 
<lb/>dottrina. Mauri habbiate questo ricordo da me per verissimo: 
<lb/>che quando volete per detto d'Aristotele affermar qualche
<lb/>cosa secondo il vostro parere, mai non darete in nulla, se non lo
<lb/>citate ne’propri luoghi doue tratta quelle materie prinicpalmen-
<pb n= "20 verso"/>
<lb/>te, o vero che parlandone altroue si dichiari in guisa tale, che
<lb/>non vi habbia più vero sentimento di quello; e dico ciò perche
<lb/>Aristotele è stato mirabile in questo particulare di hauer trattato
<lb/>di tutte le materie a’ propri luoghi con ordine, e metodo squisitissimo, 
<lb/>non confondendo mai la natura d'vna cosa con l'altra.
<lb/>C. E questi con sì fatti argomenti, che a’ lor luoghi 
<lb/>in altre considerazioni si proporranno haurebbe 
<lb/>mi penso l'Autor nostro pagate à peso
<lb/>d'oro per palesare col risoluerli la sottigliezza 
<lb/>del suo ingegno, e la profonda dottrina nella
<lb/>vera filosofia.
<lb/>R.La sottigliezza del mio ingegno ci ha bisognato pur troppo più,
<lb/>che sè haueste adoperato argtue, e dotte impugnazioni; perciò 
<lb/>che à rimettere ingangheri vna scrittura, che hauete cotanto mal
<lb/>trattata, e scompigliata, e stròppiata nelle parole, nell'ordine
<lb/>e nella materia ci vorrebbono appunto quegli anni di Nestore, 
<lb/>che dite voi alla 14. Considerazione; e ad ogni modo per l'incapacità 
<lb/>dell'opera stessa si sarebbe fatto la meta di nonnulla.
<lb/>Dite vero son questi quei concetti, quelle gioie da pagar a peso
<lb/>d'oro? Accadde non ha molto tempo, che fu ueduto vn’auaro murar 
<lb/>in certo luogo segreto vn tesoro, e poscia vi lasciò scritto
<lb/>per ritrouarlo Est hic, ma subito che fu partito quegli che vide
<lb/>il cauò, e rimurata la rottura, scrisse Non est hic, perche
<lb/>l'haueua rubato; ma io lascio scritto Non est hic, perche non
<lb/>l'ho trouato. Pigliate questo tesoro da me, che non è falso, e vale 
<lb/>assai, se lo conoscerete, e farà ualer voi. Leggete non Cecco,
<lb/>mai buoni filosofi, che ui trouerete sciolti tutti i dubbi, che vengono, 
<lb/>ò possono uenire à quegli che fanno del capriccioso.
<lb/>Discorso. Dico adunque, che conciosiache la materia delle cose inferiori
<lb/>sia cosi dalle forme informata, che elle, come continuamente si
<lb/>vede, si possono da quella separare, posciache, se vna forma si corrompe, 
<lb/>altra forma immediatamente soprauuiene; cosa che veramente 
<lb/>alla meteria celeste accader non si vede: Quindi è che il
<lb/>Cielo, e gli Elementi della medesima materia non sono.
<lb/>Considerazione sesta. Ecco vn'argomento per la
<lb/>incorruttibilità de Cieli, cauato dalla diuersità
<pb n= "21 recto"/>
<lb/>della materia elementale, e celeste in questa guisa. 
<lb/>In terra si veggono seccar baccelli, fiorir
<lb/>cetriuoli, nascer cauoli, e insieme corrompersi
<lb/>tanti animali. Di questi effetti niuno se ne
<lb/>scorge in Cielo, adunque la materia del Cielo
<lb/>è diuersa da quella di questo mondo inferiore;
<lb/>Onde, se questa è corruttibile, e alterabile, ne
<lb/>seguita, che la celestiale sia al tutto aliena da
<lb/>queste passioni.
<lb/>Risposta. Quantunque in tutto il mio discorso non habbia mai fatto
<lb/>menzion di baccelli, come voi, chi dirà, che lassù facciano queste 
<lb/>cose, altri che Alimberto Mauri? Signori lettori stiamo allegramente, 
<lb/>che, se in Cielo fanno i baccelli e in terra faranno le
<lb/>stelle; poiche gli elementi, e'l Cielo son d'vna medesima natura.
<lb/>Questa considerazione e piena, come dice lo Spagnuolo, di parablas, 
<lb/>&amp; plumas; O forse più veramente si può dir, che uoi fate, come 
<lb/>le piante saluatiche, le quali, ò non fanno frutti, ò gli fanno
<lb/>cattiui. Egli faceua mestieri, che rispondeste prima alle ragioni
<lb/>artistoteliche dimostranti la diuersità della celeste materia dalla
<lb/>sullunare; quindi doueuate gittare i vostri fondamenti, e prouar,
<lb/>che il Cielo fosse della stessa natura elementare, e conseguentemente
<lb/>vi si generassero nuoue stelle, e nuoue forme. Il Bannes sopra
<lb/>la prima parte di San Tommaso afferma, che, e secondo l'autorità, 
<lb/>e secondo le ragioni dell'vna, e dell'altra scuola filosofica,
<lb/>e Teologica, e per gli esempli manifesti; si debba tener per
<lb/>certissimo la materia celeste non esser della natura della materia
<lb/>elementare, e che in maniera veruna credersi dee, il Cielo esser
<lb/>corruttibile, e che le proue, e argomenti fatti d'intorno a ciò sono 
<lb/>indissolubili, se gia chi che sia temerariamente non si mettesse 
<lb/>a negar la comune, e da ogn'vno riceuuta filosofia. E Alessandro 
<lb/>de Ales dice, che questa materia inferiore non può esser
<lb/>comune con la superiore, percioche l'vna non si risolue nell'altra,
<lb/>ne ambedue costituiscono vna terza cosa. Che più ? l'antichissimo 
<lb/>lamblico per testimonio di Proclo da diuine spirazioni illustrato 
<lb/>cosi scriue.
<lb/> Quomodo ergo vapor quispiam terrestris, qui
<pb n= "21 verso"/>
<lb/>ne ad quinque quidem stadia à terris tollitur,
<lb/>quin defluat rursus in terram, poterit appropinquare
<lb/>Cœlo, aut alere orbiculare, &amp; immateriale 
<lb/>corpus, aut afficere ipsam omnino 
<lb/>ulla , vel macula, vel passione ? Quotus
<lb/>quisque enim confertur corpus ætereum esse
<lb/>extra aleam omnium contrarietatum alienumque
<lb/> ab omni permutatione alterationis, &amp;
<lb/>purum ab omni potentia trasmutationis inquid
<lb/>vis, imò esse etiam absolutum penitus ab inclinatione 
<lb/>ad medium, &amp; à medio. 
<lb/>O queste sole parole dourebbeno leuare ogni vostra ostinazione,
<lb/>e renderui soddisfatto. Oltre acciò proua Aristotele benissimo,
<lb/>che il Cielo sia contento sotto la prima forma. Imperoche nel
<lb/>primo del Cielo uuole, che quel corpo non possa acquistare accrescimento,
<lb/>ne per via di nutrizione, ne per semplice aggiunta conuertendo 
<lb/>la cosa nella sua natuta, come fa il fuoco, o trasmutandosi
<lb/>come fa il cibo nella sostanza dell'animale, perche in qualunque
<lb/>di queste due maniere è necessaria l'alterazione; e cosi adiuerebbe
<lb/>ancor se al Cielo si leuasse, e diminuisse qualche particella.
<lb/>Hora l'alterazione è moto, che tende alle qualità contrarie, e
<lb/>corruttiue mouendosi l'alterato da vna qualità in vn'altra contraria,
<lb/>ma nel Cielo non son queste contrarietà corruttiue, come si è 
<lb/>prouato; adunque non riceue nuoue forme, ne muta mai la sua forma
<lb/>primiera. E dice di più, che eziandio fino i barbari fanno
<lb/>testimonio antico, il Cielo essere incorruttibile, mossi da 
<lb/>l’esperienza, che non habbia mai mutato forma per detto ancora 
<lb/>delli Astrologi. Aggiunge, che i mouimenti semplici non 
<lb/>sendo più che due retti, e vn circulare; e ogni corpo semplice,
<lb/>hauendo vn solo mouimento proprio; e il circulare essendo in 
<lb/>Cielo, e non hauendo moto à se contrario; ne seguita che ne anche
<lb/>il Cielo habbia contrario, e che non sia corruttibile, e quieti
<lb/>sotto vna medesima forma, e il medesimo proua con sottili, e belle
<lb/>ragioni Alberto Magno, mostrando,che è necessario darsi vn
<lb/>corpo semplice, à cui sia proprio , e naturale il moto circolare, e
<lb/>questo proua essere il Cielo. E al capo quinto proua, che il Cielo
<pb n= "22 recto"/>
<lb/>mediante il moto circulare è necessariamente corpo innanzi a i
<lb/>corpi elementali: onde non può altramente esser della natura di
<lb/>quegli. Il diuin Tommaso ancora vuole, che la celeste materia
<lb/>sia inalterabile, ne a patto veruno alla priuazion delle forine 
<lb/>soggetta ritrouarsi. conciosiacosache la sua prima forma habbia 
<lb/>resa perfetta la potentialita, dic'egli, della materia. Onde in quei corpi
<lb/>celesti, non sendo mutabili, secondo l'esser sostanziale, non ui
<lb/>si posson generarnuoue forme. Oltre acciò si proua, perche
<lb/>quelche riduce le cose diuerse alla concordia è di natura diuersa
<lb/>da qualunque di esse cose. Ma il celeste influsso cagiona la conuenienza
<lb/>degli elementi (come che contrari siano fra di loro)  à generare
<lb/>i corpi misti ; adunque il Cielo non è della natura di
<lb/>quegli. 
<lb/>C. Ma sento da non sò che bisbigliarmi nell'orecchio.
<lb/>Oh se l'Autore non vuole, che le stelle della
<lb/>prima grandeza, le quali sono maggiori della 
<lb/>terra più di 107. volte, si possano vedere senza
<lb/>occhiali, come saprà egli mai se lassù lontano
<lb/>anco da noi 100. miglia cose tanto piccole vi 
<lb/>nascano, ò vi si corrompano; poiche la lontananza
<lb/>di venti miglia ancora ci fà perdere di 
<lb/>vista le montagne, non che le quercie, e i faggi.
<lb/>Risposta Voi cominciate molto a buon hora a dar buon conto de
<lb/>vostri zeri, e abachi straordinari, e tale è la strauaganza, che non
<lb/>trouate pur minimo autor da citare in confermazion di quegli.
<lb/>Che, non si vogliono forse impacciar col fatto vostro ? Non vi
<lb/>dau'egli il cuor di trouar qualche scioperato, che non hauesse 
<lb/>ricapito da altri? Il Tinca, che s'era vna volta accordato per vn 
<lb/>paio di calzoni di velluto a confermar per vero, ciò che d'istorie 
<lb/>hauesse detto il dottore Strafalcia; alla presenza di buona brigata,
<lb/>vn dì quando senti dirli; nel paese di Malacca le zanzare vi son cosi
<lb/>fatte, che forano in fin l'armadure; senza indugio mise mano a 
<lb/>dilacciarsi le stringhe, gridando to quì, to qui i tuoi calzoni, e rendimi
<lb/>la mia liberta, che questa è troppo solenne a confermarla. Così
<lb/>addiuerebbe a voi; chi mai farebbe testimonio, quantunque 
<lb/>hauene taciuto, quando diceste, che le stelle della prima grandezza
<lb/>son maggiori della terra, 107. volte, se bene non son più, che cento
<pb n= "22 verso"/>
<lb/>sei incirca; che dalla terra all'orbe Lunare fossero cento miglia.
<lb/>Per mia fè, che l'error non è d'vn zero: quest'e vno strafalcion, che
<lb/>val degli zeri, e delle miglia più di millanta, che tutta notte canta;
<lb/>disse Maso a Calandrino. Non è astrologo, che non dica esserci più
<lb/>di cento mila miglia di quì alla Luna, ben che discordino d'alcune
<lb/> migliaia, e centinaia. Impercioche altri vogliono, che ci habbia
<lb/>cento sessanta mila quattrocento venti sette miglia; altri cento
<lb/>trentacinque mila trecento cinquanta. Ma forse haurò il torto io,
<lb/>perche al paese del Mauro, doue è chi fà veder vn morto andar vn
<lb/>cieco, le cose debbono per lui andare a rouescio di qui. Vostro
<lb/>danno, non hauesse spregiati i miei occhiali: bisogna, che i vostri
<lb/>fossero occhiali da fumo più tosto, che da veder lontano.
<lb/>C. Opposizione di vero, per la quale appreso gli
<lb/>intendenti l'autore perderebbe qualche poco di
<lb/>reputazione. 
<lb/>R. Oh Oh, voi fate appunto come chi tosa il porco, assai romore;
<lb/>e poca lana. 
<lb/>C. Se io non ricordassi loro, che egli è Astrologo 
<lb/>sopranaturale, onde egli ha potuto benissimo 
<lb/>indouinare, se lassù si facciano, ò nò queste 
<lb/>bagattelle di corruzione. 
<lb/>-R. Mi par vederui in viso ; e che per vergogna habbiate le 
<lb/>guance rosse come di fuoco; Di grazia fate anche voi come la 
<lb/>pina, che posta nel fuoco s'apre. apriteui alla libera, e dite; certamente,
<lb/>io sì, ho perduto quel che il Colombo non hà, se non per mio
<lb/>creder, posto in pericolo già mai. 
<lb/>Discorso. Oltre acciò il mouimento celeste diuerso da quel de gli 
<lb/>inferiori corpi essendo ; imperoche egli è circulare, e quello è retto;
<lb/>diuersa altresì deue credersi la natura loro. Anziche, se il Cielo
<lb/>fosse della medesima natura di quegli alcune volte sarebbe dal 
<lb/>moto dell'elemento predominante alterato. Aggiugnesi, che, hauendo
<lb/>luogo il Cielo sopra tutti gli elementi, verisimile è, che la sua
<lb/>natura sia di gran lunga diuersa da quella. La stessa operazione
<lb/>distinte nature eziandio tra il Cielo, e gli elementi manifesta.
<lb/>Impercioche egli è uniuersale agente, e regolatore di tutti gli altri
<lb/>mouimenti; e la uirtù sua in ogni cosa inferiore influisce, e
<lb/>moderanza, e temperamento nella mistione, e nell'alterazione
<lb/>induce, e uiuifica, e conserue qualunque cosa con la sua azione.
<pb n= "23 recto"/>
<lb/>Cose tutte , che l'eccellenza del Cielo acconciamente ne 
<lb/>dimostra auanzar di gran lunga la natura del mondo elementare.
<lb/>Considerazione settima. Ecco un'altro argomento
<lb/>per la stessa incorruttibilità, cauato dalla 
<lb/>diuersità de mouimenti celesti, e sullunari: Ma io
<lb/>non mi posso tenere di non addurre à questo 
<lb/>proposito alcuni schiamazij fatti da certi moderni
<lb/>filosofastri, che con questi principij, ciò è prouando
<lb/>i moti de corpi superiori, e inferiori essere i
<lb/>medesimi conchiuggono tutto il contrario &amp; c.
<lb/>Risposta. E pur li. Aristotele con tutta la scuola della filosofia, e 
<lb/>Teologia, prouano questa diuersita di mouimenti, e da questi la diuersità 
<lb/>della natura di tali corpi celesti, e elementari: e hanno con
<lb/>dimostramenti efficacissimi, a tutte le obiezioni risposto, e 
<lb/>soluto gli argomenti contrari, che non ce ne resta pur uno da far di
<lb/>nuouo, che ridiculoso non fosse. E uoi ad ogni modo facendo
<lb/>come dice lo spagnuolo, de trippes corazzon, hauete senza riprouar
<lb/>le ragioni d'Aristotele, o prouar con nuoui argomenti il 
<lb/>contrario, uanamente co'uostri filosofastri atteso a brauare assai, ma
<lb/>non conchiuder nulla.
<lb/>C. Primo i poli del decimo Cielo si muovono per
<lb/>vna linea retta, o voglian dire un certo arco
<lb/>grande 24 primi scrupuli, essendo tutto il circolo 
<lb/>parti 360. vengono di nuouo a ritornare 
<lb/>- per la medesima linea: e per questo effetto da gli
<lb/>Astronomi cotal mouimento s'appella, oltre all'usato
<lb/>nome, Accessus, &amp; Recessus, ancora
<lb/>Motus in Diametrum. Il medesimo dico della 
<lb/>nona sfera. Se adunque dalla diuersità de
<lb/>mouimenti si dee arguire alla diuersità de i
<lb/>corpi mossi , in vero, che il nono e’ l decimo Cielo
<pb n= "23 verso"/>
<lb/>auranno la natura stessa de gli elemeti, poiche
<lb/>il moto retto à tutti è comune. Onde se questi
<lb/>corruttibili, e alterabili, quegli altresì corruttibili, e alterabili. 
<lb/>R. Io m'accorgo, che hauete bisogno del Leone. Il Lupo rimprouerò 
<lb/>vna volta la codardia della Lepre: ella lo sfidò a battaglia:
<lb/>comparirono in campo: il Luppo arrotaua i denti; la Lepre si
<lb/>nettaua le zampe, e veduto il tempo si mise la via fra gambe à
<lb/>più potere, e ancor corre; il Lupo ancor s'arrota i denti. Volet'altro, 
<lb/>che il compar Leone, che sedeua pro tribunali, diede
<lb/>la sentenza in fauore alla Lepre, dicendo, che il suo modo di guerreggiare, 
<lb/>era il fuggire ? O eccellente Matematico, che direte
<lb/>adesso: non ci fate più del brano a dosso, e dell'astronomo; per
<lb/>certo, che egli non vi giouera il fuggire. Voi dite pure alla considerazione 
<lb/>octaua.
<lb/>Imperiocche essendo falsissimo, 
<lb/>che al moto circolare, come dice Aristotele,
<lb/>si ritroui contrario alcuno. E cosi rifuggite dal
<lb/>sostener la pugna interpresà .  Ben son'io chiaro, che voi gustate 
<lb/>in pelle, in pelle questa faculta astronomica, posciache 
<lb/>non conosciate ne uoi, ne i uostri filosofastri, che quei mouimenti 
<lb/>obliqui, e retti cotali appaiono per causa della diuersità 
<lb/>de poli, supra i quali si girano le diuerse sfere per vari
<lb/>mouimenti, e per lo rispetto, che hanno i diuersi Climi col Cielo, 
<lb/>donde i riguardanti veggono, chi retto, e chi obliquo il moto 
<lb/>del Sole, e dell'altre stelle, e sfere celesti. si che la verita è,
<lb/>che qualunque mouimento di cielo, secondo se tutto, a cui guardan 
<lb/>le parti, è circolare, continuo, uniforme, e inuariabile.
<lb/>Alimberto appoggiateui al parer d'Aristotele, e crediate, che
<lb/>quelle apparenze di rettitudini, e di contrarieta, d'obliquita, e di
<lb/>moto in diametro, son ciascuna da per se vere circulazioni senza
<lb/>contrarietà veruna; e non tenete più il ceruello a girar fra
<lb/>quei giri. Ecco Aristotele, che proua, niun moto esser contrario
<lb/>al circular, e voi, contradicendoui ancora, come dissi test è, 
<lb/>affermate lo stesso alla considerazione ottaua. Primieramente,
<lb/>adunque, dimostra il moto retto non esser contrario al circolare,
<lb/>dicendo. Il moto retto, solo al retto, è contrario, perche,
<lb/>se fosse contrario anche, al circolare, due mouimenti sarebbon
<lb/>contrari a vn solo. Che i moti fatti sopra linee rette sien contrari,
<lb/>è manifesto, perche i termini loro son contrari, a quali essi
<pb n= "24 recto"/>
<lb/>tendono, come è il centro, el Cielo, che son grandemente distanti 
<lb/>qual si ricerca a’ ueri moti contrari. Di piu dice, che ne anche
<lb/>i moti circolari son contrari fra di loro. Imperoche tal contrarietà 
<lb/>si può giudicare, che in vno di questi quattro modi accada. 
<lb/>Il primo. Se si dicesse, che il mouimento, che si fa sopra 
<lb/>vna linea circolare fosse contrario al moto, che si farebbe opposto 
<lb/>a quello, tra i medesimi punti sopra, ò sotto la detta linea.
<lb/>Secondo. Se contrario si stimasse il moto su per vn mezo circolo 
<lb/>a quello, che per lo contrario andasse sopra il medesimo semicircolo. 
<lb/>Terzo. Se contrariar si reputasse il moto per lo semicircolo 
<lb/>d'vn circolo intero al contrario d'altro moto, che si facesse 
<lb/>su per l'altra parte del circolo. Vltimamente; Se chi che sia 
<lb/>ponesse, che il moto fatto per l'intero circolo da vna parte fosse
<lb/>contrario al moto fatto per tutto lo stesso circolo dall'altra parte. 
<lb/>Ma in veruno di questi modi può nascer la contrarietà; adunque
<lb/>non può moto circulare ad altro circolare esser contrario. Proua
<lb/>cosi la prima parte del suo proposito; perche, essendo che in fra
<lb/>due punti si possan disegnare infinite linee circulari, ne seguiterebbe, 
<lb/>che a vn solo moto infiniti i moti contrari fossero, conferma 
<lb/>la seconda parte; impercioche, a voler, che i moti sian 
<lb/>contrari è necessario, che i termini sian grandemente distanti, fra
<lb/>di loro; e questo non può esser, se non nelle rette linee non già
<lb/>nelle piegate, e curue, perche ogni misura debbe esser certa, e
<lb/>finita, e minima. Hora in fra due punti la misura della retta linea
<lb/>è certa, e determinata, perche non può esser, se non una ; è la
<lb/>minore de tutte le linee, che tirar fra due punti si possano, conciosiache,
<lb/>potendosi disegnare infinite linee curue fra due medesimi 
<lb/>punti, delle quali ciascuna saria maggior della linea retta, ne 
<lb/>segue, che, ricercandosi alla contrarietà grandissima distanza, e 
<lb/>la distanza si misuri secondo la retta, e non secondo la curua linea;
<lb/>i moti, che si fanno per i semicircoli, non si dicano hauer vera
<lb/>contrarietà. E con questa ragione stessa rimane ancor prouata la
<lb/>terza parte. Sì ancora perche le porzioni delle quali si fa l'intera 
<lb/>circulazione, potendo farsi continue, non possono uicendeuolmente 
<lb/>contrariarsi. Aggiugne, che, auuenga che le dette 
<lb/>parti di moti fossero contrarie, nulladimeno non si dee per questo 
<lb/>concedere ne' moti circolari ritrouarsi contrarietà. Impercioche, 
<lb/>cotal contrarietà di parti non è bastante a far, che i semplici 
<lb/>mouimenti contrari s'appellino. Persuade la quarta parte, 
<lb/>primieramente, perche il moto, che hà contrario ricerca i termini
<lb/>fra di loro contrari, ne tali son quegli che si fanno per tutto il
<lb/>circolo, cominciando dal medesimo punto doue ritornano. Di 
<pb n= "24 verso"/>
<lb/>più conferma lo stesso, dicendo che, se a’ detti moti fosse contrarieta, 
<lb/>bisognerebbe, che nel circulo si disegnassero luoghi contrari. 
<lb/>Hora nella retta linea si disegnano solamente due luoghi
<lb/>contrari, che son grandemente distanti; ma in qual si uoglia punto
<lb/>del circolo si può pigliar grandissima distanza, tirando da vn punto
<lb/>del circolo vna retta linea a vn'altro punto diametrale, che sarà
<lb/>delle rette linee la maggiore delle cadenti nel circolo. Adunque,
<lb/>conciosiache quelle cose, che per contrari moti si muouono debbano 
<lb/>acquistare i luoghi opposti, Sara necessario, se il moto circulare
<lb/> si contraria al circulare, che l'vno, e l'altro corpo in giro
<lb/>volgendosi, da qual si uoglia parte, che a mouersi cominci, egli
<lb/>peruenga a tutti i punti del circolo, che son tutti come è detto
<lb/>contrari. Ma da queste cose ne seguita quell'inconteniente, che
<lb/>disutile sarebbe stata in ciò la Natura, e Dio. Imperocche ò quei
<lb/>corpi haurebbon forze uguali, ò nò. Se uguali; adunque l'uno,
<lb/>non superando l'altro, ambedue resterebbono immobili. Se l'uno
<lb/>uincesse l'altro; quello solo si muouerebbe; e cosi non otterrebbe
<lb/>qualunque corpo suo il moto, e la sua operazione, come fine di
<lb/>quello. Ne è contro à questa dottrina quel, che dice lo stesso
<lb/>Artistoele, ciò e, che i moti, che si fanno nel circolo sien contrari,
<lb/>facendosi alle parti opposte : ne anche dicendo nello stesso
<lb/>libro, che il mouimento fatto per semicircolo da A, in B, non
<lb/>si possa continouare col moto opposto da B, in A, contrariandosi
<lb/>cotali moti fra di loro. Impercioche Aristotele, non solamente 
<lb/>s'intende de mouimenti, che nello stesso corpo circolare
<lb/>contrari si fanno; conciosiache repugni, che due moti diuersi nel
<lb/>medesimo tempo, e nel medesimo corpo li facciano senza quiete;
<lb/>ma egli medesimo si dichiara dicendo, Non enim
<lb/>idem est circulo ferrie, &amp; secundum circulum. 
<lb/>Doue tutti gli interpreti, e in paricular San Tommaso espongono, 
<lb/>che uuol inferire Aristotele, ch'il muouersi circularmente
<lb/>si fa con moto continuo, e per ciò non ha contrario. E che il muouersi 
<lb/>secondo il circolo, il moto, non sendo continouato, ma 
<lb/>reflesso, perche ritorna per la stessa uia, eziandio, che egli sia secondo
<lb/>il circolo, è contrario come quel che si fa sopra retta linea,
<lb/>quando i moti si fanno a i termini opposti: Oltre acciò il Collegio 
<lb/>Conimbricense, e altri affermano, che quella uoce [contrarium]  
<lb/>e presa da Aristotele, in quel luogo largamente, comprendendo 
<lb/>qualunque maniera di contrarieta, e repugnanza. 
<lb/>perche non son quegli propri luoghi doue de’ moti celesti si
<lb/>dee propriamente, e co’ propri termini strettamente disputare.
<pb n= "25 recto"/>
<lb/>E l'Angelico S. Thommaso risponde a tutti gli argomenti, che fà 
<lb/>Gio. Grammatico, altrimenti detto Filopono, nobilissimamente,
<lb/>e leua ogni difficulta; anzi che Auerroe dice, che Aristotele 
<lb/>sia di parere, che i moti contrari nel Cielo si diano solamente in 
<lb/>astratto, e imaginariamente, sendo impossibile, che tali moti 
<lb/>contrari nello stesso corpo veramente si trouino. Si che, non 
<lb/>hauendo contrari la materia del Cielo, si risolue, che in veruna maniera 
<lb/>non è corruttibile il corpo celeste, ne della natura elementare, 
<lb/>ne generar vi si possono nuoue forme. Anzi vogliono i Teologi, 
<lb/>che non solamente niuna possanza, e virtù naturale sia basteuole a far 
<lb/>della superior materia, e dell'inferiore vna cosa stessa; ma ne eziandio 
<lb/>si possa per virtù diuina ciò fare. Conciosiacosache l'inchinazion 
<lb/>dell'vna, e dell'altra materia, essendo la stessa natura della
<lb/>forma di ciascuna, e l'inchinazioni siano diuerse; diuerse altresì 
<lb/>debbano essere le nature de i corpi loro; e prima mancherebbon 
<lb/>d'essere, che vnir si potessero le nature di essi. Hora, perche
<lb/>i vostri argomenti non rileuan cosa veruna, come uedete , 
<lb/>quegli scrupuli, che diceuate vi haranno lasciato più scrupuloso,
<lb/>che mai.
<lb/>C. Ma à questo l'autor potrebbe forse rispondere con 
<lb/>l'autorità d'Auerroe, ilqual proua non ritrouarsi 
<lb/>nel Cielo moto retto, perche ne seguirebbe (dic’egli)
<lb/>la corruttibilità di esso.
<lb/>R. Douereste dire adunque con la ragione, che vale assai più, e non
<lb/>con l'autorità, poiche egli il proua.
<lb/>C. Ne s’auuede, che col fuggire vn solo inconueniente.
<lb/>R. A voi che siete auuezzo a darne molti, vn'inconueniente pare
<lb/>vna fronda di porro, non sapendo, che quegli, che ben non affibia
<lb/>il primo bottone gli affibbia mal tutti.
<lb/>C. Cade in mill’altri assurdi. 
<lb/>R. Assurdi son i uostri, che, non solamente adoperate questa uoce
<lb/>scomunicata da i buon autori della nostra fauella, ma che e peggio, 
<lb/>hauete osato senza vn minimo fondamento contrariare alle
<lb/>ragioni di cosi graue autore. Almeno, se non volete creder
<lb/>nè a Filosofi , ne a Teologi, credete à gli Astrologi , e essi 
<lb/>v'acquieteranno. Impercioche in particulare il Padre Clauio, 
<lb/>accioch'io taccia molt'altri famosi, uuole, che questi moti opposti
<pb n= "25 verso"/>
<lb/>l'vno verso Oriente, e l'altro verso Occidente non sian contrari,
<lb/>perche non si muouono semplicemente a’ termini contrari, non
<lb/>andando a terminare al medesimo punto fisso, cioè, che vi moto
<lb/>vada a vn punto, e dal medesimo punto l'altro moto si parta 
<lb/>oppostamente: cosa che ne i moti circolari addiuenir non può gia
<lb/>mai. Le sfere semplicemente si volgono all'Occidente di proprio
<lb/>mouimento ; e per accidente, e [ secundum quid ] all'Oriente,
<lb/>cioè alle parti Orientali. Anzi che il vostro diletto
<lb/>Copernico per leuare ogni contrarietà, e alterazione al corpo
<lb/>celeste hà creduto, che la terra habbia trè diuersi mouimenti in se
<lb/>stessa. Ma, ò non li hauete ueduti, ò non intesi, percioche vi
<lb/>sareste appagato, ò nuoue maniere d'argomenti haureste recate
<lb/>in campo. 
<lb/>C. Perche ancor egli, cioè Auerroe, doueua filosofare
<lb/>riserato in camera.
<lb/>R. Finalmente voi gliel'hauete pur carica al vostro Auerroe, che
<lb/>non vi siete vergognato a cacciarlo meco a camera locanda. ma
<lb/>perche io reputo, a diruela, che egli sia alquanto miglior filosofo
<lb/>di voi, con vostra pace, non gli vuò far pagar la pigione. 
<lb/>Beato uoi che siate, come quel filosofo, che si vantaua di hauer
<lb/>apparato più alla foresta, che alla scuola, Plus in siluis, 
<lb/>quam in libris; Se già non istate alla campanga, e per le
<lb/>piazze, come i Ciurmadori, spacciando la vostra giudiciaria Astrologia 
<lb/>biscugina della Negromanzia, che fa trauedere i balordi.
<lb/>C. Onde non lo noiauano le apparenze dell’obliquità
<lb/>maggiore in vn’ anno, che in un'altro, del
<lb/>zodiaco, e dell anticipazione molte volte degli
<lb/>equinozi medij à gli equinozi veri.
<lb/>R. Cotali apparenze non solo noia non apportauano a Auerroe, ma
<lb/>ne anche a tutti i buoni Astrologi poi che il parere, e l'essere, non
<lb/>corron lancia del pari. Onde Auerroe afferma, che i moti circolari 
<lb/>sopra i medesimi poli, e circa il medesimo centro, quantunque
<lb/>diversi siano; nondimeno mai non saranno contrari; percioche
<lb/>non posson dirsi contrari se non imaginariamente, come di sopra
<lb/>si disse. Attesoche impossibile è che queste contrarietà si
<lb/>ritrouino ne i corpi celesti; e così si debbe intender sempre 
<lb/>intorno acciò Aristotele.
<pb n= "26 recto"/>
<lb/>C. E pur doueua pigliarne qualche pensiero per istabilir
<lb/>per rispondere à cotali fenomeni quel suo 
<lb/>assioma della regolarità con gli altri poco auanti
<lb/>ricitati.
<lb/>R. Crediate, che se haueste dato regola, e fermeza cosi a’ vostri
<lb/>fenomeni, come Auerroe alla regolarita de moti celesti, senza fallo
<lb/>veruno, conuenendo seco, non gli haureste mosso guerra contro
<lb/>per andarne a capo rotto. perche io reputo più facile arrouesciare
<lb/>vn pozzo, che addirizzar questi fenomeni pazzi.
<lb/>C. Ma che dico io rispondere con l'autorità d'Auerroe,
<lb/>anzi penso, che egli à vn tratto si sbrigherebbe 
<lb/>in quella guisa, che in simili difficultà
<lb/>egli è solito fare. Il capriccio de’ mouimenti
<lb/>di questi Cieli veramente è bello non vero per
<lb/>tanto dee stimarsi.
<lb/>R. Io hauea posto dauanti alla parola [non] vn [mà] voi l'hauete come
<lb/>disutile mandato a spasso. Non vi doura parer poi duro ch'io faccia,
<lb/>come l'Ariosto à quel pentolato, che, sentendolo stroppiare i suoi
<lb/>versi, roppe quante stouiglie hauea su l'asino; perche vi stara'l douere
<lb/>s'io gitto al fuoco i vostri male adoperati astronomici strumenti,
<lb/>de’ quali mi fate querimonia. E a dirne il vero più tosto mi persuado, 
<lb/>che doueuate leggere’l mio discorso correndo la posta, che
<lb/>passeggiando per diporto; perche v'è accaduto lo stesso, che adiuenne
<lb/>a vn certo carrozziere, che verso Parigi, affrettando il corso,
<lb/>perche era tardi, domandò a San Martino, se quella sera entrerebbe
<lb/>nella città: a cui rispose il Santo; se vai adagio sì. Il
<lb/>fantastico carrozziere parendoli esser beffato s'affannaua, sferzzando
<lb/> i caualli fieramente; perche, non veduto vn mal passo, precipitarono 
<lb/>i caualli e roppesi la carrozza, ne altramente giunse
<lb/>a Parigi. Il frettolosamente adoperardi giugner a fine di vedere
<lb/>esaltar se stesso, e deprimer'altrui v'ha fatto rouinar tutta l'opera, 
<lb/>che non v'è cosa, che non sia mal'andata; e per far peggio
<lb/>hauete lasciato del mio discorso fino i concetti, e periodi interi
<lb/>senza vederli per la fretta; se già non l'haueste fatto a studio per
<lb/>meglio compire il desiderio vostro, o forse per non poter attaccarui
<lb/>oncini, non gli intendendo. Questo, è vuo de lasciati concetti, 
<pb n= "26 verso"/>
<lb/>che è qui sopra doue dico. Anzi che se il Cielo fosse della medesima
<lb/>natura di quegli &amp; c. Che dite, perche l'hauete tralasciato ?
<lb/>Direte forse, che è stato per errore? E io vi rispondo, che quest'è
<lb/>il male, imperoche l’errore, è gabella della ignoranza, se nasce
<lb/>dall'intelletto, e il frodo della malizia, se procede dalla volontà.
<lb/>A cotale argomento non crediate che basteuole fosse il risponder,
<lb/>che la buona temperie del componimento, e purita de gli elementi,
<lb/>e l'eccellenza, e virtù della forma impedisse la pugna delle contrarietà, 
<lb/>e il predominio quanto all'azione. perciò che, lasciando
<lb/>i molti argomenti, che il contrario dimostrano, a me basta replicare, 
<lb/>che se cosi è, la verità sarà adunque, che non sendo soggetto 
<lb/>quel corpo all'alterazione, e corruzione, nuoue stelle altramente 
<lb/>generar non vi si potranno. Non vi fate più straziare; concedetemi 
<lb/>senza replica l'apparenza dell'obliquità maggiore, e minore
<lb/>vn'anno, che l'altro del Zodiaco, ec. esser veramente imaginarie,
<lb/>e apparenti. Lo dice anche il da voi celebrato Copernico, che
<lb/>persaluar cotali apparizioni, oltre i tre mouimenti attribuiti alla
<lb/>terra, come dissi dianzi, pone il Sole nel centro del mondo, quindi
<lb/>Mercurio, poi Venere sopra la terra, con la Luna, come in
<lb/>vn'epiciclo, lasciando gli altri pianeti secondo l'ordine dell'antiche
<lb/>opinioni. Quegli di cui fate menzion, che m'habbia dato occasion 
<lb/>di scriuere, il concede anch'egli, ilquale, se ben s'è compiaciuto 
<lb/>mostrar l'acutezza dello'ngegno suo, con alienarsi dalla 
<lb/>comune per far proua studiosamente del suo valore, ma non  
<lb/>già che ui sia ostinato dentro; afferma, che Venere ouatamente
<lb/>si muoue solo in apparenza. Ma che più ? Voi medesimo,
<lb/>per vostra grazia mi date facultà di sbrigarmi di tale impaccio,
<lb/>più presto, che non feci l'altra uolta, come uoi dite; affermando
<lb/>essere imaginarie queste apparizioni, ancor voi, e ne fate la dimostrazion 
<lb/>nella Luna con la figura garbatamente alla considerazion
<lb/>23. Hora, se tanti famosi astrologi hanno sparso mille 
<lb/>sudori, per ritrouare Epicicli, Eccentrici, Concentrici, Equanti,
<lb/>Deferenti, e simili differenze d'Orbi, e di Pianeti, à finche 
<lb/>rimanga intatta la celeste incorruttibilità; credete forse, che due
<lb/>scalzacani habbiano, lontani da ogni ragione, e senza necessità,
<lb/>che acciò fare gli spinga, con buona grazia de’ sapienti, licenza 
<lb/>di cauar fuora cosi vani capricci, e non esserne agramente
<lb/>ripresi, come che gloria riportarne stimassero? Credonsi questi
<lb/>tali per rouinare il Cielo, a guisa di colui, che abbruciò il Tempio
<lb/>di Diana Efesia, diuentar più famosi di coloro, che da saui, e
<lb/>e virtuosamente la lode si guadagnarono?
<pb n= "27 recto"/>
<lb/>C. Secondo, sì come noi veggiamo, che gli Elementi 
<lb/>si muouono naturalmente solo, quando
<lb/>sono fuor de’ lor luoghi, cosi douiamo, verisimilmente 
<lb/>credere de’ corpi celesti. E che questo
<lb/>argomentare per similitudine in cotale affare
<lb/>si dea tenere per più fermo, e sicuro, lo 
<lb/>afferma San Tommaso , attesoche la cognizione
<lb/>si fà per mezo di quello, che il conoscente
<lb/>conosce in qual si voglia maniera, cioè per la
<lb/>similitudine, dice egli. Ora noi intendiamo
<lb/>perfettamente per via de’ sensi questa aria
<lb/>questa, acqua, e questa terra: per sì fatti mezi
<lb/> adunque douiamo cercare di peruenire alla
<lb/>cognizione delle cose lontane, e celesti, il che non
<lb/>si può fare, se non mediante vna certa conuenienza,
<lb/>e similitudine. Lagual cognizione ,
<lb/>quantunque come scriue Aristotile, non possa 
<lb/>essere perfetta, nulladmeno, quanto alla nostra
<lb/>capacità può acquietar lo'ntelletto.
<lb/>R. Voi hauete ben preso questa volta altro, che vn granchio a secco;
<lb/>perche diuero ell'è vna Balena, è ben grande, à dir che San
<lb/>Tommaso in cotal luogo dica tal cosa; per che egli ragiona quiui
<lb/>d'ogn'altro concetto, che di questo. Imperciò che dichiarando
<lb/>Aristotele d'intorno all'ordin del modo dell'intendere fa 
<lb/>comparazzion tra’ l senso, e l'intelletto, gli vniuersali, e i particulari;
<lb/>e poi dice, che la cosa intesa è simile all'intelletto, e la sentita
<lb/>simile al senso; cosi dice il mio San Tommaso ; producete il 
<lb/>vostro, se però l'hauete; perche non temo, che riesca fatto a voi,
<lb/>come à Solone, il qual mise un verso di suo nel libro d'Homero
<lb/>per hauer da l'autorità di quello la giurisdizion di Salamina parlo
<lb/>di quella, che è nel mare Euboico, non di quella di Cipro, oggi
<pb n= "27 verso"/>
<lb/>detta Famagosta. Ma io vi dico, che l'argomentare per similitudine,
<lb/> oltre, che non è da gazzerotti, è fallacissimo. Impercioche 
<lb/>Aristotele vuole, che tre condizioni necessariamente si 
<lb/>ricerchino tra le cose, che veramente si posson comparar l'una con
<lb/>l’altra Sic ergo (dice egli Non solum oportet comparabilia , 
<lb/>non æquiuoca esse, sed non habere 
<lb/>differentiam , neque quod, neque in quo. 
<lb/>Hora uoi non hauete osseruato straccio di questo precetto.
<lb/>Primieramente, perche il subbietto nel quale alloggian le qualità
<lb/>comparate, non è della medesima spezie del soggetto in cui son 
<lb/>le qualità comparabili, poi che la celeste machina è diuersa di 
<lb/>natura dall'elementare. Secondo; le qualità assomigliate non son
<lb/>della medesima spezie, percioche il motocirculare, e il retto son
<lb/>differenti di spezie. E il raro, e’l denso del Cielo con quello de gli
<lb/>elementi conuengono equiuocamente, che è la terza delle tre 
<lb/>condizioni non osseruate da voi, come si è largamente dimostrato
<lb/>a suoi luoghi. Ecco che hauete argomentato, non da i simili, moda
<lb/>i dissimili. Non ha molto tempo che in vn villaggio occorse
<lb/>e non mica da motteggio, che si leuò romore, esseri in vaa macchia
<lb/>appiattato fra certe macie vn Basilisco: furon subito presenti i
<lb/>più animosi con gli archibusi carichi, e risguardato il luogo, videro
<lb/>la forma, i colori verdi, gialli, e rossi, che molte volte veduti 
<lb/>dipinti hauete. Il primo, che tirò l'inuesti, e ueduto in aria salire il fumo
<lb/>da quello, tennero per fermo, che per l'ira dell'esser colpito
<lb/>fiatasse veleno. raddoppiarono l'archibusate, e alla fine tenendolo
<lb/>morto, accorsero al luogo, e trouaron, che era la brachetta
<lb/>d'vn Lanzi, le risa furon poscia assai più, che le palle tirate. Io
<lb/>non so se dirò poco; quella proporzion, che era tra via brachetta,
<lb/>e vn Basilisco, la stessa è dalla cosa rastomigliata alla vostra
<lb/>similitudine. Ma io, che per negazione di similitudine ho argomentate, 
<lb/>infallibilmente, contro il vostro intendimento, ho conchiuso, 
<lb/>il Cielo essere incorruttibile, poiche è di natura diuerso
<lb/>da questi inferiori corpi.
<lb/>C. I Cieli adunque ò sono ne’ propri luoghi, ò fuora.
<lb/>Non fuor; perche altrimenti, desiderando
<lb/>ciascheduna cosa il proprio sito, violentemente
<lb/>altroue sarebbero ritenuti, contro alla dottrina
<pb n= "28 recto"/> 
<lb/>d'Aristotile, che non vuole in Cielo niente di
<lb/>violento. Saranno adunque ne’ propri luoghi:
<lb/>e perciò vedendosi chiaro, che si muouono circolarmente, 
<lb/>per consequenza diremo, il moto circolare 
<lb/>non essere il moto loro vero, e proprio, in
<lb/>quella guisa, che noi sappiamo, che non è ancora
<lb/>dell'elemento del fuoco. Sarà adunque il retto:
<lb/>e se questo è altresì di questi corpi inferiori, e
<lb/>se dal mouimento douiamo, come fa il nostro
<lb/>Autore, argomentare alla natura, conchiuderemo
<lb/>la materia celeste essere la medesima di questa
<lb/>inferiore, quantunque, come dice Platone,
<lb/>più sottile, e purgata.
<lb/>R. Nel proemio ancora l'vso di questa voce [sito] vi mostrai, che noi
<lb/>conosceuate, per non intender voi il significato suo: ne ui scusate, 
<lb/>che, pigliandosi ella in sentimento di luogo, di odore, e di
<lb/>positura secondo la vulgar fauella, qui si debba intender nel primo
<lb/>modo: percioche, doue si tratta di materie filosofiche, non si
<lb/>debbono adoperar parole equiuoche, massimamente disputando:
<lb/>e doue si posson pigliar nell'vno, e nell'altro sentimento. ne dee
<lb/>perdonarsi a voi, che, per mostrarui huomo di quei non dozzinali,
<lb/>hauete cercato guadagnar brighe per lodi: se già non meritaste
<lb/>loda, per che hauete ritrouato vna spezie nuoua di filosofia stroppiata,
<lb/>in quella guisa, che fra i pittori addiuiene dintorno à quella
<lb/>spezie di pittura a grottesche, licenziosa, e ridicola senza regola
<lb/>alcuna. Impercciochè allora, che dipingono, per esemplo,
<lb/>vn grandissimo pero attaccato a vn debol filo; ò fanno le gambe
<lb/>a vn cauallo di tralci di vite; figurano vna debol capra caualcata
<lb/>da vn Bacco; vn viso humano sopra il collo, e busto di vna Grù;
<lb/>vno struzzo con braccia di scimia; vna bella faccia di donna con
<lb/>le parti estreme di ramarro, e le braccia, e le mani zampe, e branche
<lb/>di Leone; gli orecchi d'vn cane fingono esser di foglie di canna;
<lb/>e a chi pongono gli occhi sopra le corna, come hanno le 
<lb/>chiocciole; ad altri in luogo di bocca, vn becco di Cicogna, e le
<lb/>braccia fanno in sembianza di racchette, ò mestole da fare alla,
<pb n= "28 verso"/> 
<lb/>palla; a questo formano il ventre di bue, e le gambe di grillo, con
<lb/>le ali fronzate, e simiglianti scerpelloni, da fare smascellar le brigate
<lb/>per le risa. Quegli, che finalmente gli imagina più strani
<lb/>in cotali professione più valent'huomo è reputato. Cosi tra i
<lb/>filosofi non si defraudi à voi la meritata lode negli strauaganti 
<lb/>capricci in aria, poscia che con ogni licenzia, e libertà non 
<lb/>filosofica, ne poetica, ma più tosto frenetica, hauete nuoui modi di 
<lb/>filosofar ritrouati. Anzi Sig. Mauri, che degli vni, e degl'altri
<lb/>anche in esecuzione il fine è stato il medesimo, come che sia diuerso
<lb/> in intenzione; poi che questi filosofi, come quei pittori, fanno 
<lb/>rider la gente. Vero è che si muovono gli elementi fuora de’ 
<lb/>propri luoghi per ritornare à quegli, e quietarsi, amando la conseruazioni 
<lb/>di se medesimi. Ma si come gli elementi, per lo continuo
<lb/>combattimento fra di loro, per causa della generazione, mediante
<lb/>la mistion de’ moti, fanno, secondo le parti il mouimento
<lb/>fuor de’ propri luoghi. Cosi il cielo per lo contrario nel suo 
<lb/>luogo quietando, non proprio, ma accidentale, perche è solo in
<lb/>luogo, rispetto al centro; nel medesimo tempo si muoue d'intorno
<lb/>à quello, non violentato ma naturalmente secondo il suo 
<lb/>principio passiuo non repugnante; e volontariamente quanto al 
<lb/>principio attiuo; conciosiacosache il motor suo, vna sostanza separata,
<lb/>essendo il muoua volontariamente a fin della generazione, e
<lb/>conseruazion delle cose inferiori, come agente, e causa vniuersale
<lb/>d'ogni mutazion naturale, e sullunare. Che il retto mouimento
<lb/> non conuenga al corpo celeste, alla considerazione ottaua,
<lb/>si proua; e dimostrato si è poco dianzi, nella soluzion di quei 
<lb/>uostri scrupuli, si come altresì nel discorso fauellato n'habbiamo, se
<lb/>ben non l'intendeste, per amor di quelle imbrogliate contrarietà,
<lb/>che dite, quantunque non fosse intenzion nostra prouare in
<lb/>quel luogo, se non che il Cielo non era composto degli elementi,
<lb/>ne di alcuno di quegli esser fatto. Conchiudesi adunque esser
<lb/>falsa la uostra maniera d'argomentare; impercioche non è la
<lb/>medesima ragione del moto de gli elemeti fuori de luoghi loro,
<lb/> e del moto de’ Cieli, circa il centro. Oltre, che se il moto retto
<lb/>fosse proprio de Cieli, cotal mouimento non si ridurrebbe mai 
<lb/>all'atto, ne potrebbe ridursi, non hauendo luogo naturale i Cieli,
<lb/>che sia lo proprio dove possano appetir di muoversi da vn luogo
<lb/>a vn'altro; e cosi vana sarebbe la potenza del moto retto in
<lb/>quegli; e perciò ridicoloso il crederlo. Sono adunque i corpi 
<lb/>superiori di natura diuersa da gli inferiori corpi.
<lb/>C. Ma prima che più auanti si uada ditemi ò
<pb n= "29 recto"/>
<lb/>messer filosofastri. -
<lb/>R. Ben diceste: in fatti io m'auueggo, che siete assai innanzi con l'indouinare,
<lb/>e che farete qualche bella riuscita nella giudiciaria astrolog.
<lb/>C. Che volete con queste vostre conclusioni mandare
<lb/>in rouina la filosofia del S. Colombo, in che modo
<lb/>senza cadere in qualche assurdo possiate affermare, 
<lb/>che il moto circolare non sia proprio ne di queste 
<lb/>parti inferiori, ne di quelle superiori, e celesti,
<lb/>atteso, che egli (essendo il moto secondo Aristotile
<lb/>il quale non è proprio à vn corpo proprio à vn'altro,
<lb/>ne ritrouandosi altri corpi, che questi, ò 
<lb/>inferiori, ò superiori, à quali lo negate) verrebbe
<lb/>à mancar di proprio Padrone.
<lb/>Mi risponderete forse, che è ben conueniente, che
<lb/>per essere egli il più nobile di tutti gli altri mouimenti, 
<lb/>e per ciò attribuito da Aristotile a’ cieli,
<lb/>come corpi nobilissimi se ne stia libero, e di se 
<lb/>medesimo assoluto padrone. Ma se così fatta fosse
<lb/>la risposta datami, à fondamenti deboli stimerei
<lb/>le vostre conclusioni appoggiate, le quali quasi
<lb/>quasi, per diruela in secreto, andaua forte dubitando, 
<lb/>non dessero qualche notabile storpio al discorso 
<lb/>del nostro autore. Ma nondimeno, solo
<lb/>perche all'arguire con potenti ragioni auete parlato, 
<lb/>mi voglio da per me stesso andare imaginando, 
<lb/>che voi in questo altresì più fondatamente
<lb/>discorrendo, attribuiate questi moti circolari per
<lb/>propri al Cielo Empireo, quantunque, come uogliono
<pb n= "29 verso"/>
<lb/>i Teologi, lo mantegniate stabile, e immobile.
<lb/> Impercchè, sì come non è attribuito per
<lb/>inconueniente à Aristotile, e Auerroe l'affermare, 
<lb/>che le stelle, non essendo in se stesse ne calde,
<lb/>ne fredde, riscaldino, e raffreddino, per una
<lb/>certa virtù, che è in lor cagionatiua del caldo, e
<lb/>del freddo, così non si dee giudicare assurdo, che
<lb/>essendo detto Cielo immobile, e fermo, possa 
<lb/>concedere altrui mouimenti anche contrari per
<lb/>vna cotal virtù atta à ciò fare, la qual sia
<lb/>in quello nascosamente inserita. Nè 
<lb/>oltre à questo manca ragione, per la quale anzi 
<lb/>che nò, paia necessario, che  per essere 
<lb/>egli immobile, mobilità debba ad altri apportare.
<lb/>R. Se vi pensasse hauer trouato il proprio padron del moto circolare,
<lb/>attribuendolo all'Empireo, per la sua eccellenza, di uero che gli
<lb/>hauereste fatto vn fauor singolare a dar’ vn [ius patronatus]
<lb/>cosi nobile, e conueneuole a quel corpo tanto perfetto. Ma, se
<lb/>non mostrate altro priuilegio più autorizzato, che il uostro, assicurateui 
<lb/>pur, che egli non sarà ammesso al beneficio da niuno.
<lb/>Padron del moto in atto e il corpo, che’l possiede, e quiui è formalmente, 
<lb/>e non nella causa, dice Aristotele. perche i mouimenti 
<lb/>seguitano la natura della forma del corpo in cui si trouano; 
<lb/>e perciò è proprio di essi cieli, che'l posseggono, e non accidentale 
<lb/>il circolar mouimento; cosi come il moto del flusso, e
<lb/>reflusso del mare è nello stesso mare, e non nella Luna, che lo cagiona. 
<lb/>Il pesce appellato torpedine, dicono i naturali, che intormentisce 
<lb/>la mano del pescatore, per certa virtù occulta, e nulladimeno 
<lb/>il pesce, e la canna con cui si pesca, non hanno cotale stupefazione 
<lb/>in loro. Ne solo vi è formalmente il moto circolar nell'Empireo; 
<lb/>ma ne anche virtualmente per consenso comune de'
<lb/>Teologi, e filosofi, i quali affermano quel Cielo influire stabilita, 
<lb/>e fermezza. Strabone, e Beda, che ne furono i primi ritrouatori, 
<lb/>ancora essi il fecero assolutamente immobile. Il Pico
<pb n= "30 recto"/>
<lb/>della Mirandola afferma, che due Ebrei, l'vno Abramo Ispano
<lb/>grandissimo Astrologo, e l'altro Isacche filosofo appellato, voleuano, 
<lb/>che ci fosse vn Cielo immobile sopra gli altri mobili, che
<lb/>è l'Empireo, e Aristotele, ò vero Teofrasto [In libris de Mundo, ait] 
<lb/>Deum in supremo cœlo habitare, quod
<lb/>est totum lucidum. E il Ciel, doue habita Dio, e i beati, 
<lb/>è immobile; e pur, secondo voi, dourebbe esser mobile in 
<lb/>atto per se, poi che gli altri son per accidente, del moto circolar 
<lb/>parlando: e cosi fareste girare i Beati nel Cielo. Ma Aristotele 
<lb/>dice pure; Si alicui inest vnius motus accidentaliter, 
<lb/>alteri inest naturaliter. 
<lb/>Non sono à proposito, adunque gli esempli, che adducete d'Auerroe, 
<lb/>e d'Aristotele, che le stelle, quantunque non siano calde 
<lb/>-
<lb/>ne fredde, adogni modo producano effetti di calore, e di frigidita: 
<lb/>imperò che virtualmente, e non formalmente sono queste 
<lb/>condizioni nel Cielo. Tal sentimento cauate voi da la dottrina
<lb/>de buoni autori, qual sangue le coppette degli stufaiuoli, cioè il
<lb/>fracido, e non buono, se ben la loro intenzion si consegue, ma 
<lb/>la uostra si persegue. Voi potreste vsurparui allegramente l'impresa 
<lb/>di quel franzese, in cui erano dipinte in campo bianco alcune 
<lb/>coppette; e’l motto DE MAL ME PAISTS, perche voi ancora 
<lb/>vi pascete l'intelletto di mala intelligenza delle dottrine.
<lb/>C. Conciosiache dica Artistotele. Quando vna cosa
<lb/>è questo, e questo, se vn di quelli si ritroua senza
<lb/>l'altro, l'altro ancora si ritroua senza quello.
<lb/>Ora ne’ corpi superiori, si ritroua il Mobile mouente, 
<lb/>che si può dire il primo Mobile, e l'ottauo
<lb/>Cielo con quei di mezo; si ritroua il Mobile non
<lb/>mouente, che sono le sette sfere de’ pianeti, adunque 
<lb/>si ritroua ancora il Mouente non mobile,
<lb/>che altro non diremo essere, che l'Empireo.
<lb/>R. La ragione, che voi appoggiate alla dottrina d'Aristotele per prouar, 
<lb/>che il moto virtualmente conuenga all'Empireo, è della medesima 
<lb/>bontà dell'altre. Impercioche, lasciando star, che habbiate
<pb n= "30 verso"/>
<lb/>ridotta la sua sentenza in vn Geroglifico, leuandone troppo gran
<lb/>pezzi à guisa di quel mal pratico scultore, che ridusse al maneggiar, 
<lb/>dello scarpello vn gigante in vn mortaio; Aristotele, vuole, 
<lb/>che trè cose siano al moto necessarie, cioè il mobile, il
<lb/>motore, e lo strumento: e tra di loro, afferma, non esser necessario, 
<lb/>che il mobile sia anche mouente, ma si bene lo strumento 
<lb/>debba muouere, e esser mosso; e il motore non esser necessario,
<lb/>che si muoua: e però non conchiude nulla per uoi atteso, che
<lb/>il mouente non mobile non potrà esser l'Empireo, douendo si fare 
<lb/>il moto fisico percontatto del motore col mobile; il qual
<lb/>moto non può cagionari da vn corpo nell'altro senza muouersi
<lb/>anch'egli. Onde fa mestiere, che il motore sia vn'agente incorporeo, 
<lb/>e uolontario a uoler, che sia immobile; e questi è l'Angelo, 
<lb/>o la sostanza separata , che dir vogliamo, come vuole anche
<lb/>Aristotele: e l'afferma col testimonio d'Anassagora, che vuol, che
<lb/>muoua, e sia lungi dal, moto, e da la mistione. Primus motor
<lb/>omnino est immobilis, Perche muoue per contactum
<lb/>virtutis, et imperium voluntatis dice S. Tommaso. 
<lb/>Hor se tutti gli interpreti cosi l'espongono, e massimamente S.Tommaso,
<lb/>che da quelli che sono stati famosissimi filosofi è stato cosi
<lb/>reputato, che fino il Pomponazio, per altro desideroso di impugnarlo,
<lb/>dice di lui. Opinio recitata D. Thomæ, omnium
<lb/>mea sententia maximi, imò fortassis non minoris
<lb/>aliquo Aristotelis expositore, siue sit grecus, siue
<lb/>Arabs, siue cuiuscunque sit, omnibus est præferenda. 
<lb/>Il Sueffano. Pace expositorum grecorum di
<lb/>xerim curiosior, aut vberior, aut quod rarum est
<lb/>clarior inuentus nemo D. Thoma. Il Zimara: Vbi
<lb/>est discordia in Philosophia inter Auerroem, et
<lb/>D. Thomam difficile est videre veritatem,
<lb/>Il Pico: Tacente Thoma mutus fit Aristoteles.
<lb/>Voi adunque intenderete Aristotele diuersamente da S. Tommaso, 
<lb/>e da tutti gli altri interpreti? Ma io vi dico vn'altra cosa di piu,
<lb/>che l'argomento, se si intendesse, come voi, saria sofistico, e imperfetto,
<pb n= "31 recto"/>
<lb/>conciòsiache, volendo argomentar dal mezo agli estremi,
<lb/>doueuate far l'argomento in maniera, che il mezo participasse
<lb/>di quegli. La onde, estremi saranno il mobile mouente, che è
<lb/>il primo mobile; e l'immobile non mouente, che è l'Empireo,
<lb/>per che son veramente estremi, hauendo opposizion di priuazione,
<lb/>e d'habito: il mezo verrà a essere il mobile non mouente per
<lb/>ciò che participa d'ambedue gli estremi, ma non gli comprende, si
<lb/>come il color verde, per esemplo, tien del bianco, e del nero suoi
<lb/>estremi, ma non è tutto bianco, ne tutto nero, per che altramente
<lb/>non sarebbe color di mezo, ne quegli colori estremi, che sono
<lb/>opposti priuatiui. Puossi argomentare anche in questa maniera,
<lb/>dal mezo a gli estremi. In natura si da vn corpo mobile secondo
<lb/>l'essere, e secondo il luogo, che son questi corpi inferiori; e dassi
<lb/>vn corpo mobile secondo il luogo, e non secondo l'essere, che
<lb/>sono i Cieli fuor l'Empireo; adunque è necessario dare vn corpo
<lb/>immobile secondo l'essere, e secondo il luogo, e questo sarà l'Empireo.
<lb/>Non hanno adunque i Cieli per proprio il moto retto,
<lb/>e per accidentale il circulare come afferma il Mauri. 
<lb/>C. Soggiugne il Colombo. Aggiugnesi, che auendo
<lb/>luogo il Cielo, ec. C. 5. V. 11: e i medesimi
<lb/>Filosofastri rispondono, che essendo’ l moto circolare
<lb/> proprio solo all'Empireo, e per ciò essendo
<lb/>egli solo inalterabile, e perpetuo, soggiacendo
<lb/>l'altre sfere alla corruttibilità, le sfere celesti
<lb/>non altrimenti anno luogo sopra tutti gli elementi
<lb/>per essere ancora esse elementi, quantunque 
<lb/>più purificati, e semplici; ma sì bene che l'Empireo
<lb/> sottentrando nel luogo de’ Cieli, cioè 
<lb/>essendo date all'Empireo le qualità, e preminenze
<lb/>attribuite da Aristotile, e gli altri alle Sfere
<lb/>superiori, egli solo hà luogo sopra tutti gli 
<lb/>Elementi, e perciò, come argomenta il Sig. 
<lb/>Colombo, la sua natura è di gran lunga diuersa
<lb/>da quella. 
<pb n= "31 verso"/>
<lb/>R. I filosofastri direi, che fossero somiglianti allo Struzzo, che
<lb/>ha sembiante d'animal volatile, ma non vola altramente. Cosi
<lb/>essi paion filosofi, ma veramente non sono altro, che filologi,
<lb/>che uale il medesimo, che sofisti, dice Seneca, ambiziosi, e inganneuoli; 
<lb/>e perciò non rispondono cosa, che vera sia, come per cento
<lb/>maniere si è prouato. 
<lb/>C. Ma io, se volessi interporre l'opinion mia in
<lb/>cose di Filosofia, ò di Loica.
<lb/>R. Fate à mio senno, e farete bene; tacete, come hauete fatto nell'astrolegia
<lb/>giudiciaria, che pure è la vostra scienza particulare. Non
<lb/>vorrete esser modesto in quelle scienze, di cui non possedete 
<lb/>- straccio? 
<lb/>C. Direi quì assolutamente, che molto debole fosse 
<lb/>questa maniera di arguire . I Cieli sono
<lb/>sopra gli elementi, adunque se questi corruttibili, 
<lb/>quegli incorruttibili, per dimostrare la corruttibilità, 
<lb/>ò incorruttibilità de’ Cieli. Imperciocche 
<lb/>il fuoco ancora , secondo Aristotele è
<lb/>posto sopra gli altri elementi, e di più è chiaro,
<lb/>che e da quegli diuersissimo di natura, e con
<lb/>tutto ciò non ne segue che quello sia inalterabile,
<lb/>e questi alterabili, e corruttibili.
<lb/>- R. Auuertite, che Aristotile non la uende per sicura, ma per ragioneuole 
<lb/>molto. Se bene voi, che non hauete Loica lo accettate 
<lb/>per argomento dimostratiuo, e assoluto; ma, sè spendeste 
<lb/>la moneta del nostro conio, e non la falsaste, non verrebbono 
<lb/>in campo i vostri difetti. 
<lb/>Non è egli ragioneuole molto, che a quel corpo, che è causa vniuersale 
<lb/>col suo moto, lume, e influsso di tutti i mouimenti, e operazioni 
<lb/>naturali, come primo agente, inuariabile, viniforme, e
<lb/>di qualità peregrine incapace; si dia vn luogo eccellente, proporzionato 
<lb/>non solamente alla dignità della natura del locato, ma
<lb/>eziandio alla virtù, e operazion di quello? Sì, Il Cielo adunque è
<lb/>tale; e come si è dimostrato efficacissimamente essere incorruttibile 
<lb/>quanto a sè, dee tale stimarsi ancora quanto al luogo, e diuerso
<pb n= "32 recto"/>  
<lb/>di natura dagli elementi. Onde lo stesso Aristotele nel 12. della 
<lb/>Metafisica c. 8. t. 44 dice, che l'ordine dell'intelligenze è secondo 
<lb/>l'ordine de'moti: ma l'intelligenze son distinte di spezie;
<lb/>ad unque i moti ancora, e i corpi per conseguenza saranno tali.
<lb/>e per ciò non si dee dal buon filosofo negare, che quanto più alto, 
<lb/>e locato vn corpo non habbia ancora l'esser suo tanto più
<lb/>nobile: così afferma anche San Tommaso nel luogo detto. È se
<lb/>bene è vero, che tra gli elementi l'uno auanza l'altro di luogo, e
<lb/>di purità, ma non già trà di loro è distinzion di natura, quanto alla 
<lb/>corruttibilità; nulla dimeno è da considerare, che non è si proprio 
<lb/>a ciascuno elemento il suo luogo, che almeno secondo le
<lb/>parti di qualunque di essi non siano ancora comuni tutti i luoghi
<lb/>a tutti gli elementi, ben che per accidente: cosa che del Cielo adiuenir 
<lb/>non può per niuna maniera. E che non possa ciò accader
<lb/>fra gli elementi, e'l Cielo, si argomenta ancora dal veder, che muouendosi 
<lb/>così regolatamente quel corpo, è necessario dir, che sodo, 
<lb/>e impenetrabile sia in guisa, che corpo men nobile, e alieno
<lb/>giugnere, e penetrar non vi possa. Anzi che la nobiltà, e sublimità
<lb/>del luogo è tale, che, se il cielo fosse penetrabile, l'elemento del fuoco 
<lb/>nonvi ascenderebbe, per non esser proprio suo luogo, erepugnanza 
<lb/>farebbe à se stesso, come la pietra a salire in aria. Oltre a ciò sè 
<lb/>si danno i corpi, che hanno contrario è necessario dare vn corpo, 
<lb/>che non habbia contrario come più nobile. Ma i corpi contrari 
<lb/>hanno luoghi distinti atti per riceuerli; adunque il corpo, 
<lb/>che non ha contrario haurà luogo separato, e tanto più nobile del -
<lb/>luogo di quegli, che in capaci di ascenderui saranno, per che fra il
<lb/>luogo, e il locato sia proporzione. E posto il Cielo per tanto, 
<lb/>essendo incorruttibile, in più conueneuole, e sublime luogo, che 
<lb/>gli elementi non sono, per che possa comprendere, e abbracciar 
<lb/>come causa vniuersale tutte l'altre cause naturali de corpi inferiori. 
<lb/>ne poteua meglio locarlo, ne più proporzionatamente 
<lb/>la natura, che per ciò lo fece sferico, e grandissimo oltre à tutti i 
<lb/>corpi; acciò che validamente diffondesse in ogni cosa la virtù sua. 
<lb/>Hora guidicate da per voi stesso, se il vostro parere contrapponendosi 
<lb/>a quel d'Astristotele, e della comune in tutta questa opera vi 
<lb/>fa annouerar tra coloro , che per molto souente errare in fifosofia, 
<lb/>habitan sotto il palco dell'errore in Teologia. Aristotele 
<lb/>ancora in molti luoghi dice quanto sia male partirsi dalla comun 
<lb/>sentenza. -
<lb/>Discorso. Ma in particolare, perche alcuni di natura di fuoco stimato 
<lb/>hanno le celesti sfere, chiaramente si vede, non mai douersi cotali 
<lb/>condizioni ascriuere a quei globi superni. Conciosia che, sè di tanta 
<lb/>attiuità è il fuoco a cui nulla resiste per l'ingordigia, e voracita 
<pb n= "32 verso"/>  
<lb/>sua, haurebbono quegli tutto questo mondo sullunare consumato 
<lb/>in breuissimo tempo. E nulladimeno l'esperienza per tanti secoli 
<lb/>trascorsi il contrario ne dimostra. E a dirne il vero a cui
<lb/>non è egli palese, che, se il Cielo dell'elemento igneo, e di qualunque 
<lb/>altro resultasse, egli haurebbe contro la natura de’ semplici
<lb/>corpi due contrari mouimenti al natiuo moto suo? Diciam per
<lb/>esemplo del fuoco al mouimento delquale, perche è retto, ad alto 
<lb/>tendendo, contrari sariano il circulare, che in esso Cielo si ritrouerebbe, 
<lb/>e'l moto al centro discendente delle graui cose.
<lb/>E cosi la natura de’ corpi semplici, non potendo hauer più d'vn 
<lb/>moto naturale, ne più d'un contrario quegli, che nuoue forme
<lb/>riceuono; necessariamente ne seguiterebbe, che il Cielo non con
<lb/>lungo tempo, ma incontanente si fosse distrutto, e annullato.
<lb/>Considerazione ottaua. Vn certo Lorenzini
<lb/>da Montepulciano:
<lb/>Risposta. Queste maniere sprezzanti di parlare non merita il Sig. Lorenzini:
<lb/> e chi non rende altrui i douuti honori non fa honore
<lb/>à se stesso.
<lb/>C. Scriuendo soura cotale stella, si è ingegnato anch'egli
<lb/> di dare ad intendere, che le celesti sfere
<lb/>non sieno altrimenti di fuoco. Onde il nostro
<lb/>autore, per non essere da manco di lui, in competenza, 
<lb/>per proua dello stesso, oltre à una sua
<lb/>ragione di certe imbrogliate contrarietà, ne adduce 
<lb/>vn'altra dell'ingordigia , e voracità del
<lb/>fuoco, della quale, forse per parergli molto gagliarda, 
<lb/>non ha voluto, imitando il detto Lorenzini 
<lb/>defraudare il suo trattato. Ma dura alcuno, 
<lb/>se tale argomento era stato già annullato
<lb/>per lo discorso di Cecco di Ronchitti, non doueua
<lb/>il S. Colombo, ò replicando fortificarlo, ò per non
<lb/>allungare à sproposito i suoi ragionamenti, lasciarlo
<lb/> libero al sito inuentore? Certamente che
<pb n= "33 recto"/>  
<lb/>sì: anzi io aggiungo di più, che non auendo egli
<lb/>per le mani altre ragioni, che le due apportate, 
<lb/>doueua col tacer del tutto tralasciar si fatta
<lb/>questione, poiche l’altro suo argomento ancora è
<lb/>fallace, e non proua. Imperocche essendo falsissimo, 
<lb/>che al moto circolare, come dice Aristotile,
<lb/>si ritroui contrario alcuno, e chiaro, che il fuoco,
<lb/>essendo i cieli di fuoco, non aurebbe contro la
<lb/>natura de’ corpi semplici al suo proprio moto due moti contrari, posciache il circolare non gli sarebbe
<lb/> giammai contrario. 
<lb/>R. Sig. Lorenzini stiamo lesti, che questo, Antropofago si vuol manicare,
<lb/>non solamente vn Colombo, ma che è peggio, voi, Aristotile
<lb/>con tutti i leguaci suoi, e buona parte degli altri letterati. Gli 
<lb/>Antropofagi, referisce il Ramus, che, perche mangiano carne 
<lb/>humana, nell’Isola Estotilanda usciti fuora si mangiarono alcuni 
<lb/>nauiganti, e voleuan far del resto, se non che, vedendo alcune
<lb/>reti con il quali pescauano, spauentati da tal cosa non mai più da
<lb/>lor ueduta, si misero subitamente in fuga. Lasciamlo pur venir 
<lb/>via, imperocche, se quei pescatori auanzati al macello di quegli
<lb/>animalacci gli cacciarono, per lo spauento delle reti da pesci, che
<lb/>mostraron loro, in rotta; pensate quel che auuenirà a questo, che e solo,
<lb/>quando vedra l'artificio a rete composta de’ tenaci nodi delle 
<lb/>conclusioni Aristoteliche, con cui si fa preda degli huomini senza 
<lb/>speranza di poterne mai scappare. bisognera ben rimanerui 
<lb/>colto.  Io uorrei Mauri, che mi diceste qual sarebbe reputato,
<lb/>che volesie dare ad intendere , che le lucciole fossero lanterne; ò
<lb/>voi con voler persuadere insieme con quei filosofastri, che il Cielo
<lb/>sia di fuoco senza ragione addurne, che da mentouar fia; ò il
<lb/>prouar con le ragioni efficacissime accompagnate dall’autorita
<lb/>d'Aristotele, e di tutti a buon filosofanti, e Teologi, e con l'esperienza 
<lb/>stessa, che egli sia vna quinta essenza diuersa di natuta da
<lb/>qualunque di questi elementi? Oh fermate; uolete voi dar contro
<lb/>al vostro intendentissimo nocchiero Cecco di Ronchitti? In
<lb/>somma a uoi aggrada attaccarla con l'amico, e col nimico, ditela;
<lb/>ditela, credete voi come io, che egli sappia più tosto guidare
<pb n= "33 verso"/>  
<lb/>il timon del carro, che quel delle naui? Si vede ben che voi non
<lb/>hauete giurato in verba magistri, come dite, che hò giurato io.
<lb/>Cecco garbatamente risponde [io non dico cosi] a quell'altro
<lb/>villano, da cui è domandato, se crede, che il Ciel sia di fuoco;
<lb/>poi che, secondo il creder suo, e uostro, hebbe annullato l'argomento 
<lb/>del Lorenzini. Riproua egli l'argomento in questa maniera. 
<lb/>Vna fauilla di fuoco e bastante per accender vn pagliaio,
<lb/>e poi abbrucerebbe anche quanto legname si troua. Ma quante
<lb/>fornaci sono al Mondo non potrebbono abbruciar vn Zecchin
<lb/>d'oro, perche l'oro non si può abbruciare; e cosi se gli altri elementi 
<lb/>potessero abbruciare, ogni poco di fuoco basterebbe per
<lb/>far l'effetto. Voi di vero vi siete ricourato sotto vn cattiuo gabbano 
<lb/>per fuggir dà tempesta sì rouuinosa dell'Aristoteliche percosse, 
<lb/>Signora Maschera. non vedete, che il mantel di Cecco
<lb/>non ha straccio, che buon sia, per difender lui solo, non che poteruene 
<lb/>seruire ancor voi? Non è il suo mantel da ogni acqua,
<lb/>se già non seruisse per giacchio da pescare. Parui peroche Cecco
<lb/>habbia risposto a bastanza al Lorenzini, e prouato, che gli elementi 
<lb/>non siano materia conueneuole, e atta al fuoco? Non è
<lb/>cosa, che sia esca del fuoco, che non sia composta degli elementi; 
<lb/>e l'aria stessa si trasmuta nel fuoco; ne starebbe acceso in legne,
<lb/>ò un altro, sè non ui fosse la parte humida, e aerea, come si vede
<lb/>nella cenere, che sendo abbrucciato l'humido, non arde più.
<lb/>L'oro, le gemme infino, si alterano, e consumano, mediante 
<lb/>il fuoco, se ben assai meno, e con maggior fuoco, più tempo,
<lb/>e con mescolanza d'altre materie: perciòche doue è la contrarietà, 
<lb/>finalmente vi è la corruttibilità. Et nulla res potest
<lb/>diu conseruari in igne, Dice San Tommaso. 
<lb/>Testimonio, ne facciano gli Alchimisti delle cui mani, l oro posto
<lb/>nel fuoco, se ne va in fumo, più che non fanno le legne verdi.
<lb/>Ma che il Cielo non sia di fuoco, oltre a quel che s'è detto, aggiugne 
<lb/>San Bonauentura, che, sè quel corpo fosse di natura ignea
<lb/>infiammerebbe tutti i corpi sottoposti, e con la sua grandissima attiuita, 
<lb/>e quantità subito inghiottirebbe tutta l'aria. E perciò Hereodoto,
<lb/>dell’ elemento del fuoco, disse. Ignem belluam 
<lb/>avidissimam inexplebilemque esse.
<lb/> O pensate, se fosse di fuoco il corpo celeste; in vn batter d'occhio, 
<lb/>come fosse arida stoppia ridurrebbe ogni cosa in cenere.
<lb/>E dice lo stesso Santo, che non sarebbe ragion buona, il dir,
<lb/>che il Mondo non abbrucia, perche cosi ha disposto l'autor
<pb n= "34 recto"/>  
<lb/>della natura, perche, se cosi fosse, il Mondo sussisterebbe miracolosemente, 
<lb/>e non naturalmente. Et miracula non 
<lb/>debent admitti in prima rerum conditione,
<lb/>quoniam hæc ponuntur ad confirmationem fidei, 
<lb/>Dice il Bannes, con tutta la scuola. Se volete dir, come stà 
<lb/>il fatto, l'argomento della voracità del fuoco è riuscito più efficace,
<lb/>che non vi pensauate, ne direste hora, che bisognasse rinforzar
<lb/>l'argomentazioni. Ecco, che non il Colombo, ma il Mauri allunga, 
<lb/>e da occasion d'allungare il ragionamento a sproposito, seruendosi 
<lb/>delle ragion di Cecco, senza aggiungerui nulla di suo, ò dire cosa,
<lb/>che buona sia; credendosi, che, il citare, e lodar questo suo villano 
<lb/>interessato, basti per rimaner vincitor della guerra. Si conosce
<lb/>ben, che chi loda per interesso vorrebbe esser fratel del lodato. 
<lb/>In questo proposito, vn fauorito di Vespesiano, il pregò, a
<lb/>fare vna grazia, dicendo, che il raccomandato era suo fratello.
<lb/>L'Imperadore sapendo ciò esser falso, e scorta la malizia, lasciò 
<lb/>per allora in dubbio la resoluzione. Chiamato poscia il finto
<lb/>fratello, gli cassò delle mani quella somma di danari, che dar voleua 
<lb/>in premio all'amico, e gli fè la gratia. Di nuouo comparì
<lb/>il fauorito, e raddoppio le raccomandazioni, a cui Vespesiano rispose, 
<lb/>procacciati pur d'vn'altro fratello, perche quel, che tu stimaui 
<lb/>tuo, hauendo pagato mè, è stato fratel mio. Cecco vostro
<lb/>lodato è stato per questa fiata nostro fratello, non hauendo pagato
<lb/>voi della lode, ma noi per che ha detto, che il Cielo non è di fuoco. 
<lb/>sì che prouedeteui d'altro fratello a vostra posta perche non
<lb/>vuol dir come voi. Mauri da quì innanzi, quando hauete voglia
<lb/>di bere, corretea i fonti, e non a’ ruscelli, e a le pozzanghere;
<lb/>per chè, oltre che mai non vi trarrete la sete, sempre gusterete
<lb/>acqua torbida. Sapete voi quanto sono imbrogliate quelle contrarietà; 
<lb/>appunto quanto elle paiono al vostro ceruello, che, non -
<lb/>le capendo, non le sà sbrogliare, per esser d'Aristotele; e perciò
<lb/>da galant’huomo, hauete fatto capital dell'argomento del fuoco; 
<lb/>che si sente più che non s'intende. Aristotele, accioch'io
<lb/>vi smaltisca meglio cotali contrarietà, quando afferma il moto
<lb/>circolar non hauer contrario, vuol dir, che il corpo celeste non 
<lb/>può esser capace di moto contrario, ciò è diretto concosiacosa
<lb/>che vn corpo semplice non possa hauer più d'vn moto proprio, e
<lb/>naturale. Onde il Cielo, hauendo per proprio moto il circolare,
<lb/>impossibile è, che nel cielo vi sia anche il retto. Se il Cielo adunque
<lb/>fosse di fuoco, come dite voi, quel corpo haurebbe due mouimenti
<lb/>propri, e cosi sarebbon contrari; atteso che il medesimo corpo semplice,
<pb n= "34 verso"/>  
<lb/>se hauesse due moti, l'vno repugnerebbe all'altro. E perciò
<lb/>resterebbe di muouersi, se i moti fossero di vguali forze; e se l'uno
<lb/>superasse l'altro, il superato resterebbe mobile in potenza: onde,
<lb/>mai non potendo ridursi all'atto, vana sarebbe, e in vtile cotal 
<lb/>potestà. Anzi che, per esser nello stesso corpo, sarebbon maggiormente 
<lb/>contrari, che se fossero in diuersi, come negli elementi, 
<lb/>perche repugna, che il medesimo corpo si muoua di proprio
<lb/>moto rettamente, e circularmente. Ma che il circolare sia proprio 
<lb/>del Cielo si è prouato a pieno. Oltre acciò, se non è quel corpo
<lb/>graue, ne leggieri; come dicono tutti i filosofanti, come potrà egli
<lb/>mai hauer moto retto ? Benissimo adunque dice Aristotele.
<lb/>Quare si ignis sit id quod versatur, vt quidam
<lb/>inquiunt, non minus hæc motio præter naturam
<lb/> est ipsi, quam ea, qui infera loca petuntur. 
<lb/>Vero è per tanto, che se il Cielo fosse di fuoco, o di qualunque altro
<lb/>Elemento, a cui è proprio, e naturale il moto retto, che quel
<lb/>corpo haurebbe due contrari mouimenti. Ma questo è impossibile, 
<lb/>impossibile è ancora, che la celeste machida sia di fuoco, o
<lb/>della natura elementale. Ricordatemi, che sopra dicemmo, le
<lb/>parole [preter naturam] in suo proprio, e vero significato non
<lb/>importare il medesimo, che [contra naturam] ma sopra natura;
<lb/>se non doue il concetto ne costringe a riceuerla per tale come potete 
<lb/>conoscer, che adiuuiene in questo luogo. Imperciòche, sè non
<lb/>importasse contrarietà, nulla haurebbe conchiuso Aristotele, con
<lb/>ciosiache suo intento è di ponderate in questo luogo, solo i semplici
<lb/> mouimenti, che altri non possono esser, che i naturali; o contrari 
<lb/>alla natura e perciò disse Non minus ipsi præter
<lb/>naturam iste motus est, quam qui deorsum.
<lb/>Così interpreta Auerroe nel medesimo luogo. San Tommaso; 
<lb/>e il Zabarella. E lo stesso Aristotele nel secondo del Cielo
<lb/>dice; Nullum præter naturam esse perpetuum.
<lb/>Nel qual luogo Auerroe interpreta contra natura e violento. 
<lb/>Hora per questa notizia, che hauete di più, credo, che muterete
<lb/>concetto di mè, affermando, e hauer meritato cotanto di lode
<lb/>a non defraudar, non dirò il Lorenzini, ma Aristotele imitandolo; 
<lb/>quanto doureste esser degno voi di biasimo a non hauer defraudato 
<lb/>Cecco. Hauete ormai inteso, crederò io, che il Cielo,
<lb/>come che non habbia contrarietà di termini nel moto circolare,
<lb/>da i quali nascono ancora i moti contrari; ad ogni modo, se  il
<pb n= "35 recto"/>  
<lb/>Cielo fosse di fuoco haurebbe due contrari mouimenti nel modo, 
<lb/>che si è detto. Doue sono le mie fallacie adesso? Nel fallace
<lb/>giudicio di chi mi giudica. 
<lb/>C. Dico in oltre, che, se il fuoco, per muouersi 
<lb/>circolarmente, auesse al suo moto due moti contrari, 
<lb/>ò almeno, se l'auere due moti contrari fosse
<lb/>semplicemente assurdo, Aristotele, ilqual diede
<lb/>al fuoco, e à una parte dell'aria il mouimento
<lb/>circolare, per potere quindi affermare, che le comete
<lb/>si generano, e ritrouano nella regione elementale,
<lb/> aurebbe senza fallo dato in grande, e
<lb/>pericoloso scoglio. 
<lb/>Ne si replichi, che per essere improprio all'elemento
<lb/>igneo il moto circolare, attribuitogli da Aristotile,
<lb/> inconueniente alcuno non è, che auendone 
<lb/>solo un proprio, ne abbia ancora vn'altro
<lb/>accidentale. Imperocche il medesimo appunto
<lb/>ne seguita, se faccendo il Cielo di fuoco, glie ne
<lb/>assegneremo un per accidentale, e l'altro per proprio
<lb/>contrario al suo mouimento.
<lb/>Per laqual cosa io vengo à conchiudere con vostra
<lb/> licenza, Sig. Solombo, che questi filosofastri, 
<lb/>ò qual si voglia altro, se per auuentura
<lb/>piacesse loro lo stimare, che i Cieli fossero generati 
<lb/>di fuoco, per essere annullati i silogismi
<lb/>da voi, come fondamenti principali, per la
<lb/>contraria parte addotti, non sarebbero fuor
<pb n= "35 verso"/>  
<lb/>de' termini, ne da biasimare cosi alla libera,
<lb/>come vi pensauate. 
<lb/>Risposta. Se voi come cortese degli studiosi l'additauate ancora a
<lb/>Aristotele, di uero, che egli non vi inciampaua dentro. E che
<lb/>vi pensate, che egli sia smemorato come voi, che a ogni piè sospinto 
<lb/>vi contraddite? State a veder Signori lettori, che costui
<lb/>vorrà passare innanzi ad Aristotele? Il Gambero anch'egli entrato 
<lb/>in frenesia ardi sfidare al corso la Volpe; e per farla doppia di
<lb/>figure, le diede vantaggio il principio del corso stabilito. Hora,
<lb/>e conoscendo la sua pazzia, la necessità il fece accorto, e cosi pian
<lb/>piano s'appiccò, fra tanto, che ella si mosse, alla coda di essa.
<lb/>Giunta, che fù al segno presisso, voltandosi adietro, per veder
<lb/>doue era il Gambero; egli subito, lasciata la coda rimase doue la
<lb/>Volpe hauea il capo, e appari, che le fosse innanzi, ben che egli
<lb/>ingannata l'hauesse. Ma voi a che v'attaccherete per dare a credere
<lb/>questa vanità a niuno? Forse che non haureste voluto, per
<lb/>non allungare il ragionamento, ch'io hauessi lasciato queste ragioni, 
<lb/>come di niun momento fossero. Voi non sapete; che le
<lb/>ragioni d'Aristotele son la mazza d'Ercole contro cui la vuol seco?
<lb/>Anzi che si come una fiaccola accesa dauanti a gli occhi del
<lb/>Leone il rende placido, e vinto, dicono i naturali; così il lume
<lb/>dell'Aristotelica dottrina vince gli humani intelletti. Ma elle
<lb/>non faceuan per voi è? Perche egli habbia detto, che l'elemento
<lb/>del fuoco, e l'aria habbiano per accidente moto circulare cagionato 
<lb/>dal rapido mouimento del Cielo, questo non è contro il suo
<lb/>intendimento; perche, il moto circulare a gli elementi, basta, che
<lb/>non sia proprio, e intrinseco. Anzi, che per cagion di tal moto
<lb/>egli addiuien che l'elemento del fuoco si conserua quiui, nel concauo 
<lb/>della Luna come in suo proprio luogo. Onde non segue
<lb/>però, che, se fosse proprio al Cielo il moto del fuoco, e il moto
<lb/>circulare, non fossero contrari a quel corpo, sendo impossibile,
<lb/>che, habbia due monimenti naturali, vn semplice corpo. Se poi
<lb/>volete co' vostri filosofastri dire a dispetto della filosofia, che il
<lb/>Cielo sia generato di fuoco, trouate chi vel creda. E qual filosofo, 
<lb/>e di ceruel così sgangherato, che non affermi la generazion 
<lb/>delle cose resultar della mistion degli elementi, e che
<lb/>quel che è composto di essi non può esser senza contrari, supponendo 
<lb/>la generazione il subbietto, e i contrari i quali non possono 
<lb/>in vn semplice corpo ritrouarsi? Onde, per che vna cosa
<lb/>non può resultar d'vn solo elemento, si disputa tra i filosofi, se
<lb/>vn'animale, ciò è la Salamandra di fuoco, il Camaleonte d’aria.
<pb n= "36 recto"/>  
<lb/>La Cicala di  rugiada sola nutrirsi possano. Atteso che Ex his
<lb/>nutrimur, ex quibus sumus. E per ciò vogliono,
<lb/>che ci sia necessaria la mistion degli elementi per far la nutrizione,
<lb/>quantunque in qualungue elemento si ritroui alquanto di mistione, perche
<lb/>Non reperitur elementum purum.
<lb/>Hor pensate voi se il Cielo lodo, e impenetrabile sara generato
<lb/>d’ vn solo elemento, e del più tenue, come e il fuoco.
<lb/>Discorso. Non soggiace il Mondo superiore alla corruzione, come
<lb/>l'inferior Mondo fa, attesoche non è la materia comune in fra di
<lb/>loro. E che ciò sia vero la materia degli elementi, nuove forme di
<lb/>continuo mutando, la priuazione, e'l desiderio di quelle hauer ne 
<lb/>dimostra, donde la corruttibilità si cagiona. Ma la celeste materia, 
<lb/>che della primiera forma s'appaga solamente, non è alterabile 
<lb/>in veruna guisa, ne eziandio si potrà per tanto della materia 
<lb/>degli inferiori corpi stimare. -
<lb/>Considerazione nona. Per quello, che si è prouato
<lb/>nella Considerazione quinta, e settima, e si
<lb/>prouerà nella 10. &amp; nella 34. si nega, che la materia ce’este sia incorruttibile, apportandosi
<lb/>nella Considerazion sesta, la ragione perche 
<lb/>paia, che ella della primiera forma 
<lb/>s’appaghi.
<lb/>Risposta. Perche i è ampliamente risposto, e siamo per rispondere
<lb/>a qualunque obiezione di ciascuno de'mentouati luoghi, e si sono
<lb/>di nuouo rinforzate le ragioni spettanti a dimostrar perche si
<lb/>quieti la materia celeste sotto vna forma sola senza più appetirne, 
<lb/>si risolue, che è verissimo, e non pare altramente, che il Cielo 
<lb/>non soggiaccia alla mutazion delle forme, se non se in quanto
<lb/>paresse a voi, che siete come gli infermi di torto sentimento, perche 
<lb/>egli veramente non vi soggiace, Di vero, che se bene il tratenersi 
<lb/>tanto senza frutto, in queste proue cosi vane, e graue fallo, 
<lb/>io vi scuso, perche mi penso, che vogliate imitare Alcibiade
<lb/>Ateniese, che tagliò tutta la coda a vn cane, che hauea di prezzo,
<lb/>e lasciollo andare, per dar materia piccola da dir di sè, acciò che
<lb/>si tacessero le cose di momento. 
<lb/>Discorso Nasce la corruzione, e la varietà delle forme della contrarietà
<lb/> de’ moumenti, principi d'ogni contrario, come non quelli de’
<pb n= "36 verso"/>  
<lb/>corpi sullunari l'vn verso il centro, e l'altro verso il Cielo. Hora 
<lb/>non hauendo il Cielo contrario moto, sendo, che circularmente, 
<lb/>continuo, vniforme, e inuariabile sia il suo riuolgimento,
<lb/>quindi è, che necessariamente dir si dee inalterabile il Cielo, e di
<lb/>generazione incapace, e che, non rendo comune la materia sua
<lb/>con la materia elementare, alle tante passioni, che dalle forme
<lb/>di quella resultanno, non soggiacere in niuna maniera il Cielo. E
<lb/>perciò non è egli caldo , freddo, humido, secco, ne di spessazione,
<lb/>rarefazione, grauita leggerezza arredato, ne di ruuido morbido, 
<lb/>e altre simili qualità.
<lb/>Ma con tutto, che ciò verissimo sia, noi pur veggiamo, che nuoue
<lb/>stelle apparite nel Cielo in diuersi tempi sono; come adunque
<lb/>stà il fatto. 
<lb/>Prouano gli Astrologi primieramente, che tali apparizioni nello
<lb/>stellato, ò in quel torno vedute si sono, perche scintillavano; proprietà 
<lb/>che è dell'ultime, e supreme stelle, cagionata dalla gran
<lb/>lontananza, nella quale si vanno perdendo, e suaniscono quelle
<lb/>spezie, ben che luminose:  onde l'occhio nostro si rende astaticato
<lb/>a riceuerle, e cosi titubando par che scintillino. 
<lb/>Considerazione decima. Si è dimostrato nella
<lb/>Considerazion settima, che i Cieli anno moti
<lb/>contrari, anzi i medesimi de’ corpi sullunari.
<lb/>il perche, se i mouimenti, e la materia, come si
<lb/>dice nel medesimo luogo, sono gli stessi tanto à
<lb/>corpi superiori, quanto à gl’inferiori, le qualiità, 
<lb/>le quali dal nostro Autore sono attribuite a
<lb/>questi, a quelli ancora in niun modo si douranno
<lb/>negare, e perciò caldi, freddi, vmidi, secchi,
<lb/>leggieri, e graui saranno i Cieli: anzi di più si
<lb/>proua, che e’ sieno condensabili, e rarefattibili,
<lb/>argomentando in cotal guisa.
<lb/>Risposta. Non ha dubbio, che in quanto al creder vostro, non ci 
<lb/>occorreuano più dimostrazioni, anzi meno di quelle, che hauete
<lb/>fatte, per istabilire i cieli hauer contrari mouimenti: ma quanto
<lb/>alle ragioni in soddisfacimento d'altrui, hauete più tosto persuaso
<lb/>a credere il contrario cui era dalla vostra, che indebolito, ò
<pb n= "37 recto"/>  
<lb/>adombrato gli argomenti d'Aristotile. E, se in ciò meritate lode 
<lb/>veruna, è l'hauer fatto con le false dottrine da voi poste in
<lb/>campo, maggiormente risplender la verità. Almanco haueste
<lb/>voi preso alcune argomentazioni, che hauessero dell'apparente,
<lb/>e a  prima fronte ingannassero l'intelletto con l'artificio loro, come 
<lb/>fece quell'Alchimista, che, sendo menato per ingannatore dauanti 
<lb/>a l'Imperadore Anastasio, cauò fuora vn bellissimo freno
<lb/>da caualli d'oro massiccio, tutto contesto di ricchissime gemme; e'l
<lb/>donò all'Imperadore per menar per lo naso ancor lui co’ suoi inganni, 
<lb/>percioche era finto, e non reale quel freno. Onde l'Imperadore 
<lb/>accorto il prese, dicendo, se tù hai gabbati tutti gli altri,
<lb/>mè, non gabbera'tù; e'l fè cacciar in prigione, ne mai più si riuide. 
<lb/>Ma voi certamente non gabbarete se non voi medesimo
<lb/>co' vostri sofismi, perche sono scoperti d'ogni artificio. Voi
<lb/>pur l'hauete con le contrarie qualità, e non vi bastano, che eziandio 
<lb/>fino dall'armonia celeste vi pensate prouar corruttibile il Cielo, 
<lb/>ne vergogna niuna vi ritrae da cosi fiacche, e melense argomentazioni? 
<lb/>Ma perche si è risposto di sopra, e conchiuso’l
<lb/>contrario, basterà dir solamente, che Aristotele dice;
<lb/>Corpus igitur id, quod versatur, impossibile
<lb/>est grauitatem, aut leuitatem habere. 
<lb/>Voglio prouarlo ancora con le ragioni, se ben non dourei, posciache 
<lb/>non hauete atterrato, ne argomentato niente, circa le 
<lb/>dimostrazioni d'Aristotele, come, sè egli mai non n'hauesse
<lb/>fauellato. Pure, perche m'hauete fatto conoscer fino al Mauro, 
<lb/>non voglio, che mi vinciate di cortesia. Diciamo adunque,
<lb/>il Cielo non hauer cotali condizioni, perche non si muoue al 
<lb/>centro, ne ascende più sù di doue egli si ritroua, come fanno i
<lb/>corpi, che leggieri, ò graui sono. Oltre acciò, questi mouimenti 
<lb/>retti, ò conuengono per natura al corpo celeste, ò contra natura. 
<lb/>Non nel primo modo; perche è corpo semplice, à cui vn
<lb/>semplice moto conuiene eziandio, che è il circulare. Non nel
<lb/>secondo modo; atteso che de’ mouimenti retti, sè l'vno gli conuenisse 
<lb/>contra natura, l'altro di necessita gli conuerebbe per natura, 
<lb/>contro quello che si è conchiuso: onde non è graue, ne leue
<lb/>quel corpo altramente. La medesima conseguenza si dee far
<lb/>delle parti ancora; essendo che la stessa ragione habbiano le parti, 
<lb/>che il tutto; sì che, se fosse possibile separare vna parte di Cielo, 
<lb/>quella da niuna parte haurebbe inchinazione al moto, non 
<lb/>sendo ne graue, ne leggiera. La sua figura rotonda è argomento
<lb/>ancora, che solamente habbia attitudine al moto circolare,
<lb/>che non inchina più à vna parte, che a vna'altra; perche, sè appetisse
<pb n= "37 verso"/>  
<lb/>qualche particolar luogo, non andrebbe regolatamente, e
<lb/>vniforme; ma hor più veloce, e hor più tardo. finalmente io
<lb/>dico, per conchiudere in poche parole, che il corpo celeste con
<lb/>le sue stelle è vna sostanza soda senza craffizzie, di forma lucida, 
<lb/>d'atto mobile, di figura rotonda, di superficie piana, di natura 
<lb/>purissima, di materia senza potenza, di luogo altissimo,
<lb/>di moto velocissimo, di quantita grandissimo, di virtù efficacissimo, 
<lb/>di mouimento immobile, di rarita non densabile, di densita 
<lb/>non rarefattibile, d'opacità non tenebrosa, di mole non graue, 
<lb/>non leggiero, non ruuido, non morbido, di resistenza non
<lb/>tangibile, densissimo senza oscurita, diafano senza pori, di potesta, 
<lb/>che riscalda, raffredda, inhumidisce, e disecca; senza, che habbia 
<lb/>siccità, freddezza, humidita, caldezza; e in somma è vna quinta 
<lb/>essenza tutta diversa da’ corpi elementali. 
<lb/>C. Se, come tien Prisciano Lidio in Teofrasto
<lb/>i con tutti i più saui, il suono procede, essendo
<lb/>l'oggetto, che è di mezo fra quello, che suona,
<lb/>e quello che ode, mosso, e per dir cosi trambustato;
<lb/>onde dice Aristotile, che la voce non
<lb/>può essere se non in corpo rarefattibile, e condensabile, 
<lb/>e per consequenza propriamente variabile :
<lb/>e se dal vicendeuole girar delle sfere,
<lb/>e dal moto contrario de Cieli, ne nasce vna
<lb/>certa armonia, e come scriue Macrobio, vn
<lb/>soauissimo suono, il quale da noi non si può vdire,
<lb/>dice il Dalciato con altri autori, sì per lo
<lb/>imperfetto nostro udire, come per la perfezione
<lb/>ancora di quell'armonia, i cieli, per tacer
<lb/>degli elementi, come cosa manifesta, i quali sono 
<lb/>quell'oggetto di mezo, che si ricerca per generar 
<lb/>cotal suono, abbisognerà, che nelle parti 
<lb/>loro sieno mobili, e transmutabili, e perciò
<pb n= "38 recto"/>  
<lb/>necessariamente rarefattibili, e condensabili.
<lb/>Risposta. Pigliate il vostro Astrolabio, che, per hauerlo voi ben
<lb/>difeso dale mie persecuzioni, ancor si conserua intero; e ricercate 
<lb/>tutto questo vostro periodo, che è più lungo, che la buca delle 
<lb/>Fate, che dicono, che và dalla piazza di Fiesole fino a San Giouanni 
<lb/>di Firenze; e trouerete, che egli pizzica di monco. Voi 
<lb/>dite. [Il Suono procede, essendo l'oggetto di mezo mosso, e tram 
<lb/>bustato] Quest'è il concetto, leuatone le parole interposte. Hor
<lb/>giudicate voi, che dolce maniera di costruir sia questa. Ma che 
<lb/>più importa è, che io non veggo la causa efficiente, donde procede 
<lb/>il suono: La quale è, come vogliono i filosofanti, il percotimento 
<lb/>di due corpi sodi; e l'aria, o l'acqua sono il mezo in cui
<lb/>tal suono si riceue, e quindi passa all'orecchie altrui. Doueuate
<lb/>dire adunque. [Il suono procede, sendo l'aria, ò il mezo mosso 
<lb/>dal percotimento di due corpi sodi;] che cosi vuole Aristotele 
<lb/>Stateui pur da voi con Prisciano, e con tutti quei più saui, che affermano 
<lb/>il Cielo far vero suono; perche io mi vuò rimaner con Aristotele. 
<lb/>San Tommaso. San Bonauentura.  Auuerroe. 
<lb/>Alberto. e con tutta la comune dell'vna, e dell'altra 
<lb/>scuola, per non mi recar la muffa a buon sapore. E anche 
<lb/>vi dò parola, che s'io fossi della vostra Accademia vorrei frodarla 
<lb/>ogni giorno, per disimparare cotali dottrine lontane da ogni 
<lb/>ragion di vera filosofia. Ma queste stroppiate filosofie, Alimberto, 
<lb/>fanno a punto come fece vn piaceuolissimo zoppo. Ritrouandosi 
<lb/>vna volta sei amici a vna cena, ogn'vn si pose a tauola senza 
<lb/>considerarà precedenza niuna: ma per che tra loro era vn zoppo
<lb/>litterato, il qual, per essere alquanto più modesto, si pose nell'vltimo 
<lb/>seggio.Vollero honorarlo del primo, tardi auuedutisi del 
<lb/>l'errore: ma egli non l'accetò, dicendo, il sesto luogo si conuiene
<lb/>al trocheo. Volendo inferir, che si come il trocheo piede
<lb/>ne' versi esametri, non può star, se non nella sesta, e vltima 
<lb/>sede, percheua senza regola; cosi egli perche era imperfetto; 
<lb/>hauendo una gamba lunga, e vna corta, douea fuor di regola 
<lb/>tener l'vltimo luogo. Le zoppe, e monche filosofie, adunque, 
<lb/>fanno il medesimo, che si pigliano l'infimo luogo da loro
<lb/>stesse. L'armonia celeste è uera; ma non già con quel sentimento, 
<lb/>che ne cauate da Pittagora; perche non consiste altramente
<lb/>in numero sonoro, ma si bene in certa proporzione aritmetica,
<lb/>e graziosa bellezza diletteuole a i riguardanti. Trè sono i generi 
<lb/>della musica, e armonia, dice Boezio: Vocale, strumentale,
<lb/>e Mondana; e questa sola è quella, che nel Ciel si ritroua, consistendo 
<lb/>in certo componimento di parti col tutto; e in vn diuisamento
<pb n= "38 verso"/>  
<lb/> di lumi, di colori di figure, e altri simiglianti proporzioni  
<lb/>secondo la natura delle cose, ben che nel Cielo più, che in 
<lb/>qual si voglia luogo di questo vniuerso, risplenda. E di questa 
<lb/>intese Platone nel suo Fedone; Tolommeo; Plinio nella
<lb/>Istoria naturale. Ne operano contro a ciò le parole di Iobbe
<lb/>al cap. 38. Et concentum Cœli quis dormire fecit?
<lb/>Attesoche metaforicamente si deono intendere, cosi afferma Santo
<lb/>Agostino, San Tommaso, San Hieronimo, Beda, e tutti gli
<lb/>Scolastici; essendo, che ogni cosa consista in certa proporzione
<lb/>di numero peso, e misura. Persuade il medesimo la ragione 
<lb/>eziandio: imperoche, non sendo aria nel Cielo, non posson quei
<lb/>corpi cagionare il suono, mancandoui il mezo, che le riceue, e
<lb/>lo porta, come si è di sopra prouato. Ne anche le Stelle posson
<lb/>produrlo, mouendosi per lo Cielo, essendo, che il Cielo e sodo, e
<lb/>quelle son fisse in lui non altramente, che i nodi nel legno, e perciò 
<lb/>si muouono al moto dello stesso corpo celeste, e non da loro,
<lb/>fendendo, o violentando quel corpo, da cui possa il suono generarsi. 
<lb/>Aggiugnesi, che le stesse sfere, come che l'vna si giri nell'altra, 
<lb/>e di mouimento diuerso, nulladimeno, suono gia mai far
<lb/>non possono: conciòsiache per esser corpi semplicissimi, e puri,
<lb/>non può la resistenza fra quegli ritrouarsi, per cagion di ruuidezza, 
<lb/>è scabrosità, sì che da quel fregamento nascer ne possa il suono. 
<lb/>Quindi è, che non ui si ritroua corpo tenue di mezo, per
<lb/>abilitar quelle sfere al velocissimo corso loro, non vi facendo mestiere. 
<lb/>E veramente, se il Cielo fosse corpo arrendeuole, e cedente 
<lb/>non per tanto non farebbono suono mouendosi in quello 
<lb/>le stelle; perche si muouono vnitamente, e non più ueloci, ò
<lb/>più tarde; donde resultarne possa da quello strisciamento, sibilo, 
<lb/>ò armonia veruna. Esemplo ne siano le naui, che mouendosi 
<lb/>con lo stesso corso dell’acque non producon suono, ò romore. 
<lb/>Ma chi direbbe, quando pur si concedesse i Cieli fare armonia, 
<lb/>che, non solamente, ella non si sentisse di quaggiù, ma’ che 
<lb/>anche, da quel suono eccessiuo, non fossero stupefatti i sensi, e
<lb/>corrotte eziandio le cose insensate ? Non cagiona il medesimo
<lb/>effetto il tuono , e il tremoto? E che sono cotali romori in 
<lb/>comparazion del tuono, e strepito incredibile, che farrebbon
<lb/>cosi gran machine di tanta velocità, douendo proporzionarsi il
<lb/>suono alla grandezza, e velocità del suo producente? Vano per
<lb/>certo sarebbe se chi che sia dicesse, non esser la medesima ragione, 
<lb/>ne poter compararsi il tuono elementale all'armonia celeste;
<lb/>conciosiache quello distrugga, e alteri i sensi, e le cose; e questa
<lb/>gioui, e conserui; si come il moto da cui procede il suono genera,
<pb n= "39 recto"/>  
<lb/>e mantiene altresi. Ne aggiungasi ancora, che il sommo
<lb/>artefice, cosi disponente, habbia posto in quella, soauita, e
<lb/>giocondezza sì che molestia non apporti. Perche non è egli vero, 
<lb/>che anche la Luce del Sole, quantunque habbia virtù generatiua,
<lb/>conseruatiua, e viuifichi, e illumini; ad ogni modo a chi
<lb/>fissamente il riguarda nocumento a gli occhi cagiona, perche è
<lb/>sensibile di troppa eccellenza? Non patiscono, si distruggono,
<lb/>ò si seccano i corpi lungamente alla spera del Sole esposti nella
<lb/>stagione ardente? Così appunto l'eccessiuo romor delle sfere, da
<lb/>cui fuggir non si potrebbe ne temperamento alcuno ritrouarui,
<lb/>corromperebbe il senso non pur dell'vdito, ma stupidi renderebbe 
<lb/>tutti gli animali, e in poco tempo ogni cosa inferiore alla 
<lb/>distruzione, e al fine condurrebbe. Ne in difesa di ciò rileuerebbe 
<lb/>il dire, che tale armonia, per non esser proporzionato oggetto 
<lb/>alle nostre orecchie, non si sente, in quella guisa, che i cani,
<lb/>ò altri animali sentono certi odori, che non sentiamo noi; e noi
<lb/>per lo contrario odoriamo alcune cose non sentite da loro, come
<lb/>per esemplo le rose, che alcuni dicono non esser da loro odorate. 
<lb/>conciosia cosa che, oltre al non esser uero, che i cani non sentano
<lb/>olire anche le rose; si risponde, che la differenza consiste solo
<lb/>nell'eccellenza del senso, circa il più, e’l meno apprendere, ò più
<lb/>presto , ò più tardi i sensibili difficili a sentirsi. Ma perche il
<lb/>fuono celeste non sarebbe sensibile, difficile per la sua estrema eccellenza, 
<lb/>quindi è, che sè tale armonia fosse nel Cielo, ella si sentirebbe. 
<lb/>Ma, che il senso dell'vdito sia proporzionata potenza
<lb/>a sentire ogni suono, lo dice Aristotele, uolendo, che l'anima,
<lb/>secondo l'intelletto, e’l senso sia in potesta, in certo modo ogni
<lb/>cosa. Dicasi, per tanto, che non ui essendo suono, l'udito 
<lb/>del Ceruo, eziandio si affaticherebbe in uano, per sentire armonia, 
<lb/>doue non è armonia, ne ancora la priuazion di quella. 
<lb/>A quella ragione, che si suole addurre, dicendosi, che non si sente
<lb/>tal suono, per l'assuefazion, che habbiamo fin dal nascimento di
<lb/>riceuer nellorecchie, quel suono senza cessar cotale strepito mai; e 
<lb/>perciò non possa partorirsi la cognizion della priuazione, e della 
<lb/>quiete di quello, posciache vn contrario fa conoscer l'altro: si risponde,
<lb/>che non solamente de' contrari si conoscono i contrari, ma
<lb/>ancora dal più, e dal meno si discernon le cose della medesima 
<lb/>spezie essere in natura. si che, sentendo i quaggiù altri suoni, e
<lb/>romori non di pari tuono, si uerrebbe per questi a conoscer quello 
<lb/>esserci ancora. Ne è uero, che l'assuefazion non lasci sentire,
<lb/>adducendosi l'esemplo di quegli, che habitanò lungo il mare, e
<lb/>simili, di cui si dice, che non senton quel mormorio dell’onde per
<pb n= "39 verso"/>  
<lb/>la lunga consuetudine, che leua la molestia, perciò che ad ogni
<lb/>modo sentono, ma non senton tanto; e si conosce questo esser
<lb/>vero, massimamente, quando vogliono auuertirui, perche lo sentono 
<lb/>appunto, come il primo giorno. Oltre acciò tale armonia, 
<lb/>ò non si sente assolutamente, ò respettivamente. Non nel
<lb/>primo modo, perche altramente io domanderò, che testimonio
<lb/>n'habbiano quei tali, che ella vi sia, se ella non si sente: adunque
<lb/>nel secondo modo: adunque si sentirà qualche poco: ma ella non
<lb/>si sente punto; bisognerà pertanto conchiudere, che nel Cielo
<lb/>non sia armonia in veruna maniera. Potrebbe esser bene, che
<lb/>voi l'haueste negli orecchi, e pensaste, che ella fosse anche nel
<lb/>Cielo, come accadde a vn semplice soldato contadino, che per
<lb/>certo accidente, gli parue, vn giorno intero, e la notte dipoi sentir
<lb/>sonare il tamburo. Perche, leuatosi la mattina per tempo, s’armò
<lb/>tutto com'vn'Istrice. La moglie, veduto questo, il domandò doue
<lb/>andar volesse. Rispose; a Firenze à pigliar danari per andare
<lb/>alla guerra che si tocca tamburo a distesa. La pouera moglie co'
<lb/>parenti, e con gli amici non potè mai cauarglielo del capo, che 
<lb/>in quel tempo si fossero mai sentiti tamburi, finche egli non venne 
<lb/>à Firenze, e chiarissi, che solo ne suoi orecchi sonauano i
<lb/>tamburi. Hora voi, non potendo farne la proua, vi rimarrete
<lb/>con cotesta armonia nell'imaginazione, che buon pro vi faccia.
<lb/>Giorgio Veneto nella sua Armonia del Mondo, non fece come
<lb/>voi, ma scherzò molto leggiadramente. Conciosiache egli
<lb/>ritrouasse nel Cielo tutte le proporzion musicali risultanti da sei
<lb/>numeri, cioè da l'Epitrito, Hemiolio, Duplare, Triplare, Quadruplare,
<lb/>&amp; Epogodo. Dalle varie proporzion di questi si generan, 
<lb/>poscia le Simphonie, come il Tono, il Semitono, il 
<lb/>Diatesseron, il Diapente, il Diafason, &amp; Disdiafason: onde ne risulta
<lb/> soauissima melodia; ma intellettuale è la celesti, perche ciò
<lb/>sono quei tanti lucidissimi splendori (o Mauri) finalmente, che la
<lb/>uera armonia del Cielo è quell'ordine mirabile, onde Tibullo;
<lb/>Ludite, iam nox iungit equos, currumque 
<lb/>sequuntur matris lasciuo sydera fulua Choro. 
<lb/>Ne vi crediate, che le parole d'Homero.
<lb/>Multis erus Cœlum, Facciano al vostro proposito;
<lb/>perche volle, come Iobbe significar la creazion del Cielo, essendo,
<lb/>che le cose di simil metallo si gittano in vn tempo, e fannosi d’vn pezzo;
<lb/>Tu forsitam cum eo fabricatus es
<lb/>Cœlos, qui solidissimi quasi ære fusi sunt? 
<pb n= "40 recto"/>  
<lb/>Dimostrando, che è incorruttibile, con la somiglianza del bronzo, 
<lb/>che è metallo di lunghissima durata. Il medesimo accennar
<lb/>volle Torquato Tasso in vn suo Sonetto con queste parole;
<lb/>Ad eterna memoria altera incide,
<lb/>Là ne’ bronzi del Cielo il sacro nome:
<lb/>della Fama parlando. Non suona adunque il Cielo, e perciò
<lb/>non si rarefa, ne condensa. Onde non è alterabile, ne coruttibile, 
<lb/>come ui credeuate; perche non son quei bronzi, come se
<lb/>fossero le campane della celeste Gierusalemme, ma metaforicamente
<lb/>intender si debbono. 
<lb/>C. Il rispondere, che sì fatto suono, e concento
<lb/>essendo intenzionale, non occorre, che l'oggetto 
<lb/>di mezo sia sottoposto alla possibilità dell'esser 
<lb/>mosso, e tramutato, saria del tutto ridicoloso; 
<lb/>conciosiache, se questo fosse, la ragion, che
<lb/>s'adduce, perche noi non vdiamo tale armomia, 
<lb/>cioè la perfezione dell'vdito, sarebbe 
<lb/>apertamente friuola, e vana, auuegnache cotal senso 
<lb/>niente si adoperi nello'ntendere detto suono intenzionale. 
<lb/>R. Se il suono è intenzionale; adunque il suono non si ode ? Antecedente 
<lb/>male inteso, e conseguenza falsa. Male inteso, perche
<lb/>l'essere intenzionale è vna di quelle cose, che non si imparan fuor
<lb/>di camera: però non è marauiglia, che il vostro esperto Nocchiero
<lb/>nòn vel'insegnasse nauigando. Volete voi ch'io vel dica alla
<lb/>libera? i vostri concetti mostruosi mi paiono i Sileni, a cui Socrate 
<lb/>fu assimigliato da Platone. Erano i Sileni certe figure di legno 
<lb/>strauaganti, e roze, che rappresentauano saluatichi animali;
<lb/>ma aprendosi per lo mezo, dentro vi appariua vn Dio maesteuole,
<lb/>e pomposo: onde il Tasso. 
<lb/>Già nell'aprir d’vn rustico Sileno,
<lb/>Merauiglia vedea l'antica etade.
<lb/>Questa differenza veramente è tra i vostri Sileni, e quegli, che i
<lb/>vostri riescon uoti d'ogni bene; se non vogliam dir, che di dentro,
<pb n= "40 verso"/>  
<lb/>come di fuora appaion Sileni. Chi vuol disputar dell'intenzionale, 
<lb/>fa mestier, che sappia, che differenza sia tra intenziole, 
<lb/>e reale; ma per quel ch'io veggo voi ne siate più innocente, che
<lb/>non è l'agnello della morte del lupo. Bisogna, che dell'intenzionale 
<lb/>habbiate qualche nuoua intelligenza cauata da i sogni di
<lb/>Democrito. Ma andate, che, accioche voi guadagnate perdendo, 
<lb/>mostrandoui, l'argomento dell'intenzionale non valer nulla, 
<lb/>come che ne facciate tanta stima; io vi voglio far grazia, che
<lb/>ne sentiate il parer della vera, e non sognata filosofia, accioche
<lb/>non ne parliate a sproposito da qui innanzi. Diciamo adunque,
<lb/>questo termine intenzionale non significare altro, che vn esser
<lb/>di mezo trà puro intellettuale, e materiale reale, ò ver materiale
<lb/>naturale, che dir vogliamo, perche participa dell'vno, e dell'altro. 
<lb/>Non è semplicemente spiritale, perche rappresenta l'esser coporeo, 
<lb/>cioè gli accidenti corporali, le quantita, e diuision 
<lb/>del corpo di cui manca l'essere spiritale. Non è assolutamente 
<lb/>materiale, perche non hà quella corpolenza della cosa
<lb/>materiale reale, se ben la rappresenta: sì che l'imagine, per esemplo, 
<lb/>nello specchio, perche rappresenta le dimensioni della mia
<lb/>faccia, le quantità, gli accidenti, e ogni minuzia, per insino i
<lb/>peli, le margini, e somiglianti, dell'esser materiale, non si può
<lb/>chiamare spirituale. Ma dall'altra parte, perche non hà quelle 
<lb/>dimensioni, e corpolenza, che mostra quella imagine spiritualizata, 
<lb/>non sendo palpabile; però non è materiale reale, ne intellettuale; 
<lb/>ma si dice hauere vn’ esser mezano, e questo, intenzionale, 
<lb/>s'appella. Chiamasi ragioneuolmente cosi, perche hà vn
<lb/>esser deficiente dal reale in certa guisa, che pare vn ente di ragione, 
<lb/>e intellettuale, per dir cosi, non hauendo esser fermo, e
<lb/>stabile, ma per modo di passaggio; come per esemplo il color
<lb/>verde, per le sue spezie manda nell'aria l'esser suo, ma non vi hà
<lb/>quella realità, che hà nel proprio soggetto, cioè nella sostanza
<lb/>dell'herba. Dicesi il medesimo anche della luce; ma con questa 
<lb/>differenza, che l'esser naturale reale di essa consiste in questo
<lb/>essere intenzionale; ma l'esser de’ colori, e somiglianti, non consiste 
<lb/>nell'esser, che hanno nella spezie intenzionale, ma nell'oggetto,
<lb/>parlando dell'esser reale, e naturale. Esemplo ne fia l'esser
<lb/>naturale della mia faccia, che non è quell'essere intenzionale,
<lb/>che è nello specchio. In somma qualità reale si chiama quella,
<lb/>che à questo fine è fatta, cioè, perche ella sia, benche secondariamente
<lb/>rappresenti altra cosa. Qualita intenzionale s'appella
<lb/>qualunque qualità, che è primieramente instituita, accioche rappresenti 
<lb/>altra cosa, come che ancor’ella habbia il suo essere.
<pb n= "41 recto"/>  
<lb/>Che ve ne pare adesso; la risposta dell'intenzionale sarebbe ridicolosa? 
<lb/>Se voi non volete errore nel parlare, pigliate da me questo 
<lb/>consiglio, Signor Mauri: parlate come la statua di Mennone.
<lb/>Racconta Filostrato nella vita d'Apollonio. che quell'Idolo,
<lb/>essendo posto in luogo, oue era dal Sole illustrato, giunto il raggio 
<lb/>solare, al piede; non perciò faceua la sua Maestà senso veruno; 
<lb/>ma quando il raggio entraua in bocca, allora tale statua parlaua, 
<lb/>dando fuora il suo oracolo. Ma à voi il grande Aristotele
<lb/>appena ha dato lume de primi principi, che hauete voluto dar l'oracolo: 
<lb/>e però se aspettauate il Sole alla lingua più, che al piede
<lb/>voi parlauate bene, e non correlate male. Anzi quegli, che così
<lb/>a discorrer si mettono son simili alla testa di bronzo fabricata con
<lb/>tale artificio da Alberto Magno, che parlaua; ma senza sale, perche
<lb/>la zucca era vota. Ditemi per vostra fè, qual filosofo è stato il
<lb/>maestro, da cui hauete apparato, che il suono, se fosse intenzionale, 
<lb/>non sarebbe oggetto dell'vdito? Bisognaua prima, che replicaste 
<lb/>alle risposte de'buon filosofi, e non faceste veduto di dormire, 
<lb/>per metterui in pericolo, che vi fosse fatto vn di quei soffioni,
<lb/>che dite alla considerazion quindici. Anzi che i sensi non riceuono 
<lb/>il sensibile mai, se non intenzionale, quantunque alcuni,
<lb/>come il gusto, l'odorato,e'l tatto, lo riceuano anche realmente, se
<lb/>ben la spezie intentionale passa più auanti, che la materiale. Esemplo 
<lb/>chiaro ne siano le spezie delle cose visibili, che all'occhio nostro 
<lb/>non altramente, che intenzionali trapassano. Chi sarebbe mai
<lb/>si priuo di giudicio, che dicesse, che la stessa pietra, ò monte, che
<lb/>io veggo, mi venisse nell'occhio? Aristotele dice pur, che il senso 
<lb/>riceue le forme senza materia, intenzionali. altramente ne seguirebbe,
<lb/>dic'egli, che il senso riceuesse la forma stessa, e la medesimi 
<lb/>di numero, che è nell'obietto sensibile, il che è falso per la
<lb/>ragion detta. Ma può ben riceuer a spiritalmente perche tal
<lb/>riceuimento non è altro, che l'imagine di quella forma che ella
<lb/>rappresenta; che per ciò si dice esser la medesima, cioè per rappresentazione; 
<lb/>Auerroe, dichiarando il detto luogo ottimamente, 
<lb/>afferma, che se il senso riceuesse le forme sensibili con la materia, 
<lb/>ne seguiterebbe, che le cose sensibili hauessero il medesimo essere 
<lb/>nell'anima, che fuor dell'anima, perche in qualunque luogo 
<lb/>di questi sariano materiali. onde, è necessario confessar, che
<lb/>intenzionali si trasportino al senso le spezie delle cose sensibili.
<lb/>Il medesimo Aristotele dice di più; la scienza, e la cosa scibile
<lb/>sono vna cosa stessa; non la cosa materiale scibile, che è fuori
<lb/>dell'anima; una la spiritale che è dentro l'anima: e il medesimo
<lb/>si intende del senso, e del sensibile. Sara adunque, il suono intenzionale 
<lb/>oggetto conuencuole dell'vdito. E chi non vede,
<pb n= "41 verso"/>  
<lb/>che non ha del verisimile, che il tuono, che fa vn'Artiglieria
<lb/>sempre si trasporti per lo mezo dell'aria realmente per la distanza 
<lb/>di quindici, e venti miglia fino alla miringa dell'orecchie? E
<lb/>perciò, parte realmente, e parte intenzionalmente facendo quel
<lb/>Passaggio, bisogna confessar, che alla potenza vditiva è conueniente, 
<lb/>e proprio oggetto il suono intenzionale. Vero è per
<lb/>tanto, che se il Cielo facesse intenzionale armonia, ella si sentirebbe, 
<lb/>perche anche le spezie intenzionali hanno vn corpo, che
<lb/>le riceue mediante il quale alla potenza sensitiua si rappresentano.
<lb/>Hor non direte più che, se nel Cielo fosse armonia intenzionale,
<lb/>friuola sia la ragion della perfezion dell'vdito, per rispetto del
<lb/>suono. Sapete voi quel che è friuolo, è vano? Il dir che i Cieli
<lb/>suonino, e non si possan sentir per le ragioni da voi addotte. Almeno 
<lb/>haueste voi detto, come Filone nel libro de Somniis;
<lb/>Cœlum perpetuo concentu suorum motuum reddit
<lb/>harmoniam suauissimam, quæ si poset ad
<lb/>nostras aures peruenire excitaret impotentes amores; 
<lb/>&amp; insanum desiderium, quo stimulati rerum
<lb/>ad victum necessarium obliuisceremur.
<lb/>Doue par, che al miracolo ascriua, che il suon celeste non giunga
<lb/>alle nostre orecchie, se ben da tutti è ributtato, stimandosi ragion
<lb/>volontaria, e senza autorità sufficiente. A me par, che andiate
<lb/>imitando, con queste fantastiche chimere, Pier di Cosimo pittore, 
<lb/>che era tanto strano ceruello, che egli (per quanto si caua dalle
<lb/>vite de Pittori di Giorgio Aretino) si fermaua talora a considerar
<lb/>vn muro, doue lungamente hauessero sputato persone malate, e
<lb/>ne cauaua animali, huomini, città, paesi, e piante strauagantissime, e
<lb/>bizzarie le più nuoue del mondo. Cosi voi certamente non da gli
<lb/>sputi, ma da i sogni degl'infermi ceruelli ch'habbiano i febriconi, 
<lb/>par, che facciate nascer tutta quest'opera. Piero almeno, di
<lb/>non nulla faceua qualche cosa; ma voi per lo contrario, di qualche 
<lb/>cosa hauete fatto non nulla, cioè della verità la bugia.
<lb/>Discorso. Aggiugnesi per cagione di questo ancora il mouimento 
<lb/>della trepidazion di quel Cielo, sè però è vero. E se alcuni dicono 
<lb/>Mercurio certe fiate hauere scintillato, egli può essere stato
<lb/>per accidente cagionatosi da certa caligine, e moltitudine di
<lb/>vapori, che spargenti quella luminosa specie, e disunendola habbiano 
<lb/>cagionato quello scintillamento, si come souente fanno le
<lb/>stelle non lungi all'orizonte dalla parte Orientale, vicino al nascer
<pb n= "42 recto"/>  
<lb/>del Sole, per la gran copia de’ vapori, che allora si eleuan 
<lb/>per l'aria, e la scintillazion maggiore a gl'occhi de’ riguardanti
<lb/>apportano. Onde secondo alcuni anche le Comete scintillano,
<lb/>ma per accidente simile, come si e detto; e perciò non sempre 
<lb/>come alle stelle del firmamento cotale effetto accader vedrassi. 
<lb/>Anzi direi, che nelle Comete fosse più tosto alzamento, e
<lb/>piegamento di quella fiamma, che producesse la scintillazione,
<lb/>come che non manchino di quegli, che vogliono le Comete
<lb/>non essere accese altramente, ma solo quel vapore, o esalazione,
<lb/>che si sia essere illuminata dal Sole in quella guisa, che alcune
<lb/>fiate s'è veduto qualche nugoletta cosi illustratasi per lo raggio
<lb/>solare, che vn'altro Sole è stata creduta veramente. Dicono alcuni 
<lb/>esser ragioneuole il creder, che non siano le Comete ardenti,
<lb/>e accese: imperoche la durata di tali esalazioni appena sarebbe
<lb/>di giorni, non che d'anni interi. Esemplo ne siano, dicono essi, 
<lb/>quelle accese esalazioni, che passano scorrendo per l'aria in vn
<lb/>batter d'occhio, e subito suaniscono; le quali stelle cadenti s'appellano.
<lb/>Secondariamente affermano i matematici cotali stelle esser nel Cielo. 
<lb/>impercioche al moto di quello si muouono vniformi, facendo 
<lb/>tutto il circolar uiaggio per lo spazio di ventiquattro hore.
<lb/>Considerazione XI. Auuertite, che il nostro autore
<lb/>seguita in questa parte l'opinion de’ semplici,
<lb/>i quali sentendo, che e' c'è un moto chiamato della
<lb/>Trepidazione, e insieme vedendo, che le stelle
<lb/>in un certo modo tremano.
<lb/>Risposta. Farò ben io tremare, e rouuinare i vostri deboli argomenti, 
<lb/>se non treman le stelle.
<lb/>C. Si son creduti, che cotal moto si sia da gli
<lb/>astronomi imaginato per poter render ragion
<lb/>di questo tremamento, ò scintillamento, che 
<lb/>vogliam dire, e che, essendo trouato per questo,
<lb/>sia stato nominato cosi, per conformare il nome
<lb/>suo al suo effetto.
<pb n= "42 verso"/>  
<lb/>R. Io seguo, e seguirò sempre i semplici, quanto alla schiettezza
<lb/>de' sensi, e delle parole in ogni mio affare; ma non già nella
<lb/>abbiettezze, e credulita delle vane opinioni. Al mio proponimento 
<lb/>non si ricercaua il disputar, se tale sia il moto di trepidazione, 
<lb/>circa la verità della causa, ò dell'effetto, ò del nome, ò se in
<lb/>vn Cielo più, che nell'altro, come che io sappia, il Clauio, il Collegio 
<lb/>Conimbricense, e altri infiniti, come voi stesso Confessate, hauere 
<lb/>in ciò seguito i semplici essi ancora. Impercioche io domando
<lb/>Alimberto, che di inconuentente; che di contrarietà ne seguirà
<lb/>egli al mio proponimento, ò siano vere, è nò cotali cose? Non
<lb/>hò io prouato per detto degli Astrologi, e Matematici la stella
<lb/>apparita esser nel Cielo con le ragioni loro, trà le quali è questa
<lb/>della trepidazione? Hora, se la trepidazione è nel Cielo e se aggiugne 
<lb/>tremamento ò nò, ò se questo scintillamento accada 
<lb/>più da vna cagione, che da vn'altra, sì che non ne sia cagione
<lb/>l'accesso, e recesso, che io non l'hò affermato: anzi dissi [se però
<lb/>è vero]; accennando, che à me non caleua il disputarlo; solo mi
<lb/>basta, che l'effetto sia tale, per conchiusion del mio concetto, sì come
<lb/>tutti gli Astrologi, ancor vogliono, che la scintillazione sia
<lb/>propria passion del Cielo stellato. Ho bene affermato, che la 
<lb/>scintillazion si cagiona per difetto della potenza visiua, come 
<lb/>- afferma Aristotele nel luogo da voi citato, e impugnato a torto.
<lb/>C. Vorrei particolarmente in questo esser bene
<lb/>inteso; acciò non si seguitino in simili affari più
<lb/>tosto gli ignoranti, che gl'intendeti. 
<lb/>R. Disse Platone a Socrate [Gratis liba] perche egli non hauea nel
<lb/>conuersare, se non rozezze: ma io dico a voi, che non doureste
<lb/>guardarla in danari, per torre vna casa à linea, ò a vita nel Garbo;
<lb/>perche, si come io non fù mai quel che voi siete; cosi non farete 
<lb/>per niun tempo quel ch'io sono.
<lb/>C. I quali dal sentire il nome Trepidazione, non
<lb/>conchiuggono adunque tal mouimento è cagione
<lb/>della Trepidazione, come quegli, che sanno
<lb/>molto bene, che questo è lo stesso moto, menzionato 
<lb/>da noi nella Considerazion settima,
<lb/>attribuito al nono, e decimo Cielo, e chiamato 
<lb/>latinamente, e nell'Astronomia Motus accessus,
<pb n= "43 recto"/>  
<lb/>&amp; Recessus, ò vero motus in diametrum.
<lb/>Se adunque il moto di quei due cieli, che volgarmente, 
<lb/>sì come in latino ancora, quantunque
<lb/>più di rado, si dice per le ragioni addotte dal
<lb/>P.Clauio, il moto della Trepidatione è vero, e
<lb/>certo, si per tanti fenomeni, sì per lo discorso
<lb/>dello stesso nostro Colombo, ilquale per seguire
<lb/>l'Ipotesi Alfonsine, tenute da alcuni per buone,
<lb/>quando non era ancora trouato quell'altro Cielo
<lb/>detto Secunda Libratio, attribuisce tal sorte
<lb/>di mouimento all'ottauo Cielo, in che modo si
<lb/>potrà giammai, come pare, che faccia il nostro 
<lb/>autore, non senza qualche contrarietà alle 
<lb/>sue conclusioni, mettere in dubbio il moto
<lb/>della Trepidatione ? e chi sarà poi quegli di
<lb/>ceruello cotanto ottuso, che considerando la lungheza, 
<lb/>e tardanza di sì fatto moumento, si lasci 
<lb/>scappar di bocca, che egli della scintillazion
<lb/>delle stelle, che si vede fare in un momento possa 
<lb/>essere in alcuna maniera la cagione ?
<lb/>Ma poiche noi siamo ne’ ragionamenti di questo 
<lb/>scintillare, penso sia bene l'andar cercando
<lb/>se si potesse (ilche per infino à quì, se io non
<lb/>sono ingannato non è adiuenuto ) addurne cagione 
<lb/>almen verisimile. Aristotele fù d'opinione,
<lb/>che ciò aduenisse, per essere elleno assai lontane,
<lb/>dallo’ndebolir si la vista nostra in mirarle.
<pb n= "43 verso"/>  
<lb/>R. Guardate, che il troppo ardir contro Aristotele, non dipenda più
<lb/>tosto da imprudenza, che da scienza. 
<lb/>Ma, se da questo procedesse, non ci hà dubbio
<lb/>alcuno, che le parrebbero più à uno, che a vn'altro, 
<lb/>e à vn medesimo più in vn'età, che in un'altra 
<lb/>scintillare, secondo l'acutezza, ò deboleza
<lb/>della vista, lagual cosa, per esser manifestamente 
<lb/>falsa, pare, che cotale opinione rimanga 
<lb/>senza niun fondamento.
<lb/>Credette vn'altro valent'huomo, che lo scintillar
<lb/>fosse cagionato da i corpi mobili, i quali son fra
<lb/>noi, e l'ottauo cielo. Perche (diceua egli ) sì
<lb/>come guardando noi per un gran fuoco l'oggetto, 
<lb/>che gl è dietro, per essere detto fuoco mobile,
<lb/>e tremolante, ci pare anche tale oggetto vacillante, 
<lb/>e mobile, cosi passando la nostra vista 
<lb/>per questa varietà di moti, molto bene ci posson
<lb/>parer le stelle ancora del firmamento tremolare,
<lb/>e scintillare. Sottilissimo pensiero di vero, e che
<lb/>in prima apparenza ha molto del verisimile:
<lb/>ma considerisi, che, se questo è, accadra necesssariamente, 
<lb/>ò per lo mouimento diurno, ò pe’ moti
<lb/>propri de’ Pianeti. 
<lb/>Per lo diurno non si dee dire: atteso che, oltre all'auere
<lb/> l'ottauo Cielo anch'egli cotal mouimento, 
<lb/>le stelle, che si ritrouano nel polo, ò vicine ad
<lb/>esso, come quelle, che anno auanti à separte del
<pb n= "44 recto"/>  
<lb/>cielo quasi ferma, e stabile, ci dourebbono niente,
<lb/>ò almeno manco assai scintillanti apparire.
<lb/>I moti propri ancora de’ pianeti, non mi pare 
<lb/>possan cagionar vn cotale effetto.
<lb/>Prima, perche essendo i loro mouimenti tardissimi, 
<lb/>molto tardo ancora dourebbe essere il tremolare. 
<lb/>E poi detti moti auendo ancor’essi i lor
<lb/>poli, intorno à questi niente, ò poco si aurebbe à
<lb/>veder nelle stelle lo scintillamento, ilquale, come
<lb/>ogn'vn può scorgere, è in tutte il medesmo, 
<lb/>cioè tanto in quelle, che son lontane da essi, 
<lb/>come in quelle, che son lor vicine: onde ne
<lb/>anche questa openione si dee ammettere per sincera, 
<lb/>e sicura.
<lb/>R. E chi mai negherà, che le stelle non appaiano scintillar più a 
<lb/>vno, che a vn'altro, e più questa fiata, che quella, e maggiormente 
<lb/>in vna parte, che in altra, e altra stella meno eziandio, e
<lb/>altra più ? Sentite vn sottil auttore. 
<lb/>Paiono scintillar le stelle, perche mouendosi l'aria, i raggi che vengono 
<lb/>a noi perpendicularmente; si frangono; onde par che le 
<lb/>stelle tremino, come appunto la ghiaia, e i sassuoli, che nel
<lb/>fondò di qualche limpido fonte appaion tremolare, mediante il
<lb/>corpo di quell'onde correnti. I pianeti non sembrano scintillare; 
<lb/>perciò che mandano i raggi loro a’ nostri occhi più viuamente, 
<lb/>e con maggiore efficaccia. Alcuna volta le stelle fisse dimostrano 
<lb/>di tremar molto più; e paion fare scintillamento anche i
<lb/>Pianeti, che scintillar non sogliono: è questo, perche l'aria è assai 
<lb/>più agitata dal vento, che ella non suole: segno manifesto,
<lb/>che indi a poco per lo più si sentira spirare il vento quà giù ancora.
<lb/>Marte perche è alquanto oscuro, rosseggiando scintilla, e massimamente 
<lb/>appò coloro, che di vista debole essendo, giudicano
<lb/>più stelle tremolar, che gli altri, non hauendo il vedere acuto.
<lb/>Per la stessa ragione le stelle, che di la dall'Equinozial si ritrouano, 
<lb/>maggior trepidazione appar, che facciano, essendo a gli occhi
<pb n= "44 verso"/>  
<lb/>de'riguardanti viè più lontane. Il Can maggiore, eziandio,
<lb/>che molto luminoso, e grande si mostri ad ogni modo, perche
<lb/>e lungi assai tremare il direste; si come in altra parte del Cielo scintillar 
<lb/>più, e in altra meno, molte stelle si veggono, come per esemplo
<lb/>quelle, che nel vertice sono, e quelle, che molto splendono,
<lb/>e che grandi sono, e le vicine al Polo ancora; posciache l'aria
<lb/>è quiui meno agitata, e mossa, e il moto delle stelle più tardo.
<lb/>Ma quelle più tremolanti appaiono, che locate sono vicino 
<lb/>all'Equinoziale, e che sono più lontane, e piccole; imperoche 
<lb/>il corso loro in quella parte è velocissimo, e'l vento assai alto vi
<lb/>spira; onde paiono per tali ragioni più alte, e minori, che elle 
<lb/>non sono. I. Ma che la lontananza, e la debolezza della vista,
<lb/>e il mezo diafano alterato possano cagionar tale apparenza di
<lb/>scintillazione, esemplo chiaro ne sia il veder, che, vn lume posto
<lb/>lontano a chi è di vista debole, e corta, gli sembra pieno di
<lb/>raggi non solo, ma scintillante ancora. E quegli, che di possente
<lb/>vista si ritrouano, che di tale sperimento hauessero desiderio in
<lb/>loro stessi, pongansi alquanto lungi a fiaccola, ò candela accesa;
<lb/> quindi serrin gli occhi in guisa, che appena riceuan fra le palpebre 
<lb/>quello splendore, e vedranno indubitatamente scintillar
<lb/>quella luce, raggiando intorno, intorno. 
<lb/>Del mezo alterato infallibile sperienza n'adduce San Tommaso, affermando 
<lb/>che, il Sole, nell'Oriente, e nell'Occaso, per li humidi
<lb/>vapori, che ascendono sopra l'orizonte, diffondendosi dentro i
<lb/>raggi, apparisce tremare, come che il medesimo faccia nel mezò 
<lb/>giorno, per l'eccessiuo suo lume, che offende la visiua potenza.
<lb/>Per difettto della vista adunque nasce l'apparenza dello
<lb/>scintillamento, ò trepidazione, come vuole Aristotele, e non 
<lb/>altramente, si come è seguitato dalla comune de’ filosofanti. 
<lb/>C. A me adunque e sempre paruto incoueniente
<lb/>il dire, che ciò auuenga alle stelle, per cagion
<lb/>lor propria, e interna. Conciosiachè per qual
<lb/>ra-gione loro esser tutte scintilla- nti, quantunque
<lb/>sieno di diuersa materia una lucida, e risplendente,
<lb/>una ignea, un'altra plumbea, e i pianeti
<lb/>esser lontanissimi da simili proprieta? ne meno
<lb/>penso, che la ragion di questo si possa attribuire
<pb n= "45 recto"/>  
<lb/>à noi, ma da noi sia lontanissima, e del
<lb/>tutto aliena.
<lb/>R. Hauete adesso, per le ragioni dette, occasion di conoscer di
<lb/>quanto vi ingannate.
<lb/>C. Poiche à tutti, e nel medesimo modo, e sempre
<lb/>appariscono scintillare.
<lb/>R. Ancora questo, per quanto vi hò mostrato, par solamente a uoi;
<lb/>e perciò non hauete pieno il margine d'allegazioni. Ma forse
<lb/>l'hauete fatto a posta, perche io non mi serua del testimonio loro
<lb/>contro di voi, poiche sempre scelto hauete le dottrine in testificazion 
<lb/>de vostri errori, e in mia difesa, per darui da voi medesimo 
<lb/>a conoscer per filosofo, e astrologo d'altra qualita, che
<lb/>non è il Colombo.
<lb/>C. Ma si bene son di parere, che tutto l'effetto di
<lb/>ciò al Sole si debba attribuire, il quale lontanissimo,
<lb/>arriuando col suo lume fiacco, e debole alle
<lb/>stelle, lequali non altrimenti, che la Luna,
<lb/>da esso, si come dice Vitellione, riceuono lo splendore, 
<lb/>à quelle contribuisca i suoi raggi, per cosi 
<lb/>dire à folate: onde se ne cagiona poscia quell'affiebolimento, quasi spirazione, ò anelazione
<lb/>affaticata.
<lb/>R. Io credo, che voi farete, come quei caualieri antichi, di poca stima, 
<lb/>che portauano, secondo il costume, in battaglia lo scudo
<lb/>bianco, e talè il manteneuano, si che si moriuan finalmente con
<lb/>esso bianco, per la dappocaggine, senza mai poterlo fregiar di qual
<lb/>che segnalata vittoria. imperoche voi siete venuto per la prima
<lb/>volta in proua con troppo gran campione, a giostrar contr'Aristotele, 
<lb/>che non lasciò mai il campo voto a niuno per la seconda 
<lb/>lancia. A chi parrà egli mai, che habbia del verisimile tal
<lb/>concetto? E pur osate metterlo in battaglia contro il parer di tant'huomo, 
<lb/>che è il vero, per certo, vanamente abusando la sua 
<lb/>modestia, poi che egli disse per non affermare [Quæ causa fortè.
<lb/>Voi adunque volete leuargli senza ragione il uanto della cagion
<lb/>di cotale effetto? Tutto il vostro fondamento debole, e fiacco,
<pb n= "45 verso"/>  
<lb/>si appoggia alla fiacchezza de raggi del Sole, perche stimate, che
<lb/>debolmente arriuino alle stelle fisse: Ma donde voi cauiate questa 
<lb/>dottrina, per adesso, non v'è piaciuto allegarne autori, ne ragioni 
<lb/>eziandio, che più importano. Hora, che dalla mancanza 
<lb/>del raggio solare il tremolar delle stelle non adiuenga, si proua;
<lb/>perche non solamente illuminano i suoi raggi fino alle stelle
<lb/>fisse, ma più oltre trapassano: e ci ha chi reputa, che giungano
<lb/>fino al Cristallino, e forse più sù, come afferma il Vallesio tanto
<lb/>eccellente, cosi dicendo. Sol non illustrat totum hunc
<lb/>orbem, sed eam solum partem, quæ motui subiecta
<lb/>est, nam quandoquidem in quarto orbe 
<lb/>situs substantque illi tres tantum, superstant verò
<lb/>plures: siguidem planetarum alij tres, insuperque
<lb/>stellatus, &amp; nona sphera, atque qui his superstant, 
<lb/>tanto sunt crassiores , quanto sublimiores,
<lb/>constat solis splendorem non pose sedem
<lb/>Beatorum attingere. 
<lb/>Di più, Aristotele vuole, che nell'azion fisiche si ricerchi il contatto 
<lb/>scambieuole tra l'agente, e'l paziente, acciò che la natura
<lb/>possa validamente produrre i suoi effetti operando, e non patiscano 
<lb/>difficulta le cause naturali nell'esercitar la virtù loro. 
<lb/>Onde, che dir si dourà egli de’ raggi del Sole agente vniuersalissimo? 
<lb/>E tanto più circa l'illuminazione, che è la principale operazion 
<lb/>sua, per necessità della Natura? Le stelle di vero se scarsamente 
<lb/>riceuessero il lume del Sole, chi direbbe mai, che per 
<lb/>mostrarsi così luminose, e risplendenti, ciò basteuole fosse? Altra
<lb/>adunque è la cagion della scintillazione, e più vniuersale; poiche 
<lb/>il Sole ancora patisce di tale accidente alcuna fiata, ne però
<lb/>hà mancamento di raggi da cui possa la trepidazione in quello
<lb/>cagionarsi. E che direm noi de’ Pianeti, come per esemplo Mercurio, 
<lb/>a cui il medesimo accidente auuiene, e nulladimeno il raggio 
<lb/>del Sole in esso, e negli altri abondeuolmente percuote ?
<lb/>E auuertasi, che, se ben lo scintillare è attribuito solamente alle
<lb/>stelle fisse, questo si dee intender, come dice S. Tommaso allegando 
<lb/>Simplicio [vt in pluribus.] Aggiungesi, che quantunque 
<lb/>i raggi del Sole si distendessero solamente fino all'ottaua
<lb/>sfera, ad ogni modo non si cagionerebbe nelle stelle, per difetto
<pb n= "46 recto"/>  
<lb/>de raggi, il tremamento di esse. Imperòche, ò potrebbe cio accadere 
<lb/>per debolezza, e mancanza de' i raggi stessi; o per l'impedimento 
<lb/>del corpo diafano mezano tra le stelle, e'l Sole. Non
<lb/>si puo dire il primo; perche non sono i raggi vna qualita corporea, 
<lb/>che successiuamente proceda dal suo corpo; non sendo
<lb/>materiali, diuisibili, ne alterabili i raggi, o mancheuoli, si che
<lb/>a somiglianza della fiamma, poiano a solate scemare, e crescere, 
<lb/>mancare, e soprabbondare, secondo che la materia al fuoco 
<lb/>è somministrata. Nè anche il secondo è da affermare; attesoche 
<lb/>non e il diafano del Cielo corpo alterabile, come l'aria, che
<lb/>da mille accidenti perturbata può impedir la vista, e il passaggio
<lb/>della luce; e per tanto, diuerie apparenze, cagionare. Nulla sembianza 
<lb/>di vero adunque ha il dir, che per difetto de'raggi solari,
<lb/>si produca la scintillazion delle stelle; ma verissima per lo contrarlo 
<lb/>è la ragione Aristotelica, cioè, che, per difetto della potenza 
<lb/>uisiua cotal tremamento appaia nelle stelle ritrouarsi; si come
<lb/>ancora per difficultà cagionata dalla mancanza della visual
<lb/>virtù, doue illumina il Sole, appare, che tra i confini del lume,
<lb/>e dell'ombra sia vn certo tremolare, come, se il corpo del Sole
<lb/>volgesse per lo Cielo ascosse, e non vniformemente. La ragion
<lb/>di questo è, dice il Cardano, perche tanto inuisibilmente il Sole
<lb/>si muoue, che stiamo con l'occhio sempre ambiguo, quantunque 
<lb/>fissamente osseruramo, ne discernendosi bene il mezo fra il
<lb/>termine della luce, e dell'ombra, perche non è veramente ombra, 
<lb/>certa, ne certo lume, ci par che tremi non potendo distinguer
<lb/>quel mouimento l'acutezza del nostro sguardo. Bene è vero,
<lb/>che Aristotele adduce vn'altra ragione, laqual però si può aggiugner 
<lb/>per doppia causa di tale effetto; ed è, che, quel corpicciuoli, 
<lb/>ò bruscoli, che son per l'aria, mouendo i continuamente, 
<lb/>hor nell'ombra, hor nel lume del Sole, fanno parer, che il
<lb/>termine della luce, ò dell'ombra, per quella commozione si muoua 
<lb/>tremando. Quella filosofia nuoua pur della medesima stampa
<lb/>di tutte l'altre vostre, donde domin la cauate voi; affermando, 
<lb/>che le stelle, perche paion di color diuersi, siano diuerse anche 
<lb/>di materia ? Non sapete voi, che gli accidenti non mutan 
<lb/>la sostanza ? Noi siamo bianchi, e neri gli Etiopi; e nulladimeno, 
<lb/>ne la materia, nè la forma tra noi, e loro è niente diuersa.
<lb/>Oltre che, è falso, che siano le stelle veramente di color diuersi, 
<lb/>ma appaion tali, perche il maggiore, e minore splendore, e
<lb/>la distanza fra loro, e'l Sole, e la rarita minore, e maggiore, che
<lb/>in quelle si ritroua produce quella varianza di apparenti colori.
<lb/>Onde per tali cagioni i pianeti non risplendono a noi tutti ugualmente.
<pb n= "46 verso"/>  
<lb/>Le varie disposizion dell'aria, che è mezana tra i Pianeti, e
<lb/>gli occhi nostri, eziandio cagionano cotal varietà di colori, perche
<lb/>non sempre appaiono a vn modo, ma quando più oscure, o più, ò
<lb/>meno lucenti simili stelle. La veduta di essi Pianeti ritrouantisi
<lb/>in maggiore, ò minore alteza di Cielo, e la mutazion della positura 
<lb/>ancora fanno varianza di colori, come si vede adiuenire nel collo 
<lb/>delle collombe. Ne rileua, che alcuni Astrologi ascriuano i colori
<lb/>diuersia i Pianeti; attesoche è vero apparentemente onde, tra essi
<lb/>Astrologi, molti gli negano esser reali, come vogliono l'uno, e
<lb/>l'altro Mirandolano; il primo contro gli Astrologi; Il secondo 
<lb/>nell'Esamina delle vanità, Leggasi intorno a ciò anche Egidio, 
<lb/>che benissimo ne parla. Ma finalmente, quando fossero colorate, 
<lb/>e vi fosse differenza di colore, perche è si minima, e sono tutte 
<lb/>le stelle luminose; io domando, perche non potrebbono scintillare? 
<lb/>L'esperienza non mostra il contrario? Vostro danno, se stauate a
<lb/>filosofare in camera serrato, come dite, che fò io con Auerroe, e
<lb/>non vsciuate la notte al sereno a osseruare i colori, e gli scintillamenti 
<lb/>delle stelle, non faceuate, come quel pouero Astrologo, che 
<lb/>guardando più le stelle, che i passi si fiaccò giù per vna balza 
<lb/>il collo. Chi volete, che vi solleui adesso dal precipizio in cui
<lb/>siete caduto, senza che vergogna, e danno ne riportiate? Il Clauio, 
<lb/>Vittellione, da voi citati, non posson darui aiuto veruno,
<lb/> poiche nulla dicono circa il vostro concetto della cagion della
<lb/>scintillazione, ne altro autore, che sia degno di lode, ò d'esser letto.
<lb/>Discorso. Cosa che adiuenir non potrebbe, sè elle fossero sotto l’orbe lunare :
<lb/>conciosiache l'aria non si muoua in giro con la medesima 
<lb/>velocità del Cielo quantunque suprema, perche l'aria è corpo 
<lb/>tenue, e arrendeuole, di maniera, che la region prossimana a
<lb/>quella di cotal violenza non sente; ma è da i venti alterata solamente,
<lb/>al moto de’ quali ella si muoue. Segno euidente ne sia il
<lb/>vedere, che bene spesso per buona pezza le nugole altissime stanno ferme. 
<lb/>Terzo aggiungono, che se elle non hauessero hauuto la sede loro
<lb/>sopra l'orbe della Luna, haurebbono con l'altre stelle cangiato
<lb/>aspetto, secondo la varieta de’luoghi, donde sono state riguardate. 
<lb/>Si che in Fiorenza, per esemplo, non sarebbono apparite
<lb/>nel medesimo sito di Cielo, che in Padoua. E nulladimeno in 
<lb/>questo comuue è stato il parer degli osseruatori, affermando le
<lb/>due sopra mentouate stelle non hauer mutato aspetto, come che
<lb/>non sia mancato chi in Padoua, credo io perigioco, habbia stampato, 
<lb/>affermando l'astronomiche misure essere state mancheuoli,
<pb n= "47 recto"/>  
<lb/>e mal conosciute da i matematici in osseruare di cotali stelle la paralasse,
<lb/> a cui da eccellentissimo professore è stato nel medesimo
<lb/>luogo riposto, e stampato altresì, e dimostrato, che la paralasse, 
<lb/>ò varietà d'aspetto è infallibil teorema. Ma che tali stelle 
<lb/>non habbiano variato aspetto tutti gli Astrologi osseruarono in
<lb/>particolare, che la stella veduta nella Cassiopea per vn'anno intero 
<lb/>non cangiò mai distanza, ma sempre fece con tre stelle di
<lb/>detta imagine vna figura, che i matematici rombo appellano,
<lb/>cioè, quasi quadrata. E quest'vltima in Padoua scriuono gli Astrologi 
<lb/>il medesimo hauer fatto. Vere per tanto sono le Astronomiche 
<lb/>demostrazioni, cioè, che nel Cielo tali apparenze state
<lb/>siano. Ma vero altresì indubitamente è, che il Cielo inalterabile, 
<lb/>lontano da ongi straniera impression sia, e non capeuole di
<lb/>nuoue forme, come la vera Filosofia ne'nsegna. -
<lb/>Considerazione XII. Vn che fa professione d'intender 
<lb/>d'Astronomia tanto, quanto di Teologia
<lb/>e Filosofia il Colombo. -
<lb/>Risposta. Io m'accorgo, che voi vorreste farmi douentar d'vn Colombo 
<lb/>vn'Oca, e ben grossa, ma voi state fresco; non crediate, che
<lb/>io faccia profession d'Astronomia, quanto voi d'Astrologia, che
<lb/>per poco affermareste per uera (cotanto stimate il valor delle stelle)
<lb/>quella bella fauola da Eusebio raccontata, di quello scrittor, che
<lb/>tiene, l’obbe Paiarca non hauer profetato, ma astrologato i futuri gesti 
<lb/>de’ suoi figliuoli, allegando quelle parole di libro apocrifo.
<lb/>Legi in tabulis cœli, quæcunque ventura sunt
<lb/>vobis, &amp; filijs vestris. 
<lb/>C.Và dicendo, che vna delle ragioni, per le quali 
<lb/>i Matematici mettono le nuoue stelle nell'ottauo 
<lb/>Cielo, e non nella regione elementale, non è,
<lb/>perche il fuoco, e l'aria si muoua, ò non si muoua 
<lb/>con la medesima velocità del Cielo, ma sì
<lb/>bene, perche'l fuoco, e l'aria, per esser rapiti, come 
<lb/>tiene Aristotile, dalla sfera della Luna 
<lb/>giran per appunto in quella guisa, che gira
<pb n= "47 verso"/>  
<lb/>ella stessa. Onde le stelle, che in quelle parti fossero
<lb/> collocate , dourebbero auere il medesimo
<lb/>corso della Luna. Questi adunque conchiude,
<lb/>che i Matematici non per altro, che per essere
<lb/>stato osseruato, che le stelle nuouamente apparite, 
<lb/>non haueuano ne il moto lunare, me anche
<lb/>niun'altro planetale, furon costretti à stimare,
<lb/>che perche elleno manteneuano il medesimo sito 
<lb/>con le stelle dell'ottauo Cielo, nell'ottauo Cielo
<lb/>altresì auessero il proprio seggio.
<lb/>R. Nelle scienze, in cui dite nel principio ancora, che molto sono 
<lb/>esercitato, beffeggiandomi, si come hauete ueduto, e uedrete
<lb/>per l'auuentre, non v'è toccato mai a porui bocca per assagiarle; 
<lb/>e doue hauete per l'improntitudine pur messo identi, non potendole 
<lb/>finalmente masticare, ne siate rimaso digiuno più, che prima.
<lb/>Ma a quel ch'io veggo forse non volete Filosofi, ne Teologi in
<lb/>corte di quel buon vecchione Tolomeo, per la ragion, che di lui
<lb/>dice Celio Rodiotto, cioè, perche [ Theologiam, &amp; physicen spreuit.
<lb/>E perciò fece degli errori, come nota il P Clauio. E
<lb/>auuertite, che il peggio e, che sè delle Matematiche, le quali
<lb/>stimate essere vostro cibo, io vi leuo i bocconi mal cotti per li
<lb/>denti vostri, come fin'hora ho fatto, voi non ne gusterete lisca;
<lb/>ed eccoui morto di fame, e finita la guerra. Oh può fare il mondo; 
<lb/>almeno replicaste voi bene il mio argomento? Pensa tù qual
<lb/>sara la risposta. Le mie parole, se ben non hanno bisogno di eposizione, 
<lb/>sendo chiare, e grandi, come quelle delle scatole da speziali, 
<lb/>inferiscon questo, cioè: che, non si mouendo l'aria uniformemente 
<lb/>con la medesima velocita del Cielo, non poteua l'apparita 
<lb/>stella esser nell'aria; posciache sempre si è mossa col medesimo 
<lb/>moto celeste, e ha mantenuto la medesima dutanza, senza
<lb/>mai far varieta. Hora Sig. Mauri, che hauete in contrario ? nulla. 
<lb/>O di che sclamate adunque? Perdonatemi, che hauete ragione 
<lb/>a dolerui, perche voi fate apunto, come quel pouer huomo,
<lb/>a cui, mancando ogni bene si staua mesto, è piangente; mosso
<lb/>vn vecchio a compassione il domandò, che aueste : nulla rispos'egli. 
<lb/>O perche piangi, replicò colui? Di nuouo riposte il pouero,
<pb n= "48 recto"/>  
<lb/>perch'io non hò nulla. Cosi voi, perche nulla hauete, che
<lb/>dire, perciò sclamate.
<lb/>Discorso. Onde per mio intendimento la difficultà tutta nasce da
<lb/>non si essere ben saputo filosofare, quanto alla sostanza di esse
<lb/>stelle, e circa la maniera nella quale elle si siano nel Ciel fatte vedere. 
<lb/>Impercioche alcuni sono stati di parere, che tali apparizioni 
<lb/>fossero certe esalazioni, o vapori, i quali appoco, appoco
<lb/>assottigliandosi, e  salendo, e purificandosi diuenuti siano al
<lb/>Cielo simiglieuoli, e quasi vna cosa stessa. Onde cosi leggieri
<lb/>habbiano penetrato il Cielo, e siano fino all'ottaua sfera ascesi, e
<lb/>quiui spiritosissimi, e risplendenti fattisi, come quegli, che di là
<lb/>sù prima in terra discesi sono, hauendo (perche son della natura
<lb/>del Cielo, dicono essi) attidudine a rilucer per se medesimi, e
<lb/>aiutati ancora dal Sole, e dalla virtù de’ suoi raggi, lambiccati, stelle 
<lb/>veramente poscia diuentati sieno. Ma che questi vapori siano
<lb/>della natura medesima del Cielo, prouanlo cosi. Questo Vniuerso 
<lb/>è vn corpo solo di cui la terra, e gli elementi son parti; e
<lb/>le parti mai non discordano dal tutto, ne il tutto dalle parti sue,
<lb/>quanto alla natura. Esemplificano col mezo delle varie forme
<lb/>resultanti della materia degli elementi dicendo, che, quantunque
<lb/>varie siano le spezie delle cose per cagion delle forme diuerse, 
<lb/>di maniera che, noi veggiamo, per esempio, l'acqua del diamante, 
<lb/>ò altra simil gemma esser più pura, e più fissa, che quella 
<lb/>del pomo, o d'altra cosa tale; nulladimeno la gemma, e’l
<lb/>pomo costano della medesima materia degli elementi. E cosi 
<lb/>vanno di grado, in grado, per le spezie delle cose scorrendo, 
<lb/>e la purita della mistione assottigliando fin che alla composition 
<lb/>celeste arriuano, credendo, che si nobil corpo delle delizie 
<lb/>degli elementi sia prodotto, e di cosi fatta maniera, ridotto 
<lb/>in vna quinta essenza tanto semplice, che egli rimanga incorruttibile, 
<lb/>auuenga che della natura sia di questi corpi inferiori, e
<lb/>corruttibili. 
<lb/>Oltre acciò vogliono con altra ragione affermar che il superior
<lb/>mondo sia per natura caduco, e alterabile, perche non è eterno.
<lb/>L'eternità, dicono, è vna sostanza semplice, sempre eguale à sè
<lb/>stessa, che non si muta, o si muove, o si altera mai; ne ha alcun rispetto 
<lb/>di più di meno, d'alto, e basso, d'innanzi, e d'indietro: e'l
<lb/>Cielo è pieno di questi rispetti, e perciò di corruzion capace, ma
<lb/>di lunga durata. E perciò credono, che le celesti sfere siano penetrabili; 
<lb/>e con l'esemplo della vista il prouano, quella affermando 
<lb/>penetrar fino alle stelle nella guisa che’l  Sole co’ suoi raggi
<lb/>l'acqua, e'l vetro penetra eziandio, che siano più grossi, e men
<pb n= "48 verso"/>  
<lb/>puri che’ l Cielo. E si come le gioie non appaiono alterate, ne
<lb/>che patiscono detrimento veruno, ben che elle di continuo euaporino, 
<lb/>cosi del Cielo adiuerra, e non altramente quando i vapori
<lb/>cosi puri penetreranno.
<lb/>Conchiudono vltimamente, che quando il corpo celeste durissimo
<lb/>fosse a penetrare nulladimeno resistenza niuna a quei vapori sì
<lb/>spiritosi non farebbe; in quel modo appunto, che le durissime pietre
<lb/>preziose danno luogo al riceuimento delle qualita prime senza 
<lb/>restarne offese, o maculate.
<lb/>Considerazione XIII. Attendasi bene adunque
<lb/>à questo discorso, e imparsi il vero modo di filosofare,
<lb/>non quanto alla sostanza, perche di questa, 
<lb/>come si è detto nella Considerazion seconda
<lb/>non se ne parla mai, ma quanto alla maniera, 
<lb/>nella quale cotali stelle si sien potute vedere, 
<lb/>acciò impariamo nuou’uso d'occhiali, de'
<lb/>quali c è data più a basso vna marauigliosa, e rarissima 
<lb/>cognizione.
<lb/>Risposta. Se haueste hauuto i miei occhiali non vi sareste abbagliato
<lb/> nel cerear le proue della sostanza ancora; ma, perche non
<lb/>se ne uende sotto la loggia degli offici, e costan troppo, il uostro
<lb/>mobile non ci arriua.
<lb/>Discorso. Hora noi dobbiamo ricordarci, che poco dianzi si stabili
<lb/>la machina celestiale esser di materia, e di natura diuersa da questa 
<lb/>de’ sullunari corpi. La onde siano pur l'esalazioni spiritualizate, 
<lb/>quanto si vogliano, che mai non muteranno la natura loro
<lb/>per esser più, o meno purificate. Anzi che, tal mutazione, se l'essere 
<lb/>specifico importera della cosa tanto più indizio manifesto dara 
<lb/>della diuersita di natura trà la materia sua, e quella del Cielo.
<lb/>Impercioche dimostreranne d'essere in potenza a nuoue forme.
<lb/>Qualità che veramente nella celeste materia non alloggia, non
<lb/>sendo ella in potenza ad altro che [ad vbi ] dicono i filosofi.
<lb/>E perciò la materia, che a quella mutation soggiace, sempre la
<lb/>medesima essendo, mestier sara, che sempre sia in potenza a nuoue 
<lb/>forme, e conseguentemente, quel vapore assotiglisi quanto
<lb/>può mai, sempre sara corruttibile, appettendo la sua materia altre
<lb/>forme, e ritterra tuttauia le qualità prime degli elementi di cui
<pb n= "49 recto"/>  
<lb/> non è, come di sopra dicemmo, capeuole il Cielo.
<lb/>Ne rileua niente il dir, che tutta questa macchina mundiale sia vn
<lb/>solo corpo, e conseguentemente le sue parti resultino di quella,
<lb/>ne da quella diuerse siano, si come quella eziandio dalle sue parti
<lb/>diuersa non è. Imperoche vn corpo è solamente in genere logico,
<lb/>dicono i filosofanti, cioè per ragion della corporeità, ma non
<lb/>in genere fisico, poi che diuerse maniere di potenza fra la materia
<lb/>celeste, e la materia degli elementi si ritrouano; questa in potenza
<lb/>ad altre forme, e perciò corruttibili gli elementi; e quella in potenza 
<lb/>al doue solamente, onde in alterabile è il Cielo. Non è
<lb/>vna adunque la materia di tutte le cose, ma altra è la celeste, altra
<lb/>la elementare.
<lb/>Alla conchiusion poi, che il Cielo sia, per certo modo, corruttibile;
<lb/>perche egli non è eterno, io non sò veder, che buona conseguenza 
<lb/>sia questa, per inserirne l'intento loro. Ma, per intelligenza 
<lb/>di ciò, è da considerare, che in quattro modi può l'incorruttibilita 
<lb/>ritrouarsi, Primo, quando la cosa ha per sua natura necessità 
<lb/>d'essere di maniera, che per niuna possanza mai può venir
<lb/>meno; e quest' è IDDIO in cui la vera eternità fa dimoranza.
<lb/>Secondo modo è, quando la cosa niuna comunicanza ha con la
<lb/>materia, chente appunto sono gli Angeli. La terza maniera è
<lb/>quella, che, quantunque la cosa sia alla materia congiunta, auuenga 
<lb/>che corruttibil sia, ad ogni modo vien d'altroue dotata di certa 
<lb/>qualità, che leua, e non concede il passaggio a niuna alterazione. 
<lb/>E tali sono i corpi beati, mediante vn'efficace virtù infusa 
<lb/>nell'anima dalla diuina onnipotenza. L'ultimo modo è, quando
<lb/> la cosa, ancorche materiale, talmente della sua primiera forma
<lb/>s'appaga, che altra non ne desidera, quale appunto la materia celeste 
<lb/>esser si vede. Onde non corruttibile per natura è assolutamente 
<lb/>considerato, ne dilunga durazione, ma per tempo infinito 
<lb/>durerà il Cielo, quantunque habbia hauuto principio, riguardando 
<lb/>quella parte di durazione, che Euo s'appella. Ma rispetto 
<lb/>all'eterno suo fattore da cui l'esistenza, e'l bene essere di tutte
<lb/>le cose depende, caduco, e mancheuole potrà dirsi il Cielo, gli
<lb/>Angeli, e qualunque altra creatura. Percioche solamente quegli
<lb/>è, che esiste per se medesimo, &amp; è. Onde veruna cosa prouano
<lb/>aspettante al proposito loro, dicendo, che eterni quei globi celesti 
<lb/>non siano, cioè senza principio, e senza fine, bastando il
<lb/>non hauer fine, accioche il Cielo incorruttibil sia. Ma ritorniamo 
<lb/>la onde ci dipartimmo. Dico di più, che i vapori, quando
<lb/>si conducessero fino al cielo, supposto, che deuorati dall'igneo
<lb/>elemento non fossero; eglino, che leggieri fossero stati fino allora,
<pb n= "49 verso"/>  
<lb/>da indi in sù graui sariano, rispetto al luogo non naturale à
<lb/> loro; e per sè medesimi inabili a più alto ascendere si ritrouerebbono; 
<lb/>si come l'aria, che assolutamente considerata è leggiera,
<lb/>per giugnere al suo luogo, ma graue rispetto all'elemento del fuoco 
<lb/>di maniera, che nel luogo di quello non potrebbe, come graue passare. 
<lb/>Considerazione XIIII. A considerare à pieno
<lb/>queste Alchimie d'oro, e queste elementali spiritualizazioni 
<lb/>non seruirebbe l'età di Nestore,
<lb/>ne’l ceruello di Platone. Onde io, che non hò
<lb/>l'intelletto cosi spiritualizato, e lambiccato da
<lb/>penetrar queste quinte essenze, me la passerò
<lb/>di leggieri. 
<lb/>Risposta. Cosi haueste voi fatto del rimaso dell'opera, per maggior
<lb/>lode vostra.
<lb/>C. A suo luogo, toccando solo di queste materie
<lb/>qualche cosetta, che non habbia bisogno di sottiglieza più, che dozinale. -
<lb/>R. Buon per voi, se vi stauate dentro è cotesti termini.
<lb/>C. E tanto più, che io tengo per certo, che questi
<lb/>luoghi à bastanza abbiano à esser considerati,
<lb/>dichiarati, e corretti da chi oltre allo’ntendersene 
<lb/>più di mè, dourebbe auer maggior desiderio, 
<lb/>che e' fossero bene’ tesi, e capiti, per hauer 
<lb/>dato egli, per quanto posso conoscere, al nostro 
<lb/>Sig Colombo occasion di scriuere.
<lb/>R. Douete saper, che, gli attizatori di risse, io gli assimiglio a quei
<lb/>testi rotti, che a niun'altra cosa son buoni, che a portare il fuoco 
<lb/>di questa casa in quella: ma perche tale strumento non passa 
<lb/>per le case nobili, uoi haurete, per mio auuiso, perduto il tempo.
<lb/>Non ha bisogno di vostre fiancate quegli di cui fate menzione,
<lb/>ne riccucrebbe il mal consiglio del pedante, come è accaduto a
<pb n= "50 recto"/>  
<lb/>voi; e'l conoscerebbe Cimabue, che hauea gli occhi di panno.
<lb/>Io non hebbi mai l'occhio di parlar contro veruna particolar persona; 
<lb/>ma solo di dire il parer mio, e attendere a’ concetti come
<lb/>conuiene, e come è stato sempre lecito a ciascuno scrittore, honorando 
<lb/>tuttauia coloro, che virtuosamente s'adoperano, come
<lb/>che io discordi da essi in alcuni pareri. Anzi non concorrero
<lb/>mai nell'opinion vostra, che mi sgridate, che io gli habbia lodati 
<lb/>infino di ingegnosi, per non mi dimostrar litigioso: e non 
<lb/>dimeno per molti rispetti doueuate lodarmene. Mauri voi fate 
<lb/>passo con queste carte troppo spesso: elle vi debbon dir molto cattiuo. 
<lb/>Può frà, che, lasciate passare i concetti a quattro per volta? 
<lb/>Io non vidi mai far l'Alchimie, e tramutar l'oro in piombo, meglio, 
<lb/>che a voi, riducendo le buone dottrine in sofisticherie. Ma
<lb/>vi consiglio a fuggire più, che gli Alchimisti l'alchimie; perche,
<lb/>quantunque l'arte sia vera, egli è anche verissimo, che tutti gli
<lb/>Alchimisti alla fine ripieni di fumo, e di fame, tengono vn'occhio
<lb/>al Crociolo lutato, e l'altro alla borsa vota; ne si veggon mai
<lb/>per le strade, che non sian neri, come demoni, e che non paia,
<lb/>che ogni pel chiega vn pane; e ad ogni modo, tale è la lor pazzia,
<lb/>che speran, tra pochi giorni, trouar più oro, che non porta la Flotta 
<lb/>al Re di Spagna.
<lb/>Discorso. Oltre acciò non possono i vapori toccare il Cielo, non
<lb/>che per entro a quello penetrare, non sendo egli tangibile. Impercioche 
<lb/>egli non è ruuido, morbido, caldo, freddo, humido,
<lb/>ne secco: tutte qualità sottoposte al senso del tatto, delle quali è
<lb/>spogliato quel semplice, e incorruttibil corpo. E che egli toccar
<lb/>non si possa è pur troppo chiaro.
<lb/>Considerazione XV. Ecco vna nuoua dottrina -
<lb/>cauata dal profondo della vera filosofia, che
<lb/>datur vacuum in natura. Perche chi che sia
<lb/>argomenterebbe cosi. Sotto alle sfere celesti vi
<lb/>è il fuoco, e gli altri elementi; ma fra il fuoco, e’l
<lb/>Cielo non vi è niente; adunque frà il fuoco, e'l
<lb/>Cielo v'è vacuo. Si proua la minore, perche il
<lb/>Cielo secondo la filosofia del nostro autore non è
<lb/>tangibile.
<lb/>Risposta. Tutto questo manico si lungo, che voi fate, per diruela, voleua 
<lb/>esser di materia assai più loda, che lunga, se voleuate finalmente
<pb n= "50 verso"/>  
<lb/>poterlo attaccare a quei gran mestolini della nuoua stella,
<lb/>e della densità celeste: perche chi non vede, che egli si piega, e
<lb/>rompe nel fabricarlo? Niuna marauiglia è, ch'io tragga la mia
<lb/>dottrina dal profondo della vera filosofia; ma sarebbe da marauigliarsi 
<lb/>ben, se voi la sprofondaste con la falsa. Chi v'ha'nsegnato
<lb/>si bella conseguenza, che, se il fuoco non tocca il Cielo, di necessità 
<lb/>ne segua il vacuo tra’ l Cielo, el fuoco ? E vero, che tra
<lb/>l'elemento, e'l corpo celeste non è niente, perche il Cielo tocca
<lb/>l'elemento; ma non già l'elemento il Cielo. Aristotele, non dic'egli, 
<lb/>disputando contro gli antichi, che non è buon modo d'argomentare 
<lb/>Extra Cælum nihil est; ergo vacuum;
<lb/>Ma che bisogna dire, ergo nihil? La ragion, perche il fuoco 
<lb/>non tocca il corpo celeste ò, perche non è altro il tatto fisico, propriamente 
<lb/>parlando, che quel, che si fa tra diuerse quantità corporee 
<lb/>occupanti luogo, di cui l'estreme superficie congiungendosi
<lb/>fanno vicendeuolmente l'azione, e la passion fra di loro. Hora, 
<lb/>perche l'elemento del fuoco non comunica in materia col
<lb/>Cielo, non si produce da lui azione in quel corpo, ma si bene la
<lb/>riceue. Onde metaforicamente, e per similitudine si dirà, che
<lb/>l'igneo elemento faccia contatto col Cielo, ma non proprio,
<lb/>ne fisicamente; così dice Egidio Romano.
<lb/>Cum Cœlestia corpora mouent hace inferiora
<lb/>est ibi tactus metaphoricus, ex altera parte 
<lb/>tantum: nam ex parte horum inferiorum bene 
<lb/>est aptus natus reperiri tacius proprie, sed
<lb/>non ex parte Cœlestium, quia tangunt impassibibiliter.
<lb/>Ecco, che il vacuo si và riempiendo.
<lb/>Cosi si riempiesse quel, che si ritroua, nella borsa, nella scienza, 
<lb/>e nel ceruello d'alcuni; perche fuor di questi tre luoghi il
<lb/>vacuo veramente non si dà. 
<lb/>C. Ma quì sono di ma passi, perche Aristotele
<lb/>vuole tutto’ l contrario, e se il Colombo non fosse 
<lb/>nel resto tutto suo, temerei forte, che non cedendo 
<lb/>l'uno all'altro, la lite non infistolisse.
<lb/>E la cagione di questo scompiglio sarebbe stata 
<pb n= "51 recto"/>  
<lb/>l'arguire di quel tale, cauandone da quel vostro 
<lb/>intangibile necessariamente il vacuo.
<lb/>Onde egli, come huomo da bene, aueua più
<lb/>tosto deliberato di stimare contro’l discorso il
<lb/>Ciel tangibile, che mettere fra simili persone sì
<lb/>gran zizania, fondato in questa sua ragione.
<lb/>R. Haueuate ragione di additar questo mal passatoio, poiche
<lb/>c'hauete dato sì gran colpo, che ve ne ricordarete per lungo -
<lb/>tempo, perche non apriste ben gli occhi a leggere quel tale, 
<lb/>cioè il Clauio. Egli dice nel luogo da voi citato. 
<lb/>Cælestes orbes sese tangunt mutuo. 
<lb/>Ma non dice degli elementi, che tocchino il Cielo; e de'Cieli
<lb/>ancora si intende di contatto quantitatiuo solamente, e non qualitatiuo, 
<lb/>come si dice più sotto. Eh non fate questi marroni Alimberto? 
<lb/>Forse, che il Clauio si parla fra i denti, da non essere inteso, ò consenso
<lb/>ambiguo da poter dire io l'intendo così. Io credo pur, che il 
<lb/>uostro testo, e il mio sian figliuoli del medesimo padre, se già il 
<lb/>vostro non fosse scambiato a balia. Toccato adunque è il fuoco 
<lb/>dal Cielo per modo di resistenza, se voi desiderate saperlo, 
<lb/>la qual non è altro, che vn certo impedimento dell'azion senza 
<lb/>contrasto, o repugnanza contro l'impediente: ne hà cotal repugnanza 
<lb/>altro esser, che priuatiuo, non sendo altro, che quel 
<lb/>non riceuer, ne ammetter l'azione. E se ben questo modo priuatiuo 
<lb/>non è da per sè in predicamento; nulladimeno si riduce 
<lb/>al predicamento dell'azione, e passione. Onde cotal resistenza 
<lb/>non debbe dirsi, che sia nel Cielo, ma nello stesso elemento,
<lb/>che non può toccare il Cielo, quantunque sia toccato da esso. 
<lb/>Dicono graui dottori, che, se chi che sia fosse vicino alla Luna, 
<lb/>e distendesse la mano, conoscerebbe per intelletto, e col senso 
<lb/>interiore di non poter penetrar nel Cielo, ne toccarlo, per qualche 
<lb/>ostacolo, ma non di qualità sensibile, non hauendo tali accidenti 
<lb/>il corpo celeste. E come che i sensibili comuni non possan 
<lb/>sentirsi, se non mediante i sensibili propri; nientedimeno si farebbe 
<lb/>tale imperfetta sensazione adogni modo: imperoche, essendo 
<lb/>di due maniere tangibili; l'uno matematico, e l'altro fisico; e toccando 
<lb/>nel primo modo, che solo tatto quantitatiuo si appella; e 
<lb/>non nel secondo, che è quantitatiuo, e qualitatiuo insieme; si sentirebbe,
<lb/>per priuatione, e mancanza de sensibili propri: conciosiacosache 
<pb n= "51 verso"/>  
<lb/>il senso interno, essendo in atto per sentire, e non sentendo, 
<lb/>si dice che egli sente di non sentire il sensibile proprio.
<lb/>E questo basta per far la sensazion del sensibile comune quantitauo. 
<lb/>Perciò Aristotele nel secondo dell'Anima, al capo settimo,
<lb/>e i seguenti vuole, che Eodem sensu percipiamus obiectum 
<lb/>proprium, &amp; etiam priuationem illius;
<lb/>Si come il medesimo occhio conosce la luce, e le tenebre. 
<lb/>C. Quelche rapito, e girato è dalla sfera Lunare, 
<lb/>è toccato dal Cielo: Ma il fuoco è rapito,
<lb/>e girato, secondo Aristotele dalla sfera della
<lb/>Luna; adunque il fuoco tocca il Cielo: adunque
<lb/>il Cielo è tangibile.
<lb/>R.Oltre che non è vero, che ciò che è girato, e rapito dalla sfera lunare, 
<lb/>sia toccato dal Cielo; si negano queste due conseguenze,
<lb/>non solo perche non son di buona Loica, per le ragion dette, ma
<lb/>etiandio, perche, della prima in buona conseguenza, doueuate dire;
<lb/>adunque il fuoco è toccato dal Cielo: e cosi non seguiua, che
<lb/>il Cielo fosse tangibile altramente.
<lb/>C. Ma teme non ve ne ridiate, Sig. Colombo, rispondendo
<lb/>voi, secondo, che egli si persuade per
<lb/>i vostri sottili ritrouamenti, prontissimamente, 
<lb/>che ò madonna Luna hà certi spaghetti,
<lb/>per i quali, senza imbrattarsi le mani, si tira
<lb/>dietro quella parte d'elementi, ò vero che ella
<lb/>si serue di certi strumenti à guisa di soffioni,
<lb/>per lo cui alito, e vento sò dir’io, che gli fa 
<lb/>trottare.
<lb/>Potrebbe di vero replicare, che'l vento non essendo 
<lb/>altro che aria commossa, almeno da questa
<lb/>aria perturbata è toccato'l Cielo: ma non ne
<lb/>vuol far’ altro, perche subito lo fareste forse,
<pb n= "52 recto"/>  
<lb/>tacere, dicendo: che questo non è di quei venti
<lb/>nostrali, ma d'una sorte non conosciuta , e 
<lb/>straniera.
<lb/>R. Hor cred'io, che uoi sareste il caso suo per soffione; e che habbiate 
<lb/>gonfie le nari, e inquieto soffiate, ruggendo com'vn Leone 
<lb/>accanito, posciache, questi sbeffamenti ritornano in capo 
<lb/>à voi. E vero ch'io rido; non gia di questa melensagine degli 
<lb/>spaghetti, che niente friza; ma che ella mi fa ricordar d'vn
<lb/>certo huomo, che, hauendo dato nelle girelle, si mise vn giorno 
<lb/>alla finestra con la bocca piena d'acqua a far con vn fil di
<lb/>paglia vn bel zampillo nella via, ma perche vide la moglie, che
<lb/>tornaua di fuora, subito si leuò. Ella, giunta in casa, il domandò, 
<lb/>perche si fosse fuggito, pensando, che fosse stato effetto di
<lb/>vergogna quel, che era segno di maggior pazzia; posciache egli
<lb/>rispose. Perche io hauea paura, che tù mi tirassi giù, attaccandoti 
<lb/>a quell'acqua. e ciò disse parendogli, che fosse vno spaghetto. 
<lb/>Torniamo a noi. Siate voi capace adesso, che il Cielo non
<lb/>è tangibile, e che, se ben non è toccato dal fuoco, non per tanto 
<lb/>non vi è il vacuo? Anzi, che se lassù fosse il vacuo, il Sole, la
<lb/>Luna, e l'altre stelle, non solamente non ci manderebbono il lume, 
<lb/>ma ne eziandio vedremmo i corpi loro, perche, non vi essendo 
<lb/>il diafano di mezo, per cui le spezie si diffondono, e i raggi, 
<lb/>che son portati a noi; come si potrebbon mai da gli occhi
<lb/>nostri vedere? Il lume, che è forma corporale ha mestier d'vn 
<lb/>corpo, che lo riceua, e trasporti, cosa che nel vacuo non può
<lb/>accader senza fallo veruno. Ecco il testimonio d'Aristotele nel
<lb/>secondo dell'Anima; [per vacuum] dic'egli [non est videre. ]
<lb/>Non che sia impotente la cosa visibile, ò l'occhio, che dee
<lb/>vedere, ma nasce dal mancamento del mezo, si come colui, che
<lb/>hà fame, e non può mangiare, perche non hà cibo; onde non è
<lb/>impedito, ma non è aiutato, e però non mangia. 
<lb/>Discorso. Posciache, se il contiguo elemento suo il toccasse, conseguentemente 
<lb/>le sue qualità gli comunicherebbe. Si che ormai 
<lb/>l'attiuo suo calore, eccitato dal rapido mouimento di esso Cielo,
<lb/>haurebbe per tante migliaia d'anni la fabrica celeste alterata tutta 
<lb/>di maniera, che, se bene ella per lungo spazio di tempo, secondo
<lb/>que'tali combustibile non fosse, come si vede all'oro adiuenire,
<lb/>ad ogni modo si rarefarebbe liquefacendosi, e rossa del color del
<lb/>lo stesso fuoco douenterebbe, e consumeriasene alquanto , in
<lb/>quella guisa che all'oro medesimo accade. Anziche l'oro per la mistion 
<lb/>d'altri metalli, e minierali si muta di natura eziandio, come
<pb n= "52 verso"/>  
<lb/>gli Alchimisti sanno. Non possono adunque giugnere i vapori al Cielo, 
<lb/>toccare, e penetrar quello. Ma quando pur si volesse conceder, 
<lb/>che passar vi potessero, e di natura celeste douentare, chi
<lb/>crederà gia mai, che, se quei vapori cotanto esanimati, e cosi spiritosi 
<lb/>ridotti, e meno che l'aria visibili, giungessero là doue le
<lb/>stelle assai maggiori della terra si perdono d'occhio in tanta altezza; 
<lb/>quegli veder si potessero in sembianza delle maggiori fiammelle, 
<lb/>che nello stellato alloggiano?
<lb/>Considerazione XVI. Se adunque il fuoco come
<lb/>efficacemente mi penso, si proua nella Considerazion
<lb/> passata, tocca il Cielo, il Cielo per vostra 
<lb/>conseguenza, Sig. Colombo, aurà le qualità 
<lb/>del fuoco: adunque calidità, contro à quello,
<lb/>che auete affermato più volte. 
<lb/>Risposta. Voi hauete la bocca tanto gentile, el gusto così alterato
<lb/>che ancor ch'io v'habbia ridiguazzato, e ripesto nel mortaio ben
<lb/>bene ogni cosa non c'è stato verso a farui inghiottir questo boccon 
<lb/>salutifero. Orsù andate io hò anche masticato, e inzuccherato, 
<lb/>che è più, questa medicina di modo, che la virtù ritenitrice, 
<lb/>se bene è fiacca, non la doura sdegnare. Altramente io vi
<lb/>prometto, che vi morrete per mio conto, nella vostra infirmità:
<lb/>perche a dirlaui, questa cortesia vsataui, non è la carita di Don
<lb/>Tubero, che masticaua il zucchero a'malati; e per ciò la faceua
<lb/>volentieri,
<lb/>C. Il perche la cosa v’andrà molto male, se per risposta 
<lb/>non si arreca a quella ragione altro, che
<lb/>ò spaghetti, ò soffioni. E quanto sia debole, e
<lb/>uano il vostro argomento dell'attiuità del fuoco,
<lb/>ilqual dite , se toccasse il Cielo aurebbe già liquefatta 
<lb/>la celeste machina, lo dimostra, come
<lb/>s’è accennato nella Considerazione VIII. nel
<lb/>suo trattato il Padouano.
<lb/>R. La Filosofia è molto mal condotta, se ella debbe stare a sindica-
<pb n= "53 recto"/>  
<lb/>to di Cecco di Ronchitti. ma, gli habbiano risposto, per non 
<lb/>mandare sconsolato [se ben era meglio il tacere. 
<lb/>C. Ma di più si potrebbe far palese la sua falsità;
<lb/>imperocche, sì come è cosa notissima, gli elementi 
<lb/>ne’ lor luoghi non anno inclinazione al nuocere, 
<lb/>ma più tosto maggior naturalità al giouare: 
<lb/>onde argomentano, e dicono gli Astrologi,
<lb/>che i pianeti ne’ propri luoghi son sempre di miglior 
<lb/>condizione. Il fuoco adunque ritrouandosi 
<lb/>nel proprio sito, per sua natura, giouerà sommamente, 
<lb/>ne per quell'arrotamento, cagionato
<lb/>dal moto del Cielo, essendo eccitata, secondo’l
<lb/>vostro parere, l’attiuità del suo calore, potrà apportar 
<lb/>nocumento alcuno all'vniuerso: anzi cotal 
<lb/>mouimento, per esser naturale, sarà conseruatiuo 
<lb/>delle primiere qualità, e nature d'amendue 
<lb/>que’ corpi.
<lb/>R. Di tanto mi dolgo circa questa mia fatica, ch'io non potrò mostrar 
<lb/>la sottigliezza dell'ingegno mio, di cui diceste dianzi, alle
<lb/>persone letterate in rispondere a gli argomenti vostri; perche
<lb/> non son nuoui, ne ingegnosi da suegliar l'intelletto, ma più tosto 
<lb/>nausa, e fastidio apportano. Sapete come son le vostre saluatiche 
<lb/>dottrine ? simili alle Ficaie, che nascon nelle rupi, di cui
<lb/> solamente i Corui, e Nibbi, e altri somiglianti vccellacci si pascono. 
<lb/>Gli elementi ne luoghi loro, e anche fuor di quelli non
<lb/>sò, che habbiano inchinazione a nuocere per alcun modo, ne per
<lb/>alcun tempo; e, se di fatto alcuna fiata nuocono, ciò accade per
<lb/>accidente; e questo basterebbe per risposta alle vostre argomentazioni 
<lb/>insolite. Ma per ch'io veggo, che l'intenzion vostra è
<lb/>di arguire, che il fuoco nella sua sfera non arda; si risponde così:
<lb/>che egli è vero, che il fuoco nella sua sfera non arde, perche, essendo 
<lb/>nel suo luogo conseruante, non hà bisogno di cibo; ma
<lb/>che ad ogni modo le sue forze si rinuigoriscono, e son più robuste,
<pb n= "53 verso"/>  
<lb/>che fuori del suo luogo, mediante il moto velocissimo del
<lb/>Cielo, che e sodo, e l'arruota, e trita, oltre al lume del Sole, e
<lb/>delle stelle, che aggiungono calore, e dal calor nasce rarefazione,
<lb/>e dalla rarefazion si cagiona, che, volendo ampliarsi, e occupar
<lb/>più luogo, l'aria cerca farli resistenza, e così egli la diuora, e
<lb/>consuma, in se stesso mutandola. e perciò, secondo le parti
<lb/>sue estreme sempre è in operazione il fuoco, e non cessa mai di
<lb/>abbrucciare necessitato dalla mistion de’ moti, dal corso celeste,
<lb/>per bisogno della natura. E se egli non si auanza, e non si
<lb/>dilata, se non fino a certo termine, che non altera l'ordine della
<lb/>scambieuolezza: ciò adiuiene, perche riman, secondo le parti, da
<lb/>gli altri elementi superato, conciòsiache, nel far la sua azione in
<lb/>quelli, sente la reazion molto più efficace. e s'infieuolisce, perche 
<lb/>la virtù de corpi naturali, agguagliandosi alla quantita della
<lb/>mole, non può minima parte dell'igneo elemento, fuor del suo
<lb/>luogo, superare il gran corpo dell'aria nella sua sfera. E questo 
<lb/>per beneficio della natura, accioche durino lungamente, e
<lb/>l'vno non distrugga l'altro. Hora, se quel calore infocasse'l
<lb/>corpo celeste, perche è di grandezza incomparabile, di velocità
<lb/>inestimabile, di sostanza sodissima; non solo non contrasterebbono 
<lb/>gli elementi con l'attiuità voracissima corrispondente a 
<lb/>quel corpo; ma incontanente ridurrebbe in cenere ogni cosa, massimamente, 
<lb/>che le forme elementali, e in particular quella del
<lb/>fuoco sempre stanno in continua operazione. 
<lb/>C. Aggiugnesi, che non è vero, che l'attiuo calor
<lb/>del fuoco possa niente di più esser’eccitato, ò accresciuto 
<lb/>dal rapido mouimento del Cielo, attesochè
<lb/>girando amenduni il Cielo, el fuoco di compagnia, 
<lb/>con la medesima velocità, viene à mancare 
<lb/>quell'arrotamento, dal quale, con questa
<lb/>condizione però, se violento fosse, e non naturale, 
<lb/>potrebbe forse nascere qualche accrescimento 
<lb/>di caldeza.
<lb/>R. La violenza, che fa il Cielo all'Elemento igneo non è violenza
<lb/>di contrarieta corruttiua, ma conseruatiua, e gioueuole, perche
<pb n= "54 recto"/>  
<lb/>accresce il suo calore, e lo conserua, come per esemplo il soffio
<lb/>del mantice, che augumenta, e vigore accresce allo stesso fuoco, 
<lb/>benche gli sia violento. Che tal violenza si faccia dal Cielo 
<lb/>all'elemento del fuoco, per cagion della difformità de mouimenti 
<lb/>s'è mostrato à bastanza accader dalla difformità de mobili, 
<lb/>essendo quel denso, questo raro, quel sodo, questo arrendeuole, 
<lb/>e alterabile. Se teste vi pigliate gusto, e gioco di schernir 
<lb/>le mie dottrine, e quelle d'Aristotele, e di più graui autori ridendoui 
<lb/>de'fatti miei, col dirmi, che mi andra nolto male: io dirò
<lb/>auoi, come disse la Volpe al Lupo. Diede vn pastore vna solenne 
<lb/>bastonata al Lupo sù la schiena, sì che egli per la pena, ritirando 
<lb/>le labra, digrignaua, e mostraua tutti i denti. Ilche veduto la
<lb/>Volpe, e pensando, che egli se ne ridesse; ridi quanto tu vuoi,
<lb/>diss'ella, cotesta e stata vna mala bastonata. Cosi dico a voi, che
<lb/>burlate, e ridete, quando vi è stato riueduto il pelo da ritto, e 
<lb/>da rouescio.
<lb/>Discorso. La ragione a non crederlo ne persuade. Impercioche, i
<lb/>vapori non son tutta la terra, ma vna parte menomissima di quella,
<lb/>e cotal parte in guisa lambiccata, e assottigliata, che quasi al niente 
<lb/>ridotta, menzogna sarebbe il voler pur dire, che fin dall'ottaua 
<lb/>sfera si lasciasse quel vapor vedere. E perche, se quei vapori
<lb/>per virtù propria, e per virtù delle attraenti stelle, stelle douentano, 
<lb/>il Sol non potra da se solo fare il medesimo effetto? Onde
<lb/>continuamente accaso sparse appariranno nel Ciel nuoue stelle:
<lb/>Cosa che falsa appare per l'osseruanza di molti secoli trascorsi il
<lb/>contrario dimostrante.
<lb/>Considerazione XVII. Questa ragion non vale
<lb/>vn zero: perche vna menoma parte di tutta la
<lb/>terra andatasene in vapori, e in aria, come dice 
<lb/>Aristotile, può diuenir molto maggior, che
<lb/>non è la terra, in quella guisa, che fa la poluere 
<lb/>d'archibuso, la quale accesa, e suaporizata, 
<lb/>cresce le decine di centinaia più del corpo suo
<lb/>primiero, e di quì aduiene, perche non capendo 
<lb/>ella più in quello strumento, ne esce con quella
<pb n= "54 verso"/>  
<lb/> furia, e forza, onde ne proceda incontanente
<lb/>sì fatto scoppio. 
<lb/>Risposta. Sapete quel ch'io v'hò da dire? quanto più sangue vi fate
<lb/>trar da questa uostra piaga, tanto più l'incrudelite. Arist. da voi
<lb/>citato fa comparazion tra le quantità de’ corpi elementali; e vuol,
<lb/>che, per esemplo dieci parti d'aria sieno in quantità vna parte d'acqua, 
<lb/>per esser quella tanto più densa; ma non afferma già come
<lb/>voi, che l'aria multiplichi le decine delle centinaia di parti sopra
<lb/>una d'acqua. Considerate adunque, i vapori quanto potranno 
<lb/>accrescersi, quand'escon dalla terra, quasi ridotti in aria, tanto 
<lb/>sottili sono. Onde, chi crederà mai, che possano, rarefacendosi 
<lb/>quei pochi vapori, cotanto spaziarsi, che auanzino di latitudine 
<lb/>mille volte lo spazio, che occupa il corpo della terra, che è
<lb/>quasi come, se si ampliassero, per dir cosi, in infinito? Cosa, che
<lb/>veramente è impossibile, dice San Tommaso con tali parole.
<lb/>Quod etiam dicunt de rarefatione corporis in infinitum, 
<lb/>propter hoc, quod corpus est diuisibile 
<lb/>in infinitum: vanum est: non enim corpus
<lb/>naturale in infinitum diuiditur, aut rarefit,
<lb/>sed vsque ad certum terminum. 
<lb/>Ma, quando tal rarefazion potesse farsi, indubitatamente benche non
<lb/>più di cento braccia si eleuassero cotali uapori, dai nostri occhi
<lb/>veder non si potrebbono. Onde, che menzogna sarebbe il creder 
<lb/>ciò, quando fossero ascesi fino allo stellato Cielo? Le stelle 
<lb/>si veggon non solamente perche son magggiori della terra tante
<lb/>uolte, ma eziandio, perche son dense, e luminose, che altramente 
<lb/>visibili non sarebbono all'occhio humano. Oltre acciò non 
<lb/>passano i uapori la seconda region dell'aria, come uoi medesimo
<lb/>affermate alla Considerazion 43. E che più importa, il vogliono
<lb/>tutti i filosofi, e in particular San Tommaso.
<lb/>Dicere enim quod aquæ vaporabiliter resolutæ
<lb/>eleuentur supra cœlum sydereum, ut quidam
<lb/>dixerunt est omnino impossibile, tum propter
<lb/>soliditatem cœli , tum propter regionem ignis
<lb/>mediam, quæ huiusmodi vapore consumeret,
<pb n= "55 recto"/>  
<lb/>tum quia locus quo feruntur leuia, &amp; rara est
<lb/>infra concauum orbis Lunæ, tum etiam, quia
<lb/>sensibiliter apparent vapores non eleuari usque
<lb/>ad cacumina quorundam montium. 
<lb/>Che più ? il uostro Vitellione, e Alhacen, dicono l'esalazioni 
<lb/>non ascender più alto, che tredici leuci, cioè 52. miglia. Al
<lb/>meno haueste uoi degnato il dubbio seguente, circa la uirtù del
<lb/>Sole, per cui si farrebbe la generazion di tante stelle generandosi 
<lb/>di uapori. Crediate pur, che non si può far peggio nelle dispute, 
<lb/>che finger di non ueder gli argomenti, e lasciarli in asso: perche 
<lb/>è manifesto segno d'arrenamento, e di debolezza di schiena 
<lb/>irreparabile. Quanta al uostro esemplo della poluere d'archibuso,
<lb/>perche non proua a bastanza, faceste bene a seruirui della figura
<lb/>dell'amplificazione; poiche il Cardano afferma, che solamente
<lb/>occupa vna parte di poluere, cento uolte più luogo a darle fuoco,
<lb/>che non fa spenta. e nulladimeno, per esser corpo denso, e ristretto 
<lb/>in quel poco luogo, bisogna dir, che molto più de vapori spaziare, 
<lb/>e ampliar si possa. Ne anche è uero, che, la causa efficiente 
<lb/>dello scoppio, che fa la poluere sia quell'impeto, e forza 
<lb/>della poluere solamente: imperò che tre sono le cagioni di cotale 
<lb/>accidente, dice lo stesso autore nel medesimo luogo. La prima 
<lb/>è il fuoco, che, attiuissimo essendo, per lo suo calore, subito
<lb/>s'appiglia a quella materia ben disposta, e la rarefa, sforzandosi
<lb/>dilatarla in quella stretta canna dell'archibuso: onde con gran 
<lb/>uiolenza la scuote per ogni parte; ne trouando altra via più facile 
<lb/>per vfcir fuora, che donde entrò la palla, di quiui con gran forza 
<lb/>scappa molta violenza facendo, per lungo spazio, anche alla 
<lb/>stessa aria, che le si oppone, cagion di strepito maggiore. La seconda 
<lb/>è la stessa palla, che per l'impeto stride nel fender l'aria.
<lb/>Finalmente, ed è la terza cagione, il salnitro anch'egli scoppia,
<lb/>come si vede, che fà da se stesso nel fuoco, benche non racchiuso,
<lb/>come ogn'altro sale. Quindi soggiugne;
<lb/>His tribus causis, sed prima præcipue dum 
<lb/>exoneratur machina fragor tantus, ac tonitru 
<lb/>non absimilis excitatur. 
<lb/>Hora vedete, che il fuoco è vera, e principal cagion di cotale
<lb/>accidente; e l'altre cose son cause strumentali, e materiali, come
<lb/>la poluere, la palla, l'archibuso, e simili. 
<pb n= "55 verso"/>  
<lb/>Discorso. Aggiungo, che se pur nelle celesti sfere nuoue stelle si generassero 
<lb/>il mouimento loro cesserebbe, secondo, che Aristotele
<lb/>ne'nsegna; affermando egli, che la natura del Motore è cosi adequata 
<lb/>al mobile, che aggiuntoui vn minimo corpicciuolo farebbe 
<lb/>sproporzion tra il mobile, e'l motor suo. Ma si dee intender
<lb/>sanamente Aristotele, cioè , che di qualunque corpo la virtù, e
<lb/>la dignità sendo finita, finita altresì, e adeguata à quello è la virtù 
<lb/>del mouente suo: sì che il mobile non perciò è graue, ne
<lb/>il motor si stanca; ma la sfera dell'attiua di quell'Angelo, che
<lb/>a quell'orbe assiste più oltre non si estende.
<lb/>All'altre ragioni, e esempli, che dintorno a tali esalazioni, e vapori
<lb/>adducono questi valent'huomini, non par, che mestier faccia di
<lb/>risposta. Impercioche (e auuertasi hora per sempre ) quando i
<lb/>principali fondamenti doue tutta la machina si regge rouinati saranno, 
<lb/>secondo il creder nostro, vano sarebbe il prender noia di
<lb/>far cader le mura, che precipitan per se medesime.
<lb/>Vengo all'esempio, che apportano in mezo, dicendo, che si come
<lb/>la vista passa tutti i Cielo, e arriua alle stelle senza alterazion di
<lb/>quei corpi; cosi è non altramente penetrar possono il Cielo quelli 
<lb/>spiritualizati vapori.
<lb/>Considerazione XVIII. Leggasi per cortesia quel
<lb/>trattatello del Padouano, e veggasi quanto si dea
<lb/>stimare simile argomento.
<lb/>Rispesta. O fatemi di queste, ch'io vi prometto, che spacciatamente 
<lb/>ci spediremo. Perch'io leui la briga altrui di legger Cecco, poi
<lb/>che vi siete uergognato a mentouar le sue dottrine, quantunque
<lb/>egli sia tutto vostro, per esser elle più tosto da zanni, che da filosofo; 
<lb/>non voglio restar di apportarle in mezo. Egli, beffeggiando 
<lb/>Aristotele, risponde, al Signor Lorenzini, che vsa le sue
<lb/>ragioni, e dice, che non mancano i letterati, che tengono, che
<lb/>il Ciel non si muoua: alludendo a quella opinion ch'io citai nella 
<lb/>risposta della quinta considerazione, rinnouata dal Copernico,
<lb/>e seguitata da lui solo, o pochi più, senza ragion veruna, che verisimile 
<lb/>appaia. Ma voi perche non rispondete alle mie ragioni, 
<lb/>fuor di quella della mancanza del moto, addotte? E a quella
<lb/>parui, che tal risposta sia degna di filosofo ? Se volete imitar gli
<lb/>Areopagiti , che hauean precetto di giudicare al buio, almeno
<lb/>imitategli interamente. Essi hauean cotal costume, per fuggire
<lb/>il pericolo di destar l'affetto dell'amore, o dell'odio : ma voi sentenziate 
<lb/>a chius'occhi, per non destar l'appetito ragioneuole a
<lb/>conoscer la verita. 
<pb n= "56 recto"/>  
<lb/>Discorso. E primieramente si nega, che i raggi visuali vadano à trouar 
<lb/>gli oggetti visibili, e massimamente le stelle.
<lb/>Considerazione XIX. Non occorreua veramente 
<lb/>entrate in queste contese, atteso che (dato ancora, 
<lb/>che la vista si faccia intromittendo) per
<lb/>questo non s’annulla l'esemplo, anzi si mantiene 
<lb/>in quanto à questa parte nello stesso vigore, dicendosi 
<lb/>in cotal maniera. -
<lb/>Si come la spezie delle stelle passa tutti i Cieli, e
<lb/>arriua a gli occhi nostri senza alterazion di
<lb/>que’ corpi, cosi, e non altrimenti, penetrar possono 
<lb/>il Cielo quegli spiritualizati vapori.
<lb/>Risposta. Certamente, che egli si può far comparazione conueneuole 
<lb/>tra i vapori, e le spezie delle stelle; queste intenzionali, e
<lb/>spirituali essendo, e quegli corporei, e materiali, si che, se 
<lb/>quelle penetrano i Cieli, la conseguenza sia, che anche i vapori 
<lb/>penetrar gli possano. Ricordateui in buon'ora, che tra intenzionale, 
<lb/>e reale è molta differenza, come prouammo di
<lb/>sopra; e perciò conoscerete, che tanto conuengono i uapori materiali, 
<lb/>con le spezie delle stelle spirituali intenzionali, quanto le
<lb/>scrofe con le Scimie. Finalmente la differenza è tale, che sè i
<lb/>uapori penetrassero il Cielo, cagionerebbon reale, e materiale 
<lb/>immutazione, che alteratiua, e corruttiua s'appella: ma le spezie
<lb/>luminose producono in quei corpi celesti immutazione intenzionale, 
<lb/>e spiritale. Onde non corruttiua, ma perfettiua immutazion 
<lb/>dee chiamarsi, perche introduce la farma di qualche cosa, 
<lb/>senza scacciamento di contrari; come per esemplo la bianchezza, 
<lb/>che nell'occhio, ò nello specchio, ò nell'aria cagiona
<lb/>la sua spezie, niuna altra forma cacciandone. Signor Mauri 
<lb/>a’ vostri esempi, e accaduto in quella stessa maniera, che alle penne 
<lb/>degli altri vccelli, quando s'accostano a quelle dell'Aquila, 
<lb/>perche subito rimangon rose, e annullate da certa qualità di esse 
<lb/>penne dicono i naturali. Penne d'Aquila son le ragion de famosi 
<lb/>autori, da cui suanir si fanno simili esemplivani, e leggieri,
<lb/>a somiglianza di penne d'vccelletti, quali son certi filosofastri
<lb/>suo lazzanti. 
<pb n= "56 verso"/>  
<lb/>C. E tanto più mi pareua pur si douesse lasciare
<lb/>andar si fatta quistione, perche io mi vò imaginando, 
<lb/>che ella sia stata messa in campo, forse 
<lb/>per mostrare di mantener sempre in qual si
<lb/>voglia cosa la sentenza d'Aristotile.
<lb/>R. Io veramente in questo particulare seguo Aristotele, per non
<lb/>errar come hauete fatto voi.
<lb/>C. Conciosache non è chiaro ancora qual delle due
<lb/>opinioni si tenga quel filosofo. -
<lb/>R. Si appo voi, che ancor siate irresoluto di qual vogliate riceuer
<lb/>per vera; e pur vorreste seguitar la falsa, o per lo manco far’ vn mescuglio 
<lb/>d'amendue insieme: e cosi, stando fra due , non pascete
<lb/>l'intelletto di cibo veruno. Onde quadrano al proposito vostro
<lb/>quei versi di Dante. 
<lb/>In fra due cibi distanti, e mouenti
<lb/>D'un modo prima si morria di fame,
<lb/>Che liber’huom l'vn si reccasse a’ denti.
<lb/>C. Alquale non come se fosse interprete della natura,
<lb/>ma la natura stessa, si da ad intendere il nostro
<lb/>autore, che gran resia sarebbe il non credergli.
<lb/>R. Così è, in questo particolare, si come in molt’altre cose,
<lb/>Natura locuta est ex ore Aristotelis. 
<lb/>C. Imperoche disputando egli di questo con Democrito, 
<lb/>con Empedocle, e con Platone, tiene, che
<lb/>la vista si faccia intromettendo, e cosi bene spesso
<lb/>tiene ancora altroue. Ma non perciò mancano 
<lb/>luoghi, donde manifestamente si può argomentare, 
<lb/>che egli non dispregiaua, come fa quì il nostro Colombo.
<pb n= "57 recto"/>  
<lb/>R. Come son’io vostro, se non conuenite in cosa niuna meco, accioch'io 
<lb/>sia tutto mio? Voi fate à somiglianza di quei Tiranni,
<lb/>che fanno, e consigliano ogni cosa da sè, e per sè soli; e nulladimeno 
<lb/>con finta modestia, dicon Noi, per non soddisfare anche
<lb/>in questo alla coscienza loro, douendo dire lo.
<lb/>C. Anzi molto apprezaua la contraria oppenione.
<lb/>R. Vi ingannate, che egli la dispreggia, come falsa, ma come non
<lb/>variante i suoi concetti, ne parla da perspettiuo, per accomodarsi 
<lb/>a’ termini, e modo di intender comune, come hò fatto, e farò
<lb/>io ancora: e perciò nel secondo della Topica, dice, che dobbiamo 
<lb/>vsar quel modo di parlar, che adoperano, e che intendono i
<lb/>più, quando però non varia il concetto. Cosi dicono eziandio
<lb/>Auerroe. 
<lb/>C. Poiche, ricercando la ragione, perche una sola cosa 
<lb/>alcuna fiata apparisca esser due; ciò accade , dice 
<lb/>egli, perche i raggi d'amendue gli occhi non tendono
<lb/>allo stesso punto. Medesimamente, inuesitgando 
<lb/>il perche d'altri curiosissimi effetti, solo col tenere,
<lb/>che la vista si faccia extramittendo, rende a 
<lb/>pieno la ragione di essi. Ne si discosta da simil sentenza, 
<lb/>volendo egli assegnare le cagioni dell'Arcobaleno, 
<lb/>dell'Alone, delle Verge, e del Parelio, anzi 
<lb/>auanti renda le ragioni di queste apparenze, faccendo 
<lb/>prima tre presupposti fonda in questa opinione 
<lb/>il primo, del quale poscia si serue, adducendolo, 
<lb/>come prossima cagion di cotali effetti.
<lb/>Ne si dica in alcun modo, che egli in detti luoghi
<lb/>seguitasse l'opinione, che si faccia, extramittendo, 
<lb/>non come propria, e vera, ma come quella, 
<lb/>che allora era tenuta da’ più. Imperocche, 
<lb/>se al Filosofo si conuiene saper le vere cagion 
<pb n= "57 verso"/>  
<lb/>delle cose, per potere attribuire à quelle gli effetti
<lb/>naturali, sì come ne insegna Aristotile stesso, vn
<lb/>bel giudizio sarebbe stato il suo, fondare la cagione 
<lb/>di essi (poiche afferma sempre cotali accidenti 
<lb/>cagionarsi dalla refrazione della vista) in 
<lb/>fondamento debole, e tenuto da lui per falso,
<lb/>quantunque da altri accettato per vero. Onde 
<lb/>se io non m'inganno, si vede manifestamente, 
<lb/>che Aristotele non fu cotanto schizinoso in 
<lb/>voler dare questa prerogatiua agli occhi, che 
<lb/>auessero à esser visitati, senza poter rendere,
<lb/>come ben creati ancor’ essi; la visita agli oggetti
<lb/>visibili.
<lb/>R. Signor sì, che in questo , come nell'altre cose vi siete ingannato; 
<lb/>poiche, ne anche per termine di creanza vuole Aristotele,
<lb/>che i raggi visuali debbano incontrar quelle venerande matrone
<lb/>delle spezie delle cose. Non direbbe il Galateo, che si come vn
<lb/>gran personaggio; per esemplo il nipote del Papa, per l'eccellenza 
<lb/>del grado, riceue, e non rende le visite, eziandio a’ Cardinali; 
<lb/>Così l'occhio, per esser luogotenente dell'intelletto,
<lb/>poscia, che tutto ciò che questi vede, quegli intende, la sua maesta
<lb/>ricerchi l'aspettar le visite de colori, che nella carrozza delle spezie 
<lb/>il vanno a trouar, senza che, per dignità dell'officio, renda la visita?
<lb/>Aristotele, come stimate voi, non merita altramente nome di
<lb/>poco giudizioso, ma dee, per la stessa ragione, la prudenza di esso
<lb/>grandemente commendarsi; poiche egli, volendo non mettere in
<lb/>dubbio, che deboli fossero i suoi fondamenti in determinar la 
<lb/>cagion di quelle apparenze, si seruì dell'opinion platonica di già
<lb/>diuulgata, e comunemente riceuuta, che la vision si facesse estramittendo, 
<lb/>posciache l'effetto era il medesimo, sendo l'vna, e
<lb/>l'altra causa materiale; cosi afferma egli medesimo dicendo della
<lb/>causa dell'Arcobaleno. Nihil interesse an emissione,
<lb/>an receptione visionem fieri dicamus. 
<pb n= "58 recto"/>  
<lb/>Oltre acciò, non era tempo di trattar quiui, disputando, cotal materia, 
<lb/>massimamente, che egli, come di sopra dicemmo, non
<lb/>vsò mai confonder le dottrine, ma quelle a’ propri luoghi disputare, 
<lb/>doue mestier non faceua altramente. Questa medesima 
<lb/>regola adoperò ancora nel render la ragion, perche la Lanterna 
<lb/>mandi fuora il lume per quel vetro, dicendo, che ciò accade,
<lb/>perche il vetro, e l'osso hanno le porosita; e nulladimeno l'opinion 
<lb/>sua, e vera è, perche simili cose trasparenti sono. Ma perche
<lb/>di questo parlò nella Posteriora, non era luogo conueneuole a
<lb/>disputar di tal materia: percioche ad ogni modo, trattandosi
<lb/>della causa materiale, l'effetto sarebbe stato il medesimo, benche la
<lb/>visione estramitendo non si faccia. E che direste, s'io vi citassi
<lb/>grandi ingegni fra’ quali vino, e il Mazzone, che pretendon Platone 
<lb/>hauer tenuto, che la vision si faccia per riceuimento delle 
<lb/>spezie? Ecco le parole di Platone da lor addotte, In Timeo.
<lb/>Colores ad efficiendum visum in oculum immitti. 
<lb/>Ma se volete dirla, come ella sta, io men'auueggo, voi vorreste 
<lb/>accommodarui appoco, appoco, che non paresse vostro
<lb/>fatto, col parer d'Aristotile, e perciò andate variando destramente, 
<lb/>per calarui con manco vergogna. E io ve ne consiglio,
<lb/>perche [sapientis est mutare consilium; ] e'l douereste fare almeno 
<lb/>per le ragion, che vi dirò adesso, atte a persuadere ogni altro
<lb/>piu ostinato di voi. Non è egli chiaro al senso, che le spezie
<lb/>degli oggetti visibili, si diffondon per l'aria, come gli specchi
<lb/>manifestamente ne dimostrano? sì. Qual perspettiuo farà mai
<lb/>cosi apertamente vedere i ragi visuali vscir fuor dell'occhio, e 
<lb/>andar per l'aria a trouar le cose visibili? Sè quelle adunque si veggono 
<lb/>sensibilmente andare all'occhio, chi ardirà dir, che non le
<lb/>spezie si riceuano entro di quello, ma che i raggi visibili a quelle
<lb/>giungano; per far la visione? Ne ha del verisimile, ne veruna
<lb/>necessita ne spinge a crederlo, che gli vni, e l'altre si vadano a
<lb/>rincontrare; perche sarebbe vn volere indouinar, per opporsi
<lb/>al senso, e a vna verissima proposizion riceuuta da tutti i filosofanti, cioè
<lb/>Quod potesi fieri per pauciora frustra
<lb/>fit per plura, nelle naturali cose, massimamente , perche
<lb/>a dirne il vero, qual ragion s'addurrà egli, per tal opinion, che
<lb/>vana non sia? E la doue alcuni non si rincuorano di ben rispondere, 
<lb/>come gli occhiali faccian meglio veder, se non dicono farsi 
<lb/>la visione estramittendo; io, per lo contrario dico, che non si
<lb/>può a bastanza rispondere, se non si afferma la vista farsi intramittendo.
<pb n= "58 verso"/>  
<lb/>Imperoche, sè i raggi visuali hanno bisogno d'andare 
<lb/>a ritrouare, ò incontrar le spezie visibili, a che fine adoperar gli
<lb/>occhiali per meglio, e più comodamente vedere? Non verranno
<lb/>impediti i raggi da quel vetro che, più oltre passar non potranno. 
<lb/>E, se chi che sia mi rispondesse, che il vetro, per esser poroso,
<lb/>non può ritenergli, in quella maniera, che non ritiene i raggi
<lb/>del Sole; io replicherei, che, lasciando di dir, che i raggi visuali
<lb/>non son cotanto incorporei, come quegli del Sole; non posson
<lb/>penetrar per quel vetro rettamente (supposto, che lo penetrassero )
<lb/> perche i suoi pori son tortuosi, obliqui, e non retti;
<lb/>altramente il vetro non si terrebbe insieme vnito, e non haurebbe 
<lb/>le sue parti continue: onde non anderebbono a far la base della 
<lb/>piramide sopra l'oggetto visibile da noi ricercato per linea retta, 
<lb/>mediante la quali vogliono i perspettiui potersi far la visione
<lb/>intera, e perfetta. Anzi dico assolutamente, che non solo i raggi 
<lb/>visuali non penetrano il uetro per li pori, ma ne anche il trapassano 
<lb/>i raggi del Sole. E quel lume, che per esempio si vede
<lb/>passar dentro vna fenestra di vetro è vno splendor generato di
<lb/>nuouo, per cagion  de'raggi solari in quel corpo trasparente,
<lb/>Di uero, che, sè i raggi visuali andassero, a trouar le cose visibili, 
<lb/>non occorrerebbe adoperar gli occhiali, perche quel vetro,
<lb/>riceuendo il lume esterno illuminasse maggiormente la pupilla 
<lb/>dell'occhio, accioche meglio discernesse i colori: perche,
<lb/>haurebbono lume a bastanza, sì gl'occhi de’ vecchi, come gl'occhi
<lb/>de'giouani, douendo riceuere il lume sopra l'oggetto visibile,
<lb/>e non dentro all'occhio. Per due altre cagioni sogliono gli occhiali 
<lb/>adoperarsi; l'vna è per vnir le spezie, e l'altra per maggiori
<lb/>rappresentarle. Hora, che vtile apporterebbon con l'vso
<lb/>loro gli occhiali, se i raggi andassero a trouar le spezie, e le cose
<lb/>visibili ? Anzi danno apportarebbono; perche, si come in quel
<lb/>corpo diafano del vetro non passano sì le spezie de’ colori intenzionali, 
<lb/>che nella superficie di quello non si terminino, 
<lb/>e rappresentino; cosi vengon da quella i raggi uisiui rattenuti, 
<lb/>e terminati, che i perspettiui direbbon refratti, come
<lb/>appunto si vede, che fa una moneta possa in vn uaso d'acqua, laquale, 
<lb/>mandando la sua spezie alla volta della superficie di quell'acqua,
<lb/>vien' da essa superficie refratta, e terminata sì, che eziandio, 
<lb/>che, per impedimento dell'orlo del vaso, a chi è lontano veder 
<lb/>non si lasciasse la moneta, ad ogni modo si vede la sua spezie 
<lb/>in quella superficie, come se la stessa moneta ui fosse. La ragione 
<lb/>è, perche niuna cosa è visibile senza vna superficie terminante, 
<lb/>la quale è uisibile inquanto, che rappresenta i colori, e
<pb n= "59 recto"/>  
<lb/>mediante quella sono le spezieterminate, e fatte visibili. Onde i
<lb/>colori nell'aria non si veggono, perche non vi è superficie, che
<lb/>gli termini, e riduca in atto. Auuertasi ancora, che vna cosa
<lb/>non può vedersi, mediante più superficie, ma solo mediante quella, 
<lb/>che è all'occhio più uicina, conciosiache quella, rispetto colui, 
<lb/>che guarda, è superficie visibile in atto, e le più sontane in potenza, 
<lb/>e perciò non si veggon, perche quel che è in potenza non è
<lb/>visibile. Donde si caua, che la moneta, che è nel uaso pien d'acqua
<lb/>non è ueduta, come pare, nel fondo di esso uaso, ma nella superficie 
<lb/>dell'acqua in cui si rappresenta la spezie di essa moneta. 
<lb/>Ecco vn'esperienza manifesta, che i raggi uisuali non uanno a trouar
<lb/>gli oggetti uisibili. Non è egli uero, che quella cosa, che
<lb/>fa l'azione, quella è causa della mutazione? sì. Ma noi ueggiamo, 
<lb/>che a mettere una guastada d'acqua fra un'oggetto uisibile,
<lb/>e l'occhio, l'oggetto par maggiore all'ontanandolo è minore
<lb/>auuicinandolo, come si è prouato alla Considerazione 43. in risposta, 
<lb/>e che non fa cotal mutazione accostandosi, ò dilongandosi
<lb/>l'occhio: dunque la uision non si fa, mediante i raggi uisuali,
<lb/>non si facendo l'azion da loro. Dico di più, che se la uista si
<lb/>facesse, per li raggi uisuali uscenti dell'occhio, questa azion non
<lb/>sarebbe immanente, come dice il filosofo, e nell'occhio; ma ne’
<lb/>raggi, là doue riceuessero l'obbietto; e pure è uerissimo che,
<lb/>[Vbi est atio, ibi est passio. ] Ma la passion si fà nell'occhio: 
<lb/>adunque iui si fa l'azione altresì del uedere. Ne è sofficiente 
<lb/>risposta il dir, che basti, che rimanga l'azione in qualche cosa 
<lb/>vscita dall'occhio; perche ne seguiterebbe, che la generazion 
<lb/>fosse azione immanente, essendo, che ella riman nel seme 
<lb/>dell'animale; il che è falso. Oltre acciò i raggi farebbon 
<lb/>quegli, che senso haurebbono; facendo essi fuora dell'occhio 
<lb/>la sensazione. Contro la sententia d'Aristotele,
<lb/>cioè, che la uista si faccia intramittendo, si dubita, come
<lb/>possa vn monte, mediante la sua spezie, che tanto piccola
<lb/>nella pupilla dell'occhio si rappresenta, ò gran parte del Cielo 
<lb/>giudicarsi dall'occhio grande qual'è ueramente; non parendo,
<lb/>che sodisfaccia a pieno, la risposta comune, cioè, che le spezie
<lb/>intenzionali , che passano dall'oggetto uisibile all'occhio, per
<lb/>non esser corporee, e materiali, non sian quante, se ben rappresentan 
<lb/>la quantità dell'oggetto loro; e che perciò non occupin
<lb/>luogo; atteso, che ad ogni modo resta in piedi la medesima dubitanza, 
<lb/>sendo che l'essere intenzionale, perche è esser fisico,
<lb/>deemuouer la potenza fisicamente; e per conseguenza si stimeranno 
<lb/>le cose, come le spezie loro, della stessa piccolezza, che 
<pb n= "59 verso"/>  
<lb/>l'occhio le riceue, e che elle si rappresentano. Hora, io mi crederei, 
<lb/>che per maggior chiarezza la difficultà si potesse forse leuar
<lb/>cosi. Si come nella fantasia, racchiusa in quella piccola cella del
<lb/>capo dell'animale, si riceue, mediante la spezie intenzionale, la
<lb/>grandezza d'un monte, o di qualunque altro gran corpo; in
<lb/>qualche spazio di tempo, e successiuamente, se ben quasi impercettibile, 
<lb/>sì che par, che in un'istante si riceua, quantunque uero 
<lb/>non sia; peroche la cogitatiua, e la fantasia, non operan senza 
<lb/>tempo: così, e non altramente nella pupilla dell'occhio le
<lb/>spezie intenzionali degli obbietti uisibili, benche grandi, si riceuono. 
<lb/>Perloche, ancorche appaia, che in un momento s'apprendano 
<lb/>tali spezie cosi grandi egli di uero non è cosi, conciosiache
<lb/>l'occhio, velocissimo essendo nella sua operazione ci fà stimar,
<lb/>che senza tempo si riceuan quelle imagini, che successiuamente
<lb/>si riceuono, come che in tempo brevissimo, e inconsiderabile,
<lb/>ciò accada. Bene è uero, che imperfetta è tal uisione, e confusa,
<lb/>non si potendo in cosi breue spazio, dice Vitellione, e gli altri
<lb/>perspettiui minutamente, e di perfetta cognizion riscorrer da
<lb/>tutte le parti l'oggetto visibile. conciosiache in quella sola 
<lb/>linea uisuale, che passa per lo mezo della piramide, che forma
<lb/>l'occhio sopra l'obbietto, la quale, Asse i perspettiui appellano, si
<lb/>produce la perfetta visione, e non in tutta la base, che l'obbietto
<lb/>comprende in quel sì poco tempo. Sono le spezie, o imagini delle 
<lb/>cose, che per l'aria si diffondono indiuisibili, perche sono immateriali, 
<lb/>e intenzionali, come dice Aristotele nell'Anima.
<lb/>Omnes sensus esse receptiuos specterum sine 
<lb/>materia. Onde non occupano mai luogo quatumque
<lb/>grandi siano gli oggetti, da cui elle deriuano; ma si bene rappresentan 
<lb/>lo spazio, che occupa la magnitudine del loro obbietto,
<lb/>la qual non è rappresentata nell'occhio cosi grande, perche egli
<lb/>non è capace, quantunque materiali non sieno, ne corpulente,
<lb/>che possano impedirsi fra di loro. Esemplo chiaro ne siano le spezie 
<lb/>de’ colori, che nellastessa aria, e nello stesso tempo, e luogo
<lb/>si spaziano, che, comeche contrari siano, nulladimeno senza
<lb/>mischianza alcuna, o confusion cagionare, non corrotti, ne alterati 
<lb/>passano allo specchio, e all'occhio a rappresentare i propri
<lb/>oggetti loro, e molti colori, eziandio insieme distintamente nell'occhio, 
<lb/>e nello specchio nel tempo stesso si riceuono, perche
<lb/>spiritali, e immateriali sono. Hora l'occhio, che è specchio viuo, 
<lb/>e animato, e alla sua operazion uelocissimo di moto, scorre
<pb n= "60 recto"/>  
<lb/>quasi senza tempo, e le spezie, che per l'aria sparte sono in 
<lb/>ogni punto di essa, riceue, e fa la vision, non s'accorgendo, che
<lb/>successiuamente quelle riceue, per quanto si spazia l'oggetto, che
<lb/>le produce; e perciò, grandi com'elle sono, in un momento
<lb/>par che'l senso le riceua. Ne si rechi in dubio, se possa vn solo
<lb/>oggetto multiplicar le sue spezie per l'aria fin doue si dilata la sfera 
<lb/>della sua attiuità. perche è natura, dicono i filosofi, delle qualità 
<lb/>sensibili multiplicar le spezie nell'aria in infinito; e l'esperienza 
<lb/>il conferma, e dimostra, che uno stesso obbietto si rappresenta 
<lb/>tutto in ogni punto dell'aria, mediante la sua spezie, poiche 
<lb/>infiniti specchi rappresenterebbono l'imagini d'una medesima cosa, 
<lb/>infiniti occhi, e infiniti orecchi la spezie intenzionale d'vn 
<lb/>solo obbietto riceuono per quanto si spazia la potenza dell'oggetto, 
<lb/>che le spezie cagiona. E come che il medesimo oggetto visibile, 
<lb/>diciamo un monte Morello, piccolo rappresentandosi 
<lb/>nello specchio, piccolo altresì l'occhio lo giudichi, e non come 
<lb/>è ueramente; cotal differenza non da altro adiuiene, che da quella 
<lb/>superficie piccola dello specchio in cui si termina, non solo la
<lb/>spezie, e imagine del monte, ma la vista ancora: doue per lo contrario 
<lb/>guardandosi verso il monte, la spezie di quello, che è di 
<lb/>mezo fra lui, e l'occhio nostro, non hauendo altra superficie, 
<lb/>che quella dello stesso monte, che la termini, e renda visibile, è
<lb/>necessario, che grande si rappresenti quanto la superficie, che la
<lb/>termina: onde l'occhio, per comprender tutta quella imagine
<lb/>si spazia, e trascorre tutta la grandezza della superficie di esso
<lb/>monte nella quale, e non in altra superficie egli si quieta;  e per
<lb/>conseguenza non può giudicare il monte se non grande come è,
<lb/>se ben piccolo il giudica nello specchio; ma grande può dirsi,
<lb/>che lo stimi ancora in esso specchio, se rispetto habbiamo alla 
<lb/>piccolezza nella quale alla pupilla dell'occhio si rappresenta;
<lb/>auuenendo ciò, come si è detto, dalla velocità dell'occhio, che
<lb/>quella imagine, e superfice trascorre in cosi poco tempo, che nol
<lb/>conosce. E a chi per auuentura dubitasse, come accader possa, se
<lb/>la vista si fa per riceuimento delle spezie nell'ochio, che noi
<lb/>veggiamo le cose in faccia, per la banda dinanzi, e non veggiamo 
<lb/>la parte di dietro, come si vede, che l'imagine d'un'huomo
<lb/>è riuolta col viso uerso colui, che nello specchio si guarda, e il
<lb/>capo uiene a esser riuolto verso la parte deretana dello specchio:
<lb/>si risponde, che ciò addiuiene, perche, essendo le spezie, e imagini 
<lb/>delle cose intenzionali, e senza materia, e passando nell'occhio, 
<lb/>che è trasparente a guisa di cristallo, l'imagine della cosa
<lb/>si rappresenta tanto dall'vna parte, quanto dall'altra, in quella
<pb n= "60 verso"/>  
<lb/>guisa, che veggiamo in vn sudario, ò in vn vetro l’imagine di che
<lb/>che sia scolpita, o dipinta d’amendue le bande, per esser trasparente
<lb/>quel corpo. La medesima risposta vale per isclor la dubitanza di coloro 
<lb/>ancora, che dicono, che, se per intromissione è vero, che la
<lb/>vision si faccia, dourebbe altresì esser vero, che mutata apparisse la
<lb/>destra, e la sinistra parte delle cose rappresentate all'occhio, quale
<lb/>appunto nello specchio appaiono. Conchiudere adunque Sig. Mauri;
<lb/>che quegli, che difender vogliono gli antichi contro Aristotele, ne
<lb/>quegli, ne Aristotele intendono. Bel caso, mi ricorda in proposito. 
<lb/>Vno scolare di ceruello assai tondo, che perspettiua ad apparar si
<lb/>mise, non fu mai capace, come i raggi visuali potessero andare a
<lb/>pigliare gli oggetti visibili, fin tanto, che il maestro suo non
<lb/>gliel cacciò nella testa con l'esemplo delle chiocciole, le quali,
<lb/>hauendo gli occhi sopra le corna, quando ueder uogliono gli cauan 
<lb/>fuora alla volta della cosa visibile, con essi tutta ricercandola.
<lb/>Ma andò si la bisogna, che il buono scolare se l'impresse di maniera 
<lb/>nell'imaginazione, che egli entrò in humor di non voler andar 
<lb/>più fra la calca, parendoli andare a rischio di percuotere i raggi 
<lb/>visuali, nel cauargli fuora, come le chiocciole le corna.
<lb/>Discorso. E chi è quegli, che dar si voglia a credere, che l'orizonte -
<lb/>della visual potenza, &amp; c.
<lb/>Considerazione XX. Impara questa. L'Orizonte 
<lb/>della visual potenza, in vece di dire 
<lb/>Linea della visual potenza.
<lb/>Risposta. Non solo questa, ma cent'altre cose hauete da mè apparate, 
<lb/>e siete per uia d'appararne molte più, che è peggio, in ricompensa 
<lb/>de beffeggiamenti, ch'io riceuo da uoi.
<lb/>C. Vn semplice Astronomo direbbe solo. L’Orizonte 
<lb/>del tal paese, come quegli, che per ancora
<lb/>non sà, in che modo possa auere la visual potenza l'Orizonte.
<lb/>R. E perciò Macrobio, che non è semplice Astronomo, ha uoluto lasciar,
<lb/>che, chi ama parlar da semplice, troui il suo luogo non occupato 
<lb/>da lui posciache, Hic Orizon, dic'egli, quem sibi
<lb/>vniuscuiusque circunscribit aspectus. E soggiunge
<lb/>Centum enim, &amp; octoginta stadia non exce-
<pb n= "61 recto"/>  
<lb/>dit acies contra videntis. E ne’Saturnali dice lo
<lb/>stesso, Cicerone ancora afferma; l’Orizonte esser detto cosi, 
<lb/>Quia cœlum diuidit, quasi medium, &amp; nostrum 
<lb/>aspectum definit. Centum, &amp; octoginta 
<lb/>stadia non excedere putatur, cum oculorum 
<lb/>acies vltertus se non extendat. Ma che dico Macrobio, 
<lb/>e Cicerone, se gli astronomi, e perspettiui, e matematici,
<lb/> e filosofi vnitamente dicono il medesimo? Il Sacrobosco 
<lb/>non dice; Horizon vero est circulus diuidens 
<lb/>inferius hemisphærium a superiori. Vnde appellatur Horizon, idest, terminator visus?
<lb/>Onde il Padre Clauio nel suo comento afferma questo esser l'Orizonte
<lb/>sensibile nominato, che secondo Macrobio non più, che
<lb/>cento ottanta stadi si spazia la meta di esso; e, referendo il parer
<lb/>di molti d'intorno a cotal lontananza, conchiude finalmente, la
<lb/>maggiore essere reputata di cinquecento stadi, che rileuano miglia 
<lb/>sessantadua in circa.  Voletene voi maggior canlendari ?
<lb/>Discorso. Si estenda fino alle stelle, che il medesimo quasi è, che 
<lb/>dire in qual si uoglia distanza? Io non mi lascierò mai ingannar
<lb/>da color, che voglion fondarsi sopra l'autorita d'Hiparco,
<lb/>e altri perspettiui; posciache l'esperienza, madre delle cose questa
<lb/>falsa credenza ne palesa. Impercioche vn'oggetto, per causa di
<lb/>lontananza, non veduto, a quello auucinandosi, ò vero il mezo
<lb/>diafano ingrossando il veggiamo; come chiaramente lo ci fanno 
<lb/>toccar con mano quegli, che, hauendo la vista corta, mediante 
<lb/>gli occhiali, che maggior la cosa visibile rappresentano, scorgon 
<lb/>quelle cose, che non potrebbon, senza cotal mezo altramente 
<lb/>vedere. Segni cuidenti son questi, che non in qualunque lontananza 
<lb/>si dilata la visiua potenza.
<lb/>Considerazione XXI. Si dee sapere, che tale apparisce 
<lb/>l'oggetto visibile, quale e l'angolo, che si fà all'occhio, 
<lb/>da’ raggi visuali, ò vengano quelli dall oggetto 
<lb/>all'occhio, ò vero dall'occhio alloggetto.
<lb/>Risposta. O questa è solenne, Domin, che voi vogliate, che da l'oggetto 
<lb/>possano vscir raggi visuali, e andare all'occhio ? Questa menziogna
<pb n= "61 verso"/>  
<lb/>non mi farete uoi testimoniare a ueruno autore, come hò
<lb/>fatt'io la verità dell'orizonte della visual potenza.
<lb/>C. Perche io mi protesto, che per non importar
<lb/>niente, quanto e al nostro proposito, non ci farò
<lb/>differenza alcuna. 
<lb/>R. Anzi importa tanto, che, se la vista si facesse, perche i raggi visuali 
<lb/>andassero a trouar le cose visibili, impossibile saria, che arriuar
<lb/>potessero fino alle stelle, dice Aristotile. e cosi, non si vedendo, 
<lb/>non haureste fattami questa guerra.
<lb/>C. Se adunque l'Angolo (intendendo però secondo
<lb/>Pietro de Alaico, che detto Angolo non possa 
<lb/>mai passar l’acuto) sarà grande, grande ancora 
<lb/>apparir à l’oggetto: se piccolo, piccolo:
<lb/>R.Chi ne dubita, che gli oggetti visibili posti in proporzionata distanza, 
<lb/>essendo illuminato il mezo diafano, e non impedita la
<lb/>visiua potenza, che, le spezie di già sparte per tutta la sfera dell'attuita 
<lb/>di essi oggetti gli rappresenteranno all'occhio, facendoli 
<lb/>vedere ? Il fatto stà, che, se la vision si facesse estramittendo, 
<lb/>la ragion della grandezza degli oggetti uisibili non varrebbe 
<lb/>nulla per prouar l'intento vostro, ma più toste la falsità di
<lb/>quello ne dimostra. Concosiache i raggi, iquali, secondo voi,
<lb/>si dilungano dall'occhio, per giungere all'oggetto uisibile, hanno 
<lb/>anch'essi la uirtù loro finita, e fino a certo termine si spaziano,
<lb/>oltre alquale non si estende la loro attiuità. Onde, se passato
<lb/>quel termine fosse vn'oggetto, per dir cosi, grande quanto tutto 
<lb/>il Cielo, ad ogni modo visibile non sarebbe, non essendo compreso 
<lb/>da i raggi visuali. Hora Aristotele dice, che stoltizia saria 
<lb/>il dir, che alle stelle arriuassero i raggi uisuali: adunque è falso, 
<lb/>secondo il vostro parere, che l'oggetto, crescendo secondo
<lb/>la lontananza, si possa in qualunque distanza uedere, se bene è
<lb/>vero, conceduto, che la vista non si faccia estramittendo.
<lb/>C. Ma per due cagioni l'angolo diuien grande, e per
<lb/>esser l'oggetto grande, e per esser vicino all'occhio.
<lb/>Onde se accadrà vna sola di queste due, l'oggetto 
<lb/>apparirà mediocre ; perche sarà mediocre
<pb n= "62 recto"/>  
<lb/>l'angolo. Se niuna, anzi la cosa da vedersi 
<lb/>sia per se stessa piccolissima, e oltre a
<lb/>questo molto lontana dall'occhio, sparirà del tutto, 
<lb/>perche all’ora quell'angolo s’auuiciner à all'angolo 
<lb/>della contingenza, ilquale, come dicono i
<lb/>Perspettiui, non è per la sua strettezza basteuouole 
<lb/>al vedere. Dì quì nasce, che vna cosa
<lb/>stessa veduta in diuerse distanze, diuersa altresì 
<lb/>apparisce di grandezza: perche di continuo 
<lb/>si diuersifica l'angolo, facendosi sempre
<lb/>più grande, per la vicinanza di quella, come
<lb/>manifestamente si scorge in questa figura.
<lb/>R. Di grazia non perdete tempo à disegnar figure, perche il fatto è
<lb/>verissimo, ne è chi vel neghi: ma la cagione è diuersa molto dal
<lb/>creder vostro non si facendo la vision se non per riceuimento
<lb/>delle spezie delle cose visibili nell'occhio. E perche voi non mi
<lb/>pigliaste in parole, come vorreste fare ad Aristotele, siaui à memoria, 
<lb/>che, quando parlerò co’ termini perspettiui, non douete
<lb/>far capital, se non del modo del parlare, per esser inteso meglio,
<lb/>poi che l'effetto è il medesimo. 
<lb/>C. Ora gettati questi fondamenti, dico, che l'autore 
<lb/>hà il torto à non voler, che in qual si voglia 
<lb/>distanza s'estenda la visual potenza, sì come 
<lb/>aurebbe anche il torto ad affermare, che ella 
<lb/>s'estendesse in qual si voglia vicinità, auuengache 
<lb/>ponga egli pure un'oggetto lontano, quanto
<lb/>gli piace, e concedasi ancora à me (poiche ogni 
<lb/>osa visibile hà una certa determinata,
<lb/>distanza, oltre alla quale più non si può scorge)
<pb n= "62 verso"/>  
<lb/>pigliarlo à proporzion della lontananza, grande, 
<lb/>quanto si conuiene, che io l'assicuro, che 
<lb/>sempre cotale oggetto sarà visibile. Perlo
<lb/>contrario auuicini à se medesimo, quanto e'
<lb/>vuole, u. g. un'Atomo, che mai la sua virtù 
<lb/>visiua sarà bastante poterlo scorgere. Imperocche, 
<lb/>se la base di quella piramide, per la
<lb/>qual si genera la veduta, non cade sotto grandeza 
<lb/>sensibile, essendo Atomo, che sarà l'angolo?
<lb/>R. Se non hauete miglior fondamenti, vi bisognera dormire a occhi
<lb/>aperti, come la lepre, acciò che Arno per la prima piena non ne
<lb/>porti voi, e loro insieme. Ma andate; che io voglio mostrarui, che
<lb/>quando voi voleste creder, che la uista, efframittendo, si facesse,
<lb/>non ui haurebbe mestier, che gli oggetti fossero maggiori per
<lb/>potersi ueder più di lungi; e che ogni oggetto, benche piccolo, si
<lb/>uedrebbe in qualunque lontananza, doue linea visuale, ò raggio
<lb/>tanto fuori dell'occhio vscisse, che la cosa sensibile non fosse 
<lb/>sopra il senso, che il mezo illuminato non restasse, e la cosa
<lb/>da vedersi quantità sensibile non hauesse. Dico adunque,
<lb/>che, consistendo, secondo i perspettiui, la vision perfetta in
<lb/>quella linea visuale, che passa fuora dell'occhio, per lo mezo della 
<lb/>piramide, laqual linea, se bene è quanta non fà angolo, ne 
<lb/>piramide, però è detta Asse della piramide, cotal linea, arriuando 
<lb/>in ogni lontananza, farà la vision d'ogni minima cosa,
<lb/>che minore non sia della grossezza di essa linea; sì che sè vna 
<lb/>mosca fosse, per esemplo sù la palla della cupola del Duomo di
<lb/>Firenze, chi fissasse lo sguardo in quella, certamente la vedrebbe,
<lb/>come che piccola fosse. Anzi che, quantunque l'oggetto visibile 
<lb/>habbia necessità d'esser tanto grande, che la piramide visuale 
<lb/>faccia tanta base, che l'occhio riceua l'Angolo tanto largo,
<lb/>che non si accosti à quello della contingenza, ò del contatto,
<lb/>che dir vogliamo; quiui potrebbe farsi questo ancora, poiche
<lb/>la mosca è sopra vn corpo si grande, che l'occhio può comprenderla 
<lb/>dentro vna piramide, che faccia base, quanto gli fa di mestiere. 
<lb/>Non è egli vero, che vna macchia in vn corpo grande,
<lb/>che pur si può uedere, è alle uolte minor, che vna mosca? E le
<lb/>mi si risponde, che è visibile vina piccola cosa in vn gran corso,
<pb n= "63 recto"/>  
<lb/>quando non è molto lontana; ma che leuatala di certa proporzione, 
<lb/>sì che ella non faccia più angolo, l'occhio non può uederla: 
<lb/>io replicherò, che adunque non sia vero, che la perfetta vision
<lb/>consista in quella linea sola Asse appellata; e che ella non uada 
<lb/>sola altramente, per minutamente discernere, a'nfilzar la mossa: 
<lb/>cosa, che è contro l'opinion comun de’ perspettiui, e vostra
<lb/>ancora. Bisogna perciò confessare assolutamente, che altra sia
<lb/>la cagion del uedere, che i raggi visuali. Sono alcuni vermicelli 
<lb/>minori, che vn punto di penna piccolissimo, che lontani dall'occhio 
<lb/>più d'un braccio si scorgono; nulladimeno, chi direbbe
<lb/>mai, che tanta base potesse far la piramide visuale in quel corpicciuolo, 
<lb/>che per tre linee distinte, che pur hanno grandezza, per non
<lb/>esser matematiche, si potesse cagionar l'angolo nell'occhio, necessario 
<lb/>per la visione? Queste difficultà non vengono, dicendosi, 
<lb/>che la vision si faccia per riceuimento delle spezie, lequali,
<lb/>non potendo in qual si uoglia distanza difondersi; ma solamente 
<lb/>in lontananza determinata, secondo la grandezza del corpo,
<lb/>da cui elle procedono; per questo, non giungendo all'occhio,
<lb/>egli non può uederle; e le troppo piccole cose, ò troppo vicine,
<lb/>non si veggon, perche suanisce dell'vne la spezie per l'aria, e dell'altre, 
<lb/>perche non sendo il mezo illuminato, veder non si lasciano 
<lb/>l'imagini, che le rappresentano. 
<lb/>Discorso. Macrobio nel sogno di Scipione vuol, che la sfera 
<lb/>della visual virtù si possa spaziar non più, che cento ottanta stadi, 
<lb/>sia quella della retta, ò della pregata linea, e dicono essere
<lb/>vno stadio l'ottaua parte d'un miglio solamente di piedi geometrici. 
<lb/>Hora se di qui alla superficie concaua del Cielo stellato son
<lb/>miglia cento milioni sette cento sessantamila cento nouanta
<lb/>noue; come potrà gia mai il raggio dell'occhio nostro fin la sù
<lb/>dilungarsi ? Dicasi adunque con Aristotele, che la verità del fatto e, 
<lb/>che la vision si fa per riceuimento delle spezie delle cose
<lb/>visibili, che all'occhio s'appresentano, ma in distanza possibile, e
<lb/>proporzionata, e non si fa estramittendo altramente. Ma quando si
<lb/>ammettesse, per lasciar la contesa, che i raggi dell'occhio andassero 
<lb/>a trouar l'obbietto visibile, e che penetrassero il Cielo, non per
<lb/>tanto non conchiuderebbe l'esempio. impercioche il raggio visuale 
<lb/>non è corporeo, come i vapori, ma intenzionale, e però non
<lb/>possono i uapori, quale i raggi uisiui, penetrare il Cielo. E l'esemplo
<lb/>del Sole da lor portato in mezo, per prouanza, che in quella
<lb/>guisa, che egli penetra il vetro, e l'acqua, il vapor trapassa per
<lb/>entro il cielo; se io non m'inganno proua contro di loro, poi che
<lb/>si uede, che i vapori si posson tener racchiusi un vn vetro, e non
<pb n= "63 verso"/>  
<lb/>esalano da quello, ne si partono, come fa il Sole: e cosi
<lb/>vano, per esperienza, sarà l'esemplo loro. Quando inferiscono, 
<lb/>che si come, le prime qualità dentro le gioie durissime trapassano, 
<lb/>diciamo il fuoco verbigrazia nel diamante; cosi il
<lb/>Cielo (auuenga che durissimo fosse) da quelle esalazion penetrato 
<lb/>sarebbe; si risponde, che non corre l'esemplo, e perciò non
<lb/>proua altramente. Imperoche le qualità de'corpi misti son vicendeuolmente 
<lb/>comunicabili infra di loro, perche conuengono in
<lb/>materia, e hanno i medesimi principi. Oltre acciò non è misto 
<lb/>cosi puro, come che durissimo sia, che porosità non habbia,
<lb/>auuenga che al senso nostro non appaia. Onde i naturali affermano, 
<lb/>che le gioie ancora suaporano, e gittano odore; hauendo
<lb/>ciò osseruato da alcuni animali, che all'odorato le ritrouano. Ma
<lb/>la sostanza celeste, che è semplice, di maniera è densa, che ha la
<lb/>diafanità senza pori; e senza crassizie, o siccita, è soda. E perciò
<lb/>il Cielo, non può con le gemme in questo compararsi.
<lb/>Ne si dee mica dir secondo il parer loro, che trattabile, e cedente, e
<lb/>condensebil sia la sostanza del Cielo, in quella guisa, che l'acqua, 
<lb/>e l'aria esser si vede; si che le stelle, quasi tanti pesci, ò vecelli 
<lb/>essendo, per lo gran campo celeste di uagare a lor uoglia hauessero 
<lb/>talento. Impercioche, auuenga che, essi l'argomentino, 
<lb/>dicendo, che altamente non potrebbon tra quelle sfere tanti epicicli, 
<lb/>eccentrici deferenti, adeguanti, e altre simili diuision ritrouarsi: 
<lb/>egli è da auuertire, che non solamente imaginarie son tutte
<lb/>queste partizion planetali, ma che, eziandio quando reali, e uere
<lb/>fossero, perche tutte mouimenti circolari rappresentano, e non
<lb/>contrari, perche sopra diuersi poli si girano; necessita uetuna ui
<lb/>saria, che arrendeuole fosse quella sostanza per dar luogo al riuolgimento 
<lb/>degli altri circoli, che per entro di essa si muouono. Anzi 
<lb/>che, quantunque denso, e durissimo sia il Cielo, ad ogni modo 
<lb/>non fa mestiero, che tra le superficie dell'uno orbe, e dell'altro 
<lb/>aria, ò simil corpo tenue si ritroui, per dar luogo al facilissimo 
<lb/>uolgersi delle sfere uicendeuolmente l'una nell'altra. Conciosiache, 
<lb/>nuda è la region celeste, e spogliata di tutte le qualita;
<lb/>che resistenza apportano, chente è la ruuidezza, scabrosità, e grauità 
<lb/>dalla mistion resultanti de’ corpi elementari. Ma perche
<lb/>semplicissimo è quel corpo, quinci è che l'un Cielo nell'altro di
<lb/>mouimenti diuersi, ma non contrari si gira con somma agilita.
<lb/>Considerazione XXII. Non vi date ad intendere
<lb/> Sig. Colombo, ò almen non vogliate persuadere 
<lb/>ad altri, che Macrobio sia dalla vostra,
<pb n= "64 recto"/>  
<lb/>perche'l fatto passa diuersamente. Conciossiache 
<lb/>egli afferma, che noi possiamo veder’ un
<lb/>monte posto in lontanissime parti, anzi le superne 
<lb/>ragion del Cielo, distanti da noi di vero
<lb/>altro che 180. stadi; con la qual distanza, quantunque 
<lb/>egli poi misuri il semidiametro dell'Orizonte, 
<lb/>descritto da’ raggi nostri visuali: per lo
<lb/>piano, non si può per questo argomentare, che
<lb/>la nostra visual potenza, senza comparazione 
<lb/>non si dilati molto più, quando ella non 
<lb/>andando, come dic’egli, terra terra, se ne và
<lb/>per l'aria, solleuata, innalzandosi. A talche
<lb/>anche secondo Macrobio, contra'l vostro credere, 
<lb/>à ragione affermeremo, che la nostra
<lb/>virtù visiua peruiene alla nuoua stella posta 
<lb/>ancora nel primo mobile, per esser’ella situata 
<lb/>in alto.
<lb/>Risposta. E chi lo dice noi, che Macrobio non tenga dalla mia? Da
<lb/>Macrobio si caua, che se l'orizonte della uista ha non più, che cento
<lb/>ottanta stadi di semidiametro guardando terra terra egli non 
<lb/>possa far tanta differenza, guardando uerso il Cielo, che importi 
<lb/>tanti milion di migliaia di miglia, che è quasi senza proporzione, 
<lb/>e in comparabile. E a qual virtù mai s'ascrivera cotanta
<lb/>uarianza ? Per questo Arist. disse. Irrationabile vero
<lb/>omnino est exeunte quodam, visum videre, &amp;
<lb/>aut extendi usque ad Astra, aut quodamtenus
<lb/>producente coadherere: sicut quidam dicunt. 
<lb/>Come si è ragionato ancora in alcuni discorsi che io son per istam 
<lb/>par d'intorno alle quattro marauglie dell'huomo, doue si dice de
<lb/>raggi, che dall’occhio si mandano, se sian uisuali, ò nò.
<pb n= "64 verso"/>  
<lb/>C. E se io pensassi, che voi pure stesse ostinato nella 
<lb/>vostra openione, auendo fitto il capo in quel
<lb/>suo Orizonte.
<lb/>R. Hora uedete, che io nel'hò cauato, e postoci il uostro, e non sò
<lb/>quando mai ui basterà l'animo d'vscirne, per molte girauolte, che
<lb/>dentro ui facciate.
<lb/>C. Per poco vi prouerrei, che quell'autore, per altro 
<lb/>Graue, piglia notabile errore in determinare’ l
<lb/>detto semidiametro: ma non penso sia necessario.
<lb/>R. Piano, la uostra pacienza, non sia, come quella di quel pouero huomo,
<lb/>a cui sendo ricordato, che nelle sue miserie sopportasse in pace,
<lb/>rispose. Fratello, io confesso il debito, ma paga tù per mè, che
<lb/>io no ho il modo. E che importa disputar, se quell'è il semidiametro 
<lb/>appunto, della sfera de'raggi uisiui, ò nò? A me basta,
<lb/>secondo questa lontananza poiche nulla rileua, quando ella fosse
<lb/>più trè uolte, hauere argomentato a sofficienza, che impossibil
<lb/>sia, secondo i perspettiui ancora, che fino all'otta a sfera, i raggi uisuali 
<lb/>arriuar possano, per non vi esser comparazion di distanza 
<lb/>tra il guardar uerso l'orizonte, e verso il Cielo, ne ragione 
<lb/>alcuna, che uerisimile appaia. Dico ben, che egli nol disse
<lb/>per errore, poi che anche ne’ Saturnali afierma lo stesso cosi.
<lb/>Quorum indago fideliter deprehendit directam
<lb/>ab oculis aciem per planum contra aspicientes
<lb/>non pergere vltra centum octoginta stadia, &amp;
<lb/>inde iam recuruatur per planum. 
<lb/>C. Il perche passando più oltre, ditemi vi prego.
<lb/>Perche aggiugnete voi sia quella retta, ò della
<lb/>pregiata linea ?
<lb/>P. Perche lo dice Macrobio.
<lb/>C. Macrobio non dice mai questo, ne quando ei
<lb/>lo dicesse, voi haureste ad acconsentire.
<lb/>R. Io diuero poteua di ciò lasciare il carico a Macrobio, poscia che
<lb/>a me non rileua niente, come si hauesse inteso quel passo, se non fosse
<lb/>che uoi negate, che lo dica, il che nascer potrebbe da non l'hauer
<pb n= "65 recto"/>  
<lb/>letto. Ecco adunque le sue parole. Sed visus cum ad
<lb/>hoc spatium venerit , accessi deficiens in rotunditatem 
<lb/>recurrendo curuatur. E ne’ Saturnali
<lb/>Quæ si diutius pergat (Della vita parlando) Rectam 
<lb/>intentionem lassata non obtinet: sed scissa 
<lb/>in dexteram leuamque diffunditur. Hinc est,
<lb/>quod vbicumque terrarum steteris videris tibi
<lb/>quamdam cœli conclusionem videre: &amp; hoc est
<lb/>quod horizontem veteres vocauerunt. Hora 
<lb/>che difficultà hauete?
<lb/>C. Perche, chi è quegli cotanto insensato, che non
<lb/>sappia, che per linea curua non si può cagionar
<lb/>la nostra veduta ?
<lb/>R. Adunque vorrete, che, le parole di Macrobio, non si intendan per
<lb/>piegata linea  ? Ecco il Mazone huomo addottrinato, e vniueriale 
<lb/>in tutte le scienze, che nelle difese di Dante, al predicamento 
<lb/>dalla qualità dice; Aggrandi dunque l'Ariosto. molto, la
<lb/>forza della potenza visiua in quel luogo, poiche la distese, per
<lb/>lo spazio di 1800 miglia, tutto il diametro, che 900 è il semidiametro, 
<lb/>per quanto non può arriuare in modo alcuno il nostro 
<lb/>aspetto, ne con la diritta linea, ne con quella, che piega,
<lb/>venendo determinata da i matematici, come Macrobio afferma;
<lb/>e referisce le citate parole. Che dite, non s'intende quella voce
<lb/>[curuatur,] per piegarsi? Replicate, e ui ostinate, con dir che,
<lb/>se Macrobio il dicesse, direbbe male. E il Mazone ancora, perche
<lb/>principalmente, attese alla Filosofia, e Teologia, meno pote conseguir 
<lb/>questa ragion perspettiua. E io vi rispondo, che par, che
<lb/>facciate habito di lasciar sempre ciò che di buono dicon gli autori, 
<lb/>e pigliare il cattiuo, poiche biasimate in ciò Macrobio, e lo
<lb/>seguite nell'hauer egli attribuito il suono, e l'armonia al Cielo:
<lb/>hauendo fatto, come Francesco della Luna architettore, ilquale 
<lb/>in assenza del Brunellesco, seguitando di far la loggia degli Incenti, 
<lb/>perche fece il ricingimento d'vn'architraue, che corre à
<lb/>basso, di sopra, fu sgridato da Filippo al suo ritorno. E perche si
<lb/>scusaua, dicendo hauerlo cauato dal Tempio di San Giouanni : rispose
<pb n= "65 verso"/>  
<lb/>il Brunelesco. Vn solo errore è in quell'edificio, e tu l'hai
<lb/>messo in opera. Or eccoui Ignazio Danti, che principalmente habito faceua,
<lb/>di somiglianti facoltà, e per questo fù adoperato da 
<lb/>Principi secolari, e Ecclesiastici, e pure anche egli vsa questo termine 
<lb/>di piegata linea, dicendo, che quelle cose, che son uedute da
<lb/>i raggi, che più piegano alla destra ci appaion più destre; e cosi 
<lb/>per lo contrario le vedute da i raggi, che più piegano alla sinistra,
<lb/>son più sinistre; e ne fà, la dimostrazione ancora, che è quel
<lb/>che uoi cercate. E Aulo Gellio, nel libro delle sue notti antiche,
<lb/>dice, che i perspettiui chiamano vedere obliquo, quando il raggio 
<lb/>è refatto, cioè piegato. Siete voi chiaro adesso, che questo 
<lb/>termine è ignoto solamente a voi ? Ne resta per ciò, che la
<lb/>linea visual, che va dall'occhio all'obbietto, secondo i perspettiui, 
<lb/>non sia retta, ma ella si piega mentre con la sua estremità
<lb/>(per esemplo) disegna vn arco nel voltarsi a destra, ò a sinistra,
<lb/>non potendo più dilungarsi, e questo termine è l’orizone della
<lb/>visual potenza disegnato dalla piegata linea, dice Macrobio,
<lb/>e qualunque huomo, che perspettiua intende. L'orizonte adunque 
<lb/>della potenza visiua, e la piegata linea visuale non saranno
<lb/>termini nuoui, ne falsi, se non secondo il creder vostro. Non vi
<lb/>pare strano d'essere stato preso a quel boccone, che voi giurato
<lb/>haureste esser senz'hamo? Non fareste uolentieri, come la scolopendria, 
<lb/>che uomita tutte le viscere, per istrigarsi dall'hamo,
<lb/>che già, vede hauer ingozzato ?
<lb/>C. Che perciò d’vna palla non veggiamo, se non la
<lb/>metà, ò poco meno, essendo impossibile: che i raggi 
<lb/>visuali si pieghino per veder l'altra parte.
<lb/>R. Orsù, sarà vero quel che dianzi si disse; che ne anche della vostra 
<lb/>arte intendiate straccio. Il medesimo Ignazio proua, che 
<lb/>quantunque retti uadano i raggi uisuali, ad ogni modo alcune
<lb/>fiate con essi possiamo vedere una palla di là dal mezo dalla parte, 
<lb/>che piega, cosi dicendo. Se l'interuallo, che è fra’l centro
<lb/>dell'vno, e dell'altr'occhio, sarà maggior del diametro della 
<lb/>palla, se ne uedra più della metà; se il diametro sara eguale alla
<lb/>detta distanza, se ne uedrà la metà ; se il diametro sara maggior
<lb/>dell'interuallo, se ne vedra meno della metà. Che potrete
<lb/>uoi girabizzar quì ? Son matematiche demostrazion queste, che
<lb/>son note al senso, e pure ardite di negarle. Oime voi neghereste 
<lb/>il paiuolo in capo, e fareste à passar co’ passatoi, perche non rispondete 
<lb/>a meze le cose. All'esemplo dato de’ raggi visuali, per
<lb/>prouar, che i vapori, come quegli penetrar possano il Cielo, che
<pb n= "66 recto"/>  
<lb/>si è mostrato, che non proua, che ci replicate? Che alla falsità
<lb/>dell'esempio del Sole? Che all'esemplo delle prime qualità nelle
<lb/>gioie ? Che alla proua fatta, che il Cielo arrendeuole non sia ?
<lb/>Discorso. A quella moderna inuenzion dell'Epiciclo di Venere di
<lb/>cui vogliono ouale essere il mouimento per lo Cielo, niente altro
<lb/>direi, se non che, per tor le difficultà alle demostrazioni astronomiche,
<lb/>per causa di quella apparenza, che il capriccio è bello, ma
<lb/>non vero, per tanto dee stimarsi, come degli altri s'è detto. Onde 
<lb/>non segue perciò, che il Cielo affermar si debba esser alterabile,
<lb/>dicendo, che egli rarefare, e condensarsi dourebbe, per dar luogo 
<lb/>a quelle inegualita di quello epiciclo, poiche non reale, ma
<lb/>imaginario è veramente.
<lb/>Considerazione XXIII. Tengasi cara questa risposta. 
<lb/>Perche ell’e diuero pellegrina ; e inaspettata. 
<lb/>Conciosiache qualche Astronomo comunalmente 
<lb/>aurebbe risposto: prima, che l'epiciclo 
<lb/>di Venere non è insino à qui da niuno, che
<lb/>di quei moti abbia scritto, imaginato ouale, e 
<lb/>che manco da altri di sì fatta figura dourebbe 
<lb/>esser tenuto per l'auuenire:
<lb/>Risposta. Ecco, che io v'hò seruito, perche, come uedeste anche
<lb/>alla settima considerazione in risposta, non l'hebbi per reale.
<lb/>Mi marauiglio ben di voi, che in questo capriccio non seguitiate 
<lb/>il uostro Copernico, seguendolo nell'altre sue fantasie di gran
<lb/>lunga più bizzare. 
<lb/>C. Poiche quell'apparenza, nella qual sola è il fondamento di chi dice quell'Epiciclo non esser di
<lb/>forma rotonda, addotta ancora da in certo, 
<lb/>per aggradire, mi penso, le inuenzioni del
<lb/>Copernico, semplicemente, sì come semplicemente s'adduce, potre' negarsi.
<lb/>Secondariamente, che dato ancora, che cotale Epiciclo 
<lb/>fosse ouale, non ne seguita perciò necessa-
<pb n= "66 verso"/>  
<lb/>riamente, che Venere con tale Epiciclo mouendosi 
<lb/>di continuo intorno à un sol centro, rispetto 
<lb/>à quello non si volga , ancorche à noi altrimenti 
<lb/>apparisca, in circolo rotondamente, e
<lb/>perfettamente. Onde per mio auiso l'argomento, 
<lb/>che per esser l'Epiciclo di Venere ouale, maggiormente 
<lb/>si douesse dire il Cielo arrendeuole,
<lb/>non conterrebbe in se stesso, circa la proua di
<lb/>cosi fatta arrendeuoleza, niente più di vigore,
<lb/>che se circolare fosse stato creduto, e presupposto
<lb/>communemente. Poiche, e l'Epiciclo, e gl'altri
<lb/>cerchi, che vi bisognegebbon di Venere, co’ lor
<lb/>mouimenti, quantunque diuersamente apparisero,
<lb/>in se stessi nondimeno, per via ancor di demestrazione, 
<lb/>si potrebbe affermare esser circolari, 
<lb/>e rotondi.
<lb/>Ne darò quì per dichiarazion di questo l'esemplo
<lb/>nella Luna. Chi seguita la dottrina di Tolommeo, 
<lb/>ne caua per corollario, che l centro dell'Epiciclo
<lb/>di essa Luna, ogni mese descriue vna figura 
<lb/>ouale, senza tralasciar niente il corso circolare.
<lb/>R. Sig. Mauri, come quegli, che non attende, se non per diporto,
<lb/>a queste cose, ha uoluto anche per diporto farnela dimostrazion,
<lb/>con la figura: però si lascia, come vana fatica, non hauendo noi
<lb/>tempo da gittar ne’ diporti.
<lb/>C Quindi si può acconciamente, s'io non m'inganno, 
<lb/>venire in cognizion di quello, che di sopra 
<pb n= "67 recto"/>  
<lb/>è da noi affermato di Venere: perche mi pare
<lb/>per tal figura assai ageuole lo’ntendere, che tanto 
<lb/>l'Auge dell'eccentrico, quanto’ l centro dell'epiciclo, 
<lb/>faccendo intorno al suo centro vn perfettissimo 
<lb/>circolo, descriua, nondimeno, rispetto à
<lb/>vn'altro punto, o vero centro, vna figura ouale; 
<lb/>non perche à suo capriccio, non girando eglino 
<lb/>intorno à vn sol centro, suolazin per lo Cielo 
<lb/>arrendeuole, ma perche detto lor centro è mobile, 
<lb/>per la mobilità dello stesso Auge dell'eccentrico. 
<lb/>Per conchiudere adunque, la seconda risposta,
<lb/>d'vn semplice Astronomo sarebbe cotale. Se 
<lb/>quell'Epiciclo di Venere necessariamente per le
<lb/>osseruazioni si dee constituire ouale, di maniera 
<lb/>si saprà secondo i precetti Astronomici accommodare, 
<lb/>che con tutto ciò circolari sieno i
<lb/>suo’ mouimenti. Onde ragioneuolmente non ne
<lb/>segua, che più si possa dire arrendeuole il Cielo
<lb/>per parer l'epiciclo di Venere ouale, che per apparire egli circolare, e rotondo.
<lb/>R. Queste vostre opposizioni contro coloro, che tengono, che Venere, 
<lb/>o la Luna ouatamente si muoua, strighinle, quegli à cui
<lb/>appartiene, perche io non ci sento stroppio; ne hauendole sostenute 
<lb/>m'accorderò volentieri, con chi l'opposito afferma. Anzi
<lb/>che della demostrazion, che per farmi piacer fatta hauete; io
<lb/>ven'hò quel grado, che ha il Proconsolo a chi pesca per lui; perche 
<lb/>nulla più mi gioua, che, se fatta non l'haueste. Duolmi
<lb/>ben, che, in vece di spiegar tante girelle in cui la Luna si gira, poteuate 
<lb/>spendere il tempo dintorno a que’ luoghi, che sopra vi
<pb n= "67 verso"/>  
<lb/>mentouai; perche haureste detto qualche bella cosa da pagarla va
<lb/>tesoro, come faceste alla considerazion quinta.
<lb/>Discorso. E io non dubito punto, che meglio filosofandosi ragione 
<lb/>assai più verisimile ritrouar si potrebbe per questa, e per l'altre
<lb/>apparizioni, e potrebbonsi forse tor via l'imaginazion fauolose
<lb/>di tanti Epicicli; ma per hora intorno a ciò altro non fa mestiere 
<lb/>ch'io dica. O Aristotele, sè tà in questi tempi viuessi; quanto
<lb/>riderestù di quegli astrologi, che rouinan tutto il Cielo per non
<lb/>rouinar se medesimi sotto vn'argomento?
<lb/>Vogliono altri, che queste nuoue stelle siano vna parte condensata
<lb/>di Cielo, affermando cotale spessamento in quel semplice corpo
<lb/>altro non cagionare, che perfezion maggiore, apportando in
<lb/>quello nouità di lumi, che son parti più nobili dell'orbe nel quale 
<lb/>essi riseggono; e perciò tal mutazion non douersi la suso sconueneuole 
<lb/>apppellare. Credonsi, che questa spessazione dal concorso 
<lb/>di più stelle, e raggi si cagioni, per lo mouimento, e per l'vnita
<lb/>di quelli reuerberanti in quella parte di Cielo, si che, aiutata da raggi 
<lb/>del Sole, poscia come l'altre stelle risplenda. Ma perche dicemmo 
<lb/>di sopra il Mondo celeste essere in alterabile non par,
<lb/>che la bisogna richiegga, per non esser souerchio alle purgate 
<lb/>orechie di cui dirittamente intende, di nuouo affaticar, il medesimo 
<lb/>replicando. Diciamo per tanto che l'acquistamento di nuoua 
<lb/>perfezione altro non inferisce, che riceuer nuoue forme, sendo 
<lb/>questa perfezion niuna altra cosa, che generazion di nuoue
<lb/>stelle. Onde la materia di esso Cielo sarebbe stata in potenza ad
<lb/>altre forme, e insiememente corruttibile; cosa falsa veramente,
<lb/>come s'è dimostrato di sopra. Nè rileua nulla quello, che dicono, 
<lb/>cioè, che al Cielo non sia nota di imperfezione l'acquistamento 
<lb/>di migliori forme, come le stelle sono. Impercioche l'essere 
<lb/>in potenza a miglior forma, o peggiore, altro non vuol dir,
<lb/>che essere capace d'alterazione; perche, la miglior forma acquistata, 
<lb/>lascia la sua materia in potenza alla peggiore, di cui ell'è priuata. 
<lb/>Aggiungo, che se per condensamento, e rarefazion si generassero 
<lb/>lassù nuoue stelle, vicendeuolmente quelle si vedrebbono
<lb/>senz'ordine hora auuicinarsi, hora discostarsi, e confondersi tra
<lb/>di loro. Cosa, che all'esperienza stessa contrariar si vede.
<lb/>Considerazione XXIIII. E gran cosa questa.
<lb/>Vogliono i filosofi ne’ Cieli vniformità, e regolarita,
<lb/>e questa non imaginaria, non finta, ma vera, e reale.
<pb n= "68 recto"/>  
<lb/>Risposta. Di grazia non vi disperate ancora, perche i confortatori son
<lb/>troppo impacciati, per adesso, dietro a quei tali, che dite esser da
<lb/>me stati mandati à giustizia,
<lb/>C. E perche alcuna fiata, per apparir u. g. il Sole
<lb/>quando di moto più tardo, quando di moto più
<lb/>veloce, e Saturno ora retrogrado, ora fermo, e
<lb/>stabile, il senso chiaramente repugna, se ne ricorrono 
<lb/>per soccorso agli Astronomi; acciò eglino, 
<lb/>poiche essi non possono, con l'apportar la cagione 
<lb/>di cotali apparenze, mantengan per veri
<lb/>nelle menti de gl'huomini questi lor pensieri de'
<lb/>Cieli vniformi, e regolari. Cli Astronomi
<lb/>adunque, come fedeli amici, col pensare, e giorno, 
<lb/>e notte, e a Epicioli, e à Eccentrici, e à Equanti, 
<lb/>anno dato lor machine tali, che, volendo, 
<lb/>possono contra ogni feroce mimico ageuolmente 
<lb/>restare in sì fatta contesa vittoriosi.
<lb/>R. Se voi sollecitate così, io vi prometto, che spacciatamente vi spedirete, 
<lb/>e non haurete a veghiare. Ah, Ah, in fatti voi siete garbato,
<lb/>poiche, s'io vi concede dianzi vna cosa (perche faceua al mio proposito) 
<lb/>à me volete concederne molte, per non esser auanzato di
<lb/>cortesia. Onde io m'imagino, che alla fine saremo d'accordo, poi
<lb/>che per non parer prouano, e litigioso non volete guardarla cosi
<lb/>per la minuta. E che vuol dir, che non rispondete cosa niuna a gli
<lb/>argomenti, che prouano la nuoua stella, non poter’ essere altramente 
<lb/>vna parte condensata di Cielo ? Egli e pur vero, che
<lb/>que’ tali, secondo i vostri fondamenti, hanno questa. Opinion
<lb/>suscitata.
<lb/>C. Ma ecco, che cotali strumenti, non prima posti
<lb/>loro in mano, essendo, ò per dispregio de’ donatori, 
<lb/>da essi dannosamente vilipesi, ò per ignoranza 
<lb/>ne’ suoi affari abusati, danno in uece di
<pb n= "68 verso"/>  
<lb/>vinta, perduta lor la battaglia.
<lb/>R. Coccole d'olmo: quest'e vn calcio senza discrezione. Infatti
<lb/>quando il cauallo è toccato su'l guidalesco, se egli tira, che 
<lb/>marauiglia?
<lb/>C. Per esemplo piglisi quì il nostro moderno Peripatetico,
<lb/>ilguale (faccialo per qual si voglia ragione) 
<lb/>non s'accorge, che con l'affermare imaginari 
<lb/>gli Epicicli, imaginarie altresì afferma,
<lb/>per consequenza, contro i suoi assiomi, le sue regolarità. 
<lb/>Poiche, se è vero, come è verissimo,
<lb/>che gli effetti seguitan le lor cagioni, come si potranno 
<lb/>giammai stimar realmente per regolare
<lb/>i mouimenti celesti, essendo gli Epicicli, Eccentrici, 
<lb/>ed Equanti, per mezo de’ qua’ soli si può saluare, 
<lb/>anzi farne cagionar l’vniformita de moti,
<lb/>tenuti fauolosi, e finti. 
<lb/>R. Non vogliate darui a credere, che i filosofi non sapessero cosi ben
<lb/>come i matematici ghiribizare, e imaginarsi le cagion dell'apparenze 
<lb/>diuerse de’ Pianeti. perche sarebbe il medesimo che dir,
<lb/>che quegli, che sà ritrouar le vere, e reali cagioni delle cose, non
<lb/>sapesse dire vna bugia, che faccia di vero hauesse. Io ho veduto
<lb/>vn discorso curioso, e dotto, e degno veramente, che i letterati
<lb/>lo leggano; doue, oltre che si piglia a dimostrar, che in tutte
<lb/>le scienze, e arti i cattolici sono stati più eccellenti degli eretici,
<lb/>egli non solamente, quando nouerai filosofi non fa memoria 
<lb/>veruna di quegli, che per loro impresa si misero a contraddire
<lb/>ad Aristotele, si che voi Mauri non ui acconterete in quel bel numero
<lb/>ezandio, che voi foste eccellente; ma parlando de'ritrouatori
<lb/>degli strumenti, che voi negate a’ filosofi, mostra, che
<lb/>tutti Filosofi, e Teologi sono stati coloro, che i maranigliosi strumenti 
<lb/>hanno fatti conoscere; come Ignazio Danti, eccellente filosofo,
<lb/> e Teologo, il Radio latino, il cui uso è mirabile: Alessandro 
<lb/>Piccolomini, che vn nuouo strumento anch'egli ne'nsegna:
<lb/>il Cosmolabio, che da Iacopo Bessani è mentouato: L'Olemetro,
<lb/>che diede fuora Abel Fulone: e il Filandro l'Anello sferico:
<pb n= "69 recto"/>  
<lb/>e Gemma Frisio l'Astrolabio cattolico: altro ne fece Giouanni 
<lb/>Roias: Antonio Lupicini Fiorentino, che filosofo non mediocre 
<lb/>fù ancora, insegna alcune verghe astronomiche, e altri infiniti. 
<lb/>Che ne dite? Sanno i filosofi, senza gli Astronomi, adoperare,
<lb/>e ritrouare gli strumenti astronomici? Non ui lasciate più scappar 
<lb/>di bocca, che i filosofi ne siano ignoranti: non perche importi
<lb/>a loro il cicalar vostro, ma per zelo di uoi medesimo guardaruene 
<lb/>douete. Hora, che questi epicicli di Venere, e della Luna 
<lb/>descritti ouatamente, e l'altre apparenze, reali non sieno, ma
<lb/>immaginari, il termine, e nome stesso, il manifesta; come afferma 
<lb/>ancora il medesimo Ignazio, sopra gli specchi di Euclide, 
<lb/>dicendo, che dal Greco gli diedero questo nome, perche si suppon 
<lb/>quel, che solamente apparir si vede a gli occhi nostri. I
<lb/>moti circolari son reali, e veri, ma l'apparenze diuerse, che in
<lb/>essi pianeti si veggono, come i mouimenti ouati, e simli altri,
<lb/>reali non sono: e perciò non vi attaccate alla mala intelligenza
<lb/>vostra delle mie parole, per le quali vorreste, che io chiamassi
<lb/>fauoloso ogni circolo, e ogni mouimento celeste, hauendo io
<lb/>detto, che imaginarie sian tutte queste apparizion planetali, attesoche, 
<lb/>dicendo apparizioni, chi non vede, che io distinguo da
<lb/>i mouimenti reali gli imaginari? E che ciò sia uero, hauete voi
<lb/>osseruato, che io dico, che si potrebbon forse tor via l'imaginazion 
<lb/>fauolose di tanti epicicli? Adunque non dico di tutti, ne 
<lb/>de moti reali. Oltre, che s'io lo dicessi senz'altra distinzione,
<lb/>quelle parole, imaginazione, e apparenza, basterian per dichiarar,
<lb/>che non di tutti assolutamente si parla. Ne, quantunque voi mi
<lb/>chiamiate nuouo peripatetico, ho io altramente, che da antico
<lb/>parlato, perche, concedutoui, che reali fossero queste apparenze,
<lb/>non ne segue però, che chi nega cotali esser le cagioni loro, neghi
<lb/>la realità degli effetti, poiche altra può esser la vera cagion da
<lb/>cui essi procedono. Quei filosofi in somma, che niuna cognizione 
<lb/>hanno di cotali strumenti astronomici, e moti, e apparenze
<lb/>celesti, che bene intendono, filosofando la ragion delle cose, chi
<lb/>dubita, che facilissimamente: non l'apparino, leggendo cotali
<lb/>autori, e senz'altro maestro? Il che non posson cosi agiatamente
<lb/>far quegli, che, mediante le filosofiche speculazioni, non si son
<lb/>resi agili d'intelletto, e di facile apprensiua nelle squisite discipline, 
<lb/>e varie esercitandosi.
<lb/>C. Ciò vegga il nostro Colombo.
<lb/>R. Voi pur mi chiamate nostro, e nel medesimo tempo fingete di
<lb/>non hauer mai hauuto lume de’ fatti miei, non che mia amicizia.
<pb n= "69 verso"/>  
<lb/>Onde per altra cagione bisogna, che tale mi appelliate. Dite vero, 
<lb/>forse, perch'io son vostro patriotta? Io mi pensaua, che voi
<lb/>foste del paese de Baschi; ma, poi che siete nostrale, mi crederò,
<lb/>che ciò adiuenga da esser voi stato gran tempo per le catapecchie
<lb/>fra le grotte di Merlino a douentar buon negromante; e hora, che
<lb/>l'indounar le cose passate ui riesce, siete scappato fuora, come nuouo 
<lb/>bergolo a farui cosi valente conoscere. La doue non è marauiglia, 
<lb/>che, mè non habbiate sentito ricordare, e conosciate poco
<lb/>altri, e voi stesso non punto. 
<lb/>C. E ne sia egli stesso il giudice, percioche io penso,
<lb/> non istarà pertinace nella sua opinione,
<lb/>almen per fino à tanto, che egli meglio filosofando, 
<lb/>come di corto per suo auuiso si dee sperare,
<lb/>non apporti aiuti cotali; onde, lasciati à Matematici 
<lb/>gli estranei sussidi de’ lor finti Epicicli,
<lb/>e’ vegga alla fine di proprie forze fortemente circondata 
<lb/>la sua nuoua, e vera filosofia.
<lb/>R. Se voi, messer mio, haueste saputo stringermi addosso il farsetto
<lb/>di maniera, che mi fosse conuenuto dar la fuora, per mio scampo,
<lb/>haureste sentito chente la nuoua maniera di filosofare intorno a
<lb/>simili cose, non già lontana dalla vera, e peripatetica filosofia,
<lb/>adoperata da me si haurebbe. Ma perche non mi hauete posto in
<lb/>cotal necessità (non vene basta l’ animo ) vi rimarrete con la
<lb/>voglia.
<lb/>Discorso. Oltre à ciò non trarrebbe il Primo mobile seco vniformemente 
<lb/>tutte l'altre sfere sottoposteli, se elle fossero labili, e arrendeuoli, 
<lb/>si come adiuenir si uede all'aria, che il suo moto non
<lb/>fa con quella uelocita di quel del Cielo, che la muoue. Non
<lb/>ha altramente balia il concorso di molti raggi, di cagionar tale 
<lb/>spessazion in quella parte celeste, secondo che uoglion questi 
<lb/>tali. Impercioche, non è egli uero, che il Cielo, per qual si
<lb/>uoglia concorso di lumi, e raggi, e uelocità di moto niuna alterazion
<lb/>patisce, ò uarietà di corruzione?
<lb/>Considerazione XXV. E pur tirato il fuoco con
<lb/>vna parte dell'aria, quantunque e’ non si possa ne
<lb/>gar, che è sieno arrendeuoli. 
<pb n= "70 recto"/>  
<lb/>Risposta. Si e dimostrato ancora, che non son tirati con la medesima 
<lb/>uelocita, che si muoue il Cielo, e che non vanno vniformemente, 
<lb/>per essere il corpo celeste di sostanza soda, e quegli di arrendeuole, 
<lb/>e cedente; e perciò non capaci di girar col medesimo
<lb/>moto insieme, come che ui sforziate fargli girar voi, con aggirare 
<lb/>i semplici, che ui credono.
<lb/>Discorso. Pure, datoche egli soggiacesse a cotali imperfezioni, egli
<lb/>dourebbe riscaldar di sì fatta maniera, che ormai tutto di fuoco
<lb/>esser dourebbe, e tutto haurebbe abbruciato questo mondo inferiore 
<lb/>più tosto, che minimo segno hauer fatto di condensamento. 
<lb/>Imperoche, chi non sa, che del caldo natura è di rarefare, e
<lb/>assottigliare, dicono i filosofanti, e'l condensare condimento
<lb/>esser del freddo? La qual condensazione, per mouimento, ò per
<lb/>lume non si produce. Onde, prima senza stelle è da creder, che
<lb/>resterebbe il Cielo, le veri fossero cotali accidenti in esso, anziche
<lb/>aggiungeruisi perfezion di nuoue stelle.
<lb/>Considerazione XXVI. Vedi la Considerazione
<lb/> ottaua: perche questa somiglia mirabilmente
<lb/>quella bella ragione del Lorenzini,
<lb/>Riposta. Piano vn pò; quest'è pur quel tempo, che voi spendete per
<lb/>diporto: fermate, non l'abborracciamo, non tanta fretta. Sapete,
<lb/>voi Signor Alimberto, come questo argomento somiglia quel
<lb/>del Lorenzini?   come la vostra filosofia quella d'Aristotele, se già
<lb/>non haueste voluto dire, che questa considerazion vostra, e simile 
<lb/>all'ottaua. Bene è vero che, io ancor parlo di fuoco, come fece
<lb/>egli, ma però  diuerse son le maniere d'argomentare. Hora, perche
<lb/>non si risponderebbe Albubater Mauro, che fù si grande astrologo; 
<lb/>pensate, se potrà rispondere il Mauro suo bisnipote, che
<lb/>ne sa tanto manco di lui, che per ancora non ha capito i miei argomenti.
<lb/>Discorso. Il corpo Lunare fa conoscere a qualunque huomo indubitatamente, 
<lb/>che il moto, l’vnione, e ripercotimento di molti raggi, 
<lb/>veruna mutazion nel Cielo non apportano, posciache, come
<lb/>che il Sole di continuo nella faccia della Luna ferisca, non per tanto 
<lb/>non perde quel suo liuidore; e quelle macchie, che vn viso
<lb/>figurano son sempre le medesime, e nel luogo stesso senza varianza 
<lb/>alloggiano.
<lb/>Considerazione XXVII. Ecco, che’ l nostro autore 
<lb/>mette in campo madonna Luna, acciò sia 
<pb n= "70 verso"/>  
<lb/>quella che confermi, che ne per lo moto, ne per
<lb/>l'unione, e ripercotimento di molti raggi patisce
<lb/>veruna alterazione il Cielo. Ma nota prima,
<lb/>che’l corpo lunare per esser oscuro, e tenebroso, è
<lb/>diversissimo da quello delle sfere celesti, leguali
<lb/>son diafane, e trasparenti. Secondo che’ l Sole 
<lb/>non ferisce altrimenti di continuo nella faccia 
<lb/>della Luna, se però ella non è, come quel mostro 
<lb/>Echidna, ilguale auea cento facce: il che è
<lb/>cosi chiaro à chi intende punto punto, inche guisa 
<lb/>ella apparisca ora tonda, ora cornuta, che sarebbe 
<lb/>cosa ridiculosa il perdere tempo.
<lb/>Intesi questi notabili, uà cortesissimo lettore da
<lb/>per te medesimo considerando sì fatta confermazione, 
<lb/>e quanto per essa si rinugorisca l'argomento, 
<lb/>e stà sicuro d'imparar di quì gran parte di Loica.
<lb/>Risposta. State di buona voglia, con questi vostri notabili, che
<lb/>per mia fè, andate a rischio di inuolare il vanto a Giorgion da Castelfranco, 
<lb/>sì ben sapete distinguer, tritare, sminuzzare, e far per
<lb/>ogni verso apparir le vostre uerità. Era Giorgione huomo cosi 
<lb/>ingegnoso, che fece veder, la Pittura non cedere alla Scultura 
<lb/>nel mostrare i dintorni, con tale artificio. Figurò egli vna 
<lb/>persona ignuda, laqual, voltando altrui le spalle, e hauendo da ciascun 
<lb/>lato vno specchio, e vna fonte d'acqua a i piedi, mostraua
<lb/>nel dipinto il diretro, nella fonte il dinanzi , e nelli specchi i lati. 
<lb/>Ma voi hauete fatto vn'inuettiua, che è vno specchio, in cui
<lb/>si scorge troppo ben quel che voi siete di dentro, e di fuora: cosa, 
<lb/>che non potè mai far Giorgione. Che il Cielo non patisca
<lb/>alterazion corruttiua, sopra in molti luoghi prouato l'habbiamo.
<lb/>I notabili poi, non uaglion'vn fico. Perche, quanto al primo,
<lb/>s'è mostrato il corpo lunar, non esser di natura differente al suo
<pb n= "71 recto"/>  
<lb/>Cielo, sì come l'altre stelle ancora. E che la Luna non è assolutamente 
<lb/>tenebrosa, essendo il corpo celeste sempre luminoso in 
<lb/>atto. Ma quando vi si permettesse il dir, che oscura fosse assolutamente 
<lb/>la Luna, che ne seguirebbe? Anzi che, per esser molto
<lb/>differente, e più imperfetta del suo Cielo, secondo il creder vostro, 
<lb/>dourebbe hauer fatto in tanto tempo qualche mutazione; e
<lb/>nulladimeno il contrario ci dimostra. Circa il secondo, se vostra
<lb/>openione è, che il Sol non ferisca continuamente nella faccia 
<lb/>della Luna, altri uoglion però, che egli vi ferisca dentro, dicendo 
<lb/>che la parte, in cui le macchie riseggono, mai non varia
<lb/>sito. Imperoche, mentre l'Epiciclo la porta, volgendosi, ella si
<lb/>gira per lo contrario di proprio moto, mantenendosi sempre nella
<lb/>medesima positura: cosi dicono i ritrouator degli Epicicli, 
<lb/>Lascio di dir, che Aristotele, perche vide, che la parte della 
<lb/>Luna, che faccia si appella, sempre staua nel medesimo sito, volle, 
<lb/>che ella non si volgesse nel suo orbe; E'l medesimo afferma 
<lb/>San Tommaso. Ma io dico di più, che la Luna, essendo sferica 
<lb/>in forma di vna palla, viene, di uero, a non hauer propriamente 
<lb/>faccia. Onde, vedendola il Sole alla scoperta, meza si può 
<lb/>dir, che la ferisca nella faccia douunque ella si sia, saluo però, che 
<lb/>alcuna stata nelle sue eclissi, per piccolissimo tempo. E che si dica 
<lb/>la Luna hauer la faccia impropriamente, Aristotele medesimo 
<lb/>il mostra dicendo, [Ad id Lunæ, quod facies nuncupatur,] perche 
<lb/>quelle macchie veramente non son faccia: e perciò dissi [che
<lb/>vn viso figurano] Ne, ancorche i vostri notabili conceduti vi 
<lb/>fossero, haureste conchiuso nulla. attesoche fa di mestier prouar, 
<lb/>che quelle macchie lunari, non siano state sempre nel medesimo 
<lb/>luogo, e siano andate variandosi, mediante il calor de'raggi
<lb/>solari, quantunque il Sole alcune fiate non percotesse in essa faccia lunare; 
<lb/>se vero fosse, che ella potesse riceuere alterazion corruttiua. 
<lb/>Ma non sò già veder perche, se io inteso hauessi delle 
<lb/>macchie, e li si debba intendere strettamente, sì che non possa 
<lb/>alcune fiate non percuotere il raggio in quelle, e ad ogni modo 
<lb/>sia ben detto, che sempre il Sol vi ferisca; perche sempre, 
<lb/>ancor si dice, che che sia fare vna azione, quantunque da alcuna 
<lb/>fiata da certo interuallo di tempo interrotta. Onde si dice,
<lb/>che l'huomo, del continuo mangia per viuere, e pure mette
<lb/>tempo in mezo, da vna volta all'altra. Sapete adunque
<lb/>quel che è ridicoloso? Il dir, che quel mostro habbia cento faccie; 
<lb/>e io vi confesso, che men duro mi farebbe a creder, che
<lb/>l'haueste voi, che egli. Imperò che cento fiate all'hora mutate
<lb/>parere. Echidna al mio paese non e altro, che l'Idra, ò fera Lerna
<pb n= "71 verso"/>  
<lb/> di cui fauoleggiano i Poeti; fingendola di sette teste, e i Latini
<lb/>vogliono ancora, che sia Serpente, ò Vipera. Giudicare
<lb/>hor uoi Signori Lettori, anzi uoi medesimo Alimberto, se la mia
<lb/>loica, e buona, per inferir, che nel Cielo non si faccia per le dette 
<lb/>ragioni alterazion veruna.
<lb/>Discorso. Le quali altro non sono, che parti più rare di quel denso corpo.
<lb/>Considerazione XXVIII. Non istarò à riprouar 
<lb/>l'oppenione, che qui tenete sopra questa faccia 
<lb/>macchiata lunare; imperocche Da me rifiutata 
<lb/>prima con sottili argomenti cotal sentenza,
<lb/>ne adduce poscia vna sua, laquale, per esser meza 
<lb/>Teologica, mi par, che molto ben sarebbe
<lb/>quadrata al titolo di questo trattato, e allo’ntento
<lb/>vostro di voler conformar l'Astronomia alla
<lb/>vera Filosofia, e Teologia, se da essa non
<lb/>s'apportasse per altro, sì come io penso, cagione
<lb/>poco sicura di quello splendor cotanto variato.
<lb/>Risposta. Se ben vorreste dare due tauole, cioè a Dante, e a mè, credo,
<lb/>che il giuoco andra al contrario. Quel famoso poeta secondo 
<lb/>l'Astrologia terrena, rende ragion delle macchie della Luna,
<lb/>per la causa a posteriori, cioè dall'effetto, perche altro modo non
<lb/>habbiamo: onde in quel luogo, egli stesso dice. 
<lb/>Poi dietro à i sensi,
<lb/>Vedi che la ragione ha corte l'ali.
<lb/>E perciò cotal opinione è la miglior, che addur si possa, ancor 
<lb/>secondo il parer di Dante, intantoche ha mostrato di
<lb/>spregiar ogn'altro parere, non ne facendo pur menzione.
<lb/>Ma, volendo il parere, anzi la uera cagion dalla sapienza celeste, 
<lb/>che uede, e intende le cose per le cause loro , ne domanda 
<lb/>Beatrice, figurata per quella, à cui non conueiua rendere 
<lb/>altra ragion, che per la causa a priori, diuersamente dalla filosofia,
<lb/>di cui l'Astrologia è parte. E, che sia uero, che l'Astrologia 
<lb/>faccia le sue dimostrazioni da gli effetti, il Zabarella, e altri 
<lb/>dicono, la Geometria esser più nobile dell'Astrologia, perche
<pb n= "72 recto"/>  
<lb/>Demonstrationum certitudine excellentior est;
<lb/>Attesoche l'Astrologia.  Infirmus demonstrat , &amp; a
<lb/>posteriori potus quam a prioris,  Se ben poi e vinta la
<lb/>Geometria. Nobilitate subiecti. Hora potete conoscer, 
<lb/>che quando argomenta contro la rarità, e densità, ha voluto 
<lb/>Dante mostrar, che questo modo di prouar da gli effetti, e
<lb/>da simili può ingannar, come negli specchi si vede. Ma con
<lb/>tutto ciò le ragioni non sono insolubili, e più tosto il fece, per mostrar 
<lb/>la fallacia di quelle maniere di prouare'l raro e'l denso, che
<lb/>negarlo volesse. Vedesi nella similitudine del grasso, e del magro,
<lb/>che egli apporta; imperoche se ben paion simili nulladimeno molto 
<lb/>diuersi dal raro e’l denso del Cielo veramente sono. però ingannato 
<lb/>il senso ne rimane. Beatrice adunque adduce la sua sentenza
<lb/>dalla causa, e non dall’effetto perche. Est potior, &amp; 
<lb/>nobilior demonstratio. Ma in genere, perche il venir al particular 
<lb/>non è cosa di capacitarci mentre quaggiù viuiamo. E
<lb/>certamente, che l'argomentar da gli effetti per similitudine con dir
<lb/>nello specchio; per esemplo, il lume fa questo effetto; dunque il
<lb/>medesimo farà nel Cielo, è cosa tanto fallace, che nulla più. Si
<lb/>che sola Beatrice poteua la sua fallenza conoscere; poiche di lei,
<lb/>cioè della sapienza, Salomone, dice. Gyrum Cœli circuiui 
<lb/>sola: Perche lassù solamente si può vedere se l’ombra
<lb/>della Luna si cagiona nel modo stesso, che l'ombre nostre si cagionano. 
<lb/>Seguitaua, per tanto Signor Alimberto, la comun de' filosofi, 
<lb/>e degli Astrologi il nostro Dante, dimostrando dagli effetti, 
<lb/>cioè, che dal raro, e denso le macchie della Luna procedono.
<lb/>Lo afferma ancora Egidio, Ricardo, e il Collegio Colnimbricense, 
<lb/>il Cardano, il Vallesio, e altri dicendo, 
<lb/>che le macchie di quel corpo appaion cosi oscure, perche leparti
<lb/>rare di esso, riceuendo il raggio, non lo rifletton nella superficie di
<lb/>quel globo, come le parti dense onde non posson generar lo splendor, 
<lb/>come quelle, e cosi mostran quella oscurità. Ecco, che voi 
<lb/>erauate ingannato a creder, che Dante fosse d'opinion contraria 
<lb/>alla mia, si come altresì si siete ingannato, nel dir, che l’opinion
<lb/>di Beatrice sia poco sicura; e perciò come diceste, si conforma la 
<lb/>Teologia, la filosofia, e l’ Astronomia col parer nostro, e con quel 
<lb/>di Dante alla barba del Signor Mauri.
<pb n= "72 verso"/>  
<lb/>C. Conciosache, se fosse vero come vuole quel diuino ingegno. 
<lb/>R. Piaga per allentar d'arco non sana. Dateli pur del balordo, e
<lb/>poi medicatelo col diuino.
<lb/>C. Che quegli, che fabricò l'uniuerso doppo l’auer
<lb/>fabbricato stelle di diuersa materia altre lucide, 
<lb/>e altre oscure, volle far’ vn pianeta , che
<lb/>composto di materia mista, della natura d'amendue
<lb/>le sorti participasse, vero sarebbe ancora, 
<lb/>che si fatto misto, cioè la Luna, essendo alle
<lb/>sue cagioni conformi gli effetti, produrrebbe
<lb/>ne’ corpi inferiori i medesimi influssi, u.g. e
<lb/>di Venere lucida, è risplendente come è gran
<lb/>parte della Luna, e di Saturno oscuro, e plumbeo 
<lb/>simile à quelle macchie Lunari: il che, per
<lb/>esser lontanissimo dalla verità, come sà chi hà
<lb/>dell'Astrologia alcuna cognizione, falso altresì
<lb/>viene ad apparir palesemente l'antecedente.
<lb/>R. Per non disputar se lo splendor di Venere s'agguagli alle parti
<lb/>più chiare della Luna, e alle più oscure quel di Saturno, si che
<lb/>da questo si possa argomentar degli influssi; basterà ch'io dica,
<lb/>Dante non hauer altramente dalla mistione argomentato, non 
<lb/>sendo mistion di materia ne’ corpi celesti, ma dalla diuersità delle
<lb/>forme, laqual non adiuien nella materia del Cielo, se non dalla
<lb/>disposizion di essa, secondo il raro, e'l denso, dicono i doti; e 
<lb/>perciò le stelle, secondo il raro, e'l denso, hanno diuerse forme
<lb/>specifiche; atteso che la forma resulta dalla potenza della materia,
<lb/>e secondo la disposizion di quella l'informa. Esemplo ne siano
<lb/>gli elementi, che, secondo che più densi, ò più rari sono sortiscono
<lb/>diuerse le forme loro, come il più denso alla forma della terra
<lb/>si dispone, e l'acqua men densa, altra forma riceue da quella diuersa, 
<lb/>e cosi gli altri elementi. Auuertendosi, che nel Cielo non si
<lb/>ricerca la trasmutazion della materia secondo il numero, per la
<lb/>varietà; conciosiache questo solamente nelle cose naturalmente
<pb n= "73 recto"/>  
<lb/>generate si richiegga, doue dalla corruzion d'vna cosa, vn'altra se
<lb/>ne genera cosa, che nel Ciel non addiuiene che è fatto da Dio, non
<lb/>per generazion, come le sullunari cose, Veggiasi quanto malamente 
<lb/>voi argomentiate contro l'opinion di Beatrice. Voi 
<lb/>stesso dite, che gli effetti son conformi alle cagioni, ma le cagion 
<lb/>degli effetti (loggiungo io,) son le forme delle cose, che gli 
<lb/>operano, e non la materia: adunque, dalle forme, e non dalla materia, 
<lb/>si dee cauar la ragion delle cose; e voi cercate al contrario 
<lb/>con biasimar Dante, che non intenda il modo d'argomentare. 
<lb/>Credete voi però, che Dante habbia stimato, che non la forma,
<lb/>ma la materia sia cagion della virtù delle stelle?
<lb/>C. Ma, perche ciascheduna cosa hà la sua propria 
<lb/>cagione, andrei per quella inuestigare altrimenti 
<lb/>discorrendo, e direi, che, per esser
<lb/>la Luna, secondo Possidonio, e altri antichi Filosofi, 
<lb/>come referisce Macrobio, cotanto simile
<lb/>alla terra, che un'altra terra è da lor nominata, 
<lb/>non è sconueneuole il pensare, ch’ella non 
<lb/>sia per tutto egual nello stesso modo, ma, sì come 
<lb/>nella terra, ancora in lei si ritrouino monti
<lb/>di smisurata grandeza, anzi tanto maggiori,
<lb/>quanto à noi son sensibili.
<lb/>R. La Luna, che è tanto minor della terra haurà i monti quasi
<lb/>maggiori della stessa Luna, a voler che siano sensibili: e cosi farete, 
<lb/>come quel rosignolo, che per farsi correr dietro a vn certo
<lb/>gocciolone, gli diede a’ creder d'hauer in corpo vn diamante grosso
<lb/>quant'è vn'uouo d'oca, non s'accorgendo egli, che non era si
<lb/>grosso il rosignuolo stesso.-
<lb/>C. Da quali, e non da altro, ne nasca poi in essa
<lb/>quella poco di chiazata oscurità; conciossiache
<lb/>la curuità grande de’ monti, non può, come
<lb/>insegnano i Perspettiui, riceuere, e reflettere il
<lb/>lume del Sole in quella guisa, che fà il restante
<pb n= "73 verso"/>  
<lb/>della Luna piano, e liscio. E per proua di
<lb/>questo addurrei vn'ageuole, e bella osseruazione,
<lb/>che si può di continuo fare, quando ella è in quadrato, 
<lb/>rispetto al Sole. Perciocche allora ella
<lb/>non fà il mezo cerchio pulito, e netto, ma sempre
<lb/>con qualche bernoccolo nel mezo. 
<lb/>R. E che sì, che voi rinnouellate i capricci di coloro, che diceuan
<lb/>la Luna esser vn desco, altri vna barca, altri vna zolla di terra
<lb/>coperta di nugoli, e caligini, e presso ch'io non dissi ? Almeno faceste 
<lb/>voi, come Democrito, che sempre rideua, mi penso io,
<lb/>perche dato haueua ad’ intendere al popolo questa chimera anch'egli, 
<lb/>cioè, che la Luna fosse montuosa. Questa fauola 
<lb/>non è men da ridere di quella, che si racconta d'vn pastor d'Arcadia, 
<lb/>di cui l'asinello, beuendo a vn fiume, rasente al muso del
<lb/>quale risplendea nell'acqua la Luna, perche venne ricoperta da
<lb/>vn nugolo, parue che beuuta la si fosse. Il buon pastore, veduto
<lb/>questo, diede tante bastonate al pouero ronzin di Sileno, che’ l
<lb/>mise in terra per morto; ne vedendol rimandar fuori la Luna, lo
<lb/>sparò, e aperseli tutte le budella, perche la Luna ritornasse in Cielo. 
<lb/>Onde, riuedendola poscia con quelle macchie, maladiua 
<lb/>l'asin suo, che l'hauesse con le dentate cosi diserta. Ma, che la
<lb/>vostra ragion circa le macchie lunari sia falsa, lo stesso esemplo
<lb/>delli specchi addotto da Dante, il dimostra. perche, quando il
<lb/>Sole stà perpendicularmente, fra due monti, che ombra vi fa 
<lb/>egli? Anzi vi fa reflesso, e reuerbero maggiore. Oltre acciò, nel
<lb/>plenilunio, perche diametralmente, e per retta linea feriscono
<lb/>in quella, i raggi solari, appena dourebbon, quelle macchie vedersi, 
<lb/>ò per dir meglio non si vedrebbon, per la detta ragione. E vale
<lb/>l'esemplo degli specchi contro di voi, perche è dato di cose della medesima 
<lb/>materia, e natura, posciache sostenete il Cielo esser della mistione 
<lb/>elementale. Io mi pensaua, che voi credeste, che fossero stati 
<lb/>que’ maladetti giganti di Flegra, che quando vollero battagliar 
<lb/>con Gioue, s'affrontassero con quella cornuta della Luna,
<lb/>e le facessero que’ bernoccoli, che uoi dite. Aggiungo, che,
<lb/>essendosi prouato a bastanza la materia celeste esser diuersa dall'elementare, 
<lb/>e che il Cielo non habbia mistione, non vi possono
<lb/>esser monti, ne scabrosità veruna: ma, perche è corpo semplice, è
<lb/>necessario, che sia sferico, liscio, e terso. Se la sù fossero i
<lb/>monti cosi nobili, grandi, e luminosi, io non istimerei tanto le
<pb n= "74 recto"/>  
<lb/>Muse, come quelle, che habbiano tanta prudenza; poiche haurebbon 
<lb/>fatto elezion del Monte Parnaso a somiglianza dell'altre 
<lb/>femine, che sempre al peggio s'appigliano.
<lb/>C. Di che, qual cagione si addurrà giammai
<lb/>ancor probabile, se non la curuità di que’ monti ? 
<lb/>per li quali, e in particulare in quel luogo,
<lb/>ella vien à perder la sua perfetta rotondità.
<lb/>R. E questo è’l uostro Achille? O pouer huomo, uoi vi siete ben
<lb/>fidato d'un rompicollo, che v'hà lasciato, come vedete nelle peste, 
<lb/>e vi sò dir che mai più non m'vscirete. E a dirne il uero, che
<lb/>difficultà ci ha egli, supposto, che non vi si fosse mostrata la vanità 
<lb/>del uostro parere, che, doue quelle macchie vi paion bernocoli,
<lb/>dà gli altri sian’ reputate parti più rare di quel corpo? Parui, che si
<lb/>sia facilissimamente sfangato di questa obbiezione insuperabile? E
<lb/>chi direbbe, la Luna esser di figura sferica, se ella hauesse quel monti 
<lb/>cosi grandi, che la maggior parte occuperebbon di quel corpo,
<lb/>volendo, che sieno di grandezza à noi sensibile ? Gli astrologi
<lb/>dicono la terra esser rotonda, perche le sue parti montuose sensibili 
<lb/>non sono, in comparazion del rimaso di quella, perche è trentatante 
<lb/>uolte maggiori della Luna. Signori Lettori, perche in
<lb/>questa risposta vien soluto alcuna tacita obiezione, mi souuien 
<lb/>d'auuertir, che, se per l'opera tutta si ritrouassero dichiarazioni, 
<lb/>argomenti, soluzioni, che non paressero molto necessarie,
<lb/>per l'opposizion del Mauri, sì sono per altre, che amici, in voce, 
<lb/>e per lettere, mi hanno fatte, e in particulare un dotto Padre 
<lb/>Domenicano: e perciò potranno questi tali in leggendo trouar 
<lb/>le soluzioni a tutte le difficultà loro, se non espressamente,
<lb/>almeno tacitamente ci saranno. Eccone una in proposito delle 
<lb/>macchie lunari dello stesso Padre. Se è uero, che l'oscurità
<lb/>della Luna sia cagionata dal non reflettere i raggi del Sole in 
<lb/>quella parte, per esser più rara; il medesimo seguirà dell'altre
<lb/>parti del Cielo, sendo rare anch'esse; e cosi oscure appariranno:
<lb/>ma questo non adiuiene; adunque è falso, che per tal cagione 
<lb/>appaiano le macchie nella Luna. Hora si risponde, che questa 
<lb/>oscurità non apparisce nell'altre parti del Cielo, perche non son
<lb/>circondate da quel chiarore, e splendor dell'altre parti assai più
<lb/>dense, come è circondato il raro della Luna; donde nasce, che
<lb/>per lo splendore opposito, quelle parti più rare, e per lo poco, e
<lb/>suanito lume, che fanno, appaiono oscure, e quasi vn sucidume
<lb/>in comparazion di quelle, che il solar raggio riflettono. Perche
<pb n= "74 verso"/>  
<lb/>Opposita iusta se posita magis elucescunt.
<lb/>E che sia vero, anche le macchie della Luna sembrano del color
<lb/>celeste, quando elle non son circondate di splendore, come si uede, 
<lb/>allor che ella è intorno al quadrato col Sole; attesoche, hauendo, 
<lb/>come si disse di sopra, alquanto di luce da se medesimo
<lb/>il corpo celeste, e la Luna ancora, non è superato tanto dall'altro
<lb/>splendore, che non possa mostrare il color zaffirino a somiglianza 
<lb/>del rimanente del Cielo.
<lb/>Discorso. Opinion d'altri è stata, che per l'incrocicchiamento di
<lb/>molti raggi ammucchiandosi, cagionato dalla concorrenza di più
<lb/>stelle, vibranti in vna parte di Cielo, benche rara, iui si possa con
<lb/>lunga dimoranza esser impressa quella luminosa qualità, nella
<lb/>guisa stessa, che verso la sera qualche nuuoletta percossa da i raggi 
<lb/>solari, quantunque tramontato sia il Sole, resta della sua luce 
<lb/>impressa per buono spatio della notte. Ma a questo si risponde, 
<lb/>che se il Ciel non e capace di spessazione, quei raggi
<lb/>non saranno rattentuti per vn minimo che di tempo, accciò che
<lb/>restar vi possa cotale impression lucida. Anzi dico più, che
<lb/>eziandio, che quella parte di Ciel fosse condensata, ad ogni
<lb/>modo non hauria facultà quel lume, e  splendor di rimaner
<lb/>nel corpo alieno, se non quanto è dal corpo luminoso ueduto. 
<lb/>Imperoche quel lume, che è in corporeo non può imprimeruisi 
<lb/>altramente. Onde ne anche l'esempio della nuuola è
<lb/>vero. Percioche, il lume del Sole spirituale essendo, non può
<lb/>mischianza di se medesimo far con quel vapore humido non sendo 
<lb/>il solar raggio diuisibile. Attesoche, se egli fosse tale, esso
<lb/>ancora, come le cose materiali consumabile sarebbe; la qual cosa
<lb/>è falsa per lunga proua. E se ben quella nuuola biancheggia,
<lb/>quantunque sia il Sol valicato, il nostro Hemisperio, ciò addiuien
<lb/>perche ella ancor vedata è da quello, per esser tanto più da terra 
<lb/>eleuata, che noi non siamo. 
<lb/>Considerazione XXIX. Se adunque il Cielo, come 
<lb/>si proua ai sopra è capeuole di condensazione, 
<lb/>cotal sentenza è vera. Imperoche à quello, che
<lb/>voi dite per aggiunta, cioè, che eziandio, che quella, ec.
<lb/>si risponde, che ciascheduna stella, per esser
<lb/>maggior della terra, vede di continuo ciascheduna
<pb n= "75 recto"/>  
<lb/>altra stella, quantunque oppostagli.
<lb/>Risposta. Il fatto sta che a voi è paruto di prouarlo, che il Cielo possa 
<lb/>riceuer, condensamento, ma vi siete ingannato, come dimostrato 
<lb/>v'habbiamo; e perciò non è vera cotal sentenza. Ben'è
<lb/>vero, che poteuate argomentare, e attentarui di prouare il vostro 
<lb/>intendimento, supposto il Ciel condensabile, ma prouato non
<lb/>gia. E chi lo dice, che tutte le stelle sian maggiori della terra ?
<lb/>Mercurio, Venere, la Luna son maggiori ? Ma che rileua maggiori, 
<lb/>ò minori? Bisogna rispondere a proposito, perche poco-
<lb/>importa, che le stelle veggan, sempre quella parte, se lo splendor 
<lb/>di esse non vi rimane impresso di maniera, che generi vina luce 
<lb/>simile a vna stella: la qual cosa, per le ragion dette, non può accadere. 
<lb/>Il raggio del Sol riman'egli stampato nell'aria, e impresso, 
<lb/>quando si parte il corpo solare, se ben per quella si diffonde?
<lb/>C. Onde molto ben poteua l'incrocechiamento de’
<lb/>raggi di più stelle cagionar nel corpo alieno,
<lb/>cioe nel luogo della nuoua stella di continuo da
<lb/>quelle stelle veduto, lo splendore, non di continuo
<lb/>(come voi direste) ma infino à tanto, che cotali 
<lb/>stelle furono in aspetto partile, ò platico al sito
<lb/>della nuoua stella.
<lb/>R. Donde riceueste voi priuilegio, che non si douesse intender la
<lb/>voce, [continuo] detta da me, sanamente, e detta da voi sì. Guardate
<lb/> a non por tanta osseruanza in quel che stimate error d'altrui,
<lb/>che non v'accorgiate, de' vostri. Vn musico entrò in tanta frenesia 
<lb/>di por mente a ogni romor, che vsciua di tuono, che, intendendo 
<lb/>vn dì, che la sua casa abbruciaua; e sentendo le diuerse voci 
<lb/>del popolo, che gridaua al fuoco, egli abbrucia; resto in cosi
<lb/>fatta maniera offeso da quella discordinza di voci, che, senza darsi 
<lb/>pensier veruno della sua casa, andaua con la maggior pena del
<lb/>mondo contemperando quelle dissonanze, perche facessero dolce 
<lb/>armonia. Io vi domando, la stabilità, di tali aspetti, che
<lb/>si vanno continuamente variando, quanto volete, che duri? Diauol, 
<lb/>che voi diciate due anni, che tanto durò la stella di nuouo apparita?
<lb/> O non haueste voi mai sentito ragionar d'aspetti di stelle?
<lb/>Adunque, se l'apparita stella doueua durar quanto la configurazion 
<lb/>di quelle, riguardanti in quella parte, non poteua mai
<lb/>per si lunga durata vedersi.
<pb n= "75 verso"/>  
<lb/>Discorso. Sentenza d'altri è stata, che la nouità dell'apparite stelle sia
<lb/>cagionata da vna certa disposizione aerea nella region suprema,
<lb/>per tutto vgualmente continua di maniera, che qualunque sua parte 
<lb/>rappresenti, per lo circuito di questo Emisperio à gli occhi de
<lb/>riguardanti cotali stelle da qualunque regione osseruate; ma, però, 
<lb/>hauuto rispetto a vna stella fauoreggiante quella apparizion
<lb/>sì, che ne più, ne meno stelle appaiano, ne altroue situate, che doue, 
<lb/>e quante sono le stelle a cui riguarda cotal disposizione. Onde 
<lb/>veramente, l'effetto sia, che niuna reale stella, ma apparente si
<lb/>vegga, come altresì veggiamo tanti colori nell'Iride, ò Arcobaleno, 
<lb/>benche veri colori, e reali non siano. Ma sia con pace, e
<lb/>sopportazion di cosi graui autori, questo parere al mio parere è
<lb/>molto infermo, e fieuole, e niente appaga l'intelletto. Impercioche 
<lb/>domanderò io, se la stella à cui riguarda tal disposizione è
<lb/>del nouero delle mille ventidue da i migliori osseruate, ò nò. Se
<lb/>vien risposto di sì; questo haurà apparenza di menzogna, conciosiache 
<lb/>niuno de’ conoscitori delle stelle affermi, che le di
<lb/>nuono apparite siano del numero mentouato, fattesi veder maggiori, 
<lb/>ma altre fuori di quelle. Se dicessero, che delle conosciute 
<lb/>non sono, ma di quelle, di cui non si fa menzione, che mediante
<lb/>la disposizion nominata visibili fatte, a gli occhi de’ riguardanti
<lb/>si rappresentano, e di quella magnitudine. Ricercherassi, per qual
<lb/>ragione habbian cosi piccole stelle particulari tanta possanza di
<lb/>illuminar sì grandemente quell'aerea disposizione, e non l'altre
<lb/>cotanto maggiori, che la spezie lor senza altro aiuto agli occhi 
<lb/>nostri cosi rilucente ne conducono? Onde, per tal cagione, chi
<lb/>negherà, che non vna per volta, ma quasi senza nouero, mediante
<lb/>quella disposizion, nuoue, e maggiori stelle si vedranno. E pure
<lb/>il contrario adiuenuto esser si mostra. Oltre acciò gli intelligenti 
<lb/>vogliono, che la medesima proporzione habbia l'agente all'operar 
<lb/>nel paziente, e che il paziente ha con l'agente a riceuer
<lb/>l'azion di quello. La doue ne seguirà, che non si potendo condur le
<lb/>spezie luminose di quelle cosi piccole stelle a questa disposizion
<lb/>riceuente, attenuate, e suanite essendo, mediante cosi lunga distanza, 
<lb/>l’illuminazione altramente non si faccia, per la mancanza
<lb/>di proporzion tra’ l corpo illuminante, e l'aere cosi disposta da illuminarsi.
<lb/>Segno assai manifesto è, che apparite non siano tali stelle per disposizione 
<lb/>aerea, il non si esser veduto eziandio ne’ pianeti queste
<lb/>mutazioni, come alcune fiate racconta Aristotile intorno a quegli 
<lb/>essere apparite certe corone, che da refrazion di raggi nell'aria
<lb/>sottoposta, quando è molto vaporosa, si cagionano, ma non
<pb n= "76 recto"/>  
<lb/>per ogni parte, e ragione si mostrano, ne per ciascun grandi
<lb/>nel modo medesimo si veggono, e piene di mille varianze, e alquanto 
<lb/>abbaccinate sembrano, e non lucide, e chiare, come le nuoue
<lb/>stelle sono apparite a gl'occhi nostri. Hora perche vna sola stella
<lb/>per ciascuna uolta è apparita senza hauer cangiato sito, ò fatto uarietà 
<lb/>d'aspetto, quindi è, che stelle ueramente reputar si debbono, 
<lb/>e che non sotto l'ottaua sfera, come la scintillazion di quelle 
<lb/>ne significa, eziandio, habbiano di lor fatto cosi graziosa mostra.
<lb/> L'esemplo dell'Iride a dirne il vero non proua. percioche
<lb/>non discendon co'raggi lor quelle minori stelle, come s'è detto, 
<lb/>in quest'aria, ma si bene e’ raggi del Sole, passando, e mescolandosi 
<lb/>tra mancante, e minutissima pioggia, quella apparenza
<lb/>di non reali color cagionano, mediante l'oscurità de’ nuuoli
<lb/>nell'aria, dinanzi alla quale si figura quell'Arco. Aggiungo di
<lb/>più, che non da ogni luogo, e positura si veggon quei colori,
<lb/>ma solamente donde hà deretano il Sol, chi l'Iride riguarda, e
<lb/>non dauanti a gli occhi. Ma queste fiammelle celesti di nuouo
<lb/>occorse a gli occhi de'mortali, per ogni regione a qualunque huomo, 
<lb/>da ogni varieta d'aspetto, di sito, di splendore, e di grandezza 
<lb/>sono state lontane per mesi, e anni interi.
<lb/>Altri, da altra parte, son, che per fuggir l'inconueneuolezza di
<lb/>far capace il Cielo di straniere qualità, e insieme, alle matematiche
<lb/>misure non volendo contrariare, hanno creduto l'vltima stella,
<lb/>ne diciotto gradi di Sagittario vedutasi non esser nuouamente generata,
<lb/>ma vna di quelle di non apparente grandezza, fattasi visibile,
<lb/>e della maggior magnitudine, per la vicinità di Gioue, e Marte,
<lb/>che di trino, e di sestile aspetto rimirandosi con le stelle di essa, imagine,
<lb/>reflettendo vno, ò vero amendue i mentouati pianeti co’
<lb/>raggi loro in quella piccola stella, habbiano cagionato cotale apparenza; 
<lb/>ma che, di vero, nuoua stella non sia. Questa considerazione 
<lb/>a prima fronte d'essere ingegnosa molto ha sembianza:
<lb/>ma per mio auuiso, appo coloro, che cercano aprir l'anatomie
<lb/>fin dentro le medolle, credo, che molte magagne, sotto questa
<lb/>bella apparenza si ritroueranno. 
<lb/>Considerazione XXX. Questo luogo hà due 
<lb/>dichiarazioni: ò che, quando appari la nuoua
<lb/>stella, Gioue, e Marte si rimirassero, e di trino, 
<lb/>e di sestile, ò che Gioue in quel tempo fosse
<lb/>in trino, e Marte in sestile con qualche stella
<pb n= "76 verso"/>  
<lb/>del Sagittario. In qual si voglia di amendue
<lb/>trouerrai manifestissimi inconuenienti. Imperoche, 
<lb/>essendo cosa certa, che Gioue, e Marte
<lb/>molto auanti la nascita di cotale stella, che fù,
<lb/>secondo la comune, nella congiunzione di quei
<lb/>pianeti, si ritrouauan nel Sagittario, come sarà 
<lb/>egli possibile, che eglino, nello stesso segno ritrouandosi, 
<lb/>facessero aspetto (se per aspetto impropriamente non 
<lb/>intendentissimo ancora la
<lb/>congiunzione ) con alcuna stella di quella imagine? 
<lb/>E medesimamente doue si trouò e’ giammai, 
<lb/>che due stelle nello stesso tempo, nello stesso 
<lb/>segno si rimirassero di trino, e di sestile, poiche, 
<lb/>per ritrouarsi in qualunque di quegli 
<lb/>aspetti , ò sessanta, ò cento venti parti almeno, l'vna 
<lb/>dee esser lontana dall'altra? Onde mi marauiglio, 
<lb/>che que’ tali, per leuar di Cielo vna
<lb/>inconueneuolezza, cercassero metteruene tante
<lb/>altre à dispetto di Madonna Astrologia.
<lb/>Risposta. Finalmente la vostra intenzion, con tanto fracasso di diuisioni, 
<lb/>e dichiarazion d'aspetti propri, e impropri, come, se non
<lb/>gli sapessimo al par di voi, doue arriua ?
<lb/>C Ma più mi scandalezo di certi, che per non 
<lb/>mostrarsi litigiosi (penso io) non solo acconsentono, 
<lb/>quando più aueuano à schiamazare, à
<lb/>queste assurdità, ma di vantaggio danno loro
<lb/>ancora di considerazioni ingegnose.
<lb/>R. Ecco doue tendeua il Mauri, col suo scandalezamento à voler,
<pb n= "77 recto"/>  
<lb/>in somma, ch'io facessi vn gran romore in capo all'autor di questa 
<lb/>opinione; e, perche non l'hò fatto, n'ha voluto lacerar mè, e
<lb/>lui ancora. Non vedete, che egli intese, non degli aspetti propri 
<lb/>de’ pianeti fra di loro; ma che rimirandosi con quelle stelle 
<lb/>del Sagittario Gioue, e Marte, nel far la congiunzione, prima 
<lb/>di sestile, e poscia di trino aspetto, impropriamente si risguardassero 
<lb/>con esse ? Ilche non fù da lui detto (cred'io) se
<lb/>non per mostrare, in che modo elle fossero insieme situate:
<lb/>ma non già, che egli intendesse parlar di ueri aspetti planetali,
<lb/>che a gli influssi, e non all'illuminazion solamente, hanno riguardo. 
<lb/>Hora, per non disputar io questo, che niente importaua, 
<lb/>hauendo modo più facile, e più noto anche a’ vulgari, per dimostrare 
<lb/>il mio intendimento; perche non poteua lodarlo di ingegno 
<lb/>senza adulazione, e ad ogni modo mostrare il suo inganno 
<lb/>consistere in altro, come dauanti alle considerazion 31.e 32.
<lb/>e 33. discorrendo si mostra? Guardate, che il pigliar ombra, fin
<lb/>delle cose, che non doureste, non vi faccia simile al Ceruo; ilqual,
<lb/>per la sua stupidezza,vggiando, e trattenendosi in ogni fronda,
<lb/>che si muoue, rimane alla fin dal cacciator' vcciso, pernon guardare 
<lb/>a quel, che più gli importa.
<lb/>C. Il perche vò forte dubitando, non auendo visto
<lb/>ancora altroue cotale storpiata opinione dell'autor
<lb/>di quella, ò vero di qualche strauolgimento di testo.
<lb/>R. Marauiglia è, che n'habbiate veduta niuna altra, non che questa,
<lb/>essendo voi nuouo nell'Astrologia, come affermate con parole, 
<lb/>e con fatti ancora. E habbiate per fermo, che il testo non
<lb/>è stroppiato, per non dire storpiato, come direste voi, se non
<lb/>quanto il giudicate tale, come vsato a non ui guardar da simili cosette: 
<lb/>anzi ne siete sollecito maestro, come altresi vergogna non
<lb/>sentireste di finger l'autore. 
<lb/>Discorso. Conciosiacosache, per non mettere in quistione, se quella
<lb/>piccola stella fosse con Gioue, e Marte, e con l'altre stelle del Sagittario, 
<lb/>nelle positure sopranominate.
<lb/>Considerazione XXXI. Veramente fate bene 
<lb/>à non mettere in lite cotali positure. Perche, se
<lb/>il quadripartito, e le efemeridi sono state già condannate 
<lb/>à crudel morte, chi ne sarebbe giudice
<lb/>competente?
<pb n= "77 verso"/>  
<lb/>Risposta.Voi; che già l'hauete con sì braue difese scampate, conseruandole 
<lb/>appo gli altri simili strumenti, potrete, quando che sia,
<lb/>metterle in vso per tale esperienza, accioche poscia ne mettiate in
<lb/>luce vna leggenda, che habbia il medesimo applauso di questa, che
<lb/>hauete scrittomi contro; alquale è uiuuta quanto il pesce Effimero, 
<lb/>men d'vn giorno, e morta, ha fatto come l'anguille, che
<lb/>mai più non si riueggono a galla nell'acqua riformare.
<lb/>Discorso. Chi vide mai, che lume veruno in altro lume reflettesse?
<lb/>Egli fa mestiere, accioche il raggio si refletta, che il corpo, in cui
<lb/>si debbe far l'illuminazione, sia non solamente denso, ma tenebroso 
<lb/>eziandio, come adiuenir si vede al corpo lunare, che, per essere
<lb/>oscuro, i raggi del Sol percotendo in quello chiaro, e lucente 
<lb/>il fanno. E che due lumi non faccian reflessioni fra di loro,
<lb/>la comun sentenza il conferma. [Adiueniente lumine maiori cessat 
<lb/>minus.] Anzi è da’ Auuerti, che, se il primo lume è maggiore,
<lb/>il soprauegnente non gli da, ne toglie. Se ambedue sono
<lb/>eguali, la lor presenza lustra maggiormente l'aria, e'l luogo doue 
<lb/>sono; ma non perciò appaiosi più lucenti i corpi loro. Se 
<lb/>alquanto maggior del primo è il secondo lume, il primo, vn certo
<lb/>che abbagliato rimane. Ma, se molto maggiore è il corpo luminoso, 
<lb/>che sopragiunge, il lume primo s’occulta, come appunto
<lb/>le stelle fanno alla prima presenza del nascente Sole. 
<lb/>Considerazione XXXII. Piano non vi riscaldate. 
<lb/>E'c'e chi giornalmente lo vede.
<lb/>Risposta: Anzi compatitemi; perche in questo particulare, poiche
<lb/>siete si tardo a capir cotal verita, se la mia non paresse ghittanzia, 
<lb/>direr come Cicerone: Nam quoquisque est sosertior,
<lb/>&amp; ingeniosior, hoc docet iracundius, &amp; laboriosius: 
<lb/>quo l'enim ipse celeriter arripuit, id
<lb/>cum tarde percipi videt, discrutiatur.
<lb/>C. E per dichiaranzion di questo, douete sapere,
<lb/>che le stelle son composte della materia del corpo
<lb/>del Cielo, doue elle si ritrouano, e, che per essere
<lb/>il Cielo di sua natura splendido, elle altresì sono
<lb/>splendide. Ne mi contraddico per questo
<pb n= "78 recto"/>  
<lb/>auendo detto nella considerazione undecima, che
<lb/>le stelle riceuono il lume dal Sole.
<lb/>R. Mai si, voi ui contrariate, percioche, hauendo con Cecco affermato, 
<lb/>alla Considerazion quinta, esser nel Ciel contrarieta di
<lb/>luce, e di tenebre, fù necessario, che la Luna non fosse tenuta da
<lb/>uoi hauer proprio lume, perche altramente non poteua argomentarsi 
<lb/>di contrarieta, se la oscurità fosse stata secondo voi, respettiuamente 
<lb/>nel corpo lunare; attesoche contrarie son quelle cose,
<lb/>che [maximè distant] dice il filosofo. -
<lb/>C. Imperoche, quantunque da per lor sien luminose, 
<lb/>con tuttociò il compimento, e perfezione 
<lb/>dello splendore è dato loro dal Sole, ilche si vede manifestamente auuenir nella Luna, lagual,
<lb/>come dice Rainoldo, se ella non auesse vn certo
<lb/>lumeproprio, e particulare, manifesto è, che ne'
<lb/>totali eclissi, quando ella del tutto perde di vista
<lb/>il Sole, non si scorgerebbe il suo cerchio di quel
<lb/>colore cosi tetro, e alcuna volta spauenteuole. 
<lb/>R. Se haueste contrappesato ben le mie parole, e osseruata la distinzion 
<lb/>de' lumi, e che è necessario, che il corpo in cui si reflette 
<lb/>qualche lume, sia denso, liscio, e non luminoso, che perciò diedi 
<lb/>l'esemplo della Luna, non hauerete perduto tante parole senza 
<lb/>profitto veruno. Non si nega, che non possa vn corpo luminoso, 
<lb/>ma di poco lume, reflettere i raggi d'altro corpo molto
<lb/>lucente; perche allora il corpo, che fa la reflessione è rimaso tenebroso 
<lb/>di lume proprio, e solamente è lucido in potenza; conciosiache 
<lb/>lo splendor, che rende è del raggio del corpo alieno,
<lb/>e non suo. Esemplo chiaro ne fanno le lucciole, e alcuni bruchi, 
<lb/>i quali di notte risplendono, e di giorno son tenebrosi, e
<lb/>colorati appaion, per la presenza del maggior lume. Cosi auuiene 
<lb/>alla Luna, che in comparazion del Sole è tenebrosa, tanto è debole 
<lb/>il suo proprio splendore. Onde il Cardano dice,
<lb/>Luna lumen proprium habet simile flammæ, &amp;
<lb/>hoc patet in deliquis maximis, quia rubet. 
<pb n= "78 verso"/>  
<lb/>E in quella parte non solo è tenebrosa, ma densa, e liscia , accioche 
<lb/>niuna condizion le manchi, per far cotal reflessione. Hora,
<lb/>perche le stelle, massimamente le fisse, hanno proprio lume, come
<lb/>altresì lo stesso Cardano, e altri affermano; e hanno lume eguale
<lb/>fra di loro, o poco differente, secondo la proporzion della grandezza, 
<lb/>e distanza loro, non possono altramente reflettere l'vna
<lb/>dell'altra il lume; conciosiache le condizion di sopra dette non
<lb/>habbiano, acciò far necessarie; e nulla cosa può da altra riceuer
<lb/>qualità veruna, di cui prima ella spogliata non sia. Se voi adunque 
<lb/>Signor Mauri faceuate capital de miei occhiali, che mostran
<lb/>vero, non haureste detto, che ci sia chi giornalmente vegga vn lume
<lb/>con altro lume cagionar la in fra di loro. Io mi
<lb/>penso adesso, che voi dobbiate esser raffreddato assai più, che non
<lb/>credeuate mè dianzi esser riscaldato, e che vi sian cadute affatto
<lb/>le mazze, perche, se volete dire il vero, vi pensauate hauermi stretto 
<lb/>fra l'vscio, el muro.
<lb/>C. Ora, se le stelle son per se stesse qualche poco luminose, 
<lb/>e reflettendoui il lume del Sole, cioè arriuando 
<lb/>i suoi raggi a quelle più splendide, e
<lb/>luminose si fanno, meritamente si concluda,
<lb/>contro il parer vostro, e che lume in altro lume
<lb/>reflettae, che il corpo, in cui si dee far la illuminazione, 
<lb/>non è necessario, che sia al tutto tenebroso. 
<lb/>R. Ola voi allargate troppo la bocca: da mè non trouate voi detto, 
<lb/>che deua esser al tutto tenebroso.
<lb/>C. Seruendomi senz'altra proua à confermar la
<lb/>verità di queste conclusioni, la vostra stessa confermazion 
<lb/>del corpo lunare.
<lb/>R. E vero, che la Luna, ciò che voi dite proua, ma non fa per la
<lb/>vostra intenzione. atteso che ella dimostra, che io intesi i corpi
<lb/>oscuri in comparazione, ancora poter cagionare il medesimo effetto 
<lb/>di reflessione, come i totalmente oscuri.
<lb/>- Discorso. Oltre acciò, se, per causa di reflessione, apparita fosse cosi 
<lb/>grande quella celeste lampada; quale stella gia mai potrebbe 
<lb/>adoperar tale effetto meglio, che il Sole? E cosi reflettendo sempre
<pb n= "79 recto"/>  
<lb/>in quella, perche sempre la uede, nuoua non apparirebbe.
<lb/>Onde possiamo dir, che altra sia la cagion di quella nouità; e che
<lb/>Gioue, e Marte niente più habbiano, che far seco, che qual si
<lb/>voglia altra stella. Potrebbesi dire ancora, che per lo rapido mouimento 
<lb/>celeste, mutandosi continuamente gli aspetti, haurebbe 
<lb/>durato cotal mostruosita di quella apparenza piccol momento: 
<lb/>e nulladimeno altramente è andata la bisogna. Anziche,
<lb/>quando volessero pur, che per queste congiunzion di stelle nascessero 
<lb/>cotali accidenti, farebbe di mestiere ancora, che molto souente, 
<lb/>per lo Ciel nuoue stelle si vedessero, posciache di quelle 
<lb/>positure, e aspetti di pianeti, in quei superni giri, ad ogn'ora
<lb/>si veggono.
<lb/>-Finalmente, sentenza d’vn'intero collegio è, che tali stelle, non per
<lb/>fisica generazion, siano comparite di nuouo in quelle incorruttibili 
<lb/>sfere, ma dall'Autor della Natura miracolosamente create: 
<lb/>ne perciò la sapienza humana, à cosi fatto refugio correndo,
<lb/>ripigliata esser ne debbe, dicono essi. impercioche, auuengache
<lb/>la cagion di alcuni prodigi sia nascosta, molti portentosi effetti,
<lb/>Iddio volente, accaddono lassù nel mondo celeste, di cui non 
<lb/>intende il fine la nostra capacita. Esemplo ne sia la stazion del
<lb/>Sole in fauor di Iosuè: la retrogradazion del medesimo in segno
<lb/>al Rè Ezechia: e dello stesso Sole, alla morte del Redentor del
<lb/>Mondo, l'eclisse, quando la Luna nel punto opposto del Cielo,
<lb/>diametralmente riguardandolo, il fece immediatamente eclissare. 
<lb/>Ma perche egli è comun parer de' Sacri Teologi, che, quando 
<lb/>mostruosi accidenti occorrono, di cui si può la cagione alle
<lb/>naturali forze attribuire, miracoli altramente appellar non si debbano; 
<lb/>impercioche affermano, i miracoli, senza necessità, non
<lb/>douersi multiplicare: quindi è, che fino a tanto, che la strada 
<lb/>al filosofar non è impedita, a mè gioua ricercar più auanti cibo,
<lb/>che appaghi l'intelletto, per non rimanere assai più, che prima
<lb/>digiuno. Ne tralascio ancora, che i medesimi Teologi vogliono, 
<lb/>quando Iddio fà qualche miracolo, che, se egli si può far
<lb/>quanto al modo, nol faccia quanto alla sostanza, come in pronto 
<lb/>lo ci dimostrano gli esempi, che teste mentouati habbiamo.
<lb/>Conciosiache sempre fosse il medesimo Sole, ma diuerso, e sopranaturale 
<lb/>il modo dell'operazion di quello. Ne eziandio argomenta 
<lb/>in contrario la stella a i Regi orientali apparita: imperoche, 
<lb/>se ben lasciar si dee questa materia a’ Teologi, egli e pur vero, 
<lb/>che antichi, e moderni santi, e dottissimi scrittori hanno tenuto, 
<lb/>che vera stella non fosse; ma, che vn'Angelo sia stato veramente,
<lb/>sotto sembanza di stella, posciache, innanzi, ne dopo
<pb n= "79 verso"/>  
<lb/>l'effetto, veduta non fu mai. Non era nel Cielo, perche altramente 
<lb/>non haurebbe potuto mostrar la strada, che dall'Oriente
<lb/>all'Occidente andaua contro il corso diuerso delle stelle. E non
<lb/>solamente di notte, ma di giorno, eziandio splendeua: non riceuena, 
<lb/>come l'altre stelle il suo lume dal Sole, poiche tal ora si
<lb/>ascondeua, e quindi a uopo riappariua: si fermò sopra l'albergo
<lb/>finalmente del diuin Fanciullo. Circostanze tutte degne di crederle 
<lb/>più tosto in persona d'vn Angelo, che in altra maniera. E
<lb/>perciò non fù uera stella, ne miracolo, circa la sostanza. Onde
<lb/>non si dee creder, le nuoue stelle eziandio, esser di nuouo state 
<lb/>create miracolosamente.
<lb/>Siami lecito per tanto fra questi pellegrini ingegni, eccellenti, e
<lb/>letterati osare interporre il mio parer dintorno à cosa non men
<lb/>cara di sapersi, che difficile a inuestigarsi, come è il ricercar, che
<lb/>sostanza sia quella, che rassembra vna stella, e in qual modo sia
<lb/>fra gli vltimi lumi del Cielo a gli occhi nostri cosi risplendente,
<lb/>e grande fattasi vedere,
<lb/>Dio adunque, la stella vedutasi l'Ottobre 1604. ne' 18 gradi del Sagittario, 
<lb/>si come quella, che nella Cassiopea si vide l'anno 1572.
<lb/>e se l'altre di questa guisa nel Cielo apparite ne sono, qual fù
<lb/>quella, che osseruò Hiparco ne'tempi suoi, niuna altra cosa esser,
<lb/>che vna vera stella di quelle; che furono da principio nel Cielo,
<lb/>non di nuouo creata, non generata, non apparente per reflession
<lb/>d'altre stelle, non per disposizione aerea, non per incontro di più
<lb/>raggi di stelle impressi nel Cielo, non per condensamento d'alcuna 
<lb/>parte celeste, e fatta luminosa.
<lb/>Ma prima, che più innanzi passiamo auuertir si debbe, che dubbiezza
<lb/>non ci ha veruna il Cielo esser di maggior perfezion, dice Aristotile, 
<lb/>in quella parte in cui le stelle rileggono, si come lo stesso
<lb/>splendor di quelle ne dimostra: e che altesì, come i Filosofanti 
<lb/>vogliono, quanto vu Cielo all'altro è di luogo supremo,
<lb/>tanto sia la sostanzà dell'inferiore auanzata di eccellenza dalla 
<lb/>sostanza dell'altro. Esemplo ne sia l'ottauo Cielo, che mediante, 
<lb/>la moltitudine di tante stelle, che son la più nobil parte
<lb/>di quel corpo, manifestamente lo ci fa conoscere, L'ordine de'
<lb/>corpi elementari ancora indizio apporta, che le cose più eccellenti, 
<lb/>e più pure in parte più sublime ricouerano; poscia che la terra
<lb/>dall'acqua; l'acqua dall'aria, l'aria dal fuoco auanzata è di perfezione, 
<lb/>si come di altezza di luogo. Quindi la Luna, Mercurio,
<lb/>Venere, il Sole, Marte, Gioue, Saturno, lo stellato Cielo, il
<lb/>Cristallino, e'l Primo mobile sopra cui l'Empireo, e vltimo
<lb/>signoreggia, gradatamente inferiori l'uno all'altro di luogo, e
<pb n= "80 recto"/>  
<lb/>dì nobiltà di sostanza riseggono, accioche proporzion tra’ luogo,
<lb/> e'l locato si serbi. Differenza di perfezione ancora, tra l’ vno
<lb/>orbe celeste, e l'altro argomenta, il farsi da i Teologi, e i filosofi
<lb/>distinzione specifica tra gli Angeli, o sostanze separate secondo
<lb/>la dignita de'Cieli, a cui per motor quegli Angeli assistono, acciòche 
<lb/>sia vgualità fra’ l mobile, e'l mouente suo. Onde si come al
<lb/>superior corpo celeste di più eccellenza è l'Angelo, che v'impera,
<lb/>che non è quegli, che l'infima sfera gouerna; cosi di spezie più
<lb/>sublime dee esser quel Cielo, che questo non è. E se apparisse
<lb/>l'ordine forse variato ne'Cieli, conciociache il comun consenso de'
<lb/>sacri, e profani scrittori voglia, il Christallino senza stelle ritrouarsi, 
<lb/>e che tutto diafano, e trasparente a somiglianza d'acqua,
<lb/>o di christallo sia, nulladimeno egli è veramente ordine bellissimo 
<lb/>di prouidenza sopranaturale.
<lb/>Considerazione XXXIII. Tolommeo, quantunque 
<lb/>per la vostra seuera sentenza, abbia 
<lb/>gia la tauoluccia dauanti à gl'occhi, quì si risente, 
<lb/>e da generoso, come egli è, fa una braua
<lb/>negazione. Conciosiasche, essendo la congiunzione 
<lb/>molto più efficace, e potente ne’ suoi
<lb/>effetti, che'l sestile non e, il Sole, che risguardaua 
<lb/>il luogo dell'apparizione di sestile; possedeua
<lb/>assai più debole, e sneruato dominio di Gioue, e
<lb/>Marte, i quali amendue congiunti à quel luogo, 
<lb/>per altre diuerse cagioni, di esso si eran fatti 
<lb/>assoluti padroni: Onde Gioue, quando ancor
<lb/>fosse stato solo per esser in casa sua, nel suo trigono, 
<lb/>in congiunzion cotanto robusta, e forte, assai 
<lb/>meglio, che’ l Sole poteua, e doueua adoperar 
<lb/>cotale effetto. 
<lb/>Riposte. La congiunzion, che poco fà spregiauate cotanto, hora è da
<lb/>uoi cosi esaltata, che più efficace, e piu robsta affermate esser, che
<lb/>il trino, e'l sestile aspetto non sono. La congiunzione, el’oposizione,
<pb n= "80 verso"/>  
<lb/>benche in propri aspetti, ad ogni modo sono aspetti: poiche
<lb/>secondo gli astrologi son di pessima inchinazione. ll primo
<lb/>è quando vn pianeta raggia sopra l'altro del medesimo segno, da
<lb/>quindici gradi: ed è massimamente doloroso, afferma Azael, allor,
<lb/>che due pianeti, nel segno della medesima complession, si
<lb/>congiungono, perche significan confederazion di scelerati huomini, 
<lb/>che vadan qualche mal fatto trattando. Il secondo aspetto 
<lb/>è, quando due pianeti di contrarie qualità sono in segni
<lb/>opposti ancora; perche cagionan peggiore influenza, che non
<lb/>farebbono; come quando Venere è in Ariete, e Saturno in Libra, 
<lb/>che nimistà pertinaci, e implacabili influiscono. Sappiate, 
<lb/>che, se Tolommeo và à giustizia, e l'Astrologia ancora,
<lb/>io non fò in questa occasione altro officio, che quel del confortatore, 
<lb/>che è atto di misericordia, esortandoli à morir con la
<lb/>buona religione, ma quegli Astrologi, che gli fanno negare il
<lb/>libero arbitrio, gli conducono a morire, e morire eretici, che è
<lb/>peggio. Anzi, io grido campa, campa, e gli difendo dalle 
<lb/>calunnie delle male pratiche, che alle forche gli hanno condotti, 
<lb/>per impacciarsi di latrocini, adulteri, di scoprir malignamente 
<lb/>i segreti, e il cuore altrui, per arte del fistolo. Non crediate,
<lb/>ò non uogliate far credere ad altri, che nel Ciel sia stella, ò aspetto 
<lb/>ueruno, che superi di virtù inveruna maniera, il Sole, ne da sè,
<lb/>ne per accidente, parlando dell'illuminazione, secondo il proposito 
<lb/>nostro. E senza, che n'adduciamo altre prouanze, basterà
<lb/>dire, che è comun consenso di tutti gli Astrologi, per non men
<lb/>touare i Filosofi, Teologi, e la Sacra scrittura, eziandio; che vogliono
<lb/>il Sole esser locato nel mezo del Cielo, accioche illumini
<lb/>il Mondo; ma non già l'altre stelle. Anziè cotanto risplendente, 
<lb/>che il suo reflesso nel corpo lunare è cagion, che la Luna 
<lb/>è detta luminar magno, e costituita, per illustrar le tenebre della 
<lb/>notte. Che più ? Oltre, che egli è maggior dell'altre stelle;
<lb/>uoi medesimo affermate, secondo il comun grido, ogni altra
<lb/>stella riceuer la perfezion della luce da’ raggi del Sole, che solo
<lb/>egli da altro lume il suo lume non va mendicando. Ma quando 
<lb/>pur voleste, che possenti fossero state cotali stelle a produr
<lb/>col lume loro, nella lontauanza di quattro Cieli, il grande splendore 
<lb/>apparito, chi negherà non potersi tale ancor produr dal
<lb/>raggio solare, tanto più efficace, che i raggi di quelle non sono?
<lb/>Nulladimeno, perche egli non produce tali effetti, come l’esperienza 
<lb/>ne dimostra; bisogna dire adunque, che ne anche le stelle
<lb/>cagonar li possano.
<pb n= "81 recto"/>  
<lb/>C. E veramente à ragione par, che egli così arditamente 
<lb/>si risenta, poiche voi (dispregiate,
<lb/>senza dirne il perche, l'osseruanzioni da eccellentissimi 
<lb/>ingegni, in tanti secoli, i raunate, insieme 
<lb/>con le sue demostratiue ragioni, perche
<lb/>tra le reflessioni, ò voglian dire aspetti, sieno
<lb/>da gli Astrologi annouerati solo il trino il quadrato, 
<lb/>e’l sestile) volete di più, che il Sole
<lb/>di continuo si dica reflettere, e riguardare,
<lb/>vna stella, perche egli di continuo la vede.
<lb/>R. Questo insipido risentimento in modo alcun non fa, ne farebbe
<lb/>Tolomeo, si come ne anche il farebbe niun famoso astrologo:
<lb/>non send'io entrato ne loro aspetti propri, ne impropri, se ben
<lb/>vi siete fitto questo pensier nella testa, di maniera, che non lo
<lb/>schioderebbon le tanaglie di Vulcano. Ma perche voi cercate
<lb/>honorarui di falsa lode, con voler, che gli autori habbian detto
<lb/>quel che non è, e Tolomeo, ne faccia testimonio, egli ve ne farà
<lb/>l'honor, che meritate. Demetrio, per alcune bisogne, mandò ambasciadori 
<lb/>a Lisimaco Rè, il qual riceuutigli, dopo diuersi ragionamenti, 
<lb/>mostrò loro vn Leone, cui egli haueua di fresco, in caccia
<lb/>con molta sua gloria strappato la lingua; e ne faceuano indubitata 
<lb/>fede le nude braccia, che fè veder loro ancor tutte graffiate dalle 
<lb/>branche del feroce Leone. Ma vn di essi, per ischerno del
<lb/>Rè loro, disse; anche il nostro Demetrio l'altr’ieri, hauendo combattuto 
<lb/>con la fiera Lerna, ci mostrò , che egli n'hauea tutto il
<lb/>collo graffiato, e morso. E questo palesò l'ambasciatore, per beffar 
<lb/>la vergognosa ambizion di Demetrio, che si vantaua d'hauer
<lb/>fatto alle pugna con vna vil meretrice, appellata Lerna. Perche
<lb/>io habbia detto, che il Sol sempre reflette i suoi raggi nelle stelle,
<lb/>perche di continuo le vede, non sò conoscer donde vogliate inferir, 
<lb/>ch'io parli degli aspetti intesi da gli Astrologi, e da cui traggono 
<lb/>i giudici loro, per causa dell'influenze, se io tratto di illminazione, 
<lb/>e non d'influssi. Reflessione è nome generico, che
<lb/>comprende ogni rincontro, fatto per ripercotimento, di qualche
<lb/>cosa in vn'altra, in qual si uoglia positura; e perciò, parlando io
<lb/>del Sol, che reflette i suoi raggi nelle stelle di continuo; chi intenderà, 
<lb/>ch'io ragioni d'aspetti astrologici? Anzi, che è modo 
<pb n= "81 verso"/>  
<lb/>improprio di parlare, appellar gli aspetti, reflessioni, e solamente
<lb/>dee vsarsi, quando non si può intender in altra maniera. Hauete 
<lb/>ancora inteso? Quale astrologo dice in contrario ? Auuela barbata 
<lb/>Tolomeo? 
<lb/>C. Ragione per non diruelo dietro alle spalle, 
<lb/>senza fondamento veruno, e ridicolosa. Ma
<lb/>lasciamo ormai questi ragiouamenti come 
<lb/>chiari, e smaltiti, e vegniamo à quello, che più
<lb/>importa. 
<lb/>R. Oime, quand'io sentiua, che faceuate cotanto rombazzo, io dissi,
<lb/>buona nuoua: costui ha le man piene; perche al gran fracasso, che
<lb/>egli fa, bisogna, che picchi col piede: ma di uero, io son rimato
<lb/>ingannato, perche il romor significa, che non le mani, ma il capo 
<lb/>è pien d'ira, e di cruccio a sproposito. Ma che, io dico male: attesoche, 
<lb/>se per voi ogni mia proposta è ridicolosa, ridicolosa ancor 
<lb/>debbe esser la risposta, per farla secondo il proposito, che per
<lb/>ciò reputate chiari, e smaltiti, in fauor vostro, questi argomenti,
<lb/>che tutto il rouescio conchiudono. 
<lb/>C. Vi dico adunque da parte sua, che, se voi
<lb/>sarete contento liberarlo dalla condennazione
<lb/>impostali, non senza malleuadori, poiche di que
<lb/>gli uno pretendo esser io. 
<lb/>R. Ti sò dir, ch'io sarei bene assicurato da vn'homo in maschera, che
<lb/>è lo stesso, che va malleuador di paglia. O quì si, che il puntello 
<lb/>sarebbe più debol, che la traue. I mercatanti se voglion, che
<lb/>alle lettere lor si creda, le danno fuor molto ben col proprio
<lb/>nome , e autentiche, e non le si tengono in tassa, come fate voi.
<lb/>C. Si proferisce, ogni volta, che saprete far vedere 
<lb/>a lui vna medesima positura di pianeti
<lb/>di quella, che si ritrouaua ne’ superni giri in
<lb/>quel tempo della congiunzione di Gioue, e 
<lb/>Marte, far vedere a voi, per ricompens’apparir, 
<lb/>si come apparì allora vn'altra nuoua stella.
<pb n= "82 recto"/>  
<lb/>R. Tolommeo, perche non era di quegli Astrologucci, che attribuiscono 
<lb/>alle stelle i miracoli, non prometterebbe questo, ma ne lascerebbe 
<lb/>volentier la cura a voi, che vene vantate; e lo potreste
<lb/>comodamente fare, mostrando prima tali positure per mè con
<lb/>gli strumenti, che per ancor conseruate nuou di pezza senz'esser 
<lb/>adoperati, o fracassati come i miei.
<lb/>C. La qual positura ne’ Cieli, ad ogni ora affermando 
<lb/>voi di vedere.
<lb/>R. Cosi è, ma non quella, che intendente voi.
<lb/>C. Tengo di certo, che senza altre preghiere,
<lb/>con l'esser’ auaro della cortesia vostra, à quel
<lb/>buon vecchione, in modo veruno siate per voler 
<lb/>restar priuo di così belle vedute, e della vista, 
<lb/>come le chiamate voi di cotanto miracolose 
<lb/>mostruosità.
<lb/>R. Io ui sò ben dir, che quando cotali positure ui si facessero uedere, 
<lb/>per esser gia morto il principale, e il malleuadore incognito,
<lb/>e per le buche, la promessa sen'andrebbe in fummo, non si ritrouando 
<lb/>chi la mantenesse. Perche, à dirne il vero, se da quella 
<lb/>positura fosse nato simile accidente, come affermate voi, qual'è
<lb/>quell'Astrologo, che senza niuna ammirazione, la cagion di tale 
<lb/>effetto non hauesse antiueduta? E nulladimeno, dopo molti
<lb/>pareri, ancor è appò loro in dubbio la verità di essa produzione.
<lb/>Egli ci mancaua questo di più, che voi mi faceste l'Aristofane
<lb/>addosso, e il censor di lingua, voi, che non ne sapete straccio:
<lb/>e poi hauerete per male, s'io vi farò dell'Aristarco. Qual difetto 
<lb/>conoscete voi, nell'hauer io detto, miracolose mostruosita?
<lb/>Non è comunissimo, e proprio della fiorentina fauella le cose 
<lb/>maraugliose, miracolose ancor chiamarle ? Il Boccacio non
<lb/>disse, della peste parlando [orribilmente cominciò i suoi dolorosi 
<lb/>effetti, e in miracolosa maniera a dimostrare ?] Ma voi, posciache 
<lb/>destato hauete il can, che dormiua; per la viziosa figura,
<lb/>detta eclisse dalla mancanza del verbo principale, quanti periodi 
<lb/>senza costruzione, duri di intelligenza, per causa del solecismo, 
<lb/>cioè della viziosa composizione, e testura delle parole
<lb/>hauete fatti? Quanti barbarismi, per la corruzion de vocaboli,
<lb/>per tutta quanta l'opera, come che solo alcuni pochi auuertiti
<lb/>n'habbia, per non fare il pedante ? Quante voci di suon pessimo,
<pb n= "82 verso"/>  
<lb/>improprie, di senso diuerso, e mille discordanze vulgari,
<lb/>ch'io taccio, per non far di questa materia il mio ragionamento ? 
<lb/>Hauete detto in fin, Le, La, Loro relatiui, nel primo caso.
<lb/>Quegli nell'obliquo, nel numero dell'vno. Quello, nel caso retto
<lb/>del maschio. Gli, nel datiuo dalla femina. Nascano, Corrompano, 
<lb/>nel presente del demostratiuo. Per i, in luogo di per li. Quali, 
<lb/>in cambio di i quali. Oppenione, Gettati, Storpiati, Quercie,
<lb/>Vegniamo; per Opinione, Gittati, Stroppiati, Querce, Vegnamo.
<lb/>Auuengache, in significato di Conciosiache, e delle voci equiuaualenti, 
<lb/>per tutta l'opera. Ne meno, Ne manco, in significanza
<lb/>di Neanche. Visto,Vista,Viste, per Veduto,Veduta, e Vedute, verbo. 
<lb/>Conuexo, Conuexa, sempre con l'X. Assurdo, Assioma, e
<lb/>altre molte voci della schiera pedantesca da uoi vsate, in sì poca
<lb/>leggenduzza, che fatta hauete. E questo basti, perche veggiate,
<lb/>che qual'asin dà in parete, tal riceue. Sig. Mauri, io hò fatta vn'obiezione
<lb/>intera à vn parer dintorno alla stella, che non l'hauete 
<lb/>rifrustrata: che non la vedeste, ò pur non haueuate oncini da
<lb/>pescar sì al fondo ? 
<lb/>Discorso. Imperoche, influendo quel cielo humidità, e frigidezza 
<lb/>grandissima, fù con proueduto artificio locato, in mezo all'ottauo, 
<lb/>e'l decimo orbe, accioche i lumi dell'vno, e dell'altro,
<lb/>la virtù eccessiua di quello, rintuzzassero, e insieme insieme le vehementi 
<lb/>influenze loro, mediante l'attiuità del medesimo, si correggessero, 
<lb/>per mantenimento dell'ordine di tutto l'vniuerso,
<lb/>che l'vtile prima, e poscia l'ornamento riguarda. Chiara testimonianza 
<lb/>ne fà il Sole, che, auuengache l'ordine dell'ornamento,
<lb/>e bellezza appaia mutato, più bello, e piu lucente dimorandosi,
<lb/>che Marte non è, egli nondimeno, in tutte l'altre cose alla sua
<lb/>operazion soggette, l'ordine del buono, e  del bello produce,
<lb/>mentre che egli illumina, riscalda, genera, nutrisce, purga, ristora,
<lb/>rauuiua, e conserua.
<lb/>Considerazione XXXIIII. L'Autore già si è lasciato 
<lb/>suolger da quei cotali, che di sopra hanno
<lb/>prouato per tante vie la corruttibilita de’ Cieli;
<lb/>poiche anch'egli quì da materia amplissima d’argomentare 
<lb/>in fauor di quella loro opinione in
<lb/>questa maniera.
<lb/>Risposta. Se voi non fate conto d'altra materia, che di quella preparataui 
<lb/>da mè, per arguirini contro, assicurateui, che i vostri sillogismi
<pb n= "83 recto"/>  
<lb/>hauranno tanto difetto di materia, quanto vi credete hauerne 
<lb/>abbondanza per formarli; dite pur via.
<lb/>C. Quel che è soggetto à qualità attiue, e pessiue,
<lb/>poiche secondo il nostro autore i lumi dell'uno,
<lb/>e dell'altro rintuzzan la virtù eccessiua del
<lb/>Ciel Cristallino, mentre, che egli ancora corregge 
<lb/>le vehementi influenze loro, mediante la
<lb/>sua humidità, e frigidezza:
<lb/>R. Cosi stà, e lo dicono i Filosofi , e Teologi, e Astrologi ancora. 
<lb/>ò guardate s'io voglio empieruela, perche, ad ogni
<lb/>modo vi auuerra, come a’ prugauoli, che si cuocon nella loro
<lb/>acqua.
<lb/>C. Adunque quelle celesti sfere sono alterabili, e 
<lb/>corruttibili. 
<lb/>R. Quest'è la chiaue del mellonaio; che vi siete creduto, che le qualita 
<lb/>del Ciel sian le medesime, con le qualita elementari; e 
<lb/>perciò nulla vale il vostro argomento; sendo che di sopra vi si è 
<lb/>dimostrato de la materia celeste, e delle sue qualità resultanti dalla 
<lb/>forma, non esser corruttibile quella, ne corruttiue queste; e
<lb/>cosi perche non connengono vniuocamente le qualita del Cielo, 
<lb/>con quelle degli elementi, diuerie le operazion lor sono altresi. 
<lb/>Onde non corruttiue qualità, come le sullunari, ma perfettiue 
<lb/>le celesti sono. perche S. Tomaso , à proposito di ciò, dice.
<lb/>Cœlestia habent alterationem secundum illuminationem, 
<lb/>&amp; obscuritatem non tamen generabilia, 
<lb/>&amp; corruptibilia sunt. 
<lb/>Ma è l'azion loro, azion di perfezion nel paziente, come per 
<lb/>esemplo l'illuminazion della Luna cagionata da’ raggi del Sole. 
<lb/>Ecco, che io non sono stato da quei cotali, ne da voi tirato a consentire 
<lb/>a cosi vana opinione, perche è impossibile vnir le serpi con 
<lb/>le colombe.
<lb/>Discorso. Oltre acciò, quanto all'eccellenza di essi Cieli, circa 
<lb/>l'orbe tutto di ciascun parlando, l'ordine per auuentura non è 
<lb/>alterato. Imperoche io non haurei per difficile a creder, che 
<lb/>quasi tutta la perfezion del Cielo, in cui alloggia il Sole, ristretta 
<lb/>fosse in quel globo cosi lucente. E il Ciclo acqueo, è cristallino,
<pb n= "83 verso"/>  
<lb/>oltre che può la nobiltà sua consister nell'esser priuato di
<lb/>stelle, accioche egli sia di maggior virtù a lui propria guernito,
<lb/>operando negli altri Cieli, ha come dice l'Angelico dottor, nel
<lb/>secondo del Cielo, i suoi moumenti ordinati per le stelle de gli
<lb/>altri giri celesti, come, che questa non sia del moto suo causa adeguata. 
<lb/>Conchiudiamo per tanto, che, se i Cieli, che piu altamente 
<lb/>situati sono, maggior eccellenza posseggono, e quegli massimamente, 
<lb/>che a gli altri souraitano, il Primo mobile sia leggiadramente 
<lb/>di gran numero di stelle adorno.
<lb/>Considerazione XXXV. Dato, che tutta la perfezion, 
<lb/>del Cielo in cui u.g. alloggia il Sole,
<lb/>sia ristretta nel globo solare, non so conoscere per
<lb/>questo, che l'ordine de’ Cieli non si debbia dire
<lb/>alterato, appunto appunto, come se perfezione
<lb/>non fosse di più nel globo del Sole, che nel restante 
<lb/>del suo Cielo. Dico questo, non perche io tenga, 
<lb/>che l'ordine della belleza appaia mutato,
<lb/>ma perche non sò quello si voglia dire il Colombo 
<lb/>per questo [Oltre acciò] non ci vedendo alcuna conclusion necessaria.
<lb/>Risposta. Se voi non iscorgete  questo vero, incolpatene la vostra cecità.
<lb/>Ch'in tutto e orbo, chi non vede il Sole.
<lb/>disse il nostro Petrarca. Signor nò, che l'ordine de Cieli non si dee
<lb/>chiama alterato; concioiache, non solo la virtù che è ristretta in
<lb/>quel globo solare, se fosse sparsa per tutto il suo Cielo,verrebbe tanto 
<lb/>innacquata, che meno efficacemente, opererebbe, che non
<lb/>fà la virtù di Marte con tutto il suo Cielo; ma, che più importa
<lb/>è, che per esser differenti di spezie le celesti sfere, non può mai
<lb/>il Cielo inferiore, quando fosse tutto stella esser più nobile del
<lb/>superiore, si come altresi delle stelle fra di lor comparate, accade
<lb/>il medesimo: sendo che altro non siano le stelle, che parte più
<lb/>densa del suo Cielo; e, come i filosofanti vogliono, tale è la forma 
<lb/>delle cose, quale è la disposizion della materia, che la riceue.
<lb/>Tolommeo ancora nel suo quadripartito, non dic'egli, che le stelle
<lb/>quanto più alte situate sono, più nobile, e più efficace è la virtù loro?
<pb n= "84 recto"/>  
<lb/>Virtus Saturni, (dice egli) coaptatur ad vniuersalia 
<lb/>tempora; louis ad annos; Martis,
<lb/>Solis, Veneris, &amp; Mercurij ad menses; Lunæ
<lb/>autem ad dies. Ac primi tres planetæ superiores 
<lb/>respiciunt ea, quæ ad existentiam rei secundum 
<lb/>se ipsam pertinent: quatuor reliqui ad 
<lb/>rei existentis motum ordinantur. Il medesimo afferma
<lb/>anche San Tommaso. Ecco adunque, che l'ordine del 
<lb/>la nobiltà, e eccellenza, de’ Cieli, e delle stelle veramente non 
<lb/>può dirsi alterato; e che quanto vn ciel più alto ascende, e luogo
<lb/>più eminente ottiene, si dee dire in conseguenza, che la sua natura
<lb/>sia più eccellente di quella degli inferiori, come che all'occhio nostro,
<lb/> quanto al Sole, altramente appaia, rispetto alla grandezza, 
<lb/>e luce di quello, in comparazion dell'altre stelle. Ne si può
<lb/>ragioneuolmente porre in quistione, che l'influenze
<lb/>celesti più efficaci, e di virtù maggior non siano in quelle sfere, 
<lb/>e stelle, che più alto riseggono, che nelle inferiori. perciò 
<lb/>che, se à ogni Cielo assiste con la sua presenza, e virtù vn'Angelo
<lb/>distinto di spezie più nobile, secondo la nobiltà del Cielo, da lui
<lb/>gouernato, come il filosolo, e la comune opinion de’ Teologi afferma, 
<lb/>chi non dira insiememente, la possanza, e gli influssi
<lb/>di quel cielo esser di gran lunga più nobili, che gl’influssi del sottoposto
<lb/>Cielo? Non e egli vero, che gli effetti corrispondono 
<lb/>alle cagioni? Se, come ancor voi confessate alla considerazion 
<lb/>33. producon Marte, e Gioue influenze più nobili, più nobili ancora 
<lb/>saranno le cause loro, cioè essi pianeti, e gli assistenti motor 
<lb/>del lor Cielo, da cui le virtù riceuono. Hora, si come è chiaro, 
<lb/>che il Ciel del Sol veramente non muta l'ordine della nobilta; 
<lb/>cosi è falso, che quanto all'apparenza, mediante la grandezza, e splendor 
<lb/>suo, non si potesse, per quello, che l'occhio giudica, dubitarne
<lb/>(se ben uoi non volete) poi che è pur quanto alla veduta, piu bello. Onde 
<lb/>non doueuate dir, che quelle parole da mè aggiunte.[Oltre acciò] 
<lb/>con quello, che segue, non hauessero conchiusion necessaria: 
<lb/>poiche seruon per mostrar, che quel, che appare al senso, spesse 
<lb/>fiate è inganneuole, e dalla verita, e ragion lontano. Ma quando 
<lb/>si concedesse finalmente, che il Sole, e il Cristallino Ciel discordadssero 
<lb/>da quest'ordine, la conseguenza non vorrebbe gia, 
<lb/>che disordinati fossero gli altri Cieli ancora, se per qualche ragion
<pb n= "84 verso"/>  
<lb/>non si conuincesse douere adiuenir ciò, in essi altresi. Perloche,
<lb/>se quegli vogliam conceder, che escan di cotal regola, diremo,
<lb/>che sia ciò addiuenuto per necessità della Natura, e beneficio
<lb/>universal di tutto il Mondo, che l’ordine del tutto riguarda,
<lb/>cosi disponente il somma artefice: e questo è a fin di maggior
<lb/>ordine, e perfezion, che altramente stato non sarebbe. Bene
<lb/>adunque si argomenta dalla nobilta de'cieli douersi ritrouare stelle
<lb/>nel Primo mobile.
<lb/>Discorso. Ne si debbe dubitarne altramente, poiche l'Empireo,
<lb/>che à quello immediatamente sourasta, per efser perfettissimo 
<lb/>di tutti gli altri cieli, e stanza de’ Beati, sopra i quali, 
<lb/>per modo indicibile Iddio siede, e gouerna, gloriosamente in
<lb/>se stesso felice, dicono i sapienti esser tutto splendore, e lucentissimo 
<lb/>a somiglianza d'un fuoco, anzi d'un Sole, che perciò l'appellano 
<lb/>Empireo. Ne in esso è già parte niuna men lucida, ò inferiore 
<lb/>all'altre di bellezza, come nell'altre sfere, non hauendo altro 
<lb/>ciel sopra di se, a cui l'ultima perfezione ascriuer si debba; ma
<lb/>in quello adiuien, che si termini, e finisca. Ne dee reuocarsi in
<lb/>quistione il suo nobilissimo splendore (comeche a gli occhi nostri 
<lb/>non appaia) dicendosi; se egli è tutto quell'orbe di sostanza
<lb/>assai più lucente, che il Sole, come potra egli non rappresentarsi a
<lb/>gli sguardi altrui, quantunque lontanissimo? Impercioche il medesimo 
<lb/>dottor Angelico afferma, non esser visibile, per vna di queste 
<lb/>due ragioni, quel corpo risplendentissimo: ò perche non essendo 
<lb/>egli spessato, e denso di maniera, che e' possa lanciarlo splendor 
<lb/>suo raggiando, e terminare ancor la vista, e quindi non possa 
<lb/>altramente farsi vedere. O perche il suo lume, che è di gloria,
<lb/>non di natura, non sia proporzionato oggetto, per farsi visibile 
<lb/>all'occhio corporeo, caduco, e mortale. Ma, che la densità 
<lb/>sia necessaria, per terminar la vista, acciòche la vision si
<lb/>faccia, l'esemplo nelle cose terrene, e molto più materiali chiaramente 
<lb/>il fa palese. Imperoche, non e egli vero, che le spezie
<lb/>de’ colori, e l'imagini, che nello specchio si rappresentano, prima
<lb/>si figurano, e son riceuute nell'aria, e dall'aria passano a quel
<lb/>cristallo , che le ci mostra? Nondimeno elle non si scorgono
<lb/>nell'aria, perche non è densa di maniera, che in quella si termini
<lb/>la vista, per riceuer quelle imagini, come adiuiene in quel vetro, il
<lb/>quale è corpo denso, e terminato la guisa, che la superficie sua
<lb/>figura, e rappresenta a gli occhi quei colori, e imagini degli oggetti 
<lb/>visibili, da cui la virtù visiua vien terminata. Non che i raggi 
<lb/>dell'occhio, vicendo fuori, vadano a terminarsi in quella superficie 
<lb/>colorata, ma quella imagine, terminata in quella superficie,
<pb n= "85 recto"/>  
<lb/>se è specchio , ò cosa simile reflettendosi, uiene all'occhio,
<lb/>in cui ella si termina di nuouo, e rendesi uisibile. E l'altre che,
<lb/>per lo specchio si ueggono, fanno nell'occhio il medesimo effetto, 
<lb/>ma addirittura, la spezie uisibile per l'aria passando, nell'occhio 
<lb/>si termina, e figura. Ma, che tutto sparto di stelle sia il
<lb/>Primo mobile, da Aristotele la ragione apertamente s'appara,
<lb/>nel secondo del Cielo, tutto che egli stimasse il Formamento. Primo 
<lb/>mobile, dicendo, che ciò si richiede a quell'orbe, per la sua
<lb/>eccellenza, sì perche da più nobile intelligenza è agitato: sì per
<lb/>che più immediatamente uicino al motor sommo si ritroua: sì
<lb/>perche l'altre sfere dal suo monimento portate sono.
<lb/>Considerazione XXXVI. Ansa si, è di più vi
<lb/>dico, che io hò sentito, che, se voi non vi aiuterete 
<lb/>altrimenti voi haurete la sentenza contro:
<lb/>e veramente andianla vn poco discorrendo senza 
<lb/>passione.
<lb/>Risposta. Che dite uoi di sentenza Signor Mauri? Non mela deste
<lb/>voi contro fin nel principio, intorno all'Astronomia ? Orsù
<lb/>manco male, che mi resta qualche speranza; e tanto più, che par
<lb/>che vi contentiate, esserne giudice altri che voi; perche altramente 
<lb/>io non la voleua inghiottir senza appello.
<lb/>C. Che il Primo mobile sia leggiadramente adorno 
<lb/>di gran numero di stelle, si proua da voi
<lb/>con queste ragioni, se però ho bene inteso il vostro linguaggio.
<lb/>R. Il mio linguaggio, e in buona gramatica fiorentina, separata
<lb/>dalla pedantesca, di cui la vostra leggenda è piena, per esserui,
<lb/>stata imburchiata da vn di que’ cotali, che per simil manifatture
<lb/>tosto n'haurà vn buon gratta capo; hor dite via.
<lb/>C. Prima il sito de’ Cieli si sà per via delle stelle,
<lb/>che quiui si trouano, ma del Primo mobile si
<lb/>sà il sito, adunque nel Primo mobile sono stelle.
<lb/>Seconda. Il Cielo è di maggior perfezione
<lb/>in quella parte, in cui le stelle riseggono: ma il
<pb n= "85 verso"/>  
<lb/>Primo mobile è di maggior perfezione di tutti
<lb/>i Cieli per esser di tutti più sublime, adunque
<lb/>i Primo mobile, e pien di stelle. Terza. Quel
<lb/>Cielo il quale e agitato da più nobile intelligenza. 
<lb/>Quel Cielo immediatamente vicino
<lb/>al Motor sommo: Quel Cielo finalmente,
<lb/>al cui moto obbediscono gli altri Cieli, facendosegli 
<lb/>seco girare, è conueniente sia dotato di
<lb/>maggior belleza , nobiltà, ed eccellenza, il che
<lb/>consiste nelle stelle: ma il Primomobile è quella
<lb/>sfera di cotante perminenze: adunque.
<lb/>R. Se voi metteuate in carta prima le parole del mio discorso, oltre
<lb/>che uoi facciate il debito uostro, non mostrauate di non hauer
<lb/>mai veduto Loica, non sapendo ridurre i mei argomenti in fillogismo, 
<lb/>ne ritrouarne il bandolo. Pensate quali saranno l'impugnazioni, 
<lb/>e come a proposito. Quella voce [sublimita] non vedete 
<lb/>voi, che ella non si dee prendere in sentimento d'alteza di
<lb/>luogo, ma d'eccellenza di stelle? E non poteua intendersi in altra
<lb/>maniera, poiche seruiua, per esemplo dell'eccellenza della sostanza 
<lb/>celeste, e perciò dissi quella parola, [regolarmente] attesoche 
<lb/>se ne dee cauare il ciel cristallino. Onde è falso, che io dalla
<lb/>veduta delle stelle argomenti l'altezza del luogo, ma si bene dall'altezza 
<lb/>di esso luogo, la nobiltà maggior d'vn ciel rispetto all'altro; 
<lb/>e da questa ragion si argomenta, il Primo mobile essere
<lb/>stellato, e il segno di ciò son le stelle numerose, di cui è l'ottaua
<lb/>sfera adorna; essendosi innanzi mostrato, le stelle esser la più nobil 
<lb/>parte del lor cielo. Hora potrete uoi hauer per risoluto
<lb/>quel, che poco dianzi haueuate per dubbio, cioè di non intendere 
<lb/>il mio linguaggio. Ma andate, che; per torui ogni speranza di
<lb/>refugio, voglio accommodarmi a’ vostri spropositati argomenti, 
<lb/>e non lasciarui in asso com'io dourei. Che dite adunque?
<lb/>C Ma altri tenendo tutto il contrario, fondati particolarmente 
<lb/>in questo, che’l Cielo, ilquale e cagion 
<lb/>dell'uniformita, come è il Primo mobile,
<pb n= "86 recto"/>  
<lb/>non dee esser difforme nell’auere stelle: rispondono 
<lb/>al primo argomento, col negar la maggiore:
<lb/>poiche voi, per non si partir dalle proue somministrate 
<lb/>loro nel vostro discorso, sapete il sito
<lb/>del cristallino, e pure affermate insieme insieme
<lb/>non essere stellato.
<lb/>R. O bella maniera di parlare; che adopera questo auuerbo replicacaro 
<lb/>[insieme insieme?] egli ci stà più a disagio, che non istò io
<lb/>con la penna in mano, per rispondere a cosi stuccheuoli argomentazioni. 
<lb/>Quest'e altro ripieno, chè quel de’ curandoli nella 
<lb/>salsiccia, che pur vaglion qualche cosa. -
<lb/>C. Onde bisogna, che l'habbiate, col seguir, come
<lb/>dice il Copernico, le pedate de’ più antichi, e fasmosi 
<lb/>Astronomi, rinuentato per altro mezzo, che
<lb/>delle stelle.
<lb/>R. Se altri tengono il contrario, non lo tien già Alberto nella metafisica, 
<lb/>libro secondo, trattato secondo, capo venzei da voi citato; 
<lb/>ne ragionò mai in quel luogo di cotal materia. Ma voi, che
<lb/>l'hauete segnato, e non veduto, douereste molto bene aprir gli
<lb/>occhi, perche non poteuate far peggio, che, quistionando senza 
<lb/>occasione, ma solo, perche cosi vi aggrada, citar gli autori a
<lb/>rouescio, accioche v'habbiano a esser rinfacciati finili errori.
<lb/>Anzi, ne Alberto, ne altri dicono, che la ragion d'Aristotele
<lb/>non sia vera, e naturale, prouando egli, che le molte stelle, che
<lb/>nell'ottauo Ciel si ritrouano, sian segno della nobilta sua, e che al
<lb/>moto regolato, e velocissimo di quello, esse conuengono. E se ben
<lb/>poi e stato osseruato, quel cielo hauer più mouimenti, non per tanto
<lb/>non si può dir, che le stelle assolutamente sian cagioli, che egli habbia 
<lb/>deformita di moto. Imperoche il Ciel cristallino è pur senza
<lb/>stelle, e nulladimeno più d’vn mouimento haner si ritroua. E
<lb/>perciò, se altri, poi che s'è ritrouato non esser lo stellato il Primo
<lb/>mobile, hanno detto, che il decimo ciel non ha stelle, per ragion 
<lb/>dell'uniformita del suo mouimento, è manifesto questa ragione 
<lb/>esser fallace; e tanto piu oggidi, che stelle ritrouatesi uisono. 
<lb/>Onde la ragion d'Aristotele, che è la piu ragioneuole,
<lb/>e naturale, come si mostrerà poco appresso, confermata da altri,
<pb n= "86 verso"/>  
<lb/>e negata da niuno, resta nel suo valor primiero. 
<lb/>C. Al secondo affermando, che è cosi vero , che’ l
<lb/>Cielo, cioè l'orbe verbigrazia di Gioue, sia più
<lb/>perfetto, doue risiede quella stella, quantunque
<lb/>alcuni tengano, che qual si voglia parte del Cielo 
<lb/>abbia vna stessa virtù, e proprietà; come per
<lb/>lo contrario è falsissimo, che del Cielo, cioè di
<lb/>tutti i Cieli, sia più eccellente quello, che hà stelle. 
<lb/>Poiche l'Empireo è di ciascheduno, e più nobile, 
<lb/>e più perfetto, e con tutto questo, eziando
<lb/>secondo’ l parer vostro, quiui non si ritrouano
<lb/>stelle. Il perche diuidon la maggiore, negandola, 
<lb/>se per lo Cielo s'intende l'aggregato di tutte 
<lb/>le sfere celesti : per lo contrario concedendola,
<lb/>senza temer danno veruno dalla forza di cotale 
<lb/>argomento, per la sua moltiplicità de termini,
<lb/>se’l Cielo si piglia per l'orbe d'un sol pianeta.
<lb/>R. Io vi torno a replicar, che dissi, le stelle regolarmente mostrar
<lb/>la nobiltà d'vn cielo in comparazion dell'altro. Di più hò anche 
<lb/>detto, che niuna stella ha tanto di eccellenza in se, che auanzar 
<lb/>possa la nobilta della sostanza del ciel superiore, eziandio
<lb/>doue stelle non sono. Ma ui potrei ben negar, che l'Empireo
<lb/>fosse, eccettuato dalla regola. Anzi è tanta l'eccellenza di esso,
<lb/>che è tutto vna stella, come hò detto, se ben mi vorreste far Calandrino. 
<lb/>Non hò io detto, che egli risplende più, che il Sole,
<lb/>e tutte l'altre stelle insieme, e che non ha parte ueruna, che inferiore 
<lb/>all'altra sia, perche in esso è l'ultima perfezion, che possa
<lb/>hauere il Cielo? Hora poi che non temete del mio argomento,
<lb/>mediante quella stupenda distinzione; almeno bisognerà, che ui
<lb/>rimanghiate col danno, se non con la paura.
<lb/>C. Finalmente al terzo, adducendo in risposta, la 
<lb/>dottrina per resoluzione del secondo apportata;
<pb n= "87 recto"/>  
<lb/>poiche è chiaro, che in altro, che in essere stellato,
<lb/>può consister la maggior eccellenza d'un Cielo,
<lb/>cioè nell'esser egualmente per tutto risplendente.
<lb/>R. Se volete conoscer questa resoluzione irresoluta, digrazia non
<lb/>ui lasciate scappar della memoria quella parola, [regolarmente,]
<lb/>da cui potete cauar, che quegli, che ha la regola dal suo, mette
<lb/>in necessità il contraddicente di prouare il contrario, se vuol conseguir 
<lb/>l'intento. 
<lb/>C. Rendon molto deboli, anzi annullano i vostri
<lb/>fondamenti, e perciò, restando voi senza ragioni 
<lb/>probabili, vi bisognerà, à guisa de’ Pittagorici,
<lb/>addurne solamente, per proua l'autorità de’
<lb/>famosi scrittori.
<lb/>R. Quantunque io v'habbia fatto veder, che le Aristoteliche ragioni 
<lb/>stanno in piedi, e che niuno è, che l'habbia impugnate, non che
<lb/>annullate, oltre la sua autorità, che andate ricercando, per esser
<lb/>di quei famosi, uoglio per abbondare, e sodisfarui maggiormente, 
<lb/>nuoue ragioni, e autorità di scrittor famosi addurre. 
<lb/>C. Ma à chi giammai ricorrerette? Alessandro,
<lb/>Alberto Magno tengono, e prouano, che il Primo 
<lb/>mobile non è stellato. Auerroe, San Tommaso, 
<lb/>con tutti i Filosofi naturali senza mancarne 
<lb/>pur vno vogliono il medesimo: e per finirla 
<lb/>tacendo di Dante nel Paradiso, quale è quell'astromo 
<lb/>antico, ò moderno, che non affermi, e approui 
<lb/>questa stessa verità.
<lb/>R. Questo è vn dire, io non ti vò creder, se tu non produci per testimon 
<lb/>gli huomini ch'hanno ancora a nascere. Se al tempo
<lb/>della maggior parte di questi mentouati non era nata la cognizion 
<lb/>di questo cielo, come volete, che la testifichino? Essi non
<lb/>son [de facto], ne per voi, ne per me, ma [de iure, ] son per me
<lb/>contro voi, perche dalle loro ipotesi si vede, che, se fossero all'eta 
<lb/>nostra, direbbon, come dic’io. Hora, se vi basta l'animo di
<pb n= "87 verso"/>  
<lb/>far comparir quì tutti quei tali, che non hebbero cognizion del
<lb/>decimo Cielo, che noi Primomobile appelliamo, come fece la
<lb/>Fitonessa comparir Samuel, ad instanza di Saul, io vi prometto, 
<lb/>che diranno, il Primo mobile esser tutto parto di stelle.
<lb/>Non è vero, come in dianzi dissi, che San Tommaso con tutti questi
<lb/>autori, habbiaio contrariato ad Aristotele. Anzi che, affermando 
<lb/>essi, il Cristallino esser Primomobile, perche, secondo la
<lb/>Scrittura Sacra, si conferma, il dir, che sia senza stelle, essendo 
<lb/>simile all'acqua; dissero, ad ogni modo, per non discostarsi 
<lb/>dalle ragion naturali d'Aristotile, che quel moto era ordinato
<lb/>per le stelle, cioè per la difformita. Dante ancora da voi citato
<lb/>(che benedetto sia quella volta, che voi non chiamate gli 
<lb/>autor, che vi fanno contro) parla del  Cristallino, e non del Primomobile. 
<lb/>E tra i moderni eziandio il Collegio Conimbricense
<lb/>dice il medesimo, sopra lo stesso luogo d'Aristotele. Il Tostato
<lb/>ancora, che fu dopo San Tommaso tien; che noue sian le sfere,
<lb/>secondo gli Astrologi, e che il Cristallino sia Primomobile. I.
<lb/>Se bene al cercar, se altri moti, ò cieli si davano, s’aspettaua,
<lb/>secondo il Mauri, a quegli, che studian fuor di camera. Onde a
<lb/>gli Astrologi di que' tempi, che siauano alla capagna, hauendo
<lb/>il Ciel per camera, si rapportauan que nobili scrittori. Ma, se
<lb/>l'hauer dalla mia Aristotele, e per autorità, e per ragion, no vi
<lb/>quieta in maniera, che ad ogni modo non vogliate imputarmi
<lb/>di troppo ardito, crederei che, doue gli scrittori son dubbi; o vari, 
<lb/>o non contraddicenti, e mutoli, non potendo dirsi, che altri 
<lb/>vada contro la comune, perche altramente non haurei cotal
<lb/>cosa affermato; ci, douesse almen bastarui per conceder, che io
<lb/>potersi far proua dell'ingegno, senza sottener menda di arrogante. 
<lb/>Ma voglio di più mostrarui, che non mancano altri attoreuoli 
<lb/>scrittori, mediante i quali, e le lor filosofiche ragioni, io
<lb/>possa, contro la vostra vogia, loda riportarne. Il dotto San Bonauentura 
<lb/>adunque, oltre a le ragioni addotte da Aristotele, proua 
<lb/>per molte vie naturali, che, se il Primomobile fosse senza stelle,
<lb/>e vniforme, egli non dourebbe muoueri. Prima, dic'egli, il Cielo
<lb/>Empireo da i Santi Padri è reputato immobile, per la sua vniformita; 
<lb/>ma il ciel, che vniversalmente  manca di stelle è vniforme;
<lb/>adunque niun ciel senza stelle è mobile. Di più; douunque è moto, 
<lb/>quiui è continuità, e variazione: ma la continuazion, che è
<lb/>nel moto, vien dalla continuita della grandezza del mobile; adunque,
<lb/>per la stessa ragion, la varianza del moto vien dalla varieta
<lb/>del mobile: ma il corpo celeste, che manca di stelle non ha vareta 
<lb/>ne suoi moti; adunque, ne eziando ha mutatione. Oltre
<pb n= "88 recto"/>  
<lb/>acciò, ogni mouimento serue per qualche bisogno di esso mobile,
<lb/>ò di qualche inferiore: ma il ciel, che non ha stelle non può muouersi 
<lb/>per bigogno di se medesimo, attesoche, per quel moto, niuna
<lb/>mancanza di esso ciel si complice. Non può seruire anche per
<lb/>altro inferior corpo, perche egli cosi bene influisce stando quieto,
<lb/>come mouendosi, e influisce uniformamente; adunque in veruna 
<lb/>manie a conuiene al ciel, che non ha stelle muoueri. 
<lb/>Aggiungo alle ragion di San Buonaentura, che, se il moto procedesse 
<lb/>dall 'vniformita, i cieli inferiori al Primomobile, per esser 
<lb/>moltiformi, e stellati, non haurebbon moto proprio, ma solamente 
<lb/>l'accidentale, cagionato dal Primomobile. Dico inoltre
<lb/>che, se il Primomobile stellato non fosse, egli saria nelle tenebre;
<lb/>il che veramente non si dee credere in modo veruno. Lo
<lb/>prouo, perche, se secondo voi, al Sol non illumina oltre la superficie 
<lb/>stellata del firmamento; e secondo altri non illumina, se
<lb/>non il Cristallino; e’l Cielo Empireo non diffondendo, come si
<lb/>è detto, abbasso il suo splendore; ne seguita, che il Primomobile,
<lb/>non hauendo stelle, sia nelle tenebre, almeno in rispetto a gli
<lb/>altri cieli, che hanno stelle, ò son dal Sole illuminati. E perche
<lb/>si porreboe contro San Buonauentura argomentar, che, per esperienza, 
<lb/>false appaion le sue ragioni, che prouano il Primomobil.
<lb/>non douer muouersi, per cagion dell'uniformità, poiche non solamente 
<lb/>quel cielo, ma anche il Cristallino, che non hà stelle,
<lb/>si muoue: risponde i negando, che nel Primomobile stelle non
<lb/>siano ma se si concedesse, come nel Cristallino, si dice, eziandio
<lb/>che stelle non si ritrouino in essi, adogni modo uarietà, e difformita 
<lb/>in quelli i ritroua, di moto, e di quiete, di destra, e di sinistra
<lb/>per comparazione all'influenza del moto e, e perciò si muouono. 
<lb/>Se ben si potria dir, che vicisse il Cristallino dell'ordine
<lb/>naturale, per la perfezion dell'uniuerso, come afferma lo steffo 
<lb/>Santo cosi dicendo.
<lb/>Quod est ponere aliquod cœlum moueri, quod
<lb/>careat varietate stellarum, &amp; luminarium, &amp;
<lb/>hoc est Cœlum aqueum, siue cristallinum, ad
<lb/>cuius cognitionem, &amp; si pauci philosophi peruenerunt, 
<lb/>quia corpus illud latet sensum, ratiocinando
<lb/>tamen peruenerunt aliqut, &amp; illi qui peruenerunt 
<lb/>posuernt ipsum moueri sicit quidam
<pb n= "88 verso"/>  
<lb/>Astronomi nixi sunt hoc probare. Communiter
<lb/>tamen ad cognitionem existentiæ huius Cœli,
<lb/>peruenerunt omnes tractatores catholici, autoritate 
<lb/>Sacræ Scripturæ diuinitus illustrati, quæ
<lb/>ipsius existentiam expresse declarat : motum 
<lb/>tamen eius, vel quietem non explicat. Sed doctores 
<lb/>Thæologiae, rationibus fulciti, communuter 
<lb/>ponunt Cœlum illud moueri, &amp; inter
<lb/>alias rationes potissima est illa, qua sumitur
<lb/>ex perfectione vniuersi. E soggiunge; Cristallinum 
<lb/>potest dice, habere vniformitatem partium, 
<lb/>sed habet diuersitatem secundum rationem 
<lb/>dextri, &amp; sinistri, per comparationem
<lb/>ad influentiam motors. E, chiamandolo Primomobile, 
<lb/>perche non era ancor noto il decimo Cielo, dice. Motus
<lb/>Primi mobilis respectu allorum est vniformis,
<lb/>quamuis variatio dicatur respectu quietis, &amp;
<lb/>motus. Ecco adunque, che non dalla uniformità, ma dalla 
<lb/>difformità naturalmente si cagiona il moto; e per ciò secondo
<lb/>il filosofo, Motus est passio consequens ad multi
<lb/>formitatem corporis. E stellato per tanto il Primomobile Signor Mauri. 
<lb/>C. E, se Aristotile, pare tenga dalla vostra, affermando 
<lb/>il Primo mobile esser l'ottauo Cielo,
<lb/>doue grande infinità di stelle si ritrouano, con 
<lb/>tuttociò il fatto passa altrimenti: Imperocche, per
<lb/>non si essere in quei tempi osseruato altri mouimenti,
<pb n= "89 recto"/>  
<lb/>che’l diurno, e de’ sette pianeti, non abbisognaua 
<lb/>oltre all'ottauo, alqual diedero nome di
<lb/>Primomobile, il numero de’ Cieli multiplicare.
<lb/>Onde per essere il firmamento sensibilmente stellato, 
<lb/>insensato, e ridicoloso sarebbe stato quegli,
<lb/>che non ostante il vederlo continuamente, auesse 
<lb/>creduto, che quel che teneuano per Primomobile, 
<lb/>non fosse in niuna maniera ripien di stelle,
<lb/>si come per lo contrario sagace, e arguto chi ingegnosamente, 
<lb/>lasciata la contesa dell'essere, come 
<lb/>chiara, auesse ritrouata, qualunque ragione 
<lb/>si fosse, perche in quella guisa si dimostrasse 
<lb/>diuisato. Aristotele adunque, perche'l vedeua, 
<lb/>ò per dir meglio pensaua di vederlo.
<lb/>R. Che vuol dir pensua di uederlo? Che il Primomobile, ò il 
<lb/>cielo stellato? 
<lb/>C.Non si discostò dall'uniuersale opinione, che 
<lb/>egli fosse fermamente stellato, ma andò bene inuestigando 
<lb/>probabili ragioni di quello, che per lo
<lb/>senso non gli pareua potersi negare, le quali, chi
<lb/>intende, quanta differenza sia dal render la
<lb/>cagione d’una cosa manifesta, e necessaria, e
<lb/>d'una incerta, e dubbiosa, non si persuaderà
<lb/>mai, che elleno fossero state addotte da quel pellegrino 
<lb/>ingegno, per cagioni di quella varietà,
<lb/>se per Primomobile fosse stato al suo tempo tenuto,
<pb n= "89 verso"/>  
<lb/>come è ora vn ciel superior al firmamento, e
<lb/>del tutto inusibile.
<lb/>R. Come vn ciel superiore? Anzi son due, e forse più secondo alcuni, 
<lb/>pur de, mobili parlando. 
<lb/>C. Oltre che io mi dò ad intendere, che se i seguaci 
<lb/>della sua dottrina, ammaestrati, e guidati
<lb/>dalle medesime conclusioni, anno tenuto, e prouato,
<lb/>che il Primomobile del tutto manca di stelle, 
<lb/>egli ancora infallibilmente tirato da gli stessi 
<lb/>principi aurebbe giudicato non diuersamente
<lb/>da loro. 
<lb/>R. Quest'è doue vi ingannate, come sopra vi hò mostrato. imperocche, 
<lb/>i medesimi principi seguendo, faceua mestier, che eziandio 
<lb/>i seguaci suoi affermassero, il moto nascer dalla difformità;
<lb/>ed è cosi vero, che, se Aristotele hauesse ueduto il Primomobile
<lb/>senza stelle, ad ogni modo attribuito haurebbe la cagion di quel
<lb/>moto alla difformità, come si uede, che hà fatto San Bonauentura, 
<lb/>e altri, per le ragioni addotte, che son tutte naturali. E
<lb/>perche voi sappiate meglio, la vostra maniera di argomentar, si
<lb/>ritorce tutta contro di voi: percioche, si come Aristotele filosofaua
<lb/>la ragion delle molte stelle nel Firmamento, allor tenuto Primomobile,
<lb/>perche egli le vedeua; cosi que’ tali, che tengon nel decimo
<lb/>ciel, non essere stelle, filosofaron la ragion, perche non vene fosero. 
<lb/>ma egli, che hà trouato ragion, che val, per dir la cagion
<lb/>del moto del cielo, e delle molte stelle insieme, che in quello si
<lb/>trouano, impon necessità a gli altri, che seguir debban le sue ragioni:
<lb/>tanto più oggidì, che stelle nel Primo mobil uedute si sono.
<lb/>C. E tanto più, che gli Aristarchi, i Tebezi, i Timocari,
<lb/>i Tolomei. -
<lb/>R. Fate pian con que’ Tolomei, se parlate dell'Alessandrino, e con
<lb/>que’Timocari. Se voi haueste veduto il Padre Clauio. il Collegio 
<lb/>Conimbricense, e tanti altri famosi, che fanno le distinzion 
<lb/>delle Classi degli autori d'Astronomia, non faceuate
<lb/>memoria di questi tali, che non fanno per voi. Tolommeo l’anno
<lb/>del Signore 131. incirca, ritrouò con gli altri de’ suoi tempi la
<lb/>nona sfera, e la chiamarono il Primo mobile, anzi che, Timocare,
<pb n= "90 recto"/>  
<lb/>che fu 330 anni auanti la natiuità di Cristo, non osseruò altro ciel
<lb/>sopra lo stellato, se bene alcuni voglion, che egli, e Arsatile
<lb/>hauessero cominciato ad hauer qualche spiracolo della nona sfera. 
<lb/>Dopo Tolommeo 1140. anni, ò quiui intorno Tebith, e Alfonso 
<lb/>Rè con altri astrologi ritrouarono il decimo cielo, che oggi 
<lb/>Primo mobile s'appella.
<lb/>C. A'quali in tal materia; come dice egli, si dee 
<lb/>prestare intera fede, hanno stimata sempre verissima 
<lb/>sì fatta openione.
<lb/>R. Agli Astronomi si dee creder più, che a Filosofi, quelle cose, che
<lb/>aspettano alla Astronomia solamente; ma non gia quelle, che alla 
<lb/>filosofia ancora appartengono, come il trouar la cagion delle 
<lb/>cose, quale adiuiene appunto in questo, cioè, se stelle sian
<lb/>nel Primo mobile, ò nò; perche non se ne può far demostrazione 
<lb/>astronomica, per prouarlo dal senso, negando voi, che quelle 
<lb/>stelle, che vedute si sono, secondo la uostra astronomia prouar 
<lb/>si possa, che elle siano state in quel cielo. Perche gli Astrologi, 
<lb/>uolendo negar, che tali stelle siano state da principio nel
<lb/>cielo, e nel Primo mobile, sariano contrari al filosofo, che veruna 
<lb/>cosa di nuouo non concede generarsi in quel corpo, e’ perciò
<lb/>conuiene a lui, il trattar simil materia ancor, aper non dare il ciel
<lb/>corruttibile. Laqual dottrina, i buon astrologi seguitando, farà
<lb/>mestier, che stelle nel Primo mobile concedan, secondo il parer 
<lb/>d'Aristotele. Non si deue adunque tralasciar la ragion naturale, 
<lb/>per credere à chi nega senza riprouare, e senza alcun fondamento, 
<lb/>che stelle sian nel Primo mobile; sappiendo ogni
<lb/>buon filosofo, che, gli argomenti presi dall'autorità negatiua,
<lb/>non prouan cosa veruna.
<lb/>C. Torniamo ora à quello donde ci dipartimo, e andate 
<lb/>vn po considerando, Signor Colombo, se
<lb/>quello, che dite esser manifesto, può meritamente 
<lb/>dirsi dubitabile, poiche l'opposto per l'appunto 
<lb/>vogliono tanti scienziati huomini, i quali malamente 
<lb/>s’altererebbero contr’a quel giudice, che
<lb/>senza apportarne voi nuoua autorita, e ragioni,
<lb/>vi dichiarasse vincitore.
<pb n= "90 verso"/>  
<lb/>R. Signor mio nò, che dubitabile non può dirsi, da chi non cerca 
<lb/>il nodo nel giunco; poiche i sapienti, da uoi ricercati, per
<lb/>che fede uene facciano, u'hanno lasciato sù le secche, con un braccio 
<lb/>di naso. E se non uolete esser condennato nelle spese della lite, 
<lb/>posciache mi dauate ragione, ogni uolta che, nuoue ragioni,
<lb/>e autori, adduceua, fuor d'Aristotele, il quale allegaste a sospetto; 
<lb/>rinunziate alla causa quanto prima, e non ui fate più straziare.
<lb/>C. Ma che fà bisogno di sì lungo discorso: poiche'l
<lb/>vostro ritrouamento, e capriccio del vedersi la
<lb/>nuoua stella, dato ancora, che’l Primo mobile
<lb/>sia stellato, niente di più ha del probabile, e del
<lb/>verissimile, che, se si negasse, come si è fatto di
<lb/>sopra, che egli in alcuna maniera non fosse in
<lb/>quella guisa diuisato. Conciosiache non si potrebbe 
<lb/>da noi con tutto questo giammai vedere,
<lb/>per esser l'ottaua sfera in niuna sua parte alla 
<lb/>vista penetrabile, e l'ultima delle sfere visibili,
<lb/>come tiene con tutti gli intendenti d'Astronomia,
<lb/>il Copernico: e oltre à questi secondo ne scriue 
<lb/>Antonio Dulciato, i Sacri Teologi ancora,
<lb/>perciò affermano non cader sotto sentimento alcuno 
<lb/>il cielo Empireo, con gli altri, che si ritrouano 
<lb/>sopra il Firmamento.
<lb/>R. Pian vn pò Signor Alimberto, che le cose vanno molto bene;
<lb/>Poiche, hauendomi voi conceduto, per ragion la nuoua stella
<lb/>poter esser nel Primo mobile, vi resta solo vna difficultà, ed è questa, 
<lb/>che, per non esser penetrabile alla veduta nostra il ciel cristallino, 
<lb/>vero esser non può, che tale stella sia stata veduta nel Primomobile. 
<lb/>In vna difficultà minima, in vn capello consiste tuttà la
<lb/>vostra forza. Orsù leuiamo il capello a questo Niso, che in vero
<lb/>vn capello è, che vi tien, che non vi arrendete: e posso ben dir
<lb/>contro di voi le parole del Petrarca. 
<pb n= "91 recto"/>  
<lb/>Vedi Signor cortese,
<lb/>Da che leue cagion, che crudel guerra.
<lb/>Hora, che le sfere mobili sian tutte dalla vista penetrabili, non è
<lb/>in maniera veruna da reuocarsi in dubbio. Ma prima è da auuertir, 
<lb/>che altro è dire vna cosa esser visibile, e altro è dir, che sia
<lb/>penetrabile dalla vista; poiche l'aria, e l'acqua, e'l vetro, e altri
<lb/>simili corpi, perche son trasparenti, son penetrabili alla vista,
<lb/>ma non son già uisibili. Come si vede auuenir delle gocciole
<lb/>d'acqua, che piouono, le quali, non si veggon per l'aria, se non 
<lb/>doue fra l'opaco, e l'occhio elle piouono, e fra cosa colorata ancora; 
<lb/>conciosia, che l'oggetto visibile è necessario, che lucido, e
<lb/>colorato sia. Quando adunque il Copernico, il Dulciato, e gli
<lb/>altri dicon, che noi non possiamo uedere, ò che non è visibile
<lb/>il Cristallino, e l'Empireo cielo, dicon vero; e io non discordo
<lb/>da loro, poiche il cristallino è senza colore, e senza stelle, ma
<lb/>non è già vero, ne lo dicono i filosofi, ne i Teologi, ne gli Astrologi, 
<lb/>eziandio, che l'ottauo cielo non sia penetrabile dalla vista.
<lb/>E intendasi sanamente penetrabile, perche non dico, che la vision
<lb/>si faccia, mediante i raggi visuali. Ecco il Vallesio.
<lb/>Sol non illustrat totum ortem, sed eam solum partem, quæ motui subiecta esi, nam 
<lb/>quandoquidem in quarto orte situs est,  subtantque 
<lb/>illi tres tantum, suberstant vero, plures: 
<lb/>siquidem planetarum alij tres insuperque
<lb/>sellatus, &amp; nona sphera, atque, qui his superstant, tanto sunt crassiores, quantò sublimiores, constat solis splendorem non possa sedem 
<lb/>Beatorum attingere, aut adeò languidum, vt
<lb/>illa futura esset obscura. E San Tommaso dice. 
<lb/>Sed quia corpus firmamenti, et si sit solidum, 
<lb/>est tamen diaphanum, quod lumen non impedit,
<lb/>vt patet per hoc, quia lumen stellarum 
<lb/>videmus non obstantibus medijs Cœlis. 
<pb n= "91 verso"/>  
<lb/>é cosi dicono i suoi comentatori. San Buonauentura afferma, il
<lb/>Cielo acqueo esser tale appellato, perche le proprietà dell'acqua
<lb/>ritiene, tra le quali, dic'egli, è l'esser recettino del lume, perche
<lb/>è trasparente. E adunque il Cielo alla vista penetrabil di maniera, 
<lb/>che le spezie delle stelle, che fossero sopra il firmamento, si
<lb/>posson diffondere, e trapassare alla nostra vista, come di fatto si
<lb/>vede accadere. Ma per finirla, quanto all'Empireo ancora, se fosse 
<lb/>uero, che i raggi, e lo splendor non penetrassero lo stellato cielo, 
<lb/>e che fosse non pur comune, come voi dite, ma almeno di pochi, 
<lb/>e probabil cotal'opinione; a che fin tutti gli scolastici metterebbono 
<lb/>in question, come possa star, che il Cielo Empireo
<lb/>sia così lucente, attesoche noi non ueggiamo il suo splendore ?
<lb/>Non è però chi risponda trà i famosi, che ciò addiuenga, perche
<lb/>il cielo stellato dalla vista impenetrabil sia; ma per le ragioni, che
<lb/>adduce l'Angelico dottor, come sopra ho mostrato, nel dicorso.
<lb/>Paru'egli ancor, che sia leuato quel peluzzo, nel qual uoi confidauate 
<lb/>tanto ? Restaci altro da dire? E auuertite, che io, se bene affermo, 
<lb/>che il cielo stellato è penetrabil da raggi del Sole, per questo 
<lb/>non determino quanto in suso essi raggi si estendano; non per
<lb/>l'impedimento, che faccia loro il corpo celeste, ma perche, per
<lb/>l'impotenza di essi raggi, è la distanza lor terminata.
<lb/>C. Sicome adunque è cosa da non credersi, che essendo 
<lb/>u.g. di mezo tra gli occhi miei, e l oggetto visibile 
<lb/>vna gran marauiglia, per vsar qual si sia
<lb/>più perfetta sorte d'occhiali, che à Murano in
<lb/>Venetia, ò altro luogo si fabricassero, io auessi à
<lb/>potere scorger cotale oggetto separato, cosi appo
<lb/>di me e medesimamente cosa ridicolosa, che non
<lb/>leuandosi prima lo’ mpedimento dell'ottaua sfera
<lb/>non altrimenti, che vna grossa muraglia penetrabile 
<lb/>alla vista, per virtù di certi occhiali, i
<lb/>quali quì appresso in considerazione appartata
<lb/>mi riserbo à dichiarare, nell’apparizion della stella,
<lb/>trasposti per lo mouimento del cielo Cristallino
<pb n= "92 recto"/>  
<lb/>fra quella, e gli occhi nostri, si sia potuto la veduta 
<lb/>di cosi bel lume à noi mortali cagionare.
<lb/>R. Hor che noi habbiamo leuata quella sottil tella di ragno, che à
<lb/>voi pareua vn muro ben grosso, se non vi dispiacerà metterui i miei
<lb/>nuoui occhiali, vederete, che per essere di più bello artificio,
<lb/>che non pensauate, essi vi mostreranno, ponendoueli sopra gli
<lb/>occhi (se però il vostro naso n'e capace) le stelle del Primomobile. 
<lb/>Ma perche vi fidate tanto in quegli, che vi fanno trauedere, 
<lb/>e penetrar di là dal Mondo, di qui e, che non volete sentir
<lb/>parlar de miei, non che veder con essi. Sappete quali sono i vostri
<lb/>occhiali? Quegli, di cui disse vn faceto giouane, che sentendo in
<lb/>vn cerchio di letterati domandar, che fosse più a proposito per
<lb/>veder lume bene, ed essendo risposto, il finocchio: soggiunse, io
<lb/>hò sempre creduto, che l'Inuidia auanzi qual si voglia sorte
<lb/>di rimedio, ò d'occhiali per veder di là da i monti. Horaper ueder 
<lb/>la nuoua stella, questi occhiali Signor Mauri, non so no il
<lb/>caso vostro, perche non uagliono ad altro, che a cercar di vedere
<lb/>i difetti altrui, ben che minimi; e nella mia stella non è magagna.
<lb/>Quì reputo, Sig. lettori, esser molto acconcio luogo, per rispondere 
<lb/>a vna dubitazion d'un Padre teologo; ed è questa, che dice non hauer 
<lb/>del uerisimile, che nel Primomobili siano stelle, attesoche la
<lb/>Scrittura Sacra non ne fa menzione, e che par conueneuol, che
<lb/>noi altri cattolici dobbiamo accomodar le materie filosofiche al
<lb/>la Scrittura Sacra, massimamente io, che hò detto di conformar la
<lb/>mia opinion con la Teologia. Ma si risponde, che, se ben l'argomentar 
<lb/>per negatiua, non rileua cosa ueruna, dicendo egli, che, se
<lb/>la Scrittura non fa menzion, che stelle sian nel Primo mobile,
<lb/>bisogna, che non uene siano; nulladimeno, assai si conforman
<lb/>con la Scrittura quelli, che trattan materie filosofiche non repugnanti 
<lb/>alla fede Cattolica, ne discordanti con la Scrittura;
<lb/>che perciò sono state uarie l'opinion de’ Teologi, circa le parole
<lb/>della Genesi, di quel che si debba intender per Firmamento, in
<lb/>cui ella dice esser le stelle; si che non pochi hanno affermato douersi 
<lb/>pigliar per Firmamento tutto il cielo insieme senza distinzion 
<lb/>di sfere. Onde secondo tal sentenza le stelle del Primo mobile 
<lb/>si potranno dire esser nel Firmamento conforme alla Scrittura. 
<lb/>E a dirne il uero questa esposizione è ragioneuole molto, perche, 
<lb/>chi non sà, che non tutte le stelle son nell'ottauo Cielo, che altri
<lb/>intendon per Firmamento? La Luna, il Sole di cui la Scritura dice
<lb/>Vt luceant in Firmamento, &amp; illuminent terram;
<lb/>son l'una nel primo cielo, e l'altro nel quarto. Ma, condedendosi,
<pb n= "92 verso"/>  
<lb/>che per Firmamento si douesse intender l'ottauo cielo, o l'aria come 
<lb/>altri uogliono, dico non esser necessario, che, se la Scrittura
<lb/>non ha fatto menzion di stelle fuor dell'ottauo cielo, preso per Firmamento, 
<lb/>egli non si possa dir, che anche in altri cieli ne siano;
<lb/>poiche, quel che è da essa Scrittura taciuto, o detto implicitamente, 
<lb/>non è inconueneuole, che altri affermi, e dichiari, come è ma
<lb/>manifesto de’ Pianeti, i quali sono stati taciuti, perche son compresi 
<lb/>nel Firmamento, inteso per tutti i cieli insieme, poiche essi
<lb/>pianeti non son nell'ottauo cielo. Ma perche, essendo stelle anch'essi,
<lb/>come la Luna, e il Sole, furon presi con un sol nome, massimamente 
<lb/>essendo ancor tutte a un fine ordinate, sotto le quali ragioni
<lb/>si ritrouan anco le stelle del Primo mobile, e perciò benissimo
<lb/>mi son conformato con la Scrittura, non sendo marauiglia, che
<lb/>elle sian da essa state taciute, posciache ha taciuto i pianeti, che
<lb/>pure son molto più uisibili, che le stelle del Primo mobile, delle
<lb/>quali pochissime si son vedute in lunghissimi tempi. Ne si dica,
<lb/>che le stelle del Primo mobile non seruon, ne sono ordinate al medesimio 
<lb/>fin della Luna, e del Sol, come gli altri pianeti; essendo,
<lb/>che elle non illuminan come il Sole, e la Luna; perciòche io risponderò, 
<lb/>che, in proposito nostro, due sono i fini delle stelle;
<lb/>l'uno d'illuminare, e questo al Sole, e alla Luna propriamente
<lb/>s'aspetta secondo la Scrittura, l'altro d'influire; e questo conuiene 
<lb/>a tutte, tanto a i pianeti, e le stelle del Firmamento, quanto alle 
<lb/>stelle del Primo mobile. E se pur volessimo, che anche l'illuminazion 
<lb/>douesse conuenire alle stelle, almeno secondariamente; 
<lb/>chi dirà, che l'apparite stelle non lucessero quanto i principali
<lb/>pianeti Venere, Marte, e Gioue? 
<lb/>Discorso. Si ancora perche il moto di quello è semplicissimo, velocissimo 
<lb/>è regola di qualunque altra mutatione. Tutte prerogatiue, 
<lb/>che al nouero quasi infinito di quelle stelle appartengono, 
<lb/>in cui risiede la virtù ualidissima all'operar di esso cielo, come 
<lb/>parti di gran lunga più eccellenti, che tutto il rimaso di quello 
<lb/>non è. Quindi è che, il Primo mobile di tante stelle adorno
<lb/>essendo, la nuoua stella, e qualunque altra delle mentouate 
<lb/>di sopra, da altro Cielo, che da esso a gli occhi nostri apparite 
<lb/>non sono.
<lb/>Considerazione XXXVII Anzi per esser egli
<lb/>semplice, veloce, e regola de gl'altri è necessario
<lb/>come dice Alberto Magno, che per non confessar 
<lb/>la cagione difforme dall'effetto, il cielo à cui
<pb n= "93 recto"/>  
<lb/>è attribuito quel moto, sia semplice vniforme, e 
<lb/>per tutto, quantunque meno dell'Empireo, lucido,
<lb/>è risplendente.
<lb/>Risposta. Che vna medesima causa produca diuersi effetti, rispetto la
<lb/>disposizion del subbietto in cui ell'opera, appo gli intelligenti non
<lb/>sene dubita. Oltre acciò, secondo i diuersi modi di considerar
<lb/>la medesima causa, può dirsi, che vniforme, e multiforme sia, come 
<lb/>si è prouato di sopra. Ma perche non hauete prouato l'intento
<lb/>vostro, non occorrera, che perdiamo più tempo, poi che il nostro 
<lb/>si è manifestato a bastanza per con chiuder la verità de'nostri
<lb/>proponimenti: ricordandoui pure, che Alberto non è contrario
<lb/>ad Aristotele, se ben pare a voi. Scriuono i naturali, che nell'Indie, 
<lb/>doue nascono gli Vnicorni, l'acque patiscono assai di ueleno: 
<lb/>onde niuno animale è, che ber ne uoglia fin tanto, che l'unicorno 
<lb/>non leua di quelle il contagio, tuffandoui il corno dentro. 
<lb/>Il pelago della filosofia è stato da capricciosi filosofastri tutto 
<lb/>infettato, per la mala intelligenza: è però chi non beue di quella 
<lb/>parte, doue l'unicorno Aristotele, per esser unico, ha beuuto
<lb/>prima, si auuelena di corrota filosofia, come hauete fatto uoi.
<lb/>Discorso. Ma, che non molte, ne molto souente habbian fatto di
<lb/>se nuoua mostra, ciò addiuenuto è, perche egli hauuto hà di mestieri,
<lb/>che alcuna parte del cielo Cristallino, a quello immediatamente
<lb/>sottoposto, alquanto più densa, traponendosi alla vista de
<lb/>riguardanti, e all’ apparita stella, la veduta di essa cagioni.
<lb/>Considerazione XXXVIII. E di nuouo apparita
<lb/>questa stella (dice il Colombo) perche una
<lb/>delle parti del ciel Cristallino alquanto più densa 
<lb/>à guisa d'occhiali, i quali maggior l’oggetto
<lb/>visibile rappresentano, s’e interposta alla vista
<lb/>nostra, e alla nuoua stella. E questa sua opinione 
<lb/>la conferma dal non saper egli render’ altra 
<lb/>ragione, perche finalmente ella sia mancata, 
<lb/>e sparita, che questo denso, cioè questi occhiali, 
<lb/>de quali manchiamo, ogni volta, che il cristallino,
<pb n= "93 verso"/>  
<lb/>per lo suo mouimento gli ci toglie dauanti 
<lb/>à gli occhi. Quasi, che voglia dire. Io
<lb/>che infallibilmente so l'ultime cagioni degli effetti naturali, 
<lb/>considerando soura l'apparizione, 
<lb/>e mancamento di cotale stella, ne ritrouando 
<lb/>altra cagion proporzionata, à quella, e à questo, 
<lb/>che l'abbondanza, e mancanza d'occhiali, 
<lb/>è necessario per conseguenza, che questi sieno
<lb/>loro la cagione di simili effetti. Conciosiacosache 
<lb/>se altra ragione più conueneuole sene fosse potuto 
<lb/>addurre, senza fallo à me sarebbe caduta in
<lb/>pensiero.
<lb/>Risposta. Saggio voi, che per non hauer di questi ribrezi, ancora
<lb/>hauete a pensar di risoluer, qual volete, d'intorno a ciò, elegger
<lb/>per vostro parere; e finalmente, dopo molto cercare senza ritrouar 
<lb/>nulla, hauete deliberato, lasciarui pensare ad altri, per non ci
<lb/>intisichir dentro affatto.
<lb/>C. Confermazion di vero, laquale (oltre all'esserci 
<lb/>ancora in istampa vn'opinione dirittamente 
<lb/>opposta, cioè, che per la interposizion di maggior 
<lb/>rarità, non densità si sia fatta vedere cotale 
<lb/>stella) la quale, dico, per esser solo fondata
<lb/>nell'autorità propria, da non si stimare forse 
<lb/>niente da quegli, i quali non conoscendo la fama,
<lb/>e’l valor del Colombo, richieggono migliori; e
<lb/>più stabili fondamenti alle loro conclusioni.
<lb/>R. Perch'io sò, esser vero, che solo, chi è di torto appetito, vuol,
<lb/>nel ber, più la bonta del paese, che quella del vino, come, se non
<lb/>il vino, ma il paese a bere hauesse, non hò timor di non darui
<lb/>sodisfazione, comeche a gli huomini di sana dottrina bastin le
<pb n= "94 recto"/>  
<lb/>ragioni, e l'Astronomica autorità, quanto alle stelle del Primomobile;
<lb/>e'l raro, e denso, ritrouarsi nel cielo: oltreche son confermare 
<lb/>da grauissimi scrittori. Ma quanto all'esser tal densita nel Cristallino, 
<lb/>e che ella cagioni la veduta di tale stella e la stella esser nel Primomobile  medesimamente, per
<lb/>che non debbon loro aggradir più le ragioni conuincenti, e ben 
<lb/>fondate nella vera filosofia, e astronomia, che il solo fondamento 
<lb/>dell'autorita di nobile scrittor, che il dica? Basterebbeu'egli, 
<lb/>che Alpestrago Astrologo eccellente dicesse, che nel ciel son 
<lb/>tuttauia nuoui moti da conoscere, ilche essendo, vi possono esser
<lb/>ancor nuoue stelle, enuoui corpi, come afferma eziandio. Fauorino 
<lb/>filosofo, appo Gellio, nella sua, orazion contra i Genetliaci? 
<lb/>Nò, perche non dicon perciò, che vene sia niuna. Leggete 
<lb/>adunque il famoso Francesco Vallesio, de Sacra Philosofia,
<lb/>che dice cosi: Censeo stellam illam à mundi
<lb/>principio , ibidem  extitisse, [Parlando di quella
<lb/>della Cassiopea, che è il medesimo, che se dicesse di questa]
<lb/>Ac nunc extare exiguam adeo, vt videri, nisi 
<lb/>debiliter, non possit: tuncque visam esse increscere 
<lb/>usque ad primam magnitudinem ob aliquam 
<lb/>medij mutationem: quæ tandiu durauit:
<lb/>cum enim cœli partes non sint æquè crasæ, vt
<lb/>via Lactea, &amp; Lunae maculae, &amp; ipsa astra
<lb/>indicant, fieri potuit, vt ea stella, per proprium
<lb/>stelliferi motum, incideret in partem aliquam
<lb/>proximi cœli, densiorem reliquis per quam
<lb/>densatum lumen, maioris stellæ exhiberet speciem,
<lb/>deinceps vero inde decedens, videretur esse minor, 
<lb/>vt nune quidem, aliquando videtur exigua, 
<lb/>aliquando nulla, vi aer habet 
<lb/>Eccoui tolto ogni speranza di contradire. Direte voi forse, che, ne 
<lb/>anche l'autorità di cotale huomo basti? Egli aggiugne eziandio,
<lb/>che quegli, che negasse cotale stella esser di quelle create da principio, 
<lb/>sarebbe degno di riprensione, parlando contro la Sacra
<pb n= "94 verso"/>  
<lb/>Scrittura. Imperoche ne seguiterebbe, dic’egli.
<lb/>Quod non esset perfectus omnis ornatus cœlorum 
<lb/>E perche è veduta, e poi è sparita cotale stella , Bisognerebbe 
<lb/>dir, che Iddio l'hauesse creata, e annichilata contro il
<lb/>detto, nel capo, Dell’Eccles. dicente, Omnia opera Dei
<lb/>perseuerant in perpetuum. Vagliami almeno, per
<lb/>tanto, appo voi, l'autorità di tant'huomo, che io mi possa far lecito 
<lb/>con ragioni efficacissime, poi che nol fece egli, per non lo
<lb/>ricercare il concetto, e la materia, di che egli ragionaua; di hauer 
<lb/>dichiarato il luogo della densità, e della stella, non potere
<lb/>in maniera veruna esser altroue, che l'vna nel Cristallino, e l'altra
<lb/>nel Primo mobile, come si vede nel discorso, ne voi hauete saputo 
<lb/>conuincere in contrario; posciache non v’aggrada concedere
<lb/>à me solo tutta l'iuenzione. E da esso Vallesio si caua, che al Primo mobile
<lb/> haurebbe attribuito tale stella, poiche reputa inconueneuol 
<lb/>dir, che quel ciel non habbia luce: e questo dice, poco 
<lb/>dopo nel medesimo capo, affermando, che il Sole illumina sino 
<lb/>al Cristallino cielo; e soggiugne. Atque qui his superstant,
<lb/>tantò sunt crassiores, quantò sublimiores, constat 
<lb/>Solis splendorem non posse sedem Beatorum
<lb/>attingere, aut adeò languidum,vt illa futura esset
<lb/>obscura; quia cum corpus luminus susceptiuum
<lb/>sit, esset in tenebris, si lumine careret. quid magis 
<lb/>absurdum? Hora il medesimodee dirsi del Primo mobile, poiche,
<lb/>ò non ui arriua, ò debolmente il raggio solare, secondo questo
<lb/>autore, e altri. Circa quel vostro Gio. Heckio, di cui dite il
<lb/>parere essere opposto al nostro, atteso, che tien, che la maggior
<lb/>rarità, e non densita sia cagion della veduta di tale stella; perche
<lb/>mi vò imaginando, che gli crediate meno, che à mè, non facendo
<lb/>menzione alcuna delle sue ragioni, io non istarò a pigliar briga 
<lb/>di vederlo, non mi occorrendo. Ma, per dir qualche cosa, e
<lb/>mostrar, che simile opinione, hà poco del rationeuole, e che, 
<lb/>per non cadere in molti errori, egli dourebbe conceder, secondo 
<lb/>il nostro parere, cotale stella esser nel Primo mobile, e mediante 
<lb/>quella densità apparira; non è egli manifesto, che, se l'apparita 
<lb/>stella fosse tra l'altre dell'ottauo cielo, douendosi veder, mediante
<pb n= "95 recto"/>  
<lb/>maggior rarità d'una parte del ciel sotto posto, niuna altra
<lb/>stella veder si potrebbe, per esser ricoperte dal rimaso del cielo, 
<lb/>che le occuperebbe con la sua densezza? E se pur volessimo,
<lb/>che la detta rarità, situata fosse nell'ottaua sfera; chi mai direbbe,
<lb/>che la stella apparita facesse dimoranza nel Cristallino cielo, per
<lb/>contraddire a tutti gli scrittor Sacri, e profani? Oltreche voi
<lb/>non concedereste, che vna stella di tanta grandezza potesse a gli
<lb/>occhi nostri occultarsi da quel cielo, se, come hauete dimostrato,
<lb/>per matematica ragione, ella fin dal Primo mobile veduta si sarebbe, 
<lb/>quantunque io v'habbia reso vano l'argomento, rispetto al mio
<lb/>concetto per ragion della densita, che maggiori fa apparir le cose,
<lb/>che elle diuero non sono, come appresso vedrete. Cosa, che non
<lb/>proua la rarità. conciossiache la stella si rappresenterebbe per
<lb/>quella gran fenestra senza alterazion della sua stessa grandezza,
<lb/>non altramente, che l'altre si facciano. Non s'è ancor prouato,
<lb/>che le parti dello stellato cielo, doue stelle non sono, son tutte
<lb/>rare, penetrabili, fuor che la Galassia? Sì: adunque sempre si rappresenterebbe 
<lb/>tale stella, pur che sopra di altra stella non si ritrouasse, 
<lb/>per esser molte, e spesse le parti rare, e senza stelle di quel
<lb/>cielo. Aggiungansi a queste ragion tutte quelle, che dette si son
<lb/>nel discorso, per prouar, che la densità, e la stella, non poteuano 
<lb/>essere altroue, che ne’ luoghi detti; attesoche la medesima ragion 
<lb/>della densità vale della rarità ancora.
<lb/>C. Adunque per comune soddisfazione, andremo 
<lb/>passo passo, di considerazione in considerazione.
<lb/>R. E sì par ben, che ven'andiate in considerazione, poiche non annodate 
<lb/>nulla. Eh finitola ormai? 
<lb/>C. Discorrendo della nuoua inuenzione di questi
<lb/>occhiali, accioche, ò la bontà, ò l'inconuenettolezza, 
<lb/>e falsità loro venga con ragioni manifestissime 
<lb/>palesata.
<lb/>R. Io mi marauglio che voi, non approuiate alla libera questa sorte 
<lb/>d'occhiali, che fanno trauedere; conciosiache ogni semplice
<lb/>huomo affermerebbe, che gli haueste tenuti attaccati al naso, per
<lb/>tutto quel tempo, che perduto hauete in compor questa leggenda.
<lb/>Discorso. Che per sè medesima, senza quel mezo più denso, che
<lb/>maggior l'oggetto visibile rappresenta, non hauria potuto altramente
<pb n= "95 verso"/>  
<lb/>farsi ueder, mediante la distanza lunghissima, che dalla terra 
<lb/>à quel ciel si ritroua. -
<lb/>Considerazione XXXIX. Come si è di già accennato 
<lb/>nella considerazione 36. basterebbe, per
<lb/>atterrare alla bella prima il nuouo pensier del
<lb/>nostro Colombo, addurre senza cotanti argomenti 
<lb/>l'impenetrabilità al vedere dell'ottauo cielo, come 
<lb/>cosa certa, e infallibile. 
<lb/>Risposta. Se, nella considerazion, da voi mentouata, io sbarbai
<lb/>quel fatato capello, che vi faceua cosi pertinace; in questa presente 
<lb/>auuertite, che la vostra ghia tanza d'arriuar tanto insuso,
<lb/>non vi faccia come l'Aquila alla Testudine, che la porta in grande 
<lb/>altezza, per maggior precipizio: perche s'io non son forte ingannato,
<lb/>n'hauete a riportare il medesimo honore.
<lb/>C. Ma perche la quistione cosi sarebbe molto breue,
<lb/>e pur ueggo alcuni, che mostrano di desiderar queste 
<lb/>vconsiderazioni, alquanto più lunghe.
<lb/>R. Sig. nò, più sugose, e cosi v'attereste al consiglio di Plinio, di Collumella, 
<lb/>e di Virgilio, [minus serore, &amp; melius arare] cioè dir
<lb/>meglio, e manco. 
<lb/>C. Dò parola all'autore, che di questa sua opinione 
<lb/>disputando, non mi son mai per seruire nel
<lb/>ributtarla di simili strumenti veramente ineuitabili.
<lb/>R. Se, doue gli strumenti, e armi ineuitabili adoperato hauete, non
<lb/>vi è toccato pure à dir galizia, pensi ciascun com'ella vi andra per
<lb/>l'auuenire, stancato di forze, e con armi più deboli.
<lb/>C. Dato adunque, che l’ottauo cielo sia tutto diafano, 
<lb/>e trasparente, niego primieramente, che se
<lb/>il Primomobile è adorno di tante stelle, quanto
<lb/>lo stellato, la distanza di quel cielo dalla terra,
<lb/>possa ella esser cagion basteuole à torcele tutte 
<pb n= "96 recto"/>  
<lb/>di vista, e in particolare la nostra nuouamente
<lb/>apparita, laquale è annouerata da voi medesimo
<lb/>tra quelle della prima grandeza.
<lb/>R. Sì rappresentata da quegli occhiali, che non istanno bene al vostro 
<lb/>naso, e perciò, nel discorso posto sopra la considerazion 53.
<lb/>ancor dissi, [che la spezie luminosa di quelle, assai maggior rappresentando, 
<lb/>in sembianza delle prime stelle a gli occhi nostri,] Perche 
<lb/>non crediate già, che io tenga, ne è necessario, che le stelle
<lb/>del Primo mobile debbiano esser simili, ò forse maggiori di
<lb/>quelle dell'ottauo cielo; ma reputo ben, che le maggiori veder non
<lb/>si possano in tanta lontananza, senza quel mezo della densità,
<lb/>che maggiori le rappresenta. Volete veder, che non è necessario? 
<lb/>Mercurio, che è in vn ciel supremo alla Luna, è minor di
<lb/>quella cent’ottanta volte, e Venere trentaquattro in circa: il
<lb/>Sol contien cento sessanzei volte, e tanto la terra, quantunque 
<lb/>sia in un cielo inferiore a Marte, che solamente vna volta,
<lb/> e mezo comprende la medesima grandezza della terra. E acciòche 
<lb/>uoi non pensaste, che solamente la Luna, e’l Sol variassero 
<lb/>quest'ordine con gli altri pianeti; Gioue, ben che inferiore, vn
<lb/>cielo a Saturno; ad ogni modo nouantacinque uolte, e quegli nouantuna 
<lb/>la terra stessa contiene, e un certo che più, che non rileua 
<lb/>dir l'appunto. Anziche nel medesimo cielo stellato, non si
<lb/>scorge ordine di grandezza tra l'vna stella, e l'altra, ma confusamente 
<lb/>sparte son per tutto quel cielo, non serbando regola da noi
<lb/>conoscibile nella situazion loro, circa la grandezza.
<lb/>C. Conciosiache ogni oggetto visibile, auendo una
<lb/>certa lungheza di distanza, oltre alla quale, come
<lb/>si dimostra nell'Ottica, egli diuiene inusibile, 
<lb/>vi domanderò, quanto voi pensate, che sia
<lb/>la grosseza del ciel Christallino. E per conseguenza, 
<lb/>quanto sia la nuoua stella lontana da 
<lb/>noi più di quelle del firmamento; sò al sicuro,
<lb/>che se voi credeste poterlo dire senza repugnanza 
<lb/>di verisimilitudine, volentieri affermereste, 
<lb/>che quel cielo fosse grosso, quanto insie-
<pb n= "96 verso"/>  
<lb/>me le sfere dell'aria, del fuoco, e de sette pianeti
<lb/>col firmamento, come quegli, che per ciò vi dareste 
<lb/>ad intendere poter dir poi con ragione, per
<lb/>esser quell'ultimo cielo il doppio più lontano dell'ottauo, 
<lb/>che un niun modo e credibile, che per
<lb/>mezo di cosi smisurato interuallo, la si potesse
<lb/>da noi vedere senza la’nterposizione di quella
<lb/>spessata parte del Cristallino.
<lb/>R. Signor Alimberto, non ui affaticate più, che a mè non abbisognano 
<lb/>queste premesse, perche io rispondo il medesimo, che dissi
<lb/>testè, cioè, che tale è la grossezza del Cristallino, e la lontananga 
<lb/>della stella apparita, qual basta a far, che, senza la densità di mezo, 
<lb/>noi vederla non potremmo, come di vero accade, poiche
<lb/>prima non si è veduta. Non doueuate metterui già voi a ricercar, 
<lb/>se tanta, ò quanta douea esser la distanza, e grossezza de cieli, 
<lb/>che fra la stella, e la densità, e gli occhi nostri si ritroua, non
<lb/>sapendo prima la grandezza delle stelle del Primo mobile, massimamente 
<lb/>della apparita di nuouo, perche ogni fatica è vana, se
<lb/>non sapete calcular prima ta grandezza. Ne poteuate, per argomentarmi 
<lb/>contro supporla dalle mie parole, come vorreste far,
<lb/>dicendo, che io le reputo della grandezza, prima di quelle del Firmamento; 
<lb/>imperoche, se ho detto, che elle son della prima grandezza, 
<lb/>egli si dee intender di quelle del Primo mobile, doue elle 
<lb/>sono, e non d'vn'altro cielo: la qual grandezza e tale, che non
<lb/>può condur la sua spezie visibile a'nostri occhi, senza quel mezo
<lb/>della densita del Cristallino. Ma poi che, per non sapersi, come
<lb/>situata, e quanto grossa sia la densita, e da questa anche inuestigar
<lb/>la grandezza della stella; non fa mestier calculare ancor la grossezza 
<lb/>del Cristallino, per trouar, se è vero, che tale stella vedere, 
<lb/>o non veder si possa. Pur, se a voi non ne bastasse la vista, e
<lb/>desideraste di saperlo; e del Primomobile altresi, con la sua lontananza, 
<lb/>vi dico, che secondo alcuni, potete suppor, che il Primomobile 
<lb/>sia lontan da noi nouecento, e nouautanoue milioni, e -
<lb/>nouecento, e nouantanoue mila miglia, e cinquecento : e di
<lb/>grossezza, due migliaia di milioni di miglia. Il Cristallino vogliono 
<lb/>esser di grossezza, poiche della lontananza si disse nel discorso; 
<lb/>migliaia vno di milioni, e dugento milion di miglia.
<lb/>Ma che rileua questo? Quì non si posson fondare i vostri argomenti,
<pb n= "97 recto"/>  
<lb/>per esser non reale, ma apparente la grandezza di quella stella.
<lb/>C. Ma siaui concesso pure, che non solo vna volta
<lb/>ma quattro volte più ancora (vengo a concederui
<lb/> cose quasi impossibili, per maggiormente 
<lb/>manifestare la falsità delle vostre inuenzioni) 
<lb/>sia lontana con quel cielo cotale stella,
<lb/>che ad ogni modo, se per ora lo stimeremo grande 
<lb/>quanto quelle della prima classe del firmamento,
<lb/>quantunque io sia più abbasso per prouare,
<lb/>che ella dee esser tenuta di quelle molto
<lb/>maggiore, indubitatamente senza tanti occhiali, 
<lb/>noi ancora lo vedremmo, si come molte, 
<lb/>ne veggiamo di quelle del firmamento.
<lb/>R. Di grazia questa finta cortesia del concedere acciò, che ella ritorni 
<lb/>in vostro prò, non vogliate vsarlami contra mia voglia:
<lb/>percioche per mè, non bisogna, e per voi pensate pure ad altro.
<lb/>Il fatto stà, che tutto l'inganno vostro, circa la grandezza di essa 
<lb/>stella, nasce da que maladetti occhiali. Chiara cosa è, che
<lb/>molte stelle del Firmamento non si veggono, e nulladimeno è
<lb/>di gran lunga più vicino a noi, che non è'l Primomobile. E
<lb/>quando l'aria è vaporosa, perche fa l'effetto di quegli occhiali,
<lb/>più stelle nel Firmamento, e più scintillanti appaiono, si come,
<lb/>se quelle stelle, che iui non si veggono, fossero nel ciel di Saturno, 
<lb/>per la maggior vicinità, si scorgeriano.
<lb/>C. Imperocche, se un’ oggetto, ilguale è maggior del
<lb/>la terra 107. volte, come son le stelle della prima 
<lb/>grandezza.
<lb/>R. Perche voi fate profession di buono astronomo, come di filosofo, 
<lb/>non posso non ricordarui, che egli comprende 107 volte la
<lb/>la terra, ma non è già maggior tante uolte. -
<lb/>C. Per esser lontano 130715000. di miglia, mi
<lb/>si mostra sotto l'angolo di dieci primi scrupuli,
<pb n= "97 verso"/>  
<lb/>vn'altro visibile oggetto egualmente grande, ma
<lb/>quattro uolte più lontano da noi, cioè 653575000
<lb/>di miglia mi apparirà, come vogliono le proporzioni, 
<lb/>sotto l'angolo di due primi scrupuli: ilquale 
<lb/>angolo è proporzionato anch'egli al vedere, 
<lb/>poiche non solo le stelle della quinta grandeza, 
<lb/>le quali anno due scrupuli di diametro apparente; 
<lb/>ma le stelle ancora della sesta, nel firmamento 
<lb/>si veggono, quantunque il lor diametro 
<lb/>sia solamente d'un primo scrupulo.
<lb/>R. Ma ponete cotali stelle nel Primomobile, elle non si vedranno
<lb/>per non hauer tanto diametro, che possa cagionare angolo proporzionato 
<lb/>al vedere; per non istare à riuederui il conto di questi
<lb/>calculi, non facendo di mestiere.
<lb/>C. Se adunque questa nuoua stella si ritrouasse,
<lb/>come affermate nel Primomobile, conciosiache
<lb/>la grandeza della cosa veduta apparisce, come
<lb/>hò prouato nella considerazion ventuna, secondo 
<lb/>la grandezza dell'angolo constituito all'occhio, 
<lb/>non ostante la sua lontananza vi sarebbe
<lb/>sempre stata vista da noi, eguale almeno à quelle 
<lb/>della quinta grandezza del Firmamento.
<lb/>R. E perche almeno della quinta grandezza? Non s'è ella ueduta fin
<lb/>della grandezza di Gioue, che 59 volte più di quelle è maggiore?
<lb/>Ma il peggio è; che bisognera, che ui cerchiate chi s'accordi con
<lb/>esso voi, non solamente a dir, che le stelle del Primomobile,
<lb/>eziandio quelle della maggior grandezza, sian tanti scrupuli larghe, 
<lb/>che la piramide lor cagioni angolo atto al uedere; ma conuerra 
<lb/>prouarlo ancora, che io per mè lo nego, non si rapresentando, 
<lb/>per quel mezo della densita, che maggior le fa apparir,
<lb/>come si uede nell'esemplo, che diedi della candela accesa, dietro
<lb/>posta à vna guastada d'acqua. 
<pb n= "98 recto"/>  
<lb/>C. Potendo dir solo per aggiunta (se per fare al
<lb/>vostro ritrouamento buono, qualche cosa in ricompensa 
<lb/>della vostra fatica pensassimo gratificarui) 
<lb/>R. Crediatemi da huomo da bene, che io mi reputo a maggior honor, 
<lb/>che l'opera mia da voi sia biasimata, che se lodata l'haueste,
<lb/>per non esser annouerato tra que’ filosofastri, doue, per vostra
<lb/>testimonianza, siete ancor voi.
<lb/>C. Che ne’ mesi passati alla apparì assai maggiore 
<lb/>di quelle, forse mediante la interposizion,  
<lb/>di quegli occhiali, i quali dite, che maggior 
<lb/>l'oggetto rappresentano.
<lb/>R. E così appoco, appoco, concedendomi finalmente ogni cosa, rimarremo 
<lb/>d'accordo, come che da principio ritroso, e gonfio
<lb/>beffeggiator vi mostraste; perche, dicendo come dic’io , cesserà
<lb/>questa burrasca, la qual'io temeua, che douesse insistolire, stando
<lb/>voi fermo in così folli opinioni. In Atene, per quietar certa
<lb/>nimista popolare, montato in ringhiera vn'orator di mostruosa,
<lb/>e quasi smisurata grossezza, e corpolenza, ma di ingegno sottile,
<lb/>e acuto; vedendo tutto il popol rider della sua deformata; tosto,
<lb/>senza punto turbarsi; di che ridete, disse, o Ateniesi? Forse per
<lb/>ch'io sia così grosso, e panciuto? Sappiate, che io hò moglie assai
<lb/>più di me corpulenta: tuttauia, se siamo d'accordo, vn piccol letto 
<lb/>da alloggio ad amendue; ma in discordia non ci cape tutta la
<lb/>casa. Così potete dir voi Signor Mauri, a’ vostri derisori d'hauer
<lb/>fatto meco. 
<lb/>C. Conchiudiamo adunque, che non la distanza
<lb/>grande di quell’vltimo Cielo dalla superficie
<lb/>della terra doue abitiamo noi, ma si bene la sua
<lb/>mancanza di stelle, habbia cagionato, e cagioni 
<lb/>continuamente, che noi nol vediamo stellato.
<lb/>R. Anziche, per esserne state uedute è necessario confessar, che sia
<lb/>stellato il Primomobile, e che la gran lontananza le ci tolga di
<lb/>vista, quando non si interpon qualche parte di ciel più densa, che
<lb/>le rappresenti assai maggior, che elle non sono; e perciò ne veggiamo
<pb n= "98 verso"/>  
<lb/>cosi di rado, massimemente, douendo rappresentarsi solo
<lb/>le maggiori, che poche, e sparte sono in si spazioso cielo.
<lb/>Ma dite, e direte bene, che per non saper voi col vostro non 
<lb/>mediocre ingegno ritrouar altro modo, come possa star questo
<lb/>fatto, volete negar con la bocca, quel che l'intelletto vinto
<lb/>concede. 
<lb/>C. Poiche non d’vna sola, ma di quindici, delle sue
<lb/>stelle almeno, conciosiacosache voi affermate,
<lb/>che la’ sperienza, e la ragione v’insegna, che di
<lb/>quelle della prima grandeza tante ne contiene
<lb/>il Primomobile, quante ne contiene il firmamento, 
<lb/>senza impedimento alcuno lo douremmo lungo 
<lb/>tempo auer veduto, e ora altresì vedere variato,
<lb/>e adorno.
<lb/>R. Hormai hauete inteso, perche non lo veggiamo: ma non doureste 
<lb/>già testimoniar di me quello, che la mia scrittura altramente 
<lb/>dimostra. Rilegge te vn pò le mie parole, poste per fronte 
<lb/>alla considerazion 42. le quali, per esser grandi come lettere di
<lb/>scatola, doureste pur hauer vedate senza occhiali. Paruiche io
<lb/>affermi il numero delle stelle della maggior grandezza del Primo mobile, 
<lb/>esser di 15. ò d'altro nouero determinato? E che elle 
<lb/>debbiano esser grandi, come quelle del Firmamento ? Ho bene
<lb/>esemplificato, quanto, al numero di quelle del Firmamento. Di
<lb/>maniera, che, se molte più fossero quelle del Primo mobile, ad
<lb/>ogni modo, per esser tanto più spazioso quel corpo supremo, non
<lb/>sariano men distanti fra di loro, che si sian quelle poche del Firmamento 
<lb/>respettiuamente considerate. 
<lb/>C. E in corroborazione; e confermazione di questo 
<lb/>aggiungo ancora, che non solo della quinta 
<lb/>classe ci sarebbero di continuo apparite, le dette
<lb/>quindici stelle della maggior grandeza del Primomobile, 
<lb/>s'elle ui fossero, tra le quali è annorata 
<lb/>nel discorso la di nuouo apparita, ma assai
<lb/>maggiori, e assai più, poiche quelle eziandio della
<pb n= "99 recto"/>  
<lb/>seconda, e terza grandeza in quell'ultimo
<lb/>cielo sarebbero visibili.
<lb/>R. Voi dareste ragioneuolmente nel buono, signor Mauri; se leuandone 
<lb/>tutto il cattiuo, vi si concedesse, che se stelle del Primo
<lb/>mobile fossero della grandeza, che vi imagnate. 
<lb/>C. Ciò cauo da voi medesimo, poiche affermate. che
<lb/>i cieli, che più altamente sono stimati, per posseder 
<lb/>maggiore eccellenza più risplendenti, e stellati 
<lb/>si ritrouano. Il Primo mobile adunque essendo
<lb/>superiore al firmamento e secondo il parer vostro 
<lb/>stellato, contiene, ò più, ò maggiori stelle del
<lb/>firmamento. 
<lb/>R. Da me non potete voi cauare altro, se non quel ch'io vi concedo,-
<lb/>cioè, che egli possa contener più stelle, ma non già maggiori di
<lb/>quelle del Firmamento. Anzi è necessario  che elle non sian
<lb/>tanto grandi, che elle possan vedersi, senza quel mezo della densita; 
<lb/>e questo si caua dall'effetto, che lo ci dimostra, non sene vedendo, 
<lb/>se non vna per volta, e molto di rado: e questo è quanto 
<lb/>dal mio discorso trar ne potete. 
<lb/>C. Imperoche altrimenti a proporzione della sua
<lb/>grandeza, alla grandeza di quello, non sarebbe, 
<lb/>come conuiene, e più nobile, ed eccellente 
<lb/>dell'ottauo cielo, ma più tosto di gran lunga inferiore.
<lb/>R. Signor Mauri, quella voce [regolarmente] picchia la porta della 
<lb/>vostra memoria; però mettetela dentro, e ella vi farà conoscer, 
<lb/>che le stelle, non son necessariamente indizio della maggiore, 
<lb/>o minore eccellenza de’ cieli; e massimamente la grandezza 
<lb/>loro, ne vi douete scordare ancora, che l'eccellenza d’vn
<lb/>ciel superiore non può essere auanzata da qualsiuoglia stella del
<lb/>cielo inferiore, eziandio in quelle parti, doue stelle non sono,
<lb/>poiche son differenti di spezie, come di sopra dimostrai, e, che le
<lb/>stelle non serbano ordine di grandezza in fra di loro, ne anche rispetto
<lb/>all’altezza de’cieli. Voi adunque dalla nobilità maggior di quel
<pb n= "99 verso"/>  
<lb/>ciel non conchiudete di necessità, che maggiori debbano esserle stelle
<lb/>di esso che non son le stelle del Firmamento, se ben dall'effetto si
<lb/>conchiude, che secondo la regola, il Primo mobile sia stellato, e  forse,
<lb/>che in numero elle son molte più di quelle dell'ottauo cielo.
<lb/>C. Il perche, cauandosi da uoi, che cotante stelle si contengano 
<lb/>nel Primo mobile, quante se ne veggono
<lb/>nel firmamento, ne seguirà che, se pari sono di
<lb/>numero, almeno sien maggiori di corpo: onde
<lb/>se u.g. le stelle della primi classe nell'ottauo cielo,
<lb/>anno il lor diametro apparente dieci primi scrupoli, 
<lb/>le stelle altresì della maggior grandezza 
<lb/>nel Primo mobile, quantunque da noi più remote,
<lb/>auranno diametro eguale; poiche la maggior
<lb/>grandeza, laqual conuien che sia proporzionato
<lb/>alla distanza, che tra quei due cieli
<lb/>si ritroua, le ricompensa in quello, che è tolto
<lb/>loro dalla maggior lontananza. Il medesimo
<lb/>dico dell'altre stelle di diuersa grandeza. E
<lb/>perciò tornando al mio proposito, in quella guisa
<lb/>appunto, che è l'Ottauo cielo, con stelle eguali, e
<lb/>di numero, e di forma, auremmo di continuo ueduto, 
<lb/>e per ancora vedremmo, se veramente fosse
<lb/>il Primo mobile stellato.
<lb/>R. Anzi douete meco conchiuder, che il Primo mobil sia non senza 
<lb/>stelle, perche il senso cel'ha dimostrato: e che le sue stelle sian
<lb/>di cotal grandezza, che per vederle abbisogni quella densita sottoposta, 
<lb/>che le ci rappresenti, poiche in altra maniera non si veggono. 
<lb/>Questo è quanto, si caua di qui, e dal discorso ancora, se
<lb/>già, stando pertinace, uoi non faceste, come Diogene, che si staua 
<lb/>in vna meza botte di continuo, e perche i fanciulli hauessero
<lb/>a ridergli dietro maggiormente, badaua pur à dir, che ell'era 
<pb n= "100 recto"/>  
<lb/>vna camera, ne si potea persuadere a confessare in contrerio,
<lb/>C. Ma auertisco quì, che io vorrei che desidera
<lb/>intender perfettamente queste mie proue, le quali 
<lb/>à prima giunta paranno à chi che sia alquanto 
<lb/>difficilette, desse prima vna lettura alla considerazione 
<lb/>21. poiche questa presente in quella
<lb/>hà il suo principal fondamento.
<lb/>R: Ti sò dir’io, che ci vuole una grande attenzione, per capir cosi
<lb/>fatta proua: cosi foss’ella stata a proposito. E ben vero, che a
<lb/>uoi è stata tanto difficile a distender, che, per dubitanza di non
<lb/>esser inteso, vi siete messo a farne stampar sin la figura. Ma 
<lb/>per conchiuder mille in vno, e finir la uostra diceria, cotal dimostrazion
<lb/>non può applicarsi, per prouarne il vostro intento, 
<lb/>se prima non si sapesse, per quella grandezza apparente, quanta la
<lb/>grandezza real fosse. Hora, perche non si sà quanto dalla
<lb/>stella, e come figurata sia la densità; essendo astrologi:
<lb/>che il Cristallino voglion, in luogo di stelle, hauer certi caratteri
<lb/>diuersi, e imagini di parti più dense, da cui prendano impressione 
<lb/>e forza le stelle del firmamento: ne può sapersi, 
<lb/>come situata sia, e in che positura con la stella, detta densità 
<lb/>rappresentante; di quì è, che la vera grandezza della vera stella non
<lb/>si può, per mezo del Planisferio, o dell'Armilla; ò di tauole, ò	
<lb/>altro simile strumento, hauere; ne conseguentemente giudicar
<lb/>poteuate, se ella, per esser d'vna tal grandezza sarebbe stata ueduta
<lb/>da noi senza altro mezo; essendo, che quella non sia la sua real
<lb/>grandezza, ne potendo inuestigarsi altramente. Vadano, per
<lb/>tanto i lettori alla considerazion mentouata, e chiariscansi, che
<lb/>se pur voi ballaste bene, non ballereste già a tempo, ne secondo
<lb/>il suono, per non hauer che far quella grandezza apparente con 
<lb/>la real della stella. 
<lb/>Discorso. Imperoche, se ben gli astrologi non hanno calculato la 
<lb/>sua lontananza, ad ogni modo si può a proporzion del Cristallino 
<lb/>giudicare, secondo gli abbachi loro. Essendo che, cinquecento 
<lb/>nouantanoue milioni, e nouecento nouantacinque mila
<lb/>miglia, e cinquecento, siano da esso Cristallino alla Terra. Come 
<lb/>adunque mai le stelle del Primo mobile, e le maggiori eziandio, 
<lb/>per mezo di così smisutato interuallo veder si potrebbono
<lb/>se intraposta quella spessata parte del vicino ciel non le ci mostrassse,
<lb/>rappresentandole maggiori assai, che elle non sono ? E che
<pb n= "100 verso"/>  
<lb/>egli sia vero abbisognar quel mezo denso, per cagionar la vision
<lb/>di tali stelle, assai manifesto appare. Imperoche, altramente essendo 
<lb/>io non sò veder ragion, perche sempre non si mostrassero
<lb/>altrui; come quelle dello stellato fanno, senza occultarsi già
<lb/>mai. Ma certamente, in cotanto lungo viaggio, quelle spezie,
<lb/>ancor che luminose, suaniscono: e lo ci fa veder l’esperienza,
<lb/>in quelle piccole stelle del Firmamento Nebule appellate. 
<lb/>Considerazione XXXX. Se ne’ cieli, si danno
<lb/>queste proporzioni, per le quali si può saper
<lb/>di tutti la lontananza, dirà chi che sia; e perche
<lb/>non calculo il Signor Colombo, per liberarci
<lb/>di così fatto intrigo, la distanza di questo 
<lb/>suo Primo mobile ? E pur particolarmente
<lb/>lo doueua egli fare, poiche nella lontananza
<lb/>di esso è fondato il suo ritrouamento. 
<lb/>Risposta. Queste calculazion di lontananze, e grossezze, che di
<lb/>vero, dal più al meno, poco al nostro concetto rileuano, contro
<lb/>il creder vostro, consistendo la veduta, è non veduta di tale
<lb/>stella nelle cose dette di sopra, mi parue a proposito lasciarle fare
<lb/>a uoi, o a chi che altro si fosse desideroso di saperle. Ma hora
<lb/>l'ho notate solo perche ueggiate, che quel che toccaua a uoi, per
<lb/>mostrar maggiormente il uostro ualor matematico, adopera il
<lb/>medesimo, che se allor fatto cotal calculo si fosse, cioè niente
<lb/>in prò del nostro argomentare.
<lb/>C. Ma notate, come egli confessa, che questa
<lb/>lontananza si può giudicare solo secondo
<lb/>gli abbachi degli Astrologi, non adunque 
<lb/>secondo i suoi, i quali bisogna, sieno diuerssimi 
<lb/>da quelli, posciache l'Astrologia, nel
<lb/>fin di questo discorso è sì fattamente da lui dispregiata.
<lb/>R. La modestia insegna altrui non appellarsi scientifico, perche
<lb/>saria prosunzione annouerarsi tra gli Astrologi, o Filosofi, e
<pb n= "101 recto"/>  
<lb/>simili e cacciarsi in dozina, dicendo u.g. noi altri Astrologi facciamo, 
<lb/>ec. Ma se pur tenete altramente, fate vn nuouo Galateo, che
<lb/>io v'assicuro, che non vi sarà impugnato da niuno inuidioso. Non
<lb/>hò io mai dispregiata la vera Astrologia, ne i veri Astrologi, come 
<lb/>nel principio, accennai e si dirà nel fine, ma quella turba bugiarda, 
<lb/>che i medesimi Astrologi, vituperano.
<lb/>C. Ma se io l'hò à dire com’io la'ntendo, mi persuado 
<lb/>più tosto, che l'autore non lasciatosi ingannare 
<lb/>da’ Platonici, accorgendosi alla fine, che
<lb/>non in tutti i cieli, ed in particolare nel Cristallino 
<lb/>si ritrouano veramente stelle, e proporzioni 
<lb/>cotali, per le quali si potesse sapere di tutti la
<lb/>lontananza, e la grossezza, da galant’ huomo
<lb/>si risoluesse di non si voler beccare il ceruello in
<lb/>simili calculazioni, come quegli, che gli pareua 
<lb/>di essere mancheuole de’ modi di poterle 
<lb/>fare. 
<lb/>R. Tal biasina altrui che sè stesso condanna.
<lb/>A voi toccherà questa fiata a esserui lasciato menar per lo naso 
<lb/>da i Platonici, poiche, quantunque, secondo il creder vostro, vi
<lb/>fosse di mestier calcular queste lontananze, per mostrar, che elle
<lb/>non potrebbono impedir la veduta di tale stella, non l'hauete 
<lb/>fatto ad ogni modo. Ma, perche, il fare altre calculazion 
<lb/>non fa di mestier, perancora, aspetteremo di vsar la regola del
<lb/>buon Cirugico, che lega il baccio infermo con la fascia, e poi
<lb/>aspetta a pungerla vena, quando è ben gonfiata: e questo addiuerrà, 
<lb/>se mene darete occasion nella replica, dimostrandoui, che
<lb/>non sole sappiam far simili calculazioni; ma gli error delle vostre 
<lb/>non rimarranno senza visita. Platone, e Macrobio, che voi
<lb/>citare in postilla, come volete, che parlassero del Cristallino, o
<lb/>d'altro ciel superiore all'ottaua sfera, se non n'nebbero notizia?
<lb/>Ecco Macrobio. Prima illa stellifera sphæra, quæ
<lb/>proprio nomine Cœlum dicitur, &amp; aplanes
<pb n= "101 verso"/>  
<lb/>apud Græcos vocatur arcens, e continens,
<lb/>cæteras. I.
<lb/>Discorso. Le quali, ò non si veggono, ò mal si ueggono, auuenga
<lb/>che a quelle molto più vicine siano a gli occhi nostri.
<lb/>Considerazione XXXXI. Sono molto più vicine,
<lb/>ma molto più piccole ancora il perche,
<lb/>per quel che si dice nella considerazion 21. questa
<lb/>uostra esperienza non proua niente.
<lb/>Risposta. Il douer voleua, che secondo i vostri presuposti, se ben vi
<lb/>hò mostrato, che son vani, voi cacciaste fuora gli strumenti, che
<lb/>hauete saluati dalle mio maladizion, e che che osseruaste per la minuta 
<lb/>queste differenze tra quelle del Firmamento, e del Primomobile,
<lb/>e non ven’andaste in parole, determinando alla magistrale,
<lb/>quello di che hauete mosso la quistione. E crediate pur, che, se à
<lb/>me fosse stato di bisogno, non l'hauerei passata cosi di leggier,
<lb/>come voi senza annodar nulla.
<lb/>- Discorso. Hora quella densità, che in detto Cristallino si ritroua,
<lb/>può render visibili le stelle della prima grendezza solamente,
<lb/>che nel Primomobile si ritrouano auuenendosi tal volta in esse;
<lb/>le quali; in poco numero essendo, molto di rado apparir possono,
<lb/>come l'esperienza ne'nsegna, e la ragione ancora, poiche di tante,
<lb/>che nello stellato alloggiano; quindici, e non più della maggior
<lb/>magnitudine da gli Astrologi annouerate ne sono.
<lb/>Considerazione XXXXII. Bisogna bene, che questi
<lb/>sien perfetti occhiali à render visibili nel Primomobile 
<lb/>le stelle, che non vi si ritrouano, ma 
<lb/>poiche si è prouato questo Primomobile mancheuole
<lb/>in tutto, e per tutto di lumi. 
<lb/>Risposta. Si, secondo il creder vostro, che hauete cacciato quel 
<lb/>pouero ciel nelle tenebre, come voi, che siete al buio di questa verità.
<lb/>C. E che la sua lontananza non è cagione ella, che
<lb/>non gli perdiam di vista, dato per ora.
<lb/>R. E per sempre con vostra pace, come hauete veduto per le nostre
<lb/>dimostrazioni.
<pb n= "102 recto"/>  
<lb/>C. Che detto cielo ne sia pieno, e che di più, per la
<lb/>sua distanza non si possano senza qualche mezo
<lb/>simile vedere.
<lb/>R. Non vi allargate tanto nel conceder perche vorrete poscia ritirarui, 
<lb/>e non passera senza vergogna vostra.
<lb/>C. Andiamo considerando, se questa densità del
<lb/>Cristallino, possa esser stata cagione.
<lb/>R. Non sapete forse, che la fiorentina fauella, non riceue il fin di niuna
<lb/>voce terminante in R, doue a quella seguisti altra parola, che
<lb/>l'S, con altra consonante habbia a canto?
<lb/>C. E proporzionato mezo à cotale apparizione,
<lb/>ilche conosceremo indubitatemente, se per attribuire 
<lb/>a quella, come vera cagione, simile effetto,
<lb/>non ne risulti impossibile alcuno, ò qualche strauagante inconueneuoleza. 
<lb/>R. Ma, se egli non ne accade veruno inconueniente, voi mi concedete 
<lb/>vinta la disputa è? Seguitate adunque, perche tosto si vedrà,
<lb/>che vi siete data la sentenza contro da voi medesimo, e per esser
<lb/>di consentimento delle parti non vi haurete appello.
<lb/>C. Dico adunque. ò voi volete, che questa densità,
<lb/>ò uoglian dire occhiali cominci à poco, à poco,
<lb/>cioè nelle sue prime parti, essendo molto sottile
<lb/>vadia di mano in mano più ingrossando; ò che
<lb/>ella cominci à un tratto nella sua maggior
<lb/>grosseza.
<lb/>R. Pur ci veniste ancor voi: questo dubbio certamente, non è bamberottolo, 
<lb/>a cui non venga in mente, ne huomo è d'ingegno così
<lb/>dozinale, che non mel'habbia mosso, parendoli, che, perciò al
<lb/>durata, e accrescimento, e mancanza di tale stella arguirne si
<lb/>possa, ingannati dal suppor, che non sia veramente così adiuenuto, 
<lb/>Hora io, che l'antiuidi, tacqui è posta la soluzione, per
<lb/>prouocar chiunque si fosse, accioche io potessi, disputando, apprender 
<lb/>qualche cosa più di questa vostra scienza: ma hò troua-
<pb n= "102 verso"/>  
<lb/>to più tosto lite ingiuriosa, chi gara virtuosa. 
<lb/>C. Qual si voglia delle due opinioni u’ indurrà à
<lb/>manifesti assurdi. Imperoche, se tenete la prima, 
<lb/>la nuoua stella, poiche voi affermate, che 
<lb/>per interporsi parte più grossa, e più spaziosa,
<lb/>ella ancora più spaziosa, e più grande apparisce, 
<lb/>douea vedersi nel’ principio della sua apparizion 
<lb/>molto piccola, poi di giorno in giorno, crescendo 
<lb/>continuamente secondo la grandezza di
<lb/>quella densità alquanto maggiore.
<lb/>R. Dissi nel discorso, in quella particella posta d’inanzi alla considerazione 
<lb/>46 che poteua maggiore, e minore apparire, e sparire affatto,
<lb/>e per più, e manco tempo lasciarsi veder, secondo che più, e men
<lb/>grossa, e spaziosa era quella densità, che a tale stella era sottoposta;
<lb/>e perciò è chiaro, che [più è men grossa, e spaziosa] ha rispetto alle
<lb/>sue parti, e non alla stella; ma quanto al fatto, intorno acciò, niente 
<lb/>affermai comeche adesso, io sia per prouar, che ciò addiuenuto 
<lb/>sia veramente.
<lb/>C. Il che è stato come s’è veduto sensibilmente falsissimo: 
<lb/>Poiche afferma il Padouano, e Gio.
<lb/>Eckio, che ella nel principio apparue nella sua
<lb/>maggior grandezza.
<lb/>R. Il Padouano, perche vuoi, che ella sia generata di nuoto, può
<lb/>senza scandol veruno anche dir, lei essere apparita in vn tartto
<lb/>grande nella sua maggiore apparenza ma egli non douette osseruarla, 
<lb/>poiche non dice hauer ciò fatto, ò non l'osseruò nel suo
<lb/>principio squisitamente; perche, dicendo egli, che appoco appoco 
<lb/>andò scemando nella partenza, par conueneuole ancora, che
<lb/>nella venuta crescer douesse. Onde più si dee credere a Baldassar
<lb/>Capra, il quale afferma hauerla minutissimamente osseruata in
<lb/>Padoua, e più volte, e d'essere stato il primo, come altri matematici 
<lb/>di Padoua concedono; dicendo egli, che il giorno dieci d'Ottobre 
<lb/>1604 vide vna stessa nel colore, e grandezza in tutto
<lb/>simile a Marte; e che, per certa stagion piouosa, fino alli 15. del
<lb/>detto mese, non potendo riuederla, trouò, che era cresciuta fino
<pb n= "103 recto"/>  
<lb/>alla grandezza di Gioue, e più; e mutata ancora assai nel gionial
<lb/>colore. Il Signor Dottor Lorenzini afferma anch'egli, che
<lb/>primieramente piccola appari; quindi di giorno in giorno crescendo 
<lb/>diuenne in apparenza di figura, e di lume superiore a Gioue, 
<lb/>e a qual si voglia delle stelle fisse. E'l Signor Raffael Gualterotti 
<lb/>osseruò, che ella cominciò ad apparir circa a’ noue d'Ottobre, 
<lb/>e che essa nel principio si mostrò piccoletta; poi grandemente 
<lb/>s'accrebbe, e durò fino, che vespertina si mostrò; posca,
<lb/>quando mattutina riappari, si vide diminuita, e impallidita;
<lb/>quindi piccolissima diuenne. Così occorse a quella, che nella 
<lb/>sede della Cassiopea apparue. Hora perche in tal materia
<lb/>vi rapportate al creder di pochi, e io all'esperienza di molti, di
<lb/>poca fede, anzi di niuna dee il vostro parere stimarsi. E come
<lb/>che i miei testimoni non vadano così vniti in tutte le cose, basta
<lb/>che non son contrari, poiche alcuni hanno apertamente detto,
<lb/>quel, che gli altri tacciono, ma che più importa niuno è, che non
<lb/>dica essa stella esser cresciuta, e scemata conforme all'opinion
<lb/>nostra. La ragion conuince il parer del Padouano eziandio:
<lb/>perche, se il Cielo non è corruttibile, come si è apertamente
<lb/>dimostrato, e secondo lui cotale stella è andata scemando bisognera 
<lb/>dir, che ella si sia nascosa, e non annichilata; e conseguentemente, 
<lb/>si come, non in vn tratto è sparita, così non potè
<lb/>subitamente apparire. Conchiudasi per tanto, che, essendo vera
<lb/>stella, &amp; essendo mancata di vedersi appoco, appoco ; ella 
<lb/>alttesi apparita sia non a vn tratto, ma di giorno giorno fattasi
<lb/>maggor, mediante quella densità. Che più: non vi basta il testimon 
<lb/>di voi medesimo? Non dite voi alla considerazion 39. che
<lb/>ne'mesi passati ella appari assai maggiore ? Adunque è cresciuta. 
<lb/>Non dee già apportar marauiglia la diuersità de’ pareri nell'osseruazion 
<lb/>di cotale apparenza. conciosiacosache, nuoue stelle 
<lb/>apparendo nel cielo, e uerisimile molto, che, fin che elle non 
<lb/>son di notabil grandezza, essendoche appariscan fra tante di
<lb/>grandezza diuerse, e spesse, e confusamente sparse, gli astronomi 
<lb/>non l'osseruino, e che quegli prima, e questi poi s'accorga, 
<lb/>che elle apparite vi siano, come è addiuenuto di questa, che
<lb/>tardi è stata considerata non solo, una in diuersi giorni da diuersi
<lb/>Astronomi.
<lb/>C. Se la seconda, il medesimo ne risulta. poiche
<lb/>certo è, che questa densità non si potette interporre 
<lb/>tra la stella, e gli occhi nostri in vn momento,
<pb n= "103 verso"/>  
<lb/>ma con molto tempo, come io prouerrò 
<lb/>più di sotto, per lo tardo mouimento del
<lb/>Cristallino:
<lb/>R. Di grazia non perdete questo tempo a prouar, che ella douesse
<lb/>apparire in lungo tempo, percioehe, noi non discordiamo in
<lb/>questo, ma solamente dal voler voi, che ella sia apparita in vn'istante,
<lb/>e io in tempo, come per l'esperienza osseruat, ae per le ragioni
<lb/>vi hò dimostrato.
<lb/>C. Doueua adunque la stella, nel principio, per
<lb/>esser ingolfata in quella densità parte, e non tutta, 
<lb/>non apparir rotonda, ma in quella guisa, che
<lb/>si vede la Luna infino, che ella non e arriuata
<lb/>alla pienezza. 
<lb/>R. Se la Luna fosse in quel cielo, non solamente ella non apparirebbe 
<lb/>tale, ma eziandio punto non si vedrebbe; e quella stella in
<lb/>cosi gran distanza, massimamente per esser corpo lucido, non 
<lb/>può mai apparire altramente, che rotonda. Perche, non è, egli
<lb/>vero, che vna fiaccola accesa, rimirata di Firenze, per esemplo, sù’l
<lb/>monte Morello, a qualche hora di notte, apparisce rotonda
<lb/>in sembianza di stella? Pensate hor voi quel che parrà quella densità 
<lb/>illuminata, per esser senza comparazion cosi lontana, quantunque
<lb/>grande incomparabilmente sia, rispetto alla detta fiaccola. 
<lb/>Il vostro Vitellione, e tutti i perspettivi dicon, che vna
<lb/>cosa quadra, ò d'altra simil figura veduta da lontano, sferica ci
<lb/>sembra. Oltre, che l'esempio, che voi date della Luna, non è
<lb/>à proposito, non solo per la vicinanza maggiore, ma ancor, per
<lb/>che  non hà quello splendor, che la stella apparira hauea; la qual,
<lb/>per lo maggior lume, che spaziaua più i suoi raggi, e offendeua
<lb/>maggiormente la vista, maggiormente rotonda ci appariua.
<lb/>C. O, se rotonda per la sua lontananza, almeno
<lb/>molto minore, che quando ell'era poi tutta ricoperta 
<lb/>dal denso.
<lb/>R. A questo voi dite bene, e perciò è adiuenuto, come desiderate.
<lb/>C. Le quali cose quanto sieno lontan dal vero, lo
<lb/>può senz'altra testimonianza affermare, chi per
<pb n= "104 recto"/>  
<lb/>alcuna fiata inconsideratamente s’abbatè à rimirarla.
<lb/>R. Voi, che siete di quei tali, che mariuiglia è, che l'abbiate affermato 
<lb/>senz'altra testimoaianza? Ecco, che, ò più sottil nel principio,
<lb/>ò grossa per tutto vgualmente, che fosse quella densità
<lb/>niente rileua in prò del vostro argomentare.
<lb/>C. Dica inoltre, che, se i vostri occhiali. 
<lb/>R. Oh Oh. Questa occhialata comincia a saper di stucco.
<lb/>C. Ci auessero essi cagionato la veduta di cotale 
<lb/>stella, noi non gli auremmo perduti, e perciò
<lb/>auendo al naso simile impaccio.
<lb/>R. Andare a leggerla lettera de nati composta dal Caro, e quiui trouerete 
<lb/>a quali nasi stian bene i miei occhiali, e non diano impaccio, 
<lb/>come danno al vostro. Per mia fe, che vi bisognerebbe 
<lb/>esser nasuto; per que celesti occhiali molto più, che non vi date
<lb/>adintendere; sì che voi potreste, restandone douizioso ad ogni modo, 
<lb/>farne  carità a quello sgraziato di Pasquin di Roma, che
<lb/>si ritroua senza almeno per qualche affezion, che mostrate d'havere 
<lb/>al suo parlar satirico. 
<lb/>C. Godremmo al presente, e per molti anni ancora 
<lb/>in ricompensa la veduta di stella cosi lucente:
<lb/>conciosiache, quantunque sia verisimile, e voi
<lb/>senz'altro, il concedereste, quella parte più densa 
<lb/>del Cristallino essere assai più spaziosa della
<lb/>nuoua stella. 
<lb/>R. Anzi vi ingannate di molto, perche, sì come veruna altra cosa,
<lb/>che faccia al uostro proposito non ui habbiamo acconsentita, cosi 
<lb/>questa ancora, ui si nega, come falsa. 
<lb/>C. Posto nondimeno, che cotal densità fosse eguale
<lb/>al diametro apparente di quella, ilquale, dicendo 
<lb/>voi, che quella stella rassembraua Gioue, forse
<lb/>era maggior di dieci primi scrupuli, e secondo
<pb n= "104 verso"/>  
<lb/>il sopradetto Gio. Echio, maggior ancora
<lb/>di venti, dico, che per 44 ò per 32. anni almeno, 
<lb/>quantunque ora minore, e ora maggiore doueua 
<lb/>esser è noi visibile.
<lb/>R. L'inganno vostro Signor Mauri è tutto qui, che voi fate capital 
<lb/>dello splendore, in luogo della stella, a somiglianza di vn
<lb/>certo, assai dolce intingilo, che, hauendo, senza ueruna considerazion, 
<lb/>donato vn grande, e frondoso olmo, che piaceuole
<lb/>ombra dauanti vn suo praticel facea, a vn gentilhuomo della nostra 
<lb/>città, che vicino a lui villeggiaua; tosto, che vide sendo
<lb/>gittato l'olmo a terra, mancar la grata ombra, che apportar soleua,
<lb/>alzò la voce, benche tardi pentito, così. Messer nò, ch'io
<lb/>non vi dono anche l'ombra: diauol che non vi basti l'olmo? Il
<lb/>valent’huomo, che sapea costui hauer poco sale in zucca, rispose: 
<lb/>come? Io non vi chiesi mai altro che l'olmo, e perciò non vi
<lb/>scandalezate, che l'ombra sarà sempre la vostra. Non v'hò io
<lb/>detto, che quella densità rappresenta la stella maggior, che ella
<lb/>non è ? E che non si può proporzionalmente, per quella apparenza, 
<lb/>la vera grandezza del diametro inuestigare, non sapendosi, 
<lb/>come disposta sia l'una verso l'altra, quanto lontane, come
<lb/>qualificata è figurata la densità, e altre circonstanze, dintorno a
<lb/>ciò necessarie? Può quella densa parte, per le sue varie disposizioni, 
<lb/>accidenti diuersi, e incredibili cagionare. La onde vadansi 
<lb/>pure i vostri calculi a riporre, che per questa occasione vanamente
<lb/>da voi sono stati messi in opera, e conseguentemente tutte
<lb/>le vostre supposizion vanno in rouina.
<lb/>C. Imperoche, secondo le vostre supposizioni: se
<lb/>la stella diuiene scorgibile, per sottoporsele il denso; 
<lb/>il cui mouimento è quello del ciel Cristallino,
<lb/>da Occidente à Oriente, tanto durerà la veduta 
<lb/>della stella, quanto per dir così la sotto posizion 
<lb/>del denso. 
<lb/>R. Ne anche questo è necessario, attesoche tale stella può, secondo
<lb/>le positure, e le uarieta del denso, fare strauaganze grandissime,
<lb/>co'suoi reflessi, come si è detto, e si mostrerà poco appresso, per
<lb/>quello, che la specularia ne'nsegna.
<pb n= "105 recto"/>  
<lb/>C. Se adunque il Cristallino, e per conseguenza
<lb/>quella densità, che è iui incorpata finisce tutto il
<lb/>suo circolo in 49000 anni, di esso, cioe dieci primi 
<lb/>scrupuli li finirà in 22.
<lb/>R. Crediate, che ancor noi sapeuam far quest'abbacchi, se ben dite, 
<lb/>che i miei son d'altra sorte, che non son quegli, che fanno
<lb/>gli Astrologi, se fosse stato di mestiere. Ma perche bisognauano 
<lb/>altre ragioni, gli tralasciammo, come vani, sappiendo, che
<lb/>l'inganneuole apparenza, che quella densata parte produceua,
<lb/>non lasciaua luogo a’ Matematici di ritrouare il vero diametro
<lb/>della grandezza di tale stella, nè da quello, al calcular la lontananza, 
<lb/>per ueder, se cotal grandezza poteua, ò nò, mandar, non
<lb/>solamente le spezie sue alla vista de'mortali, senza qualche mezo, 
<lb/>che maggior la rappresentasse, ma eziandio, se ella douea durare, 
<lb/>ò non durar tanto tempo, a lasciarsi uedere. Il filosofare 
<lb/>adunque per ragion naturale intorno acciò, fù necessario, e non 
<lb/>gli abbachi vostri Sig. Alimberto, da’ quali hauete cauato il diametro 
<lb/>di tale stella, e da questo il tempo, che durar douea a farsi
<lb/>ueder sopra la terra; che, come ui hò fatto, per ragion vedere,
<lb/>vano, e stato il tutto: e l'esperienza, dalla sparita stella il conferma. 
<lb/>perche non è durata quanto pensauate, secondo il calculo
<lb/>di tal diametro. Ma perche voi seguitate di far la figura per
<lb/>ficcar meglio nel capo altrui, quel che stimate hauer dimostrato
<lb/>contro di me, io giudico esser ben fatto, ch'io non la rimetta dinanzi 
<lb/>a gli occhi de’ lettori, senza bisogno; poiche s'è abbastanza 
<lb/>risposto, e abbattuto le prouanze vostre, come non a proposito 
<lb/>da voi adoperate in tal materia.
<lb/>C. Onde più di 44 anni ancora, mercè di questi 
<lb/>occhiali doueremmo goder la bellezza, e
<lb/>splendor di quella lampeggiante fiammella,
<lb/>se i ritrouamenti vostri, Signor Colombo,
<lb/>fossero veritieri. Il medesimo dico, se al Cristallino 
<lb/>voi attribuite il moto di 36000. anni
<lb/>proporzionatamente diminuendo il tempo, si
<lb/>come diminuisce il moto.
<pb n= "105 verso"/>  
<lb/>R. Io non mi posso tener di non copiar quì una dimostrazion
<lb/>sorella della vostra , ma più poueramente vestita, e di panni
<lb/>alieni alla natura sua, fatta di propria man del Pomarance Matematico 
<lb/>dello studio Pisano. Si mouea in giro, dic'egli, vn
<lb/>pallone smisurato, per vn uerso in spazio di hore 24 e per l'altro 
<lb/>uerso facea il giorno. tanto poco, che appena in cento anni
<lb/>passaua di lui una trocensessantesima parte. Le sue couerte galanti 
<lb/>si moueano in 24 hore similmente, come il vestito, e coperto
<lb/>uentre. Ma per l'altro uerso una in più, l'altra in manco tempo
<lb/>faceua il suo proprio mouimento. Che occorse? Vna delle couerte, 
<lb/>col suo lentissimo moto, venne appunto col suo rotto
<lb/>sopra l'animella del pallone, e in questa maniera si cominciò a
<lb/>uedere bene l'Animella prima ricoperta. Hora, se questa narrazione 
<lb/>è uera; come può stare, che l'animella solamente in uno,
<lb/>ò due anni apparisca, e tanto uariamente, quanto al sito, poiche
<lb/>il rotto di quella couerta cammina adagissimo? Tali, e di sua mano, 
<lb/>appo di me son le sue parole. Certamente, che l'esemplo del
<lb/>pallone mi muoue à dir, che il Pomarance, nella bottega del qual
<lb/>se fosse entrato Aristotele, come Socrate in quella di Simon 
<lb/>filosofo Ateniese, che prima lauoraua di cuoiami, dice il Fulgoso;
<lb/>lib.8.c.7.egli in tutto li saria simile. Questa dimostrazion senza
<lb/>tanti aggiramenti di lettere alfabetiche, incollate aposta sù le 
<lb/>uostre inconsiderazioni, per farui tenere vn solenne matematico
<lb/>da chi apparò l'A, b, c, sul Mellone, rileua il medesimo, che la
<lb/>uostra. Sig Alimberto io sò, che uoi medesimo direste al Pomarance, 
<lb/>se il Colombo hà con tanta facilità risposto, e abbattute 
<lb/>le mie ragioni, e mostrato, che non fanno al proposito del
<lb/>suo concetto a che fin uolete, che risponda à tal dimostrazion,
<lb/>che più tosto scema la forza, e l'efficacia della mia? E con ragione il
<lb/>direste, poiche niuna parte, benche minima è in questa dimostrazione, 
<lb/>a cui non seruano le medesime soluzion fatte alla uostra.
<lb/>Egli dice ben qualche cosa contro di uoi, posciache afferma, che
<lb/>ella non apparirà un tratto; ma in un'anno, ò due, e uoi concedete, 
<lb/>che 18. mesi ancor consumò nella partenza, alla considerazion 
<lb/>51, sì che trè anni, ò quattro sarebbe stata, tra'l uenire, e l'andarsene, 
<lb/>in quella densità. E questa è la cagion, che mi hà fatto
<lb/>notar qui, il parer di quel ualent'huomo. Ma se pur uoi uoleuate, 
<lb/>quanto al tempo, adoperar le calculazioni, e regule ordinarie
<lb/>degli Astronomi; perche non hauete seguitato le calculazion del
<lb/>Magino, da voi riceuute per vere; massimamente, dicendo voi,
<lb/>che io seguo l'Ipotesi Alfonsine, che son superstiziose? Ne potete 
<lb/>risponder, che vi accommodauate alla mia opinione, perche
<pb n= "106 recto"/>  
<lb/>non determinai più vera quella, che l'altre, non mi facendo
<lb/>di mestiere. Ma sò perche il faceste: per pigliar più cagion di disputar, 
<lb/>che di trouare la verità; essendo, che, se il moto del Cristallino, 
<lb/>e compito in 1717. anni, secondo il Magino, veniua 
<lb/>manifestamente a esser vero, che l'apparita stella potea , nel
<lb/>tempo da voi assegnatole, esser entrata, e vscita della densità sottopostale. 
<lb/>imperoche, se ben mostraste, che al calculo di 49000
<lb/>anni 22. sarebbono stati quelli, che bisognauano a ricoprir tutta
<lb/>la stella dalla densezza del Cristallino; al calculo di 1717. anni
<lb/>trouerete, che à mesi noue, e mezo incirca ridotti saranno, se vi si
<lb/>concedesse, che dieci scrupuli fossero i diametri della densità, e
<lb/>della stella ancora. Non rimane adunque più luogo al vostro dubitar, 
<lb/>che stirpato, e diradicato totalmente non habbia.
<lb/>Discorso. E che mediante quella densità, maggiori appaiano, quelle 
<lb/>celesti fiammelle, esempio ne sia il ueder, che, se altri in uaso
<lb/>di Cristallo pien d'acqua rimira, doue moneta d'argento, ò che
<lb/>che altro ui sia, molto maggiore apparir si uede, che ueramente
<lb/>non è. E in somiglianza d'un Sol risplende piccola candela accesa, 
<lb/>dinanzi a cui, s'oppon guastada d'acqua, è di simili cosa piena. 
<lb/>Fissa, e non errante quella nuoua stella, e l'altre simili ancora 
<lb/>affermano gli Astrologi essere. Imperocche mai non hà
<lb/>distanza, ne aspetto uariato con le medesime stelle, che seco
<lb/>nel Sagittario configurauano, ò non è uarianza stata, che sensibile 
<lb/>appaia: conciosiache il Primo mobile, in cui cotale stella
<lb/>fa dimoranza, habbia un sol mouimento da Oriente in Occidente, 
<lb/>facendo tutto il giro, per lo spazio di uentiquattr'hore,
<lb/>seco riuolgendo qualunque altro cielo inferiore. Ma dissi, che
<lb/>sensibile appaia: imperoche ueramente egli ui è qualche poco di
<lb/>uarietà; attesoche ella si cagiona, ben che menoma sia, da i mouimenti 
<lb/>del Cristallino, e dell'ottaua sfera.
<lb/>Considerazione XXXXIII. Si troui altro
<lb/>esempio. perche questo, con sopportazion vostra, 
<lb/>di Macrobio, del Sacrobosco con tutti i
<lb/>suoi commentatori, non è vero;
<lb/>Risposta. Dagli, che e' non uede. L'impresa del Duca di Borbone
<lb/>non ci sarà per nulla. Leuò, egli, un pignattello di fuoco lauorato
<lb/>per impresa; il motto dicea, Zara à chi tocca. così uoi, senza rispetto 
<lb/>ueruno, tirate alla ritonda. Ah Signor Mauri, così trattate 
<lb/>chi ben ui serue? Non fecero già, come uoi gli Ateniesi, deliberando, 
<lb/>in quella lor legge, che, chi seruiua altrui sino alla uecchiezza,
<pb n= "106 verso"/>  
<lb/>douesse essere spesato fino alla Morce. Lascio andare 
<lb/>un soldato à sua liberta un cauallaccio, già uecchio, il qual,
<lb/>come cittadino, errando per la citta, e morendo di fame si
<lb/>mise a roder'un pezzo di uitalba attaccata in luogo di corda alla
<lb/>campana, che soleua raunare il Magistrato sopra ciò eletto, sì
<lb/>che la campana sonò da lui tirata. Vnitisi uidero il ridicoloso spettacolo, 
<lb/>e comandarono al soldato, che osseruasse il priuilegio
<lb/>ancora al cauallo, e lo spesasse. O Macrobio, o Clauio, o
<lb/>Sacrobosco: alle mani del Mauri accadera a uoi peggio, che a
<lb/>quel cauallo? Voi, che fin'ora hauete sparte per lui tante fatiche, 
<lb/>e di cui, per impugnar opere altrui, egli si è fatto scudo,
<lb/>farete a torto contanta ingratitudine uilipesi da lui, e dispregiati?
<lb/>C. Anzi vi dico, che io perciò, se voi non vi dichiarate, 
<lb/>di che forma vogliate, che sia questa
<lb/>vostra densita, vi sono vniuersalmente per negare, 
<lb/>che ella maggiore possa render l'oggetto,
<lb/>al quale ell’e posta dauanti, poiche vna moneta
<lb/>ò altro in vaso pien d'acqua apparisce nella sua
<lb/>vera quantità, come se fuori di esso vaso si ritrouasse: 
<lb/>Onde mi vò maraugliando d'alcuni 
<lb/>valent'huomini, che, dall'autorità del Sacrobosco, 
<lb/>si son senza ragionone alcuna in ciò lasciati 
<lb/>ingannare. 
<lb/>R. La marauglia vostra nasce dal non saper voi, che questi valent’
<lb/>huomini, non sono stati presi alle grida dell'autorità di veruno,
<lb/>ma dalla stessa esperienza, che ne dimostra cotal verita, da 
<lb/>voi non conosciuta, come io vi prouerò appresso. Come volete
<lb/>ch'io mi dichiari meglio, di che forma la densita del Cristallino
<lb/>sia stimata da me, che con l'esemplo del vaso di cristallo, e della
<lb/>guastada dell'acqua ? E perche dissi di cristallo, se non perche
<lb/>rotondi si fanno simili vasi, e perche, essendo trasparente, si rimirasse 
<lb/>per quello l'oggetto, che vi traspare? Io raddoppiai in fin
<lb/>l'esempio, per esser bene inteso; e di più volli propor due oggetti 
<lb/>visibili, vn luminoso, e vn colorato, per mostrar, che amendue 
<lb/>faceuano tale effetto, se ben l'vno assai più, che l'altro; posciache 
<lb/>i raggi del luminoso si spaziano oltre la grandezza del
<pb n= "107 recto"/>  
<lb/>proprio corpo, che gli produce, e reflettendo si in vn corpo sodo,
<lb/>e terso, si fa la multiplicazion di essi, che lo splendore accresce.
<lb/>Ma ditemi di grazia, che pensier capriccioso si v'è egli toccato di
<lb/>negar l'esperienza del Sacrobosco, e di tanti altri famosi? Dirò,
<lb/>che egli v'è paruto di hauer occasion bellissima, per mostrar le
<lb/>vostre profonde osseruazioni; e insiememente le balordagini di
<lb/>quei tali, perche si vede, che l'hauete ricercata col fuscellino, hauendo 
<lb/>fatto vista di non intender, se piana, ò rotonda debba esser 
<lb/>la superficie della densita, mediante la qual si e dimostrata 
<lb/>la stella a gli occhi nostri, per dinegare assolutamente, che vero
<lb/>sia, che, mediante vn’ corpo più denso di superficie piana, se ben
<lb/>trasparente, gli oggetti visibili maggiori appaiano, che di vero
<lb/>non sono. Hora perche, forse, vi siete posto a guardar sopra 
<lb/>vn vaso d'acqua, in cui sarà stata moneta, ò altra somigliante cosa, 
<lb/>da voi offeruata, per la sua piana superficie; ne parendoui
<lb/>maggior di quello, che fuor dell'acqua si paia, per esser poco sensibile 
<lb/>tal differenza, hauete creduto più all'ingannato occhio,
<lb/>che alla persuasa ragione. Imperoche se bene è vero, che, a rimirar 
<lb/>per la parte curua, quella moneta, o altro visibile oggetto molto 
<lb/>maggior si rappresenta, per la parte piana del vaso pien d'acqua; 
<lb/>nulladimeno, ancora per la stessa piana superficie, maggior,
<lb/>che egli non è, si fa vedere. E questo, perche la disgregazion
<lb/>delle spezie, e de'raggi, mediante la refrazion, che in quel corpo 
<lb/>denso, e trasparente si cagiona, rassembra maggior gli oggetti 
<lb/>visibili. Prouo, che l'occhio in si poca differenza rimane
<lb/>ingannato, e non conosca la maggioranza della apparenza, quantunque 
<lb/>ella vi sia. Non dicono i matematici, e perspettiui, che
<lb/>due oggetti di ugual grandezza posti l'un, per esemplo, venti 
<lb/>braccia lontano, e l'altro quindici, per la medesima dirittura
<lb/>dauanti a gli occhi, quello oggetto, che più lontan si ritroua,
<lb/>apparisce minore, e maggiore il più vicino? Si. E questo, per
<lb/>cagion dell'angolo, che è più acuto nella piramide dell'oggetto
<lb/>più lontano, che in quella del più vicino all'occhio, dicono adiuenire; 
<lb/>e nulla dimeno cotal differenza per esser poco sensibile,
<lb/>non è conosciuta da l'occhio. Tale è la moneta, che nel vaso dell'acqua 
<lb/>si ritroua in rispetto alla sua spezie, ò simulacro, che nella 
<lb/>superficie dell'acqua si rappresenta. Imperoche, se l'acqua non
<lb/>vi fosse, la moneta si vedrebbe nel fondo del uaso, che è più lontano 
<lb/>all'occhio, e non si rappresenterebbe nella superficie dell'acqua, 
<lb/>che è più vicina. Onde per conseguenza, maggior si rappresenta, 
<lb/>perche sotto maggior angolo, si vede, come l'esperienza 
<lb/>insegna, e'l dite voi medcimo ancora. Ma con 
<pb n= "107 verso"/>  
<lb/>tutto che questo sia verissimo egli è vero, eziandio, che il senso,
<lb/>in cosi poca differenza rimane ingannato, sì che niente maggior
<lb/>li par la specie più vicina, che la moneta più lontana, quantunque
<lb/>ui s'aggiunga la refrazione. Cosi appunto à voi è accaduto, per
<lb/>esser la differenza in poca distanza, poco sensibile, ma diuero differenza 
<lb/>ui è. Sento, che uoi rispondete, che l'esempio non corre; 
<lb/>percioche le monete poste in diuerse distanze, fanno quella
<lb/>differenza di maggiore, e minore apparire, ma non già la moneta 
<lb/>nel fondo del vaso, e la sua spezie nella superficie dell'acqua ,
<lb/>perche nel venire all'occhio và sempre diminuendosi, perche passa 
<lb/>in forma di piramide, e cosi nella superficie, dell'acqua sarà
<lb/>più tosto minor, che maggiore. Ma io replico, che questo sarebbe 
<lb/>uero, se dalla moneta all'occhio non fosse altro mezo,
<lb/>che aria pura, doue non si potesse far la refrazion, che dilata 
<lb/>molto più la spezie della moneta; che perciò uien terminata in
<lb/>quella superficie dell'acqua, prima che uenga a terminarsi, e far
<lb/>piramide nell'occhio. Ne sia chi mi replichi non esser uero, che
<lb/>l'imagine, ò spezie della moneta si rappresenti nella superficie 
<lb/>dell'acqua, dicendo, che la moneta si uede propriamente nel fondo 
<lb/>del vaso, come se acqua non ui fosse, per esser trasparente imperoche 
<lb/>questo sarebbe non solo vn error solenne in filosofia, che 
<lb/>uuol, che le cose in potenza non sian sensibili, ma solamente 
<lb/>quelle, che sono in atto; poiche la superficie della moneta nel
<lb/>fondo dell'acqua è in potenza, perche in atto è solamente quella
<lb/>dell'acqua, non potendo, rispetto all'occhio, che guarda, uedersi due
<lb/>superficie, l’vna dopo l'altra, sendo solo la prima in atto uisibile,
<lb/>e l'altra in potenza ma sarebbe eziandio pertinacia contro l'esperienza 
<lb/>stessa, attesoche, chi non sà, che è metter la moneta in un 
<lb/>uaso di rame, ò d'altra simil cosa, e tirarsi in dietro tanto, che l'orlo 
<lb/>del naso la tolga altrui di uista; se il uaso si farà empier d'acqua, 
<lb/>la spezie della moneta si lascierà ueder nella superficie, ancorche 
<lb/>ueramente la stessa moneta nel fondo rimanga ? La spezie adunque si vede, 
<lb/>e non la stessa moneta. 
<lb/>C. E ben vero (e per questo forse sono scorsi
<lb/>in cotale errore, pensando, che l'esperienza
<lb/>fosse in fauor loro) che vna moneta, o pomo
<lb/>posto in bicchiere, o vaso rotondo di cristallo
<lb/>pien d'acqua, e rimirato, non di sopra, ma da
<lb/>banda del bicchiere, o vaso, sì che sia di mezo,
<pb n= "108 recto"/>  
<lb/>tra quello oggetto, e gli occhi nostri il cristallo, 
<lb/>e insieme qualche quantità d'acqua, apparirà 
<lb/>molto maggiore, che egli veramente 
<lb/>non è, non per la densita semplicemente, o dell'acqua, 
<lb/>o del sottilissimo cristallo, ma per la
<lb/>forma conuexa, che riceue quell'acqua dal detto 
<lb/>cristallo. Ed è chiaro; imperoche, se sola la
<lb/>densità dell'acqua, o di quel cristallo cosi sottile
<lb/>potesse cagionare cotale effetto, e la moneta 
<lb/>messa nel vaso pien d'acqua veduta di sopra;
<lb/>e’l pomo posto nel bicchiere voto, rimirato da 
<lb/>banda, apparirebbe maggiore, e non eguale alla
<lb/>sua vera quantità.
<lb/>R. Per ch'io non feci i vasi senz'acqua, egli feci di figura sferica, e
<lb/>di materia trasparente, accioche dalle bande si potesse guardare,
<lb/>io dico, che voi non parlate meco, ma con quei valent'huomini
<lb/>i quali credo, che risponderianò così: che in grande errore incorrerebbe 
<lb/>chi credesse, che voi haueste carpati loro in errore;
<lb/>e che l'esser voi auuezo à sensazion molto sensibili v'ha fatto
<lb/>scorrere in questo error di negar quel, che all'occhio dell'intelletto 
<lb/>è chiaro, perche non appare all'occhio del corpo; si come,
<lb/>per lo contrario, perche dal ciel sentiuate riscaldarui, affermaste 
<lb/>contro le ragioni irrepugnabili, che egli fosse di fuoco, seguitando 
<lb/>il senso inganneuole. Ma che anche, per mezo de'corpi piani
<lb/>diafani maggiori appaian le cose visibili, che, elle non sono,
<lb/>oltre a quello, che detto n'habbiano, sentite il sottil Cardano: 
<lb/>C. Lapilli in acqua, &amp; pisces maiores videntur
<lb/>quam sint.  Ecco, che, senza che il mezo sia curio,
<lb/>o rotondo, maggiori ad ogni modo appaiono. e se bene in 
<lb/>simili cosa non è molta apparente la diversita, basta che ella vi è; e
<lb/>questo si conosce ancor maggiormente esser vero, in comparazion
<lb/>delle cose molto sensibili, per esser fra di loro proporzion
<lb/>di più, è di meno maggiori, come manifestamente vede accader
<pb n= "108 verso"/>  
<lb/>nelle stelle, dice Aristotele. Perche quando l'aria è vaporosà 
<lb/>molto, e densa, le stelle si rappresentan maggiori in maggior 
<lb/>numero, e più scintillanti ancora; e con tanta euidenza, 
<lb/>che niuno è che lo neghi. Ma se pure a voi fosse venuto
<lb/>questo humor fisso, che non poteste credere altramente, io non
<lb/>istarò persuaderui, che il lasciate andare, poiche niente più n'auuerrebbe 
<lb/>in prò mio. Ma di grazia, state sesto con questi capricci,
<lb/>perche vna volta non vi accada, come a quel pouero astrologo,
<lb/>che per la guasta imaginazione, parendoli sostenere il ciel sù
<lb/>le spalle a guisa d'Atlante, non volle mai partirsi d'una piazza
<lb/>per molte notti alla fila, benche fossero i freddi grandissimi, dicendo, 
<lb/>che non gli patiua l'animo di lasciare andar il Cielo in
<lb/>terra; di maniera, che egli lasciò andar se stesso quasi morto
<lb/>per lo freddo.
<lb/>C. Il medesimo affermo, se alcuno volesse, che
<lb/>la densità dell'acqua insieme con la densità
<lb/>del Cristallino, senz'altra condizione semplicemente 
<lb/>fosse basteuole a produrre negl'oggetti si
<lb/>fatta maggioranza: poiche vna moneta u.g.
<lb/>in vaso colmo d'acqua, sopra il quale vaso sia
<lb/>contiguo all'acqua vn cristallo diritto, e piano, 
<lb/>rimirata per detto cristallo niente cresce, anzi 
<lb/>apparisce di continuo egualmente grande.
<lb/>R. Hormai si comincia a non far piu frutto veruno, se voi non
<lb/>riprouate, di quei tali le ragion filosofiche, le dimostrazion
<lb/>matematiche, e l'esperienza del senso stesso, con far trauedere
<lb/>altrui con gli occhiali di Ghiandone, che eran di panno; poiche
<lb/>non vi contentate di traueder co'miei, che son di sostanza celeste.
<lb/>C. Si conchiugga adunque, che la curuità cagionata 
<lb/>nell'acqua, mediante il cristallo sia di
<lb/>ciò la vera cagione: e conseguentemente si scorga 
<lb/>insieme, che quella candela accesa con la guastada 
<lb/>d'acqua messale dauanti, per prouare,
<lb/>che detta parte più densa del Ciel cristallino, senza
<pb n= "109 recto"/>  
<lb/>altra considerazione, possa far parer la 
<lb/>stella maggiore, anch'ella come vana, e superflua 
<lb/>niente viene à confermare, ò dichiarare 
<lb/>la vostra opinione: poiche ella apparisce, come 
<lb/>voi dite, in somiglianza d'un Sole, non per
<lb/>la semplice densità, ma per la forma insieme 
<lb/>dell'oggetto oppostole: onde da questo più tosto argomento, 
<lb/>che’ l Sig. Colombo, non auendo data 
<lb/>alla sua densità cristallina, la forma stessa 
<lb/>della guastada, ne l'effetto di quella forma doueua 
<lb/>altresì in alcun modo attribuire à quel
<lb/>denso. 
<lb/>R. Conchiudasi, pur come si è prouato, me voi adesso il neghereste, 
<lb/>che non solamente il cristallo, ò altro simil corpo trasparente 
<lb/>di figura sferica, ma di figura piana eziandio, può rappresentar gli 
<lb/>oggetti visibili, per cagion della refrazion, maggiori, che
<lb/>veramente non sono, se bene, assai più grandi per ragion della
<lb/>curuità, si rappresentano da i corpi diafani di rotonda figura.
<lb/>E di più vi fò saper, che il solo cristallo, se la sola acqua, e i soli
<lb/>vapori posson cotale accidente cagionare, posciache, come si e
<lb/>prouato l'esperienza il dimostra nelle stelle, e ne i Pesci, e nella
<lb/>moneta, ò altro oggetto visibile; come ancora si sperimenta tutto 
<lb/>giorno da chi adopera occhiali, che le cose maggiori fanno
<lb/>apparire. Si che non vi affannate per verso veruno a volerci mostrar 
<lb/>difettosi nel prouare, perche vana è ogni vostra fatica. Anzi, 
<lb/>che, quando non hauessimo dato gli esempi di vasi di figura
<lb/>rotonda, non si poteua credere altramente esser da noi intesa
<lb/>la forma della densità; poiche è nel corpo celeste, che è rotondo, 
<lb/>e non di piana figura.
<lb/>C. Ne alla verità di quel che hò detto di sopra, niente 
<lb/>importa la proua del Sole addotta per lo contrario, 
<lb/>come esempio da Macrobio, e da altri,
<lb/>ilquale apparisce maggiore, dicono essi, situato,
<pb n= "109 verso"/>  
<lb/>e nell'Oriente, e nell'Occidente, che nel mezo
<lb/>cielo; perche i vapori intraposti in quel tempo
<lb/>fra’ l Sole, e noi, ingrossando, e faccendo più
<lb/>densa la strada, per doue la nostra veduta passa, 
<lb/>disgregano, à guisa dell'acqua corpo più denso 
<lb/>della sottiglieza aerea, i raggi nostri visuali;
<lb/>R. Anzi i raggi del corpo luminoso, secondo la verità, se ben poco
<lb/>importa, poiche l'effetto è lo stesso come dice Aristotele.
<lb/>C Che perciò poi non ci è concesso veder l'oggetto 
<lb/>nella sua vera quantità. Imperoche non sempre 
<lb/>dalla combinazion di due proposizioni vere
<lb/>ne seguita la verità di quella combinazione. Dò
<lb/>vn’ esemplo. i pianeti son più vicini, e le stelle fisse
<lb/>più lontane. Inoltre: i pianeti non iscintillano, e le
<lb/>stelle fisse scintillano. Queste son due proposizioni 
<lb/>verissime, ma l'accoppiamento loro, fatto
<lb/>da filosofi, che le stelle scintillino, per la loro lontananza, 
<lb/>come si è prouato, è falso. Cosi dico; 
<lb/>venendo al nostro proposito. Che il Sole 
<lb/>ne’ detti luoghi appaia alcuna fiata maggiore, e
<lb/>che fra noi, e’l Sole sieno i vapori, è vero: ma
<lb/>vero non è già, se io non sono ingannato, che i
<lb/>vapori semplicemente sieno essi la cagion di quell'effetto. 
<lb/>Ne mi dire: Perche nò, disgregando
<lb/>la vista ? Conciosiache io replico, che lo stesso
<lb/>douerrebber fare; quando il Sole è nel mezo del
<lb/>cielo. Forse, che non vi son vapori allora, che’l Sole 
<lb/>per esser potentissimo, è conueneuole, che di essi
<pb n= "110 recto"/>  
<lb/>in maggior quantità ancora, rispetto a quell'Emisferio,
<lb/>ne tragga fuor della terra?
<lb/>R. Questa fiata dalla combinazion di queste due proporzion vere,
<lb/>ne resulta di necessità la conseguenza attribuita loro, ciò è,
<lb/>che i vapori tra gli occhi nostri, e'l Sole verso l'orizonte fanno
<lb/>ingrossar di maniera il mezzo diafano, che ne cagiona refrazion
<lb/>di raggi, e da questa l'apparenza maggior del Sole. E vero è,
<lb/>semplicemente i vapori esser cagion della refrazione, se ben la
<lb/>figura rotonda, che pigliano,  aggiunger suole augumento alla
<lb/>refrazione, e per conseguenza alla grandezza del rappresentato
<lb/>oggetto. L'esemplo, che voi date, per dimostrar, che non
<lb/>sempr'è vera la conseguenza da due vere combinazion cauata, 
<lb/>conchiude contro di voi, perche di necessità da i filosofi
<lb/>quella conseguenza si caua, ciò è, che le stelle fisse scintillano,
<lb/>perche la lontananza loro cagiona difetto alla vista, donde appar, 
<lb/>che tremin le stelle, come alla risposta della considerazione
<lb/>11. si mostrò concludentemente, e si prouò ancora, che i pianeti, 
<lb/>per accidenti, che alla lontananza equiuagliono, alcuna siasta 
<lb/>scintillano, se ben regolarmente in essi non suol cotale effetto 
<lb/>adiuenire. Ne vale il dir, che, se i vapori fossero cagione assolutamente 
<lb/>della maggiore apparenza del Sole, che egli apparirebbe, 
<lb/>tale anche nel mezo del cielo, per la maggior copia de
<lb/>vapori, che egli attrae dalla terra. Imperocche, se bene attrae
<lb/>molti più vapori, egli per la medesima ragion, che gli attrae in
<lb/>alto, per la stessa gli consuma, e risolue, ciò è perche maggiormente 
<lb/>riscalda, più à retta linea reflettendosi i suoi raggi: il
<lb/>che accader non può, quando il Sole è nell'orizonte, non reflettendo 
<lb/>con angolo acuto, e per retta linea sopra il nostro Zenit; e 
<lb/>perciò, rimanendo i vapori per l'aria in molta quantità, e humidi
<lb/>molto, e grossi cagionan la maggiore apparenza del Sol, per
<lb/>causa della refrazione. Oltre che il mezo tra il Sole, e gli occhi
<lb/>nostri, nell'orizonte guardandosi, è più lontano, che nel mezo
<lb/>del cielo, sopra il capo nostro; e conseguentemente in maggior
<lb/>copia ci si parano dauanti i vapori; ma di gran lunga son più, per
<lb/>amor della superficie della terra, lungo la qual noi guardiamo,
<lb/>da cui i vapori procedono: perciò che, a guardar sopra il nostro
<lb/>capo solo quegli, che occupan lo spazio della terra, doue locati 
<lb/>siamo, si paran dauanti agli occhi nostri, si che, il viuo, e
<lb/>possente raggio del Sole, supera quel leue impedimento, come se
<lb/>non ui fosse; e però, refrazion di raggi, non si cagiona, ne per
<lb/>conseguenza apparizion maggior del Sole. Aggiungesi, che a
<pb n= "110 verso"/>  
<lb/>guardar verso l'orizonte, i perspettiui dicon che i raggi visuali,
<lb/>attrauersando il moto retto de’vapori, si produce maggior impedimento 
<lb/>al vedere, che guardandosi in alto, secondo il mouimento 
<lb/>loro, perche si fa l'intersecazione, o tagliamento di
<lb/>quei vapori dal raggio visiuo. E secondo Aristotele si può dir,
<lb/>che i vapori sono intersecati da i raggi solari. E che queste sien
<lb/>le cagioni, che il Sol nel mezo del ciel, rispetto a noi non appaia 
<lb/>maggior, come nell'Orizonte, l'esperienza nelle stelle il dimostra, 
<lb/>poiche, per essere il raggio loro meno efficace, per la maggior 
<lb/>lontananza, e per esser minori, e simili altre differenze, appaiono 
<lb/>alcuna fiata, mediante l'aria vaporosa, assai maggiori,
<lb/>quantunque elle siano sopra il nostro Zenit, e non nell'Orizonte.
<lb/>e questo massimamente accade nel seren del verno doppo notturna 
<lb/>pioggia, perciò che molto humida l'aria si ritroua, come nel
<lb/>luogo sopra mentouato afferma Aristotile.
<lb/>C. Ma sien pure, per non istare a contendere, i
<lb/>vapori, come à voi piace, solleuati dalla terra
<lb/>solo, quando’ l Sole, ò si leua, ò tramonta; Imperoche 
<lb/>con tutto questo, senza contrasto alcuno
<lb/>cotale opinion si scorgerà falsa. 
<lb/>R. Concedete pur’ alla verità, che io per mè non  uoglio in dono
<lb/>quel che di ragion mi si viene. Ve lo prouo con altra ragione 
<lb/>euidentissima. Non è egli vero, che se il Sole non consumasse
<lb/>molti più vapori nel mezo giorno, che egli non eleua dalla terra, 
<lb/>non solamente non consumeria quelli della notte, ma multiplicherebbono 
<lb/>in tanta abbondanza, che, se non in continua
<lb/>pioggia, almeno in perpetua nebbia ci ritroueremmo ? Ma questo 
<lb/>non adiuiene; adunque è falso, il vostro supposto. Non 
<lb/>veggiamo noi, che quanto più il Sole, s'auanza sopra la terra,
<lb/>più si va l'aria purificando, e rischiarando da la caligine; e poi
<lb/>verso la sera comincia a ingrossare, e farsi più humida, e vaporosa ?
<lb/>C. Auuengache, se’l Sole tramontando apparisce
<lb/>maggiore, per eccitare in quel tempo gran quantità 
<lb/>di vapori, la Luna, trouandosi nello stesso
<lb/>tempo, che quelle esalazioni vaporose son tirate
<pb n= "111 recto"/>  
<lb/>per l'aria, nel mezo cielo, non ci dourebbe ella
<lb/>per la medesima cagione apparir molto maggiore, 
<lb/>che comunemente non fà ? Certo sì. E pure 
<lb/>ne crescendo, ne scemando ella resta la medesima.
<lb/>R. Se voi rispondeuate, certo nò, diceuate vero, e io mi sbrigaua.
<lb/>dalla risposta. La ragione è, perche, douendo la Luna cagionar
<lb/>la refrazione in quei vapori per apparir maggiore, non può produr 
<lb/>tale effetto, mentreche il Sole illumina questo emisperio,
<lb/>conciosiache, ella non può mandar lume, e raggi, che superino 
<lb/>il Sole, da cui essa Luna, il lume riceue; onde, il suo lume impedito, 
<lb/>anche per buono spazio, dopoche à noi è tramontato il
<lb/>Sole, perche in quella alteza, doue i vapori sono, arriua di quello 
<lb/>il raggio, null'altro adoperar può, che se luminosa non fosse,
<lb/>non potendo i suoi raggi ammortiti, e abbacinati venire alla
<lb/>uolta de’ vapori, per cagionarla refrazione in essi.
<lb/>C. Bisogna adunque, più sottilmente discorrendo,
<lb/>inuestigare altra ragione, che l'addotta per insin
<lb/>quì vniuersalmente dagli scrittori, della maggioranza 
<lb/>più in vn luogo, che in un'altro dell'orbe
<lb/>solare, e di qual si voglia altra stella, ò pianeta.
<lb/>R. Io vò pensando, che, se voi foste da tanto, contro questi valent'huomini, 
<lb/>di trouar nuoua ragione, e farla conoscer per vera, 
<lb/>bisognerebbe, alla vostra ambizione, altra soddisfazion,
<lb/>che quella, che di sua propria man si volle pigliar quel dottor,
<lb/>che leggeua in Padoua; il quale, stimandosi ritrouator di nuoue 
<lb/>dottrine, nè vedendo, chi sù le cantonate mettesse il Viua, per
<lb/>honorarlo, si risolue da valent'huomo di notte a pigliare vna
<lb/>scala, e per tutte le piazze seriuea su'l cantone, Viua il Signor
<lb/>tale Lettor Magnifico. Onde, in questa, fu dal bargello scoperto,
<lb/>che egli montaua su per la scala, e perciò creduto vn ladrone il
<lb/>fe da i birri fino alle prigion menare: e se non veniua lor veduto
<lb/>i calamaio della sanopia; che il buon huomo a cinto la hauea, e
<lb/>i pennello in mano, che assai chiaro testimon faceuano della
<lb/>sua innocente pazzia, la facenda gli passata molto male. Hora
<lb/>perche i ritrouator di nuove cose sono stimati come Dei, sarà
<pb n= "111 verso"/>  
<lb/>mestier farui vn ciel nuouo a somiglianza di quello, che si fece il
<lb/>Rè de’ Persi, Sapore appellato, il quale era di Cristallo, poiche
<lb/>non poteua esser da vero.
<lb/>C. Ma auanti ch’io dica soura ciò l'opinion mia, si
<lb/>dee saper prima, che gli umori, e i vapori tirati in
<lb/>alto da forza, e virtù celeste, s'innanzano da
<lb/>qual si voglia parte della superficie della terra
<lb/>non in infinito, ma infino à vn certo prefisso
<lb/>termine, che molti dicono esser l'altezza di
<lb/>52000. passi. 
<lb/>R. Vedete come da voi medesimo contrariandoui da quel, che già
<lb/>conchiudeste, confessate adesso, che i vapori non posson penetrare 
<lb/>il cielo, posciache arriuar non è conceduto loro a tanta eleuazion, 
<lb/>come ancor'io di sopra vi prouai.
<lb/>C. Perche adunque la terra è sferica, sferica altresì 
<lb/>viene à essere la superficie concaua, cagionata
<lb/>tutti quei vapori terminanti.
<lb/>R.Terminanti che?
<lb/>C. Secondo, che rimirando noi vn'oggetto, interposto 
<lb/>vn cristallo di forma concaua, quanto più
<lb/>discosteremo detto cristallo da noi, tanto maggiore, 
<lb/>come ne insegna la sperienza, ci apparirà 
<lb/>l'oggetto proposto, se franoi, e’l cristallo sarà
<lb/>alcuna quantità d'acqua, ò altro vapor di mezo.
<lb/>R. Habbiate per vero, secondo gli occhi di chi non gli hà composti
<lb/>a rouescio, che l'effetto va tutto al contrario. O corpo del mondo, 
<lb/>uoi doueuate pur farne prima l'esperienza, e poi dir, che ella
<lb/>uel'insegnaua. Io, che la feci fin da fanciullo, non l'ho però mai
<lb/>dimenticata. Il Cristallo, essendo il mezo, che cagiona cotal 
<lb/>diuersità di maggiore, e minore apparenza nell'oggetto, è
<lb/>quello ancora, che accostandosi, ò discostandosi dee la uarietà
<lb/>detta produrre. sì che, se accosterete il cristallo all'occhio, perche
<pb n= "112 recto"/>  
<lb/>egli si discosta dall'oggetto, l'oggetto appar maggiore; e disco
<lb/>standolo, perche si auuicina all'oggetto, l'oggetto appar minore.
<lb/>La ragion di questo è, perche in quel corpo trasparente, la lontananza 
<lb/>dell'oggetto visibile, cagiona più spaziosa refrazion, che non
<lb/>fa la uicinità del medesimo, perche meno disgrega le spezie, e i
<lb/>raggi dègli oggetti visibili son più vniti, e il mezo appar men 
<lb/>grosso, donde la refrazion si cagiona maggiore, e minor, secondo 
<lb/>che è più, ò men denso. Ma uoi dobbiate hauer cambiato da ueder 
<lb/>per uetro vna cosa, a vederla in ispecchio, benche della stessa figura 
<lb/>concaua, ò rotonda egli sia. Percioche è uero; che nello specchio 
<lb/>l'imagini appaion maggiori da presso, che da lontano; ma non
<lb/>fa questo a nostro proposito: Questa sarà l'altra: come uolete
<lb/>mai, che fra noi e'l cristallo sia situata alcuna quantità d'acqua ?
<lb/>Il cristallo sì, bisogna, che sia di mezo tra l'acqua, e gli occhi
<lb/>nostri, se ben l'acqua, e il cristallo insieme non son necessari, come 
<lb/>uorreste, se non perche l'apparenza sia molto più sensibile,
<lb/>come che tale apparirebbe l’oggetto ancora, posto dopo vn grosso 
<lb/>cristallo, come saria vna palla.
<lb/>C. Ora vengo al nostro proposito. Douendo noi
<lb/>vedere il Sole, sia egli situato in qual si voglia
<lb/>parte del cielo è necessario, che trapassiamo con
<lb/>la vista, per vederlo, la detta concauità, per tutto 
<lb/>nascendo dalla terra vapori: e per essere per
<lb/>tutto quella superficie concaua lontana egualmente 
<lb/>dal globo della terra. Perche adunque
<lb/>è più distante da noi quella concaua superficie,
<lb/>per laquale passano i nostri raggi visuali, quando
<lb/> noi rimiriamo il Sole posto e nell'Oriente, e 
<lb/>nell'Occidente, che quella, per la quale passano,
<lb/>- quando lo rimiriamo nel mezo giorno; non è
<lb/>marauglia, direi io, ci appaia egli maggiore,
<lb/>e nel nascere, e nel tramontare, poiche, per vederlo, 
<lb/>in qual si voglia altro luogo, dobbiamo
<pb n= "112 verso"/>  
<lb/>passare con la veduta superficie à noi più vicina, 
<lb/>sì come manifestamente si scorge nella presente figura.
<lb/>R. Non nasce altramente, dall'esser più lungi da noi quella concaua 
<lb/>superficie, la maggiore apparenza del Sole come si è detto,
<lb/>perche farebbe l'effetto al contrario, sendo più vicina al corpo
<lb/>solare; ma la cagion di ciò sono i molti più vapori, che verso
<lb/>l'Oriente, e verso l'Occidente s'interpongon trà gli occhi nostri, 
<lb/>e'l Sole, come dianzi si disse, ne'quali si cagiona la refrazion
<lb/>maggiore. E chi non sà, che la maggior lontananza, nel guardare 
<lb/>il Sol dall'Orizonte, a guardarlo dal mezo cielo, non è
<lb/>tanta, che possa cagionar differenza così grande, quando questa 
<lb/>fosse la vera cagione, si che nel mezo del cielo, il Sol grande, 
<lb/>come veramente è, e nell'Orizonte cotanto maggiore apparisse? 
<lb/>Poiche dalle Teoriche si caua, che dalla superfieie al centro 
<lb/>della terra non sia differenza sensibile di lontananza, per
<lb/>pigliar le giuste misure degli emisferi; sì che tanto vede mezo il
<lb/>cielo quegli, che è nella superficie della terra, quanto quegli, che
<lb/>nel centro di essa si ritrouasse. Hora perche la vostra figura non
<lb/>solo non dichiara niente più il concetto, che si facciano le figure
<lb/>nelle fauole d'Esopo, ma eziandio suppon fondamenti, ò falsi, ò
<lb/>in prò del nostro parere, non farà mestier il ristamparla, sendo
<lb/>superchie cotali girelle, come dell'altre si è detto. Fra tanto potrete 
<lb/>confessar, che, dopo vn lungo aggiramento, sendo fatti
<lb/>al vostro dosso que’ versi del Tasso.
<lb/>Così diceua, e s'auuolgea costui, 
<lb/>Con giro di parole obliquo, e incerto.
<lb/>Poiche, in somiglianza d'huom, che sogni, siete caduto nelle medesime 
<lb/>ragion di que’ buon Filosofi antichi, non ui essendo auueduto 
<lb/>in qual maniera la vostra nuoua ragion, senza uerun fondamento, 
<lb/>suanita sia; che non altramente vn ciel vi siate guadagnato,
<lb/>ma vn forno in cui potrete a vostra posta cacciarui.
<lb/>Discorso. Volgendosi il Cristallino, secondo il suo natural corso
<lb/>oppostamente, ma sopra diuersi poli, che tolgon la contrarietà,
<lb/>da Occidente verso Oriente, in 49000. anni il suo circolo finisce,
<lb/>auuengache alcuni dicano in 36000. che nulla al nostro proposito 
<lb/>importa: e l'ottano cielo da Mezo giorno verso Settentrione, 
<lb/>in settemila anni termina il suo periodo. Ondela positura delle 
<lb/>stelle del Firmamento, con quella del Primo mobile, e la porzion 
<lb/>della densità del cristallino, à quella sottoposta, fanno differenza 
<lb/>da tre minuti l'anno, e meno eziandio.
<pb n= "113 recto"/>  
<lb/>Considerazione XXXXIIII. Sono andato vn
<lb/>pezo frà me stesso considerando, perche'l Sig.
<lb/>Colombo, sù quali ragioni fondato, attribuisca'l 
<lb/>moto di 36000, ò 49000 anni al Cristalino, 
<lb/>e all'ottauo cielo di 7000. Poiche Astronomi 
<lb/>famosissimi, ributtate, come inutili, e vane 
<lb/>le Ipotesi Alfonsine, col dare all'ottauo cielo
<lb/>il moto di 25816. al nono di 1717, e al decimo
<lb/>di 3434 anni, apportate anno ferme ragioni, e
<lb/>dell'anticipazione molte volte degli Equinozi,
<lb/>e della maggiore, ò minore declinazion Sole, e
<lb/>di mill’altre curiosissime, e difficilissime apparenze, 
<lb/>alle quali, per le inuenzioni del Re Alfonso, 
<lb/>quantunque a questo effetto non con dimostrazioni, 
<lb/>ma superstiziosamente immaginate,
<lb/>non si può, rispondendo, in alcuna maniera soddisfare: 
<lb/>ma finalmente, perche io mi dò ad intender, 
<lb/>che’l nostro Autore, per appigliarsi alla 
<lb/>miglior di queste due opinioni, non abbia 
<lb/>voluto cercar per la minuta delle lor ragioni; per
<lb/>che i Quadrati, Sestanti, Astrolabi, i qua’ soli 
<lb/>gliele poteuan somministrare, essendo da lui
<lb/>mal trattati, a ragion di mondo, non gli erano
<lb/>troppo amici, mi son risoluto à credere, che egli,
<lb/>per andar più sul sicuro, senza tanti beccamenti 
<lb/>di ceruello, si sia attaccato alla venerabile 
<lb/>antichità.
<pb n= "113 verso"/>  
<lb/>Risposta. Habbiate per indubitato, che se egli mi fosse stato mestier 
<lb/>ritrouar la verità di cotali calculazioni, che io non haurei
<lb/>fatto come voi, che senza farne riproua, sempre hauete supposto 
<lb/>il falso per vero, come poco dianzi vi mostrai, e v'hò dimostrato 
<lb/>in molt'altri luoghi. Anziche, io n'hauea tanto poco
<lb/>da curare, che, per render più chiaro il mio pensiero, elegger
<lb/>volli quel calculo, che men fauoreuole esser potesse; per mostrar,
<lb/>che non hauea, che far col mio concetto, nè perciò mi è bastato.
<lb/>Ma facciamo di grazia, che, per lo vostro schiamazzio, io non me
<lb/>ne andassi preso alle grida. Che dite voi d'antichita? Questa opinion
<lb/>del Rè Alfonso è stata fin ora da tutti i posteri suoi riceuuta,
<lb/>saluo, che dal moderno Signor Magino e quegli, che oggidì
<lb/>il seguono. Onde non si può dir, che io mi sia messo a cauar delle tenebre 
<lb/>vna opinion non riceuuta da verun famoso; come faceste voi
<lb/>della terra; dicendo, che si volgeua in giro, e che il Sole era nel
<lb/>centro del Mondo.Vi vò dir più, che io il feci ad arte, per mostrar,
<lb/>che qualunque si volesse di questi computi, ò non impediua, ò s'adattaua 
<lb/>a mostrar la verità del mio proponimento, come veduto hauete, 
<lb/>non che stroppio arrecarse. La doue, sè le calculazion del Magino, 
<lb/>seguitato hauessi, non sarebbe rimaso cotal dubbio irresoluto 
<lb/>a coloro, che non bene eran capaci del mio concetto, come 
<lb/>è adiuenuto al Mauri, che, per la prima fiata, che ha messo
<lb/>alla stampa; ha dato in questa rete, per farsi scorgere. Se volete
<lb/>veder; se gli strumenti matematici mi son nimici; e se chi attende
<lb/>alle filosofiche scienze gli sà maneggiare, a vopo, come si sappia
<lb/>quegli, che è semplice matematico, e massimamente applicando 
<lb/>le matematiche a simili concetti, se bene io cedo a molti, e sò
<lb/>che molti, ne san più di mè, da mè conosciuti per tali, replicate 
<lb/>pure alle mie risposte, e vedretene la proua (perdonimisi questa
<lb/>iattanzia) che per diruela iò non hò di voi paura veruna.
<lb/>C. Il perche quì ancor’io, se non temesi, è guisa
<lb/>d'vn corbo crocitando con la mia roca voce, muouere 
<lb/>a riso, aurei buona occasion di far l’huomo,
<lb/>alzando la voce, sì come’ l nostro Colombo, e 
<lb/>fare vn’ Apostofre in rommarichio à questi nostri 
<lb/>moderni astronomi, dispregiati solo per quello,
<lb/>perche doueano esser da più reputati, quali
<pb n= "114 recto"/>  
<lb/>perche conosceuano, che l'Astronomia si fonda 
<lb/>sù le osseruazioni, e che queste nel mouimento 
<lb/>de’ cieli tanto si anno più sicure, e perfette, 
<lb/>quanto maggior tempo e trascorso, si affaticarono 
<lb/>per innalzare, e aggrandire perfezionando, 
<lb/>questa nobilissima scienza: onde poi non
<lb/>per arroganza, ma per auere miglior fondamenti,
<lb/>ch’e’non aueano essi, essendo à loro potesririo,
<lb/>trauiarono dagli antichi, delle loro. I potesi,
<lb/>manifestando la falsità, e lo’nganno, e delle
<lb/>proprie la verità con istabili, e fortissime dimostrazioni.
<lb/>R. Di uero, che molto meglio faceuate a comparar voi al Coruo, 
<lb/>che mè, conuenendoui assai più, non solo il suo mantel morello, 
<lb/>che a un Colombo, ma eziandio per le sclamazioni insolenti, 
<lb/>che fate, e da ogni prudenza lontane. Onde di certisimili 
<lb/>cicaloni, Euripide disse, Clamoribus tanquam
<lb/>Corui imperfecta sonant, Iouis aduersus auem
<lb/>diuinam. E tale sembrate voi contro queste salde dottrine.
<lb/>Io non solamente non dispregio, ma honoro, e reuerisco i buoni
<lb/>astronomi, leuandoli delle mani à voi, che non sapendo seruiruene 
<lb/>à tempo, gli strapazzate, e vene valete, contro il creder vostro,
<lb/>in mio fauore. Perche si come di età, in età volete, il che è vero, 
<lb/>che essi di maggior perfezion diuengano, per le nuoue, e lunghe 
<lb/>osseruazioni, sì che a lor sia stato lecito sin di ritrouar
<lb/>nuoui cieli; perche non sarà conueneuole ancora il ritrouar nuoue 
<lb/>stelle, come di fatto è adiuenuto? E perche non si potrà ritrouar 
<lb/>luogo comodo a quelle, e modo alla apparenza loro, che
<lb/>ragioneuolmente, e senza inconueneuolezza alcuna habbia del
<lb/>probabile, come è l'esser nel Primo mobile, comeche finora 
<lb/>non vene siano state da gli Astronomi credute?
<lb/>Discorso. Non sendo il mouimento dello stellato diametralmente
<lb/>opposto à quel del Primo mobile, e perciò non è diuersita d'aspetto 
<lb/>considerabile; massimamente, che i medesimi astrologi af-
<pb n= "114 verso"/>  
<lb/>fermano, che non così puntamente, bene spesso, le misure di
<lb/>cotali differeze ritrouar possono. 
<lb/>Considerazione XXXXV. L'Autore non ha detto 
<lb/>cosa più vera, che questa [Non esser diametralmente
<lb/> opposto; ec.] Poiche ne diametralmente, ne in
<lb/>qual si voglia altro modo è opposto (seperò della
<lb/>Loica nonmi sono affatto dimenticato ( il mouimento 
<lb/>del lo stellato da Mezo giorno à Settentrione, 
<lb/>à quello del Primo mobile da Oriente à Occidente: 
<lb/>ed è appunto, come s'egli auesse detto. La
<lb/>Neue non è nera. Il perche non è pericolo, che
<lb/>in questa parte egli abbia à temer d’alcuna contradizione.
<lb/>Risposta. Se io hò detto bene, à che fine hauete fatta questa inconsiderazion, per aggrauar più voi medesimo? Per certo, mai niuno stimerebbe,
<lb/>che voi vi foste dimenticato della Loica, essendo questo
<lb/>manifesto indizio, che pur non l'habbiate apparata. Che bella comparazion’è 
<lb/>questa? Il bianco, e’l nero, Alimberto, son tanto contrari,
<lb/>che l'vno è priuatiuo dell'altro, e non capiscon nel medesimo tempo,
<lb/>nel medesimo subbietto; e perciò non vi e occasion di dubitar,
<lb/>se contrari siano, ò nò: ma i moti di quei cieli ragioneuolmente possono 
<lb/>apportar, come hanno fatto ancora a voi, nel principio dell'opera, 
<lb/>dubitanza di contrarietà, ed è accaduto ciò eziandio ad
<lb/>altre barbe, che alla vostra. Adunque le uostre proporzioni, e
<lb/>similitudini, non son di buona loica altramente, a dir, che è il
<lb/>medesimo, che se detto hauessi, la Neue non è nera. Orsù io
<lb/>non voglio scappar fuora ancora; e vò ritenere in mè molte cose, 
<lb/>aspettando miglior tempo à cauar contro di voi i miei artigli, 
<lb/>à somiglianza del Leone, di cui dice Plutarco, che mentre
<lb/>cammina, e passeggia tien l'vnghie raccolte, e nascose, per non
<lb/>le spuntare arrottandole, ma quando è'l tempo della caccia, le caua 
<lb/>fuora in graue danno dell'inimico suo.
<lb/>Discorso. Per difetto di strumenti, e di che che altro si sia. Testimonianza 
<lb/>certa ne fa, in proposito di quest'vltima stella, il S. Baldassar 
<lb/>Capra, il quale scriue, che in Padoua osseruò diligentissimamente
<pb n= "115 recto"/>  
<lb/>le distanze, e latitudini di quella, e'l proprio seggio,
<lb/>per mezo di Quadranti, e sestanti , ben due volte; e nulladimeno 
<lb/>egli afferma di alcuni minuti esserui stata da una volta all'altra
<lb/>differenza, ò per causa di refrazion di raggi, ò per difetto di strumenti. 
<lb/>Può ancora, dì quella densa parte vscendo, sparir tale 
<lb/>stella, e minore, e maggior farsi vedere, e per più, e men
<lb/>tempo, secondo che più, e men grossa, e spaziosa è quella spessata
<lb/>parte, che s'interpone alla stella, e che assai, ò poco la stella,
<lb/>è ingolfata in essa.
<lb/>Considerazione XXXXVI. O poueri Astrologi, 
<lb/>se prima non poteuate condurre à fine le vostre
<lb/>operazioni, per difetto di strumenti, che sarà 
<lb/>di voi per l'auuenire, che mancherete degli
<lb/>Astrolabi, Sestanti, e Quadranti, i quali fra
<lb/>poco, per sentenza del Sig. Colombo, deono andare 
<lb/>à giustizia. Vi moueranno una lite mi
<lb/>par, che rispondano tutti à vna voce: però in
<lb/>tanto preparateui à dar lor sodisfazion con vostri
<lb/>nuoui strumenti.
<lb/>Risposta. Per mia se, che voi non sareste gia l’auuocato, se io 
<lb/>hauessi dato lor cagion di lite: anzi che non dourete per hauerli
<lb/>mal trattati, senza querele passarla già voi; Crediate pur, che 
<lb/>vi morrete di freddo, se pensate scaldarui con accendere'l fuoco
<lb/>a casa d'altri. I miei strumenti a chi ben intende sono i medesimi
<lb/>degli altri, e solo a voi appaion nuoui.
<lb/>C. Io fra tanto vi prometto, come amico comune,
<lb/>cercar di alleggerire in parte lo sdegno conceputo 
<lb/>contra di voi, spesso ricercando loro la cortesia 
<lb/>vostra, poiche gli auete co’ vostri occhiali arricchiti 
<lb/>del modo di vedere stelle, le quali non
<lb/>si ritrouano, ne ritrouaron giammai.
<lb/>R. Sì di grazia, per questa volta mutate natura poiche questi occhiali, 
<lb/>v'hanno cosi sdegnato, con tanto lor beneficio, contro
<pb n= "115 verso"/>  
<lb/>il vostro Colombo. Egli si conosce ben dalle vostre parole, che
<lb/>veramente, voi m'hauete ingiuriato, e spregiato, non per altra
<lb/>ragion, che per quella di quello Spagnuolo, come racconta Pietro 
<lb/>Messia. Costui ferì in Barcellona Ferdinando Rè di Spagna, 
<lb/>detto il Cattolico; il quale esaminato, perche ciò fatto hauesse, 
<lb/>rispose costantemente; perche, se ben non mi hà fatto cosa 
<lb/>veruna, con tuttociò il Rè non ha mia grazia, e non lo posso
<lb/>ueder, ne sentire, sì che, quantunque mi fosse perdonata la vita,
<lb/>non la perdonere’ io a lui. Caso certamente singolare, se voi
<lb/>non li haueste fatto compagnia, ferendomi con la lingua, che è
<lb/>peggior della spada; e non per altra cagion, se non perche, auuengache 
<lb/>le mie ragion sien vere, elle non hanno vostra grazia,
<lb/>e non piacciono a voi. Vedete pouerello, in che saldi, e pesanti 
<lb/>ferri io v'hò stretti i piedi, accioche per lo vostro miglior siate 
<lb/>forzato ancor voi à star in camera à studiar, come fo io. Ben'è
<lb/>vero, che potrebbe esser, che faceste, come Egesistrato Eleo, per
<lb/>uscir de’ ferrei legami, di cui referisce Erodoto, che si tagliò il
<lb/>piede; ma io non credo, che'l faceste. Chi dirà, che lo sdegno
<lb/>sia d'altri, e non si conosca solamente, esser in uoi, poiche egli
<lb/>vi ha di maniera affummicati gli occhi dell'intelletto, che ancor
<lb/>che veggiate con gli occhi del corpo la nuoua stella, volete pertinacemente 
<lb/>dir, che non si ritroua,  ne ritrouerà già mai?
<lb/>C. E di vero, che per questo dourebbero rappacificarsi,
<lb/>e restar di voi sodisfatti in tutto, e per
<lb/>tutto, attesoche, se la perfezion dell'Astronomia
<lb/>consiste nello speculare, e conoscere i corpi celesti,
<lb/>quale obbligo conuiene abbiano gli Astronomi à
<lb/>chi hà cotanto aperto, co’ suoi ritrouamenti, loro 
<lb/>l'intelletto, che per arriuare con la veduta a'
<lb/>cieli, i quali altrimenti sono inusibili, anno maggior 
<lb/>facultà di potere acquistare con sì fatto mezo, 
<lb/>una cognizion più perfetta di cosi nobile 
<lb/>scienza.
<lb/>R. Cosi foss'io sicuro, che vi rappacificaste voi, come son certo di
<lb/>non hauer guerra con altri astronomi, non hauend'io parlato, ne
<lb/>contro la uerità delle discipline loro, ne contro niuna persona:
<pb n= "116 recto"/>  
<lb/>ma io ne stò di mal talento, non vi essendo potuto scapriciar, come
<lb/>pensauate. Pur, se uoi siete crucciato a torto vostro danno. Che
<lb/>dite uoi di inuisibile? Non si prouò egli, che, inuisibile, e impenetrabile 
<lb/>alla vista non e il medesimo, se ben uoi gli confondeuate, 
<lb/>e che quelle parti di ciel, che stelle non hanno, per esser
<lb/>diafane son penetrabili; e uisibili son quelle, che son lucide, come
<lb/>le stelle, pur che la troppa lontananza, non le tolga di vista ?
<lb/>C. Voi Sig. Colombo alla barba di quegli antichi
<lb/>Astronomi, che con tutti i loro arzigogoli nò si
<lb/>seppero immaginar cotali inuenzioni; auete loro 
<lb/>additato, e fatto vedere il Primo mobile stellato.
<lb/>R. Al seruigio vostro Sig. Mauri, se ben vi dispiace. Percioche, si
<lb/>come dissi alla Considerazion 44 fù lecito all'Eccellente Sig.
<lb/>Magino, e con molta sua loda ritrouar nuoui cieli, perche non 
<lb/>sara lecito a mè ritrouar nuoue stelle ?
<lb/>C. Conciossiache quantunque gli occhiali si ritrouassero 
<lb/>la prima volta nel 1208. nulladmeno
<lb/>l'uso loro, essendosi in questa lungheza di tempo 
<lb/>annighittito solo in oggetti vili, non è stato
<lb/>mai, se non ora da voi, adoperato, e adattato 
<lb/>in fauor’ dell'Astrologia à cose sourane,
<lb/>e celesti. 
<lb/>R. State attenti Sig. Lettori, che questo prode huomo, non per altro
<lb/>ha appiccato il discorso de gli occhiali, se non per dire il parer
<lb/>suo d'intorno all'inuenzion di essi la qual consiste nell'autorità,
<lb/>di fra Giordano da lui citato in margine. Signor Mauri fare a
<lb/>mio senno; vn'altra volta nelle prediche di fra Giordano apparate 
<lb/>le cose spirituali, quale è quella del non dispregiare il prossimo
<lb/>come fate voi, e nelle secolari, se pur volete qua che cosa apprendere, 
<lb/>vna sia la fiorentina fauella, della qual, se voi ne siate
<lb/>bisognoso, dianzi vi feci vedere. E certamente le prediche sue
<lb/>son lodate di lingua purissima dal Saluiati, per esser nate in quel
<lb/>buon secolo, non lontano da quel del Boccaccio, quando fiori
<lb/>il Passauanti della medesima religion Domenicana, scrittor nobile.  
<pb n= "116 verso"/>  
<lb/>Ma se pur nell'origine degli occhiali haueste per autoreuole 
<lb/>il parer di Fra Giordano; dite, che intende dell'inuerzion più
<lb/>polita, e perfezionata, e non dell'assoluta, di cui fa menzion
<lb/>Plauto antichissimo poeta dicendo; [ Conspicillo vti necesse est. ]
<lb/>Perche, altramente, io dirò, che voi intedete tutti gli autori in
<lb/>quel modo appunto, che non vorrebbono esser intesi. Io vi
<lb/>veggo cotanto inchinato à ritrouar le deriuazioni, e gli inuentor 
<lb/>degli strumenti, che mi fò marauiglia, che non habbiate ricercato 
<lb/>dell'Astrolabio, per nobilitarlo, a cui sò, che hauete molto 
<lb/>più affezion, che agli occhiali; se è reputata per vera, nel Ghetto 
<lb/>dagli Ebrei, la sentenza de’ lor Rabini; ciò è che nel Razional 
<lb/>del Sommo Sacerdote fossero scolpiti i nomi delle dodici
<lb/>Tribu, e con ciascun nome vna costellazione, donde gli Astrologi 
<lb/>habbiano appreso il concetto del fabbricar l'Astrolabio, dice
<lb/>Auenezra. E certamente hauete mancato, perche questa non
<lb/>era men bella, che quella degli occhiali. -
<lb/>Discorso. Esemplo ne siano alcuni specchi con certo artificio lauorati, 
<lb/>che l'imagini, hor grandi, hor piccole rappresentano, se
<lb/>per lo dritto, ò capo volti in mano si tengono. E ciò non da altra 
<lb/>cagione ad uien, che dall'esser quel vetro pien di alcune 
<lb/>inegualità di grosezza, e sottiglieza studiosamente fatte. E io
<lb/>n'ho veduti certi, che il viso altrui cosi disfoggiata grandezza
<lb/>rappresentano, che muoue a riso chiunque rimira in quello. Dimostrazione 
<lb/>in vero, che leua ogni dubitanza, come per mezo di
<lb/>quel denso apparir possa così grande quella stella, che Gioue
<lb/>rassomigli. Ma che nel Cristallino cielo il raro, e'l denso ritrouar 
<lb/>si possa, la stessa Luna, il fà palese, non solamente con le sue
<lb/>macchie, che altra cosa non sono, che parti più rare, non dal Sole
<lb/>illuminate, cedenti al trapassar de’ raggi di quello; ma eziandio 
<lb/>la Galassia, o vero Circol lateo lo ci conferma: conciossiache, 
<lb/>quel piazzamento di biancheggianti particelle, altro indizio 
<lb/>non mostri, che di molte densita di raro compartite e fatte dal
<lb/>raggio solare del color del latte apparire. Non dico gia, che
<lb/>quella densa parte del Cristallino sia oscura, e spessa a guisa di quelle 
<lb/>del corpo lunare; imperoche, sì come la Luna il Sole occupa traponendoglisi, 
<lb/>cosi le stelle verrebbon da quella densità nascose,
<lb/>anziche portate a gli occhi de'riguardanti. Onde affermar si dee,
<lb/>che ella sia in somiglianza di cristallo, quale appunto il nome 
<lb/>di quel ciel ne significa di manierache, nel modo stesso, che
<lb/>l'aria humida, e vaporosa, nel seren del verno, doppo vicina 
<lb/>pioggia, più stelle, maggiori, più chiare, e scintillanti ci fà vedere, 
<lb/>così, e non altramente adopera quella spessata parte del Cristallino
<pb n= "117 recto"/>  
<lb/>cielo, per rappresentar le stelle, a cui s'interpone.
<lb/>Hora, se chi che sia domandasse, per qual cagion, tale stella, esser
<lb/>non può nel Cristallino, e quella densità sottoposta nello stellato, 
<lb/>ò nel ciel di Saturno, ò di qualunque altro pianeta: io risponderei, 
<lb/>che nè la stella, nel Cristallino, nè la densita, sotto di quello 
<lb/>può hauer luogo. Primieramente, perche non solo, con l'autorità 
<lb/>si proua il Cristallino cielo, esser di stelle spogliato, come
<lb/>tutti i sacri, e profani scrittori affermano, ma la ragione ancora
<lb/>dall'esperienza si prende, attesoche, se stelle nel cielo acqueo si
<lb/>ritrouassero, bisognerebbe dire, ò che, per sè medesime visibili
<lb/>si farebbono a gli occhi nostri, e cosi mai non si perderiano di
<lb/>vista, e veddrebbonsi, oltre acciò, mutar positura, con quelle dello 
<lb/>stellato, per la varietà de’ mouimenti dell'vno, e dell'altro 
<lb/>cielo; cose, che amendue per tanti secoli trascorsi, false appaiono. 
<lb/>O veramente, perche siano apparenti, vi fa mestier di
<lb/>quella parte di ciel più densa, che sottoposta cagioni la veduta 
<lb/>di esse stelle. Ne questo eziandio hà di verisimile apparenza:
<lb/>conciosiache, dal Sole verebbe quella densa parte illuminata, come 
<lb/>adiuiene alla Galassia; e perciò sempre apparirebbe visibile 
<lb/>quella densita, ancorche buia, e spessa, quale il corpo Lunare,
<lb/>ella non fosse. Impercioche le molte parti, e quasi infinite di
<lb/>cielo, che in sì smisurata altezza l'vna dopo l'altra si ritrouano 
<lb/>sopra quella densità, e la gran lontananza, che è da essa a gli occhi 
<lb/>nostri, officio adoperano equiualente alle molte parti d'un 
<lb/>corpo in poca mole ristretto, e oscuro; attesoche, per tali accidenti 
<lb/>ne’ corpi diafani, e che traspaiono, l'oscurita si cagiona 
<lb/>basteuole per far la reflessione, e refrazzion de'raggi, e diuenir
<lb/>luminosa quella più densa parte. Onde per simil cagione ci sembra 
<lb/>colorato il cielo in somigliauza di Zaffiro, quantunque colorato 
<lb/>non sia, dice lo Scaligero contra il Cardano, e'l Cardinal -
<lb/>Contareno, con altri famosi autori. Percioche i corpi trasparenti, 
<lb/>o diafani, che dir vogliamo, dilungandosi molto, sproporzionato 
<lb/>mezo douentano al vedere; e da tale sproporzion le 
<lb/>tenebre si generano, terminanti dell'occhio la virtù visiua. Eccone 
<lb/>l'esempio in queste cose terrene. I Laghi, Pelaghi, il Mare 
<lb/>in somma, per la profondita loro, del color dello smeraldo appaiono, 
<lb/>comeche verun colore in quell'acque non sia. e non per
<lb/>altra ragione, se non perche la moltitudine delle parti in tanta 
<lb/>altezza d'acqua non cede il passaggio alla debolezza della nostra 
<lb/>vista, e quella tenebrosita cagiona, che termina la visual postenza. 
<lb/>E a chi uolesse pur creder, che, almeno da l'ottaua sfera 
<lb/>in giù, non fosse distanza tale, che alla potenza visiua cotale
<pb n= "117 verso"/>  
<lb/>oscurità rappresentar si potesse; nè conseguentemente illuminate 
<lb/>ci apparisiero quelle parti di cielo più dense; ma l'apparenza 
<lb/>di quella stella producessero: si risponde, che ad ogni modo 
<lb/>non può questa densezza ritrouarsi in alcun degli orbi de’ pianeti. 
<lb/>imperoche non vna sola stella per uolta; ne di lunghissimi
<lb/>tempi distante l'una dall'altra, apparita saria, ma molte, e molto
<lb/>souente vedute se ne sarebbono. Conciosiacosache quella densezza 
<lb/>allo stellato sottoposta, ad ogni momento nelle stelle di
<lb/>quello s'auuerrebbe. Nè, per tutto ciò, argomentar mi si può
<lb/>egli contro con la medesima ragione, dicendosi, che quella densa 
<lb/>parte, ch'io ascriuo al Cristallino, altresì dourebbe esser lustrata 
<lb/>da i raggi del Sole, e per tanto nel medesimo inconueniente, 
<lb/>ritrouarsi il mio concetto, nel quale hò cercato di porre il prodotto 
<lb/>di sopra, circa la densità attribuita a gli altri cieli, cioè, che
<lb/>sempre veder si dourebbe, e nulladimeno perche il contrario appare, 
<lb/>falsa debba la mia obbiezione stimarsi. Imperoche, se il
<lb/>Cristallino si ritroua cinquecento nouantanoue milioni, e nouecento 
<lb/>nouantacinque mila miglia, e cinquecento lungi dalla terra; 
<lb/>come sarà egli credibil mai, che, vn poco d'albore, che i raggi 
<lb/>del Sole producessero in quella densezza, come egli si vede 
<lb/>nella via Lattea, non si disperda, nel diffonder la sua spezie, per
<lb/>sì lungo mezo, accioche l'occhio la vegga ? Aggiungo, che il
<lb/>Sole non arriua co' suoi raggi tanto insuso, perche il suo lume
<lb/>non vi fa di mestiere, stelle non vi essendo; e la nobiltà, e dignità di
<lb/>quelle, che nel Primo mobile alloggiano, richiede splendor natiuo, 
<lb/>e non accattato. Anzi vogliono scrittor famosi, oltre a Macrobio, 
<lb/>e Auicenna, che niuna stella, fuor solamente la Luna, riceua 
<lb/>luce dal Sole. Ma conceduto, che elle hauessero necessità
<lb/>de'raggi di quello, per farsi luminose, secondo alcuni, egli si dee
<lb/>intender di tutte le stelle conosciute da gli Astrologi, sino allo
<lb/>stellato cielo, se bene il viuace lume, che è in quelle m'induce à
<lb/>creder, che mendicato non sia, come quel del corpo lunare, che
<lb/>ammortito sempre rassembra. Conchiudesi adunque, i raggi del
<lb/>Sole, ò non traualicar l'ottauo cielo, ò cosi debolmente, e fiaccamente 
<lb/>illuminar quella densa parte del Cristallino, che apparir
<lb/>non possa all'occhio de'riguardanti, come il senso uede per
<lb/>esperienza.
<lb/>Altra dubitazion sento uenire in campo, ed è tale. Se questa nuoua 
<lb/>stella, mediante cotal densita appare, come potrà ella per ogni 
<lb/>regione, e luogo vedersi, se tra quella, e la densezza sottopostale 
<lb/>è tanto d'interuallo, che quegli, che, alquante miglia di
<lb/>sotto la linea retta perpendicolare alla densità, e alla stella si allontanasse,
<pb n= "118 recto"/>  
<lb/>vedrebbe rimaner la stella allo scoperto, e non più apparire? 
<lb/>E nulladimeno, per tutto questo diametrò della terra,
<lb/>s'è fatta questa celeste lampada vedere. Ma a questo si risponde,
<lb/>che, non solamente il Cristallino cielo, e per conseguenza quella 
<lb/>sua densa parte ascende sopra la terra, in tanta altezza, che 
<lb/>non ci è clima, ò confin si remotto, doue altri allontanar si
<lb/>possa sì, che mutazion sensibile d'aspetto si facesse: ma, che assai
<lb/>più rileua è, l'esser quella densa parte (altramente non produrrebbe 
<lb/>tale effetto) di circuito molto maggior, che la terra non è.
<lb/>Testimonio della sua magnitudine fanno le stelle della sesta grandezza, 
<lb/>che, quantunque le minori siano sì, che appena si ueggono, 
<lb/>elle contengono l'ampieza della terra, dicciotto uolte cotante, 
<lb/>e vn decimo incirca. Che adunque si dira egli di quella densista 
<lb/>del Cristallino, in proporzione, e tanto più eleuata, che quelle non sono?
<lb/>Considerazione XXXXVII. Se questi vostri
<lb/>specchi, tenuti u.g. per lo dritto, facessero le immagini 
<lb/>rappresentate loro dauanti.
<lb/>Risposta. Dauanti a gli specchi si rappresentan gli oggetti visibili, e
<lb/>non l'imagini, ma si ben gli specchi, riceuendo le spezie, in sè
<lb/>degli oggetti, gli oggetti rappresentano.
<lb/>C. Grandi semplicemente, mediante alcune inegualità 
<lb/>contenute da essi, di grosseza, e di sottiglieza 
<lb/>non sò per qual ragione poi capouolti 
<lb/>(come voi dite) tenuti in mano, contenendo 
<lb/>pure le medesime inegualità di grosseza, e
<lb/>di sottiglieza, perciò le medesime cagioni, per le
<lb/>quali e’ faceuano per lo diritto apparir maggiore 
<lb/>l'oggetto, abbiano del tutto à produrre effetti 
<lb/>contrari. Desidero di saperlo: ma di grazia
<lb/>non mutate pensiero, attribuendo à tali accidenti 
<lb/>diuersa cagion da quella, che già quì auete 
<lb/>arrecata; perche vorrei prima intender ben questa,
<pb n= "118 verso"/>  
<lb/>per non esser fra quelle, che io stimaua perfettissime 
<lb/>ragioni à sodisfare à si fatto dubbio;
<lb/>allo’mprouso m'è giunta addosso. 
<lb/>R. Io diuero non mi marauiglio, che neghiate queste apparenze,
<lb/>perche, se per vostro difetto ciascuna cosa è da voi giudicata arrouescio, 
<lb/>che gran fatto è, che l'arrouesciate vi paion per lo dritto? 
<lb/>Chi meglio dourebbe saper, se cotale apparenza nasce da la
<lb/>detta cagione, ò nò, di voi, che vi reputate sì gran perspettiuo
<lb/>della cui disciplina è parte la Catoptrica, ò specularia, che dir
<lb/>vogliamo? E se altra credete, che sia la cagione (che a mè poco 
<lb/>importerebbe, pur che l'effetto sia vero, per conseguire il
<lb/>mio intendimento) perche non l'hauete addotta, prouando, la
<lb/>da me assegnata esser falsa? Credete voi ch'io sia per farui vn libro 
<lb/>intero di questa materia, doue tanti illustri scrittori ne hanno 
<lb/>largamente fauellato, che non è huomo di mezana intelligenza , 
<lb/>che non sappia i marauigliosi effetti, e quasi incredibili
<lb/>della specularia? Voi, che siate di quegli Astrologi, che si dilettano 
<lb/>arrecar marauiglie, e stupore in certi cotali, che, dalle
<lb/>vostre ciance ingannati, oracoli v'appellano, non posso giudicar, 
<lb/>che non sappiate far per via di specchi in apparir nell'aria
<lb/>l'imagine di chi che sia, come anticamente alcune donne maliarde 
<lb/>faceuan per dar’ adintendere alle male femine, che per arte del
<lb/>Fistolo il facessessero, acccioche, da loro adoperate, fossero per
<lb/>cauarne buon danari. Dicono gli scrittor di questa facultà, che,
<lb/>per simili specchi, alcuni fanno apparir la faccia lunga, altri storta; 
<lb/>schiacciata; tonda; molto larga; co'piedi in sù; con l'effigie
<lb/>fuor dello specchio; d’vna sola cosa diuerse sembianze; in diuersi 
<lb/>colori; le cose grandi piccole; e le piccole grandi, le lontane 
<lb/>da presso; e le presso lontane; e quelle, che son sotto i piedi
<lb/>di sopra; le soprane in fondo; quelle, che son in vn sito, in vn'altro;
<lb/>alcune cose ancor esser molte, se ben son’ vna sola; la destra parte destra; 
<lb/>è la sinistra sinistra. Celio nelle sue antiche lezioni referisce, 
<lb/>che un certo chiamato Histio, al tempo d'Augusto, fece
<lb/>specchi, che rappresentauano le cose tanto maggiori , che il dito
<lb/>auanzaua la grandezza, e grossezza del braccio. Il Fiorauanti
<lb/>racconta, che in Napoli un Gaualiere hauea vno specchio, che
<lb/>mostraua le spalle in cambio della faccia. Il qual caualier per 
<lb/>gioco, daua ad intender che quegli, che non si uedeua in uso,
<lb/>non era nato legittimo. La Reina d'Inghilterra, si racconta
<lb/>che, essendo uana, fù dalle sue dame ingannata con una spera,
<pb n= "119 recto"/>  
<lb/>che giouane, e bella apparir la facea, ma quindi a poco, accortasi 
<lb/>dell'inganno, fece all'inuentrice di quella adulazion leuar la testa. 
<lb/>Lo scelerato Agrippa faceua specchi, in cui le cose di quattro,
<lb/>ò cinque miglia lontano si vedeano, se dentro vi daua il Sole 
<lb/>illuminandole. Pittagora sapeua farli cotanto lucidi, che 
<lb/>diede occasion, per gli effetti che di lontano adoperauano, che 
<lb/>si fauoleggiasse, che egli, in essi scriuendo, faceua per via direstesso 
<lb/>ueder le stesse lettere nella faccia della Luna, di uarie parti 
<lb/>del Mondo. Ma io hò letto in graue autor, che afferma, che 
<lb/>questo era un gioco di Pittagora fatto così. pigliaua uno specchio, 
<lb/>e uoltate le spalle alla Luna ci scriuea dentro col sangue; 
<lb/>onde quegli, che leggeua le parole scritte, le uedeua nella faccia 
<lb/>della Luna, mediante quello specchio. E il Cardano di sè medesimo 
<lb/>dice, essersi ueduto con quattro orecchi, in uno specchio. 
<lb/>Finalmente uolete altro, che questi tali uogliono potersi far apparir 
<lb/>con gli specchi fin uolare un'huomo, come, se fosse un'uccello 
<lb/>per l'aria. Molti de nominati autori insegnan le cagioni di 
<lb/>cotali effetti, e insegnano ancora il modo di far questi specchi, 
<lb/>se haueste voglia da'appararlo. Vogliono, che quest'arte habbia 
<lb/>per soggetto la linea visuale reflessa, e refratta, ricordandoui 
<lb/>però, che niente rileua, in questo proposito, se la visione intramittendo, 
<lb/>ò estramittendo si faccia; è perciò si discorre co'termini 
<lb/>de’ perspettiui, non ischifando di nominare i raggi visuali, 
<lb/>o linee reflesse, e refratte, e somiglianti, perche non variano il 
<lb/>concetto. Imperoche, secondo la verità, la refrazione, e reflession 
<lb/>si cagiona ne i raggi dell'oggetto visibile, e luminoso dal
<lb/>mezo ingrossato, e denso, e non ne i raggi visiui, come si è detto
<lb/>alla considerazion 19. in risposta, e altroue. Di più dico, che refrazione,
<lb/>e reflessione impropriamente si dicono: imperoche quel che
<lb/>non è corporeo, ne materiale diuisibile, come è il raggio, non patisce 
<lb/>simili accidenti; ma quel che appare esser refrazione, e reflessione 
<lb/>altro non è, che generazion di nuoui raggi, e splendore come
<lb/>i filosofi vogliono, e in particolare il Zabarella. Tornando 
<lb/>a proposito, questa è quella spezie di perspettiua, detta dà i Greci 
<lb/>Catopatrica, e distinta dall'Optica, che la prima, le linee reflesse,
<lb/>e refatte; e la seconda, le rette consideria, pur nelle visuali
<lb/>parlando. I fondamenti delle apparenze di questa specularia sono 
<lb/>i lumi, l'ombre, i colori, la tersezza, l'aspreza, il luogo, la
<lb/>distanza, la grandezza, la figura, la diuision dell'imagini, il sito,
<lb/>e la vista in vniuersale. Quanto a gli specchi, secondo la figura,
<lb/>se ne fan de’ Colonnari, piramidali, angolari,  triangolari, quadrangolari, 
<lb/>trombali, gobbi, sferici, torti, concaui, e somiglianti.
<pb n= "119 verso"/>  
<lb/>Alcuni specchi son, che hanno forza di ristringer i raggi del
<lb/>Sole, che abbruceriano ogni gran cosa, che lor dauanti si ponesese; 
<lb/>altri le cose ascose riuelano; altri fanno, che l'huomo appaia
<lb/>con due facce, con quattr'occhi, con trè, è monocolo ancora
<lb/>e il viso riuolto, la faccia corta, e larghissima. Hauete voi prouato 
<lb/>a guardarui in vno specchio concauo, e ancora in cucchiaio
<lb/>d'argento, ò d'ottone, che non hà altro artificio, che quella 
<lb/>concauità, e nulladimeno il viso apparisce volto in giù? La ragione 
<lb/>è perche la spezie, o simulacro piegandosi, piramidalmente, 
<lb/>per cagion del lume in giù, non trouando nello specchio 
<lb/>il piano, doue fermarsi, scorre verso il centro per trouarlo,
<lb/>e così premuta in giù, verso l'estremo orlo, subito si ferma, per
<lb/>che termina quiui anche il lume, e perciò resta capouolta, e la
<lb/>destra si riscontra con la man sinistra, di colui, che nello specchio 
<lb/>si rappresenta, ma capouolta: e tutto per ragion dell'aria,
<lb/>ciò operante, in quella figura di specchio, si cagiona. Che marauiglia, 
<lb/>adunque vi fate voi, che uno specchio medesime, tenuto 
<lb/>in mano, per lo dritto apparir faccia piccola vna cosa è capouolto, 
<lb/>grande la stessa cosa rassembri? Che vi pensate, che quelle 
<lb/>inegualità, per esser le medesime, mutando sito di già capouolte, 
<lb/>e lumi, e ombre, e concauo, quel che era conuesso, e grosso, 
<lb/>quel che era sottile nella suprema parte tornando, non facciano 
<lb/>diuersita d'apparenza? Voi medesimo il sapreste fare, se quel
<lb/>cristallo rotondo, e grosso, di cui diceuate dianzi inseriste
<lb/>con l'arte solita in vna spera, che di fuora piana apparisse, ma dentro 
<lb/>quella inegualita, o altre, diuersamente disposte serbasse. Non
<lb/>è egli vero, che alcuni pittori per uia di certe pieghe situate in guisa, 
<lb/>che non appaiono, fanno ueder nel pian d'un quadro stesso,
<lb/>à chi per diuerse positure il riguarda, hora una sfera celeste, hora
<lb/>vna Scimia, hora vna Morte, hora vna bellissima Venere; e tutte 
<lb/>queste cose a diuersi huomini nel medesimo tempo diuersamente 
<lb/>posti à guardare apparir fanno ? Niuna dubitanza, per
<lb/>tanto dee hauersi, ò Alimberto, che la densita celeste non posta cagionar 
<lb/>cotale apparenza, come l'esemplo, verissimo, e proprio
<lb/>totalmente, degli specchi ne dimostra. 
<lb/>Discorso. Souuiemmi vn concetto d'un bell'ingegno, che tutte
<lb/>le raccontate opinioni, e, se altre cen’ ha ancora, stima non esser
<lb/>da accettar per vere, dicendo, che è molto più verisimile, questa 
<lb/>nuoua stella non esser fissa, ben che nel firmamento, ma che,
<lb/>volgendosi per lo suo Epiciclo, non prima, che hora sia discesa
<lb/>nell'opposito dell'auge di quello; e perciò fatti i ueder nella
<lb/>parte intima, ciò è nella concaua superficie del suo cielo. Ma
<pb n= "120 recto"/>  
<lb/>a dirne il vero, uadansi pur gli Astrologia lambiccare in altro
<lb/>il ceruello, se in tante miglia io d'anni non han saputo per tante
<lb/>osseruazioni conoscer, se le stelle erranti nello stellato ciel
<lb/>dimorino.
<lb/>Considerazione XXXXVIII. Risponderebbe 
<lb/>vn'Astronomo, che non è verisimile, che questa 
<lb/>nuoua stella, per voltarsi in vn suo Epiciclo, 
<lb/>dal girar dell'Apogeo al Perigeo, diuentasse
<lb/>visibile: imperocche, per conseguenza, ella
<lb/>prima sarebbe apparita piccola, e poi di mano
<lb/>in mano, secondo l'auuicinar si al Perigeo, maggiore: 
<lb/>ilche, come si è detto di sopra nella Conderazione 
<lb/>42. è falso. In oltre ella dal suo apparire, 
<lb/>al suo sparire aurebbe di continuo fatta
<lb/>gran diuersità d'aspetto : le quali cose quanto
<lb/>lontane sien dalla verità, ciascheduno sensibilmente 
<lb/>l'hà conosciuto. Ma vadasi pure à riporre 
<lb/>l'Astronomia con tutti quanti i seguaci
<lb/>suoi, che le vere risposte son quelle del nostro Colombo, 
<lb/>che è Filosofo naturale. Attendete, che 
<lb/>elle s'andranno sempre esplicando.
<lb/>Risposta. Anzi che vn’ Astronomo, che hauesse risposto, come voi non
<lb/>poteua esser’ altri, che il Mauri, che per non esser filosofo in veruna
<lb/>maniera, se ben mostra di intender le proposizion in vniuersale, applicando 
<lb/>a’ particulari non se ne serue a tempo, e luogo, ne come conuiene. 
<lb/>Ma questo può benissimo adoperar quegli, che filosofia intende, 
<lb/>sapendo elegger le più efficaci maniere per argomentare, e prouar 
<lb/>quello che gli aggrada, lasciando le proporzioni in vtili, per non
<lb/>parlar senza profitto, come voi. Vedete se è vero. Perche uoleuate 
<lb/>uoi, che io argomentassi, non poter, per uia d'un'epiciclo,
<lb/>cotale stella, esser apparita; attesoche ne seguitaua lei esser cresciuta 
<lb/>appoco appoco, sè questo accidente è ad uenuto in essa,
<pb n= "120 verso"/>  
<lb/>come sopra vi prouai? E perche dalla mutazion dell'aspetto, se
<lb/>in quella altezza non può hauer luogo la paralasse? Certamente 
<lb/>ch'io sarei stato vn valente laua ceci. E se pur voleste per aspetto 
<lb/>intendere impropriamente la varieta del sito di tale stella 
<lb/>con l'altre; questo sarebbe maggior marron del primo. perche
<lb/>non solo quando la stella fosse stata nell'ottauo cielo, non sarebbon
<lb/>bastate le settimane ne i mesi, ne alcune volte gli anni, e i secoli
<lb/>eziandio per osseruar le mutazion de'siti, come gli Astronomi sanno;
<lb/>me che più importa è, che essend'ella in vn ciel superiore, la sua
<lb/>lontananza non potea lasciarla veder, se non quando era vicina al
<lb/>Perigeo del suo epiciclo. Onde, per esser minima parte di quel circolo; 
<lb/>non poteua cotal diuersita esser sensibile a gli occhi nostri.
<lb/>E perciò tale argomento sarebbe stato di nulla valore. Di più, l'essere
<lb/>stata osseruata tardi cotale stella, non haurebbe lasciato conoscer
<lb/>questa differenza. Oltre che, per le uarie opinioni, cioè, se'l ciel'ottauo, 
<lb/>sia penetrabile, ò nò, come tenete voi, se i raggi del sole illuminan tanto 
<lb/>insuso; se le stelle hanno lume proprio, ò accattato, 
<lb/>potendosi hauer cagion di si lunga disputa, per negar, ò
<lb/>affermarsi da gli vni, e da gli altri la varianza di tali aspetti, ò siti,
<lb/>in questa apparizione: perche non haurò adunque più lodeuolmente, 
<lb/>lasciate queste vie incerte, e fallaci argomentato contro
<lb/>cotal parer nella maniera, che ho fatto di gran lunga più sicura?
<lb/>Discorso. E perche, dimanderò io, abbisognato sia tanto spazio di
<lb/>tempo a quell'Epiciclo, per condur dall'Apogeo al Perigeo suo
<lb/>quella luminosa fiammella, e farlaci vedere? Qual ragion da esso,
<lb/>addur si potera egli, che forse ridicola non sia, per dar luogo in
<lb/>quel cielo a vn'Epiciclo? 
<lb/>Considerazione XXXXIX. Per essere cotale 
<lb/>Epiciclo di smisurata grandeza. Ne questa ragione 
<lb/>può esser ridicolosa, se voi mi concederete
<lb/>come veramente non potete mancare, che l'Epiciclo 
<lb/>possa esser grande, quanto la grosseza del
<lb/>cielo, nel quale egli è situato.
<lb/>Risposta. Oh, noi siamo addietro vn pezzo: a dir, che voi vogliate che
<lb/>io non possa nega tal grandezza d'Epiciclo nel ciel Cristallino, se
<lb/>io non concedo eziandio, ne veruno scrittor sacro, ò profano, che epicicli 
<lb/>vi siano, poiche non vi sono stelle. Ma ditemi grazia, non vi
<lb/>sarebbe in vano cotale Epiciclo, per nascondere, ò palesar la stella, 
<lb/>ben che egli fosse grande, come tutta la grossezza del Cristallino
<pb n= "121 recto"/>  
<lb/>posciache ad ogni modo mai non l'occulterebbe, quantunque
<lb/>fosse nell'Apogeo, se, mediante i vostri calculi, hauete prouato,
<lb/>che vna stella di simil grandezza si vedrebbe fin dal Primomobile? 
<lb/>Dunque ui sara questa sola, poiche altre non vi si ueggono?
<lb/>E pur dourebbon uedersi le minori di gran lunga, come uoi medesimo 
<lb/>affermate. Forse, che l'altre ancora ci occulta l'epiciclo?
<lb/>Voi stesso dite, ed è vero, che non si debbon conceder gli Epicicli, 
<lb/>se non per saluar quell'apparenze, che in altra guisa, difender 
<lb/>non si possono. Ma, perche per altra via, molto e più ragioneuole, 
<lb/>si salua cotale apparenza; uano adunque sarebbe assegnaar, 
<lb/>con tante inconueneuolezze, Epicicli al Cristallino cielo.
<lb/>Discorso. E se quegli replicasse, che, se nello stellato non vogliamo 
<lb/>concederli esser l'Epiciclo, non per tanto non ui haura contrasto, 
<lb/>che egli nell'Acqueo cielo, è quello immediatamente,
<lb/>supremo esser non possa, doue non sarà d'ammirazion, che tale
<lb/>accidente in quel ciel non sia stato osseruato, come altresì della
<lb/>medesima stella è adiuenuto; noi habbiamo di già, per le ragioni, 
<lb/>e autorità, pur dianzi mentouate, chiaramente mostrato niuna 
<lb/>stella questo ciel possedere.
<lb/>Considerazione L. Quantunque io non sappia,
<lb/>senza trarne qualche inconueniente, cauar construtto 
<lb/>veruno di quelle parole [Doue non sarà d'ammirazione, 
<lb/>che, ec.] mi pare nulladimeno, che cosi
<lb/>mostri segno di bello ingegno costui, in sì fatta
<lb/>gusa replicando, poiche ( e ciò si vedrà nella
<lb/>Considerazione, che segue ) mediante detta replica 
<lb/>si conferma’ l suo parere.
<lb/>Risposta. Quelle parole mie, che hauete racchiuse, come scandolose, 
<lb/>son di buone brigate, e non son comparite quiui per far
<lb/>mal officio, e à sproposito altramente: perche elle argomentano
<lb/>in fauor di quella opinione, mostrando, che, per esser fuor dello
<lb/>stellato cotale Epiciclo, non è da marauigliarsi, che non sia prima 
<lb/>stato osseruato da gli astronomi, si come altresi noi reputiamo
<lb/>della stella del Primo mobile essere adiuenuto. Ma, se pur
<lb/>si douesse far rammarichio delle maniere di parlare oscure,
<lb/>di grazia osseruino i lettori, per non cercar altroue, questa considerazioni 
<lb/>stessa, e dicanui poi, se meglio per voi era il tacere. perche,
<pb n= "121 verso"/>  
<lb/>oltreche la gramatica è infelicissima, egli non se ne caua sugo 
<lb/>veruno.
<lb/>C. Si come di poco valore quegli, che non abbatte i
<lb/>suoi fondamenti di maniera, che egli non possa
<lb/>farne disegno veruno, che vaglia.
<lb/>R. O uoi sì gli hauete rouinati, i fondamenti suoi con quelle risposte, 
<lb/>non da filosofo naturale, come dite, che son le mie, ma da
<lb/>astronomo più che mediocre; poiche, come vi ho dimostrato,
<lb/>essi fondamenti appaion più gagliardi, nulla adoperando lor contro,
<lb/>ma giouando, l'obbiezioni, che voi fate dell'accrescimento, e
<lb/>dell'aspetto di essa stella;
<lb/>Discorso. Ma quando costui, qual miscredente, e pertinace creder
<lb/>volesse, il Cristallino, come gli altri cieli, non esser di stelle mancheuole; 
<lb/>chi non vede, che il disegnar nuoui Epicichi, niuna cosa 
<lb/>proua circa l'apparizion di nuoue stelle ? Imperoche non è
<lb/>egli vero, che quel cerchietto, dentro a cui si volge la stella, non
<lb/>la toglie mai di vista a riguardanti, portandola nella porzion
<lb/>superiore, come nella parte opposta, che la concaua superficie
<lb/>del suo ciel riguarda ? Saturno, per esemplo, ritrouisi nell'Auge, 
<lb/>ò nell'opposito dell'Auge del suo Epiciclo, altra differenza
<lb/>non fà, che maggiore, è minore apparire, ma non mai si perde
<lb/>la veduta di quello, per ritrouarsi nell'Apogeo di esso circolo,
<lb/>in cui si gira quel pianeta. Hora, sè la stella nuouamente apparita, 
<lb/>non mai più s'è veduta, se non in questi tempi, chiara cosa
<lb/>è, che per altra strada, che per mezo dell'Epiciclo a gli occhi de’
<lb/>riguardanti s'è dimostrata. Oltreacciò, non tutte le stelle di quei
<lb/>cielo debbono hauere Epiciclo. Onde di quelle, che non si portano 
<lb/>da gli Epicicli verso l'Apogeo, ma fisse nella concaua superficie 
<lb/>del Cristallino cielo si ritrouano, supposto, che ve ne fosse,
<lb/>perche non si veggono almeno le maggiori? Che forse non v'è
<lb/>altra che quella ? E poi, farebbe di mestier, che il suo Epiciclo
<lb/>fosse maggior di tutto il ciel, nelquale egli si ritrouasse, à voler
<lb/>che vna stella, che grande rassembra esser, come Gioue la sua veduta 
<lb/>ne togliesse, girandosi uerso l'Auge di quel circolo. Cosa,
<lb/>che veramente difficile sarebbe a persuadersi da Bruno pittore a
<lb/>quel melenso di Calandrino.
<lb/>Considerazione LI. Costui miscredente, e pertinace 
<lb/>è quegli, che ne crede; ne vede per le vostre 
<lb/>ragioni, che’ l disegnar nuoui Epicicli à nuoue
<pb n= "122 recto"/>  
<lb/>stelle, non abbia à prouar niente intorno alle
<lb/>loro apparizioni, poiche la proua, ed esemplo
<lb/>dell'Epiciclo di Saturno, ò di qualsiuoglia altro 
<lb/>pianata, non gli pare, che sia se non debolissmo. 
<lb/>Risposta. Ella non è mica debole, come che voi, stimandola tale, vi
<lb/>siete fittole addosso con tanta voga, che, lasciando tutte l'altre
<lb/>al solito vostro, disperato di poterla con esse, non hauete pur fatto
<lb/>lor motto.
<lb/>C. Posciache, essendo’l diametro di quell'Epiciclo
<lb/>lungo, quanto è solamente grosso l'Eccentrico di
<lb/>Saturno; e piccolo à proporzion di quello, che è
<lb/>da lui assegnato alla nuoua stella. Onde, per
<lb/>allontanarsi poco dal Perigeo all'Apogeo, Saturno 
<lb/>non si può perder di vista.
<lb/>R. Il fatto stà, che bisogna prouarlo, che egli sia tanto grande
<lb/>epiciclo, che possa leuarci la stella di vista nel suo Apogeo; il
<lb/>che non farete gia mai, posciache, quando fosse quanto è grosso 
<lb/>tutto il suo cielo, ad ogni modo non basterebbe, come si è
<lb/>detto, per esser cosi grande la stella, secondo i vostri calculi, che
<lb/>hauea diametro non meno, che Gioue: e sareste contrario alla
<lb/>considerazion 39. affermando, che Gioue, fin dal Primo mobile,
<lb/>si vedrebbe. Voletene voi più ?
<lb/>C. Per un'altra ragione ancora, cioè perche egli
<lb/>è maggiore in se stesso di qualsivoglia stella della 
<lb/>seconda grandeza Se adunque queste di continuo 
<lb/>son visibili, e quello altresì, per esser sotto 
<lb/>à quelle si dourà vedere, ancorche egli, arriuando’ l
<lb/>suo Epiciclo non solo al termine dell'orbe
<lb/>proprio, ma ancora, per dir così alla conuexità
<lb/>dello stellato, nell'auge di esso si ritrousse. Ma
<pb n= "122 verso"/>  
<lb/>poiche, è Sig. Colombo, voi concedete, che questo 
<lb/>Epiciclo sia nel ciel Cristallino.
<lb/>R. Adagio Signor Mauri, perche quegli, che troppo furiosamente
<lb/>corre a ferire il nemico souente accade, che ferisca se stesso. Voi
<lb/>il concedete; che vorreste esser quel miscredente : perche io hò
<lb/>molto ben prouato, che in quel cielo non posson gli Epicicli
<lb/>hauer luogo.
<lb/>C. Dicendo poscia, che egli à guisa di quel di Saturno,
<lb/> e degli altri Epicicli, non può far perdere 
<lb/>di vista la stella, che è portata in giro, questo 
<lb/>bello ingegno non potrebbe egli à vn tratto 
<lb/>replicaruì (tacendo, che per esser il Cristallino
<lb/>di grossezà immensa, l'Epiciclo ancora potrebb'esser 
<lb/>di smisurata grandezza) che non peruenendo 
<lb/>co’ suoi raggi il Sole se non alla conuexità 
<lb/>dello stellato, perche il suo lume più sù,
<lb/>come affermate voi, non vi fa di mestieri.
<lb/>R. Signor nò, che egli non solamente in va tratto replicar non potrebbe 
<lb/>questo, ma ne anche, se egli duresse vn'anno a gridare
<lb/>senza vostra contraddizione, e delle demostrazion matematiche, 
<lb/>fatte da voi, doue prouaste, che anche dal Primo mobile tale
<lb/>stella si potrebbe da noi vedere, per non istar'a disputar, se da mè
<lb/>sia stato conceduto, che il Sole ascenda co'suoi raggi al Cristallino, 
<lb/>è nò [stelle non vi essendo] come io dissi allora, e voi non
<lb/>l'hauete osseruato. imperoche, secondo quegli che voglion, che
<lb/>le stelle riceuan lume dal Sole, è necessario dir, che il suo raggio 
<lb/>vi arriui, conceduto, che stelle vi siano. Hor tirate innanzi 
<lb/>a vostra posta.
<lb/>C Questa nuoua stella, arriuata che ella fù al Perigeo 
<lb/>del suo Epiciclo, contiguo al conuexo dello
<lb/>stellato, venisse allora ad apparire, e risplendere, 
<lb/>per essere in quel punto alluminata dal Sole,
<pb n= "123 recto"/>  
<lb/>la qual, non potendosi prima da esso far cotale
<lb/>effetto, era sì, come è ora, discostata dal Perigeo, 
<lb/>oscura, tenebrosa, e però come è la Luna inuisibile.
<lb/> Conciosiache, come afferma il Clauio, e
<lb/>voi, eccettuando solamente quelle del Primo mobile, 
<lb/>non lo negate, tutte le stelle, e secondo i Filosofi, 
<lb/>e secondo gli Astronomi, in quella guisa,
<lb/>che si è detto di sopra, riceuono la chiareza, e
<lb/>splendor dal Sole, come lor Signore, e padrone :
<lb/>e cosi replicando questo vostro auuersario miscredente,
<lb/>non sarebbe finita frà voi la contesa?
<lb/>Se però non voleste à voi stesso contraddire col
<lb/>negare, che più in suso non arriuino i raggi del
<lb/>Sole, e che le stelle, per farsi luminose, non abbiano 
<lb/>necessità di quelli, contro alle cose da voi
<lb/>più volte concedute.
<lb/>R. E possibil, che voi pensiate , che sia chi vi creda, che, se stelle
<lb/>fossero nel Cristallino, elle rimanessero mai cotanto oscure, che
<lb/>veder non si potessero, sè però abbisognasse lor la luce del Sole
<lb/>per la perfezion maggiore? Quale stella vedete voi sopra la Luna, 
<lb/>che non habbia lume più viuo di essa? Vn ciel tanto più nobile 
<lb/>di quel della Luna, che voi stimate simile alla terra, haurà
<lb/>le sue stelle oscure come è il corpo lunare? Ma andate; che si
<lb/>come la Luna si vedrebbe, se il Sole non la illuminasse: perche
<lb/>non sarebbe il medesimo d'vna stella del Cristallino, grande come 
<lb/>Gioue senza il lume del Sole, se è più lucida della Luna? E
<lb/>che'l corpo lunare si vegga senza che illuminato sia dal Sole, ciò
<lb/>appar manifesto nella sua ecclisse. Il Padre Clauio al capo primo 
<lb/>da voi citato dice il contrario di voi; atteso che tien che le
<lb/>stelle habbiano lume proprio, se ben crede, che elle n'habbiano
<lb/>anche dal Sole, [ Saltem perfectius, ] palando delle stelle note
<lb/>e non di quelle, che fossero sopra l'ottauo cielo, le quali, per esser 
<lb/>di sostanza più nobile, non dee credersi, che lucentissime non
<pb n= "123 verso"/>  
<lb/>fossero. Anzi che come di sopra si disse; Macrobio; a cui voi
<lb/>credete, fino il suon celeste, afferma con Auicenna, e altri, che
<lb/>le stelle, fuor solamente la Luna, non riceuon lume dal Sole :
<lb/>e io dissi, che gli Astrologi intendeuan solamente, le stelle conosciute, 
<lb/>fino all'ottauo cielo, mendicare il lume dal Sole, se bene
<lb/>il viuace lume di quelle ne persuade incontrario, come ancora afferma 
<lb/>il Pererio, dicendo, che è più conforme alla Sacra Scrittura: 
<lb/>portando in mezo le parole del Dottor delle genti, che vuole 
<lb/>ciascuna stella hauer proprio splendore, e differente frà di loro
<lb/>ancora cosi discendo. Aliam esse claritatem Solis,
<lb/>aliam Lunæ, aliam stellarum, &amp; stellam
<lb/>à stella differre in claritate. Ecco, che la lite è
<lb/>finita; non con esso lui, che non sarebbe entrato in queste contese 
<lb/>vane, ma con esso uoi, e diuersamente da quel, che pensauate.
<lb/>Ne mi contraddico per certo in niuna cosa, che nel discorso,
<lb/>ò qui habbia affermata, ò negata, come hauete veduto, se ben non
<lb/>- inteso. Ma voi, buon prò ui faccia, sempre riscontrate cioche andate 
<lb/>cercando. imperoche voleuate, che io mi ricordassi di scoprir 
<lb/>le vostre contrarietà, poiche affermate adesso, i raggi solari
<lb/>passar fino alla conuessa superficie dello stellato cielo, e nella considerazione 39. 53. 36 e 11, volete, che appena arriuino alle
<lb/>stelle nella concaua superficie, dicendo, che fiaccamente arriuandoui
<lb/>i raggi del Sole, quindi la scintillazion nelle stelle sì cagioni: 
<lb/>e mostrate ne’ detti luoghi, che non sia penetrabile il cielo
<lb/>stellato in modo veruno da i raggi eziandio. 
<lb/>C. In questa maniera adunque, mediante le stesse 
<lb/>uostre conclusioni dichiarata, e accommodata
<lb/>l'opinion di quegli, à cui di bello ingegno, forse
<lb/>per ischerzo, auete dato il nome.
<lb/>R. Non per ischerzo, ma con arte da voi non conosciuta.
<lb/>C. Non potrà esser refutata, e annullata, perche 
<lb/>cotale stella nel principio non apparisse piccola, 
<lb/>ò non abbia mai cangiato aspetto : poiche l'oposto
<lb/>dell'Auge, doue ell'appari, e quasi, che 
<lb/>vn punto. Dalladual cosa si può arguire anche
<pb n= "124 recto"/>  
<lb/>alla ragione, perche mai più ella sia stata veduta: 
<lb/>auuegna ch’e' sia chiaro, che se ella à passare 
<lb/>quel poco di spazio hà consumato più di
<lb/>dicciotto mesi, gran tempo altresi le è bisognato 
<lb/>à girare, ò la metà, ò tutto l'Epiciclo, ilquale 
<lb/>molto più grande potrebbe esser del Firmamento, 
<lb/>per quanto si è ragionato di sopra della
<lb/>grosseza del Cristallino, per farsi luminosa, e
<lb/>à noi visibile. Mi da solamente noia, per affermar 
<lb/>questa opinione, l'esser cotale stella nello sparire diminuita.
<lb/>R. E a mè, per negar quest'opinion danno aiuto, come hauete veduto, 
<lb/>tutte quelle cose, che pensauate, che la fauorissero, e quelle,
<lb/>che vi danno vggia per mio creder la confermano, massimamente 
<lb/>seguitando i fondamenti vostri. 
<lb/>C. Conciosiacosache, se ella si fosse lasciata vedere, 
<lb/>e fosse sparita per arriuare, e partirsi dal 
<lb/>Perigeo del suo Epiciclo, sì come ella non venne
<lb/>crescendo nella sua apparizione, cosi non sarebbe 
<lb/>à poco à poco venuta mancando nella sua dipartenza.
<lb/>R. Anzi che se ella senza scemar dipartita si fosse, come credete, che
<lb/>senza crescere apparita sia (secondo i supposti fondamenti vostri) 
<lb/>non poteua in ueruna maniera da voi credersi, che per mezo
<lb/>d'vn'Epiciclo si dimostrasse à gli occhi nostri, ma si bene essendo
<lb/>cresciuta, e scemata, come hà fatto veramente.
<lb/>C. E dico, che ciò solo mi da noia, per affermare
<lb/>e tener per vera inuenzaon così fatta, non perche
<lb/>io per altro non la stimi falsa, ma perche se mi
<lb/>risoluessi alla fine à creder, Sig. Colombo, i uostri 
<pb n= "124 verso"/>  
<lb/>pensieri, cioè, e che la nuoua stella si dea
<lb/>situare sopra’l firmamento, e che i raggi del
<lb/>Sole soura quello non trapassino per la qua’pensier 
<lb/>soli si e dato a colal ritrouamento qualche
<lb/>someglianza di verità, quella apparenza del
<lb/>diminuire nello sparire, mi farebbe titubare,
<lb/>anzi tenere simile opinion poco veritiera -
<lb/>R. Finalmente crediate pur, Signor Mauri, che, perche vi hò prouato 
<lb/>niuna di queste cose à cotale opinione impedimento apportare, 
<lb/>ma si ben quelle di cui vanamente fate molto conto; se io stimato 
<lb/>hauessi probabile cotal ritrouamento, più che il primo da me
<lb/>riceuuto, io solo riporterei di esso il vanto, che che egli si fosse,
<lb/>per non vi tener più a bada. 
<lb/>Discorso. Gli Epicicli, in somma, non furono ad altro fine ritrouati 
<lb/>da gli Astronomi, se non per saluar quell'apparenze, e accidenti 
<lb/>de’ Pianeti, quali son le retrogradazioni, stazioni, e minori, 
<lb/>e maggiori apparenze, e simili affetti di quegli. Ma quando
<lb/>si vide mai la nuoua stella cotali varianze hauer fatto, à cui sia stato 
<lb/>di bisogno assegnar l'epiciclo?
<lb/>Considerazione LII. Gli Epicicli furon trovati
<lb/>per saluar qual si voglia apparenza, allaguale
<lb/>non si possa, rispondendo, sodisfare per altro
<lb/>mezo: anzi dico di più per saluare apparenze,
<lb/>delle quali dagli Astronomi, ezandio per altra
<lb/>via, come degli Eccentrici, si rende sufficiente
<lb/>cagione. Onde io non sò perche voi vogliate ristrigner
<lb/>l'uso, e la giuridizione di questi poueri
<lb/>Epicicli.
<lb/>Risposta. La Marchesana di Monferrato, quantunque apprestasse
<lb/>la tauola di saporite viuando, in cento maniere di sapor variate,
<lb/>nel banchetto, che fece al Rè di Francia, seppe cosi bene ordinarle, 
<lb/>che ad ogni modo fe conoscere a esso Rè, che tutte erandi
<lb/>gallina. Ma voi, come che di questi Epicicli habbiate, con diuerse
<pb n= "125 recto"/>  
<lb/>parole dalle mie, detto l'vso loro; vero è, che non solo il
<lb/>medesimo inferissono, ma al contrario de’ manicaretti della Marchesana, 
<lb/>molestia, e afa, anzi che nò apportano.
<lb/>C. Credo solo, perche sia loro destino d'esser sempre 
<lb/>sbattuti, e trauagliati da’ vostri Peripatetici, 
<lb/>e pure in fauor loro, come caualier valorosi, 
<lb/>anno di continuo messo la vita con tutto’ l suo
<lb/>auere, mantenendo con la lancia sù la coscia la
<lb/>conformità, e regolarità de’ mouimenti celesti.
<lb/>R. Hauete ragion certamente di pigliar la per loro. E che poteuate
<lb/>voi far peggio, che leuarueli dinanzi affatto senza volerli pur sentir
<lb/>ricordare, come inutili, e vani, poiche, se’ il cielo è corruttibile, e
<lb/>penetrabile, secondo voi, non vi fa mestier d'Epicicli? I filosofi, 
<lb/>se ben non si fidan di loro interamente, almeno gli vanno
<lb/>comportando, fin che miglior serui non vengan lor per le mani.
<lb/>C. Laquale altrimenti, senza aiuto simili, sarebbe
<lb/>già buona peza stata dall'esperienza medesima
<lb/>fracassata. 
<lb/>R. Ormai per vostro conto farebbon’ andati a spasso quegli, e questi,
<lb/>che è peggio. 
<lb/>C. Il perche voi, se di quella setta, come mostrate, 
<lb/>siate così suiscerato, sappiendo quanto errore
<lb/>è l'essere ingrato in particolare a’ benefattori doureste
<lb/>auuertirgli, acciò non sien con loro ignominia 
<lb/>notati di ingratitudine. 
<lb/>R. Chi è de Consoli non debbe dir mal dell'arte come fate voi, appuntando 
<lb/>gli ingrati, se però fosse vero, che tali si dimostrassero i filosofi. 
<lb/>Di sopra non vi mostrai forse l'ingratitudine, che vsaste al Sacrobosco, 
<lb/>al Padre Clauio, e a tant'altri valent'huomini, che pur
<lb/>son altra cosa, che vn circolo astronomico? E poi, se la disauuentura 
<lb/>di questi Epicicli è da voi, come astrologo eccellente attribuita 
<lb/>alla possanza del destino, che colpa ci hanno i filosofi ?
<lb/>Ma pure, se per difetto lor fossero gli Epicicli da i filosofi scacciati, 
<lb/>poscia che hauete fatto conoscer loro, che gli eccentrici
<pb n= "125 verso"/>  
<lb/>non son da manco di essi Epicicli, ecco che per grazia vostra 
<lb/>non rouinerebbe loro il cielo addosso ad ogni modo, perche farebbon 
<lb/>carezze a questi, puntelli adoperando il medesimo.
<lb/>Discorso. Risoluesi adunque la nuoua stella, e l'altre simili apparite 
<lb/>in diuersi tempi, e se altre sene uedranno, esser vere, e reali
<lb/>stelle da principio create nel cielo, ma nel Primomobile, e fattesi
<lb/>uisibili mediante alcune parti più dense del Cristallino cielo sottoposte, 
<lb/>che la spezie luminosa di quelle assai maggior rappresentando, 
<lb/>in sembianza delle prime stelle a gli occhi nostri palesate
<lb/>si sono: e che, per le ragioni, autorità, e esempli mentouati di sopra, 
<lb/>non vi habbia dubitanza ueruna potersi le nominate stelle 
<lb/>esser uedute non sempre, e per più, e manco tempo, e poter maggiori, 
<lb/>e minori dimostrarsi, e sparire affatto, e ritornar senza fallo ueruno: 
<lb/>e ciò non essere alla uera Filosofia, e Teologia, e alle demostrazioni 
<lb/>astronomiche repugnante; ma con tutte è trè le nominate 
<lb/>scienze, la uerità del presente discorso, e parere, e la fallanza 
<lb/>dell'altrui manifestamente, secondo il creder nostro fattasi uedere.
<lb/>Considerazione LIII. Risoluasi, adunque S. 
<lb/>Colombo, esser falsissimo, che la nuoua stella, e similmente 
<lb/>l'altre apparite in diuersi tempi, ò se altre
<lb/>se ne vedranno, sien vere, e reali stelle da principio 
<lb/>create nel cielo, e nel Primomobile, poscia fattesi, 
<lb/>a noi visibili, mediante certi occhiali, che altro 
<lb/>non sono, che parti più dense del Cristallino,
<lb/>le quali sottoposte, la spezie luminosa di quelle
<lb/>assai maggiore rappresentando, in sembianza
<lb/>delle prime stelle, ce le habbiano nella loro apparenza
<lb/>fatte vedere, sì perche nel Primo mobile 
<lb/>non sono stelle; si perche quantunque elle vi
<lb/>fossero, non si potrebbero, contuttociò, da noi 
<lb/>scorgere, per la impenetrabilità al vedere dell'Ottauo 
<lb/>cielo, sì perche, dato è il primo mobile stellato
<pb n= "126 recto"/>  
<lb/>e'l Firmamento diafano, e trasparente, senza tanti 
<lb/>occhiali di continuo le douremmo auer viste, e
<lb/>ancora di presente vedere: sì perche finalmente concedendoui, 
<lb/>che non sia possibile, che la nostra vista,
<lb/>per la lunga distanza, arriui cotanto lontano, senza 
<lb/>aiuto alcuno; se questo vostro denso fosse egli il
<lb/>mezo, e la cagione di quello effetto, che dite apparir
<lb/>nel Primo mobile, 42. anni ancora dourebbe la
<lb/>nuoua stella à noi nascere, e tramontare faccendosi 
<lb/>godere (se però ella non fosse di quelle schizinose) 
<lb/>con la sua nobilissima veduta, in quella cotanto 
<lb/>risplendente, e tremoleggiante apparenza.
<lb/>Onde per fine meritamente si conchiugga, che
<lb/>mercè delle ragioni, autorità ed esempli mentouati 
<lb/>di sopra non ci è dubbio veruno, che la vostra
<lb/>openione non è molto conueneuole, anzi al tutto
<lb/>contraria, e alla vera filosofia, e alla vera Teologia, 
<lb/>e alle vere demostrazioni Astronomiche.
<lb/>Risposta. Perche, parte per parte habbiamo con efficacissimi argomenti, 
<lb/>e dottrine irrepugnabili, non solo apertamente dimostrato 
<lb/>la uanità delle uostre impugnazioni, e la sufficienza delle nostre 
<lb/>proue fatte nel discorso, circa la sostanza, luogo, e modo
<lb/>della apparita stella; ma perche, eziandio le ragion uostre medesime, 
<lb/>ci sono state arme, e scudo per discoprir maggiormente
<lb/>la uerita di cotal parere; di quì è che arrouesciando tutte le uostre
<lb/>conchiusioni, dirittamente haurete conchiuso. Perche hormai
<lb/>son certo, che i lettori conosceranno, che solamente, perche ui aggradano 
<lb/>le controuersie par, che siete uscito contra il mio discorso, 
<lb/>e non per ricercar la verita, ò perche diuero sentiste altramente, 
<lb/>poiche siate cotanto oltra trapassato contro di me, che fino all'irrisioni 
<lb/>hauete proceduto. Ma di nulla mi debbo dolere, posciache
<pb n= "126 verso"/>  
<lb/>hauendo voi occultato il dritto nome, mi fate pari in questo
<lb/>fatto al prode Enea, cui mentre duellaua con Turno fù da incognita 
<lb/>mano lanciato un dardo: 
<lb/>Nec sese Aeneæ iactauit vulnere quisquam.
<lb/>Anzi che io, il medesimo stral ritorcendo in dietro, credo di hauer 
<lb/>colto il feritore stesso, se il potessimo sentir gridare. Pur, perche 
<lb/>da principio voi dite, che non per questo mi siate nimico, volendol'io 
<lb/>più creder, che cercarlo, mi offero al medesimo, con la
<lb/>ragion di chi cantò. 
<lb/>Non sentire bonos eadem de rebus iisdem
<lb/>Incolumi licuit semper amicitia.
<lb/>Aggiungendo, che, se paresse, che io non fossi stato molto dolce
<lb/>nel rispondere, ne incolpiate voi medesimo, che sotto finto nome 
<lb/>m'hauete con non finte maniere di parlar percosso, e oltraggiato,
<lb/>come che io habbia veramente più tosto scossa, in difendermi, 
<lb/>la spada all'aria che nò. Nulladimeno, se haueste scoperto il vostro 
<lb/>nome haurei proceduto con quel rispetto, che a gentil'huomo 
<lb/>conuiene, lasciando a i vili d'animo la proprietà dell'Anguilla, 
<lb/>che è debol di schiena, e forte di denti. Di mia natura io cimo, 
<lb/>e non taglio. Finalmente con l'occasion della stella non più
<lb/>veduta, necessaria, e non mendicata esagerazion contro i Genetliaci, 
<lb/>o giudiciari Astrologi, volli che fosse fin del mio discorso. La
<lb/>qual non mi è paruto, che ristampar si debba in queste mie risposte, 
<lb/>non vi hauendo voi fatto alcuna impugnazione, acciò che
<lb/>io douessi de particulari della astrologia ragionar con più lunga,
<lb/>e ordinata scrittura. Ma, per darui à conoscer quale Astrologia da
<lb/>mè si biasima, e per ritrarne voi, se gli credeste, e vi accontaste in
<lb/>fra gli astrologi, e Mauri; desidero, che vna volta lasciate in questa 
<lb/>caccia correr prima l'intelletto, che la volontà, come dee fare
<lb/>ogni capace ingegno; perche son certo, che vi pentirete d'hauer
<lb/>fin ora malamente giudicato. Conchiusi contro i giudicari quel
<lb/>che forse à voi par falso, a molti dubbio, e a mè certo. Non vi
<lb/>richiamo io a nuoue, e non più considerate ragioni impugnanti
<lb/>l'astrologia, ma alle antiche salde, e non mai sciolte di que’gran
<lb/>lumi del Mondo, che le fecero. Difficulta, che diuero han fatto
<lb/>sudar le tempie a Bonato, Pietro Aponense, Lucio Bellanti, e
<lb/>molti altri, ne per ciò vi ha chi sia sfangato a bastanza di alcune più
<lb/>importanti. In due fondamenti principali si regge l'Astrologia
<lb/>Il primo de’ quali comprende la cognizion di tutti i Cieli; delle
<lb/>stelle, de mouimenti, della natura di esse stelle, degli aspetti, e
<lb/>simili. Il secondo Fondamento è la natiuita dell'huomo, di cui
<pb n= "127 recto"/>  
<lb/>si dee fare il giudicio, e senza la cognizion di questa i giudciari
<lb/>sariano totalmente al buio. Hora quanto al primo innumerabili 
<lb/>le difficultà appaiono. E perche nel principio delle considerazioni 
<lb/>mi scopriste mancheuole d'Astronomia secondo il creder
<lb/>vostro, che rispondereste alle difficultà di coloro, che ne dell'astronomia,
<lb/>ne dell'Ostrologia mancheuoli sono? Le stelle sono innumero 
<lb/>infinite, e tutte hanno qualche virtù, e gli astrologi non ne
<lb/>conoscon se non mille uentidue in circa. Come adunque potranno 
<lb/>gli astrologi senza error fare i pronostiei loro? Il nouero
<lb/>degli orbi celesti, fu da Platone, Proclo, Aristotele, Auerroe,
<lb/>e quasi tutti auanti il Rè Alfonso stimato arriuare a otto, e non più.
<lb/>Ermete, Azarachel Moro, Thebith Maestro Isaac, Alpetrago,
<lb/>dissero noue cieli ritrouarsi. I moderni Astrologi fino a dieci sfere. 
<lb/>Ne mancaneo di quegli, come Alfonso Rè, che mutando parere 
<lb/>son tornati a dir, che le sfere celesti non sian più che noue,
<lb/>e altre fiate dieci, e quindi son ritornati à atto, seguendo Albubassem 
<lb/>del Moro, e Albategno. Abram Auenezra, e Maestro Leuì,
<lb/>con Maestro Abram Zacuto confermano, che sopra l'ottauo cielo
<lb/>no sia altro corpo mobile. Il moderno Magino trà l’ottaua
<lb/>sfera, e'l Primo mobile pon due cieli per ragion del moto della
<lb/>trepidazione. Ne finisce quì il potersi ritrouar nuoui cieli, poiche 
<lb/>secondo Alpetrago, e Fauorino, come dicemmo nella risposta 
<lb/>alla considerazion 38. si posson ritrouar sempre nuoui mouimenti, 
<lb/>e per conseguenza nuoui corpi, e nuoue sfere. L'intorno 
<lb/>a’ moti celesti non son minori le controuersie, poiche i Caldei, 
<lb/>gli Egizi con cui s'accorda Alpetrago, e Alessandro Achilino 
<lb/>tra i moderni, voglion, che l'ottauo ciel si muoua solamente 
<lb/>per vn verso, Gli Astrologi da Hiparco sino a’ tempi nostri 
<lb/>assegnano a quel ciel diuersi mouimenti. I Giudei Talmutisti, 
<lb/>e Thehith dicono esser due moti in esso; l'un proprio, e l'altro 
<lb/>accidentale causato dalla nona sfera. Azarachele, e Gio. Monteregio 
<lb/>reputan, che solo il moto della trepidazion sia proprio di
<lb/>quel corpo. I moderni astrologi ascriuono al medesimo ciel
<lb/>tre mouimenti; il primo di settemila anni, e proproprio; il secondo 
<lb/>della nona sfera; il terzo del Primomobile, e accidentali ambedue. 
<lb/>Il moderno Magino da questi discordando vuol, che in
<lb/>25816. anni si termini quel periodo. Non conuengon gli scrittori, 
<lb/>eziandio nella durata del moto del nono cielo. attesoche,
<lb/>Tolomeo vuol, che ogni cent'anni importino vn grado. Albategno, 
<lb/>Maestro Leuì, e'l Zacuto attribuiscono a ciascun grado sessanzei 
<lb/>anni egizi. Il Rè Alfonso nella correzion delle sue tauole 
<lb/>con Azaracchie afferma, volgersi cotal ciel, per vn grado in
<pb n= "127 verso"/>  
<lb/>sessantacinque anni. Hiparco tien, che in settant’otto anni
<lb/>scorra quel cielo vn grado; Maestro Iosuè, Maestro Mosè ,
<lb/>Auenezra, e  Berrodam reputan compirsi in anni settanta; il
<lb/>Monte regio in ottanta; Agustin riccio tra i sessanzei, e i settanta.
<lb/>Il Magino vuol, che tutto quel riuolgimento di cielo si termini
<lb/>veramente 1717. anni; Ariel Bicardo in 49000 anni. Purbachio
<lb/>ogni dugent'anni vn grado; e altri compirsi tutto il circolo in
<lb/>cinquemila anni. E che direm noi del decimo cielo, posto dal
<lb/>Magino sotto il Primo mobile, a cui attribuisce 3434. anni per lo
<lb/>suo intero riuolgimento? O che diuersità son queste, non solamente 
<lb/>fra gli antichi, ma tra i moderni eziandio? Quando adunque
<lb/>si fece egli mai, ò si faranno pronostici sicuri? Afferma il Monteregio, 
<lb/>e qui non è scusa, ò rimedio in fin de’ propri pianeti 
<lb/>non esser cosi noto di tutti i mouimenti, poiche egli si
<lb/>duole in vna pistola a Bianchino, che il vero moto di Marte 
<lb/>non sia ancora stato conosciuto? E chi non sa altresì, che il
<lb/>vero entrar del Sole ne i punti equinoziali è giudicato impossibile 
<lb/>ritrouarsi, dice Maestro Leui, e lo proua ? Lascio di dir,
<lb/>che quasi tutti gli Astrologi moderni non conuengono con 
<lb/>Tholomeo, che, il principio, e figura della reuoluzion del Mondo, 
<lb/>sia altramente l'entrar del Sol nell'Ariete. Così vari fra di
<lb/>loro, altri dicon che ciò si può ritrouar per altra via, come per le congiunzion 
<lb/>magne, ò per le ecclissi, e altre congiunzioni, e opposizion 
<lb/>di lumi. Dalle cui diuersità dicono gli stessi Astrologi accader, 
<lb/>che i giudici, e pronostici delle stagioni, e uariazion dell'anno 
<lb/>non dicon vero. Andrea Summario grauissimo matematico 
<lb/>parlando de’ moti delle stelle dice . [ Motus stellarum 
<lb/>an sciri possit nescio, nondum essescitum certissime teneo;1
<lb/>E nasce questo dic'egli, dagli strumenti, perche son pieni di fallacia. 
<lb/>Anzi che Henrico Machilinense nel trattato della composizion
<lb/>dell'Astrolabio, afferma niun potersene fare, che imperfetto 
<lb/>non sia, così dicono ancora Abram Giudeo, e Leone Ebreo,
<lb/>Il Pico nel 9. lib. contro l'Astrologia, referisce d'vno strumento
<lb/>fatto con ogni perfezion possibile, hauer ad ogni modo, nell'osseruare 
<lb/>alcuni pianeti, l'vn variato dall'altro, due gradi per
<lb/>cagion dell'aria, a cui non posson gli strumenti rimediare. Potrei 
<lb/>dire ancora che discordano, circa la misura dell'anno descritto 
<lb/>per lo moto del Sole. Tolomeo, e Hiparco; si come altresì
<lb/>Albategno Auenezra, e Alfonso, non son diuersi da Maestro
<lb/>Leui ? Aggiugnesi, che non son conformi eziandio quanto all'imagini,
<lb/>e figure celesti, gli Indiani, i Caldei, e gli Ebrei, gli Arabi; 
<lb/>tra i quali è Timoteo, Arsatili, Hiparco, e Tolomeo disputasi
<pb n= "128 recto"/>  
<lb/>de gli aspetti, se l'opposizion sia proprio, e improprio aspetto. 
<lb/>Onde il Satlero, e altri dicon solamente la congiunzione
<lb/>esser improprio. Non è men controuersia tra gli Astrologi nell'ordine 
<lb/>de’ pianeti, poiche alcuni han detto, che il Sole è nel
<lb/>centro del Mondo immobile, come disse Aristarco Samio, e dal
<lb/>Copernico seguitato, e da alcuni moderni, come voi Signor Mauri 
<lb/>sapete. Voglion per tanto, che il Sol sia circondato da Mercurio, 
<lb/>quindi da Venere; e poscia sopra di essa pongono l'orbe
<lb/>magno abbracciante la terra con tutti gli altri elementi, e la Luna 
<lb/>insieme. Archimenide, e i Caldei alluogano il Sol nel quarto 
<lb/>luogo. Metrodoro Chio, Anassimandro, e Crate il pongono 
<lb/>immediatamente doppo la Luna. Senocrate vuol, che tutti i
<lb/>i pianeti, e le stelle fisse, cauatone il Sole, e la Luna, siano in vn istessa
<lb/>superficie, e in quella si muouano. Paionui adunque, Alimberto, 
<lb/>queste innumerabili difficultà, e di si gran momento, che alcune 
<lb/>restano insuperabili dall'arte, anche a gli astrologi di questi
<lb/>tempi; atte a render la naturale Astrologia difficile, e la giudiciaria 
<lb/>impossibile, almeno, per quello, che nel secondo fondamento 
<lb/>si vedrà ? Lascio di ricordarui quanto sia necessario al
<lb/>buono astrologo, esser buon filosofo, e naturale; e morale, e
<lb/>cosmografo, e istoriografo, per conoscer le complessioni, i
<lb/>temporamenti dell'arie, dell'acque, de cibi, i costumi, condizioni, 
<lb/>e qualità degli huomini, le regioni. Onde Ioseffo, nel
<lb/>libro primo, capo terzo delle antichità, vuole, che vna delle principali 
<lb/>cagioni, perche si lunga vita hauessero quei padri antichi,
<lb/>che molto souente passauano sette cento anni; fosse, perche potessero 
<lb/>acquistar gran parte della scienza Astronomica e della geometria, 
<lb/>e simili. Crederono ciò, stimando in cotale spazio di
<lb/>tempo, comprendersi l'anno grande, cioè il riuolgimento intero 
<lb/>de cieli. Pensate, quel che debbian dir noi, oggidì, che si breue 
<lb/>è l'humana vita, e che l'anno grande si reputa da Aristarco,
<lb/>Arato, Draccino, Caclito, Lino, Tullio, Seruio, Andalone, Paol
<lb/>Gineta Fiorentino, e altri, in trentasei mila anni terminarsi, per
<lb/>non dir che alcuni stimano tutto quel periodo compire il riuolgimento 
<lb/>in quarantanoue mila anni. Ma quanti de'famosi Astrologi 
<lb/>habbiano hauute tutte queste facultà, dicalo il Pico, il quale 
<lb/>afferma, che gli Astrologi habbiano molto ben ragione a odiare 
<lb/>i filosofi, posciache i principali astrologi, dic’egli, sono stati
<lb/>la maggior parte pedanti, ò almeno senza filosofia son passati
<lb/>da la gramatica a far l'astrologo. Onde che marauiglia, se essendo 
<lb/>puri gramatici, non veggon le difficultà, e cotanti inconuenienti 
<lb/>affermano? Anzi vi s'imbriacano di maniera, che Celio
<pb n= "128 verso"/>  
<lb/>referisce di Trimegisto astrologo hauer sognato vna volta di vomitar 
<lb/>Cieli, Soli, stelle, e Lune. Questi sogni accadono a’ giudiciari, 
<lb/>perche si come chi è souerchio crapulatore vomita; così, 
<lb/>essi, per voler troppo specular la virtù delle stelle di cui non è
<lb/>capace, chi non è bene scienziato, le vomita tutte, perche il suo
<lb/>stomaco non può ritener tante bugie. E chi è quegli che mai
<lb/>habbia fatto calculi senza difetto? Quali strumenti non sono stati 
<lb/>mendaci, come dianzi si disse? Quali Tauole, quali efemeridi 
<lb/>son così giuste, che non habbiano hauuto contraddittori?
<lb/>Tolomeo, Alfonso, il Magino, e Ticon Brae, e altri non conuengono 
<lb/>già ne’ calculi loro, e sono da altri stati impugnati.
<lb/>Potrei dimandarui di più; quale Astrologo sì può dar vanto d'hauer 
<lb/>saputo, ò potuto pigliare il vero punto, e l'oroscopo del
<lb/>natal di chi che sia, per farne sicuro pronostico? Eccoci giunti al
<lb/>secondo fondamento spettante in particolare alla giudiciaria, per
<lb/>accenarne qualche cosa, ed è questo: che non conuengono gli
<lb/>astrologi, ne è determinato qual sia il vero punto di tempo da
<lb/>pigliarsi per fare il giudicio degli huomini. Impercioche alcuni
<lb/>vogliono, che dalla concezione il cielo si osserui; altri dall'instante 
<lb/>dell'introdotta forma humana, che è l'anima intellettiua;
<lb/>e altri dall'ora del natale. Chi dirà adunque la giudiciaria non
<lb/>esser vanissima? Giouami per adesso di recar in mezo vn'esemplo 
<lb/>illustre d'intorno alla naturale, che pur se ne può saper qual
<lb/>che cosa, e ad ogni modo molte son le sue fallacie. Legganti le
<lb/>istorie, e trouerassi, che intorno all'anno 1524. astrologi di grandissimo 
<lb/>nome predissero douer'adiuenire vna delle maggiori
<lb/>inondazion, che mai fosse, e perche procedeuano secondo i termini 
<lb/>dell'arte, si diede lor piena fede, e per tutta l'Italia sene sparse 
<lb/>nouella, temendosi per ogn'vno. Onde Agostin Nifo suessano 
<lb/>compose vn trattatello, essendo filosofo di molta memoranza, 
<lb/>è l'indirizzò all'Imperador Carlo primo, acciò che si quietasse 
<lb/>il romor del popolo, mostrando con possenti ragioni, quegli 
<lb/>astrologi non sapere in quant'acqua si pescassero di presente,
<lb/>non che in futuro. Egli finalmente s'appose, e essi bugiardi, e
<lb/>beffati rimasero. Mà chi sa, dice il Suesiano, forse si apposero;
<lb/>potendosi dire, che quella inondazion si verificasse del mal francese, 
<lb/>che in que’ tempi, per la congiunzion di Saturno, e Marte 
<lb/>dell'anno 1496. alli sei di Gennaio nel 3. de' Pesci, dilatandosi
<lb/>quel morbo acqueo l'habbia sparso più, che non fece il diluuio al
<lb/>tempo di Noè, per tutto il Mondo. O se nelle pioggie si trauede, 
<lb/>che si dirà egli di ciò che pende dal libero voler dell'huomo?
<lb/>Questa astrologia giudiciaria è quella, o Mauri, che biasima, e
<pb n= "129 recto"/>  
<lb/>vitupera il Colombo con tutti i filosofi, e astrologi ecceilenti.
<lb/>Percioche del rimaso io fo profession, che la vera astrologia habbia 
<lb/>più obbligo a mè, che a voi di gran lunga; conciosiache, io
<lb/>la fò corteggiar da’ filosofi, e uoi confondendola con la giudiciaria, 
<lb/>e superstiziosa la vituperate, ponendola nelle man degli
<lb/>zingari, che d'ogni cosa fanno la ventura, per cambiar ciance à
<lb/>moneta co’ Principi, che gli credono. Giouanni Zonora racconta, 
<lb/>che Augusto Imperadore si faceua condurre spesso in camera 
<lb/>quelle donne belle, che egli volea, copertamente in lettiga.
<lb/>Antenodoro filosofo v'entrò egli, vna volta, in luogo d'vna femina 
<lb/>trauestito, e fè condursi in camera. Lo'mperadore, scoperta
<lb/>la lettiga, vide scappar fuora il filosofo con la spada ignuda, gridante, 
<lb/>Ah Imperadore, che senno è il tuo? A che pericol pon
<lb/>tù la tua vita? Non poteua cosi fare vn tuo nimico? Emendossi
<lb/>Augusto. Conducon questi indouinatorelli dinanzi a i Principi
<lb/>falsissima giudiciaria, trauestita delle verita della reale, amata, e bella 
<lb/>astrologia naturale; la quale non a somiglianza d'amico si scopre, 
<lb/>ma di nemico vano, bugiardo, trauiato dalle furie, e dall'auarizia
<lb/>d'alcuni, che per non hauer filosofia, ne teologia, son
<lb/>condotti, e conducono altrui in graui errori, purche ne cauino
<lb/>opinion popolare, e danar da’ Principi. Fuggangli i Principi,
<lb/>apran gli occhi, per veder che dentro la lettiga non v'è la vera
<lb/>Astrologia, ma la superstiziosa, e nemica con la spada in mano, 
<lb/>perche nuoce, e non gioua. O Dio, che bugie non dicono 
<lb/>gli astrologi? Anzi cosi ben sanno coprir le lor fellonie,
<lb/>che le doppiezze de’ sensi infino adoperano, accioche veri tieri
<lb/>appariscano, à somiglianza degli oracoli de’gentili, in quella maniera 
<lb/>appunto, che auuenne al tempo di Giustiniano Imperadore. Sì
<lb/>cauò fuor romore, che il Mondo con tutta la sua prole douea perire,
<lb/>come se fosse per venire il giudizio, mossi da non sò che oracolo, 
<lb/>ò astrologo. Ecco comparire vn capitano chiamato Mondo 
<lb/>per liberar l'Italia da i Goti; ma infelicemente fù vcciso con
<lb/>tutta la sua famiglia, e cosi verificossi l'oracolo, con le risa nel fine, 
<lb/>che diede  cagion di molto pianto nel principio. Certamente 
<lb/>queste impossibilità con questi difetti, di strumenti, e 
<lb/>mancanze di cognizione, apertamente manifestano la giudiciaria,
<lb/>e massimamente per quello che dalla libera volonta depende, 
<lb/>esser salsissima, superstiziosa, e da abborrirsi da ogni buon filosofo. 
<lb/>Io per me son di parer, che più difficile sia all'Astrologo il 
<lb/>far ben la natiuità d'vn huomo col suo giudicio, che non è il 
<lb/>fare il Lapis Phylosophorum degli Alchimisti, di cui si dice essere
<lb/>auuenuto à sì pochi, che per non vero si reputa, è per virtù di
<pb n= "129 verso"/>  
<lb/>qualche spirito esser accaduto. Aragione adunque si dee dir,
<lb/>come molti graui autor, che scriuon contro l'Astrologia 
<lb/>Astrologiam esse damnatam a phylosophis, a prophetis, 
<lb/>a Cesaribus, a Pontificibus atq, Conciliis.
<lb/>E diuero, che la giudiciaria è simile alla superstiziosa Cabala. In vltimo 
<lb/>Sisto V. l'ha proibita totalmente, ed è fatto con molta ragione, 
<lb/>come dimostrano le parole di Agustino sopra la causa
<lb/>26. capo, sors, dicendo. Astronomia apud Catholicos in
<lb/>desuetudinem abiit, quia dum propria curiositate
<lb/>ei nimis erant intenti, minus vacabant his, quæ
<lb/>saluti animarum erant accommodata. E parla solo
<lb/>dell'Astronomia, che dell'Astrologia harebbe detto come San
<lb/>Tommaso, che quantunque fosse grande astrologo, e mostrasse
<lb/>ne' suoi opuscoli di intendere tanto bene i particulari dell'astrologia, 
<lb/>ad ogni modo disse, e conchiuse, con giudicio di piombo,
<lb/>quella sentenza d'oro. Et ideo pro certò tenendam est
<lb/>graue peccatum esse, circa ea quæ a voluntate
<lb/>hominis dependent, iudiciis astrorum  vti. 
<lb/>Perche sapeua, come dottissimo, che non le prossime cause, ma
<lb/>le remote, e vniuersali si posson conoscer da gli Astrologi. E con
<lb/>tutto ciò di lui disse il Pico, Verum, ut AstrologiS
<lb/>demus quantum  illis Aquinas Thomas;
<lb/>O pensate, se poco hauesse attribuito alli astrologi, quel chehaurebbe 
<lb/>detto. Douea, quando non fosse peccato assolutamente,
<lb/>almeno proibirsi, per gli scandoli infiniti, e prossimi pericoli,
<lb/>che son in quella, con poca, ò niuna vtilità, per l'incertezza sua.
<lb/>perche quegli che semplici sono, ò, che sanamente non intendono, 
<lb/>ò che troppo alle stelle attribuiscono, douentan superstiziosi, 
<lb/>e tanta fede al valor delle stelle prestano, che ogni cosa per
<lb/>necessità di quelle accader credono, senza dar contingenza ne gli
<lb/>effetti antiueduti, e che nel ciel si conoscan tutte le particolari
<lb/>differenze da gli astrologi, e che non soggiacciano le cose da loro 
<lb/>annunziate alla diuina prouidenza, e che niuna cosa fuor dell'ordine 
<lb/>de'cieli adiuenga per voler diuino. Hanno bene in bocca;
<lb/>sara quelche Dio vuole, ma nel cuore sarà quelche vuol la stella.
<lb/>Dicon bene; non presto fede certa, ma se l'astrologato mostra di
<pb n= "130 recto"/>  
<lb/>non credere; giurano, e spergiurano, che la cosa è pur vera. E
<lb/>che è peggio, e  per cui dourebbe , detestarsi, vogliono i Genetliaci, 
<lb/>che al male inchinin le stelle, facendo Iddio autor del
<lb/>male, essendo, che egli è autor della natura, e delle cause naturali, 
<lb/>da cui gli effetti si producono; e gli effetti seguitan le cause
<lb/>loro. Il cielo assolutamente inchina al bene, e respettiuamente
<lb/>al male, ciò è in rispetto all'inchinazione al bene, perche, inchinando 
<lb/>l'huomo a non rattenere, douenta facilmente prodigo 
<lb/>in cambio di liberale: e inchinandolo a esser tenace, da nell’auaro. 
<lb/>Quando adunque l'inchinazion s'accostan più all'esser
<lb/>motiuo al vizio, che alla virtù, elle si domandan male inchinazioni,
<lb/>perche, per lo più, il senso predomina, e fa l'huomo malo.
<lb/>Ma, quando l'inchinazion son più simili alla virtù, buone s'appellano. 
<lb/>Sì che u.g. non inchinano alla gola sotto ragion formale 
<lb/>di vizio, ma di gusto squisito, e di mangiare assai; onde si
<lb/>dà poscia nel goloso. Assolutamente, poi son buone l'inchinazioni 
<lb/>perche, come naturali non possono esser male, essendo,
<lb/>Propter finem conseruationis indiutdui, &amp; istius
<lb/>particularis indiuidui. Il cielo adunque , non hauendo
<lb/>imperfezione alcuna non può hauer cattiue influenze, ma tutto 
<lb/>nasce dalla materia quaggiù mal disposta, e dall'agente quaggiù 
<lb/>imperfetto. Sono i cieli causa vniuersale, perfetta; e la volontà 
<lb/>causa i particolare indeterminata. Non da i cieli per
<lb/>tanto, ma dalla volontà mal disposta procedono i mali effetti. È a
<lb/>chi dicesse, che se fosse vero, che la giudiciaria si intendesse proibita 
<lb/>assolutamente per cagion dello scandolo, e pericoli, ne seguirebbe, 
<lb/>che anche il trattar della predestinazione, e simili, douessero 
<lb/>proibirsi, per molti scandoli, che possono accader tra i semplici 
<lb/>nella cristiana fede: si risponde, che l'esempio non conchiude. 
<lb/>perche il trattar della predestinazione, ec. son cose ordinate
<lb/>alla salute, e il trattar dell'astrologia è impedimento, come dicemmo, 
<lb/>che afferma Agustino. Il trattar di quelle è di edificazione, 
<lb/>e perfezione: e il seruirsi di questa è peccato, come vuol
<lb/>San Tommaso. La predestinazione, solo i dotti l'intendono, e per
<lb/>ciò non si proibisce, i quali sanno, che non si può capire appieno, 
<lb/>e di primo lancio sanno l'immobilità d'Iddio potere star con
<lb/>la mobilità del nostro libero arbitrio, e questo insegnano, come
<lb/>indubitato al popolo, ma il modo, confessan non sapersi a bastanza. 
<lb/>La doue l'astrologo balza di posta a leuare il libero arbitrio, 
<lb/>con dir, che sarà quel, che mostran le stelle. La predestinazion 
<lb/>concede la contingenza, e la accomoda alla necessità della
<pb n= "130 verso"/>  
<lb/>scienza diuina. L'Astrologia non accomoda nulla, ma attende 
<lb/>a dire, che vincon le stelle. La predestinazione è in mano del
<lb/>Teologo, che si regge dalle scritture; L'astrologia è nelle man
<lb/>dell'ignorante matematico, che dalle superstizion si gouerna.
<lb/>Nella predestinazion l'indotto dice, habbiamo da’ teologi, che
<lb/>non ben s'intende; nell'astrologia i semplici dicon, l'astrologo
<lb/>afferma, che ciò si tocca con le mani. Nulla rileua per ciò l'elemplo, 
<lb/>e rettamente e proibita la astrologia, ma non così dir si potrebbe 
<lb/>delle teologiche cose mentouate. Vn esemplo di perpetua 
<lb/>memoria sia, circa gli scandoli, e false opinion, che gli astrologi 
<lb/>metton ne troppo creduli, che da vno astrologo nacque
<lb/>il principio della rouina del Regno, d'Inghilterra. Odiaua la
<lb/>Reina Caterina moglie d'Arrigo ottauo, l'ambizion d'vn cortigiano. 
<lb/>Costui vedendosi non gradito da lei, cominciò a machinarle 
<lb/>contro. In tanto vn'astrologuzzo gli disse, che vna
<lb/>donna saria cagion della sua morte: ond'egli più insospettito persuase 
<lb/>ingiustamente il Rè a repudiar Caterina, il che fatto, hauendo
<lb/>inchinazione ad Anna Bolena, la sposò; dendo poi son nate tante 
<lb/>calamità, e suenture di quel Regno fioritissimo. Osseruate Alimberto, 
<lb/>che due errori fece il mal cortigiano. Credette primieramente, 
<lb/>la giudiciaria Astrologia arriuare a quelle cose, che dalla 
<lb/>spontanea volontà dependono; e secondariamente stimò, la
<lb/>Reina Caterina esser quella donna, da cui douea venir la sua morte. 
<lb/>Chi non crede agli astrologi, è libero da due cose: da ignoranza, 
<lb/>e da giudicio temerario, fonti d'infiniti mali. Questi ingannatori 
<lb/>furon cacciati di Roma al tempo di Diocleziano, di
<lb/>Costantino, di Teodosio, di Valentiniano, e di Giustiniano. E se
<lb/>furon cacciati i Medici ancora, questi sono stati rimessi, ma gli
<lb/>astrologi non già, che, oggidì maggiormente, si precipitan, perche
<lb/>tutto il torrente de letterati è certissimo della lor vanita superstiziosa, 
<lb/>poiche anche Platone, Aristotele, Pittagora, Democrito, 
<lb/>nulla stima ne fecero. La ragion si caua da Tolomeo
<lb/>stesso, che dice nel centiloquio, che l'astrologo dee guardarsi 
<lb/>da pronunziar le cose particolari, e singolari, perche il filosofo
<lb/>dice, che non sene può hauere scienza. E negli Apotelesmi,
<lb/>Astrologia magis vniuersalia captat (dic’ egli) quam
<lb/>quicquam pro vero decernat. E se questi non vi bastano, 
<lb/>Signor Mauri, perche haueuano solo il lume naturale, andiamo 
<lb/>al nouero di coloro, che dal diurno illustrati la vituperano, 
<lb/>e scherniscono, come Agustino, Ambro io, Crisostomo,
<lb/>Tommaso, e cent'altri. Ne si risponda, che i Teologi non
<pb n= "131 recto"/>  
<lb/>intendon l'astrologia, ne sanno metterla in pratica, perche essi
<lb/>ancora san farle natiuità, se ben fosse la vostra, che è tra le più
<lb/>difficili. Non la fece il Sepulueda da Corduba Teologo, e mi
<lb/>nentissimo a Martin Lutero demonio in carne, e carne in ispirito?
<lb/>Natus est enim Martinus, astris tam incommodis 
<lb/>&amp; importunis, vt ex ipsius genitura,
<lb/>natalitijsque sideribus, si quid veri ratio habet
<lb/>mathematicarum, facile appareat, ipsum ad 
<lb/>talia perpetranda scelera maximè fore propensum, 
<lb/>&amp; accommodatum. Habuit enim Horoscopum 
<lb/>Capricornum, quì , nisi aliorum astrorum 
<lb/>benigniore aspectu temperatur, falsa religione 
<lb/>solet nascentium animos imbuere, &amp; ommes 
<lb/>facit simulatores, mendaces, inconstantes,
<lb/>loquaces, infidos, libinosos. Oppositio Martis,
<lb/>&amp; Mercurij vanitatem rursus &amp; mendacitatem 
<lb/>Martini confirmat; quatuor planetæ in
<lb/>nona cæli regione, magnas eum turbas falsa specie 
<lb/>religionis concitaturum esse portendebant.
<lb/>Quam vittosissimam proclutatem ratione corrigere 
<lb/>usque adeo nunquam tentauit, vi omni
<lb/>studio, &amp; opera alere, &amp; augere contenderit,
<lb/>&amp; cuntis animi virtutibus fouere perseueret.
<lb/>Ma egli la fece dopo il fatto, che rende più facile il negozio, e 
<lb/>puossi più particolarizare, e sì impacciò più di confermar la 
<lb/>riuscita, che di pronosticarla, e perciò aggiunse [ siquid veri ] 
<lb/>perche sapeua anch'egli il valor di essa Astrologia. Veggasi 
<lb/>perciò quanto ben ragionare, e disputar ne possono i Teologi. 
<lb/>Ma chi pur volesse duellare, e combatter con le squadre d'Isdraelle 
<lb/>a guisa dell'empio Golia, prouueggasi prima a sepoltura, per 
<lb/>che n 'haurebbe poi carestsa. Hora se voi Signor Mauri non foste 
<pb n= "131 verso"/>  
<lb/>chiaro, e desideraste saper da mè, se replicando, io tornerò
<lb/>in arme alla tenzone, per adesso vi rispondo, quel che risposero
<lb/>i Cartaginesi a i Romani, che, hauendo lor mandato la Lancia,
<lb/>e'l Caduceo, significando l'vna la guerra, e l'altro la pace, acciòche 
<lb/>eleggessero quel che piaceua a lor. Non chieggiamo 
<lb/>ne l’ vna,  ne l'altro, risposero i Cartaginesi ma quel
<lb/>che lascerete, quel piglieremo. Auuertendoui,
<lb/>che, se tornerete mascherato, noi ve la caueremo 
<lb/>sul buon della giostra,
<lb/>e quì vi lascio.
<lb/>IL FINE.
<lb/>In Fiorenza, Per Gio. Antonio Caneo, e Raffaello
<lb/>Grossi compagni. 1607.
<lb/>Con licenza de' superiori.
</body>
</text>
</TEI>
Lodovico delle Colombe's Risposte piacevoli (1608): A Basic TEI Edition Galileo’s Library Digitization Project Galileo’s Library Digitization Project Ingrid Horton OCR Cleaning Bram Hollis XML Creation the TEI Archiving, Publishing, and Access Service (TAPAS)
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Risposte piacevoli e curiose di Lodovico delle Colombe alle considerazioni di certa maschera saccente nominata Alimberto Mauri fatte sopra alcuni luoghi del discorso del medesimo Lodovico intorno alla stella apparita l'anno 1604. Nelle quali risposte si trattaro controversie d'Astrologia, Perspettiva, Filosofia, Teologia, e altre materie, non meno utili, che diletteuoli. Con tre tauole copiose, la prima delle quali contien le quistioni, la seconda le materie, la terza tutte le sentenze, motti, arguzie, similitudini istorie, e fauole, che sono in questa Opera. In Fiorenza, Per Gio. Antonio Caneo, e Raffaello Grossi compagni, 1608. Con licenza de' Superiori. delle Colombe, Lodovico Florence Caneo, Giovanni Antonio; Grossi, Raffaello 1608.

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RISPOSTE PIACEVOLI, E CVRIOSE DI LODOVICO DELLE COLOMBE ALLE CONSIDERAZIONI DI certa Maschera saccente nominata Alimberto Mauri fatte sopra alcuni luoghi del discorso del medesimo Lodovico dintorno alla stella apparita l'anno 1604. Nelle quali risposte si trattaro controversie d'Astrologia, Perspettiva, Filosofia, Teologia, e altre materie, non meno utili, che diletteuoli. Con tre tauole copiose, la prima delle quali contien le quistioni, la seconda le materie, la terza tutte le sentenze, motti, arguzie, similitudini istorie, e fauole, che sono in questa Opera. IN FIORENZA, Per Gio. Antonio Caneo, e Raffaello Grossi compagni, 1608. Con licenza de' Superiori. Atteso il sopradetto referto concediamo, che la presente Opera si possa stampare in Firenze, osseruati prima gli ordini soliti: il di 4. d'Agosto 1607. Piero Nicc. Vic. di Firenze. F. Arcangel. Placent. Vic. San. Off. Stampisi Paolo Vinta primo Aud. & Sec. di S. Alt. AL SERENISSIMO DON COSIMO MEDICI PRINCIPE DI TOSCANA . CHI haurebbe mai creduto S. P. che si ritrouassero huomini così peruersi, che ardissero di calunniare il sole? Il Sole occhio del Mondo, bellezza del Cielo, grazia della Natura, e perfezion di tutte le cose; di cui Anassagora addomandato, perche fosse venuto al mondo, rispose; per vedere, e contemplare il Sole. E Seneca, ricercando, perche la Natura habbia prodotto alcuni metalli cotanto chiari, e trasparenti; adduce fra molte ragioni, che il supremo Artefice volle, che, il Sole, auanzando ogni corporea creatura di bellezza, potesse da noi rimirarsi in quegli, come in terso specchio, poscia che gli occhi nostri in lui stesso abbagliano. E pure è vero, che gli Atlanti da Erodoto detti Nasamoni come Pomponio afferma, con fuggeuole sguardo il maladicono, e quando nasce, e quando tramonta. Il vero sole Iddio, la cui somiglianza, i Principi quasi specchi lucidissimi, rappresentano; ha messo in terra il Sol dell'humana sapienza, Aristotele, di cui Platon disse, nol vedendo comparire a scuola, ab est veritatis philosophus: e volle, che fosse vn gentile, perche si conoscessero le sole forze della Natura. Io adunque, poiche sono alcuni pochi raggi, del le verità filosofiche di questo Sole, sparti perentro queste mie risposte fatte, alle Considerazioni d'Alimberto Mauri, dintorno al Discorso ch'io posi in luce non hà molto tempo, sopra la stella, che fù di nuouo osseruata nel Cielo; hò voluto dedicarle a V.A.S. ben che à me più conueueuol fosse opera di seruo, che di deuoto, accioche possano i Nasamoni che odiano quel Sole, con diritto occhio sostener di mirarlo nello specchio dell'autoreuol protezion di V.A.S. sì che lasciato il dispregio, e conosciuta la verità, s'acquietino in quella, che i saui, e i Principi col sapere, e col potere abbracciano, e difendono, dell' humana parlando, imperoche, sì come per lo contrasto dell'oscuro dello specchio, e del chiaro del Sole, vna temperata sembianza si cagiona, accioche veder si possa; così non è possibile, che nel mondo si vegga tutto il puro lume del vero, ma un’ imagine di quello tra l'ombre dell'intelletto humano. Io fra tanto humilismamente a quella m'inchino, e dal dator dello splendore le prego ogni gloriosa corona.  Di V.A.S. Deuotissimo vassallo. Lodouico delle Colombe.  RISPOSTE PIACEVOLI, E CVRIOSE di Lodouico delle Colombe alle considerazioni di certa maschera saccente nominata Alimberto Mauri, fatte sopra alcuni luoghi del discorso del medesimo Lodouico d'intorno alla stella apparita l'anno 1604. Nelle quali risposte si trattano controuersie d'Astrologia, Perspettiua, Filosofia,Teologia, e altre materie, non meno vtili, che diletteuoli. QVANTVNQVE inconueneuole molto si reputi appo gli intelligenti, e saui huomini, che alcuni, per lor principale impresa bene spesso, si mettano a impugnar l'opere altrui; non è perciò, che quegli, che valorosamente sostiene, e ribatte le calunnie, non debba, in vece di stimarsi vilipeso (purche non habbian gl'auuertari trapassato oltre i confini della soggetta materia) hauerne lor grado assai più, che se taciuto hauessero. Conciosiacosa che persone cotali sien negli affetti spine, ma rose negli effetti. O più tosto, contro la propria voglia, perche trafiggere intendono con gli scritti loro, fanno a guisa dell'api, leguali pungono sì, ma producono il mele ancora. Imperoche le controuersie, come che mal'ageuolmente si sopportino, suegliano l'intelletto, assottiglian l'ingegno, rendon più prudente, e nelle discipline maggiormente esercitato fanno. Onde finalmente honorata loda, applauso più chiaro, fama più certa, e diuulgata si suol riportarne. Perloche il dottissimo Pico dimostrò anch'egli, dopò, che fù combattuto, che aggrado gli fosse stata la tenzone, nell'orazion, che scrisse dauanti alla sua apologia, dicendo, che per suo credere altro non vollero significare i Poeti, fingendo Pallade armata; e gli Ebrei per lo ferro, simbolo della sapienza, che la disputa, per imparar necessaria. E i Caldei, nella natiuità di colui che dee esser filosofo, voglion, che Marte risguardi Mercurio di trino aspetto, perche coloro, che da simili guerreggiamenti perturbati non sono; più prestamente, per lo più, s'addormentano. La onde non sia chi pensi, che queste considerazioni, fatte contro il mio discorso della nuoua stella, mi siano discare, sì come ne anche l'amicizia dell'autor di esse, poiche m'hà per tal mezo procacciata si bella occasione. E se ben l'essersi egli mascherato d'un finto nome, e le amare parole, senza cagione,verso di mè, e verso famosi scrittori vsate, potrebbon forse, mettere in cuore à chi che sia, che in alcuni luoghi delle mie risposte io hauessi le punture con animosità ritorte nella persona di lui, nulladimeno, la proprietà della Cappa marina imitando, crederò più tosto esser degno di commendazione, che di emenda giudicato. E chi è quegli, che non lodi questa spezie di conchiglia, che mentre si stà, per goder la serenità del cielo, aperta come natura le insegna, sendo alcuna fiata, da qualche pesce importuno, per mangiarlasi assalita, non hauendo ella sentito il muouer dell'acque, per la venuta di quello, acciòche dentro riserrar si potesse nella sua conca senza offesa veruna del nimico, sì che, messo dentro il capo vien da essa conchiglia stretto, e vcciso? Io, che cerco godermi il cielo, filosofando de’ suoi bei lumi, e fuggo legare, se, affrontato, stringo il nimico, perche scusa meritar non debbo ? anzi potrò io ben dir col Veniero il medesimo che nella sua Idalba Tragedia egli disse. Mie difese sforzate, han lor colpe punite. Hora, perche noi, signora Maschera, ò vero Alimberto Mauri, desideriamo, che quegli, à cui aggradirà la lettura di queste risposte, e difese dintorno alle considerazioni da voi fatte sopra il discorso nostro, non siano aggrauati di doppia fatica nel douer prender più libri nelle mani, per tale occasione, ma possano in questo solo per facilità, e chiarezza maggiore agiatamente vedere ogni cosa à questa materia appartenente , con ischiettezza, e sincerita di scrittura trasportata; cominceremo dal principio delle considerazioni vostre, sin dal proemial ragionamento, quindi le risposte à quello seguiteranno, poscia la prima delle parti del discorso, sotto di cui saranno le considerazioni parte per parte, e immediatamente à ciascuna seguirà la risposta, traponendomi ancora entro di quelle douunque parrà di mestiere, per non far come voi, che, solamente le prime parole delle particelle da voi fatte del discorso, notaste, accioche per la mala intelligenza di quelle, e per non l'hauer voi secondo il sentimento loro volute pigliare, e per molte parti di esso tralasciate, haueta cagionato lunghezza, e noia a’ Lettori, senza profitto di veruno. Voi adunque, voltato a i lettori dite cosi. Considerazione prima. Perche dell'huomo è proprio desiderio il saper le cose principalmente per la stessa loro nobiltà, utilita, e necessità al genere umano in tutti i secoli celebrate, quindi e, che egli cotanto in brama simile inferuorato, non sente per quelle conoscere fatica veruna. Passa solingo i di, veglia, trauaglia. Strugge la vita sua, ne nulla cura. Anzi se pure una fiata aduien, che egli, schifate, come dice Cebete, i mostruosi scogli delle vane opinioni, peruenga alla vera scienza, senza pentimento del passato tempo: stima felici quei giorni, auuenturose quell'ore, quando un vece di lusingheuoli trattenimenti prouo gli stenti amarissimi, ò per dir meglio, il dolcissimo patir negli studi . Il perche poco amoreuole, e più tosto ingrato, e non meriteuole della grazia degli studiosi mi stimerei, se io nel solcare, che- fanno di questo mare delle scienze, non gli ammonissi auanti, e quasi vedendo il pericolo dell'ultima lor rouina . Risposta. O buono; sè gli effetti saguitan le parole, vadasi pure à riporre il gran Palinuro rettor della naue d'Enea. Ma chisa, che di quì à poco non ui fuggiate sopra vna feluca, e ben presto? C. Non additassi loro quelle Sirene delle quali la natura, e'l sito. R.Che sito ; l'odore ? la positura: il luogo? C. Trauagliando io per alcun tempo sotto intendentissimo Nocchiero, hò, per quanto comporta la capacità del mio debole ingegno, apparato: accioche sicuri dal tema de’ cattivi passaggi non trattenuti da uani pensieri, tengano continuamente veloce il corso del desiderio al vero sapere. R. Bisognera procacciarsi d’altra scuola. E possibile, che vogliate far l'Aio addosso à gli studiosi; e alla magistrale ammonidi di quelle cose delle quali voi siete ancor sotto la sferza del pedante? Certamente, che chi apprender i volesse arte retorica, per acquistar con essa la beneuolenza de’ littori ne suoi componimenti: venga alla volta del Mauri. C.Vn discorso adunque di Lodouico delle Colombe soura la nuoua stella alle settimane passate. R. Non due, o tre, ma otto mesi sono, ò più. C.Venutomi per le mani, mi ha dato la prima occasione di palesarmi, impiegandomi in cotale vficio. R. Veramente, che l'hauete intesa à correr la prima laneta da caualiere incognito; percioche, essendo voi non mediocre Astrologo, antiuedeste, che doueuate al primo arringo leuar le gambe all'aria; che perciò non hauete stampato primieramente le mie verità, e poicia sotto di quelle le vostre ciance . Oltre, che il fallire ascoso apporta men vergogna, non si vergognando d’esser veduto se non da se stesso: ma voglio ad ogni modo esser più cortese di voi, atteso che il fatto passerà al contrario del vostro. C. Imperche non poche in quel trattatello, per non le chiamare inconueneuolezze, vane opinioni, à guisa di piacevoli, ma inuidiose damigelle, si fanno innanzi per troncare il viaggio, à chi aspiraua di peruenire in cognitione di quella Signora antichissima, nobilissima, e vtilissima Astronomia. R. Io tengo per certo, che se Torquato Tasso hauesse potuto vsurpar cosi bella descrizione, egli la cacciaua nel suo poema, per dipinger più al viuo quelle vaghe notatrici lusingheuoli, che aspirauano co’ loro allettamenti ad arrestare i passi di que due guerrieri, acciòche non richiamassero al campo il valoroso Rinaldo, che nelle delizie del giardin d'Armida se ne staua con essa tra le lasciue innolto. C. Ciò vegga chi leggendo queste mie considerazioni di vero fatte per ispasso, quando non sapeua in che altro impiegarmi, non vorrà le manifestissime demostrazioni, el senso ostinatamente negare. R. Voi siete ben montato in gruccia, ò su la merlina, per farti far dietro le fischiate à tutto ilpopolo; a dir che, per ispasso, l'habbitate fatte, e quando altro tempo non haueuate da gittar via. Parui però, che Aristotile, cioè le sue dottrine da me addotte siano da essere studiate per diporto? E chi volete, che vel creda? Se voi foste figliuolo delle Amazoni non portereste pericolo, che elle viazzopassero, come gli altri maschi, accioche voi non faceste opere virili, e da prudente, non volendo restar superate da gli huomini in valore; atteso che queste son debolezze, che danno indizio di troppa mentecatagine. Ma, qual grande occupazione, per vostra fè, vi suole ingombrar la mente, quando non vi mettete attorno à queste bagattelle d'Aristotile? Forse vi ritirate solitario sopra di eccelsa torre, per osseruar qualora i vaporo sorgono dal mare, uolandosene al cielo per imboccar le stelle, accioche elle non muoiano della fame? Forse per veder qual di essi in celeste materia si conuerte, come teneuan gli Stoici, e vorreste io lo veggo nell'aria; tener voi ancora si vi diletta il rinnouelar l'antiche melensaggini, omai, sprofondate dal mio Aristotile? Con chi hauete voi disputa, che habbia tolto l'armi per impugnar l'Astronomia? A che fine citar tanti autori, e farnesi grande spampanata, per confermar l'antichita, e nobiltà di quella contro chi mai non pensò di negarla? Voi mi fate souuenire il prouerbio. Sambuci flores sambuco sunt melores, Percioche i fiori gittano odore, e il pedal fetore. Son buoni gli autori ma non son gia portati in mezo per conueneuole occasione, ne à proposito. C Ne io facendomi perciò grato li amatori delle cose astronomiche, penso (perche altrimenti in niuna maniera il farei) fare ingiuria, ò dispiacere alcuno al Sig. Colombo. Imperoche non (hauendo io mai conosciuto, ne anco sentitone fare alcuna menzione, si può benissimo giudicare, che ne per odio, ne per inuidia, ma per una certa libertà stata sempre comune à ogni secolo, di dire il parer suo in qual si voglia, quantunque autoreuole scrittura , mi sia messo a scriuere. - R. Il non conoscer mè nasce da questo, che non conoscete voi; ma io, che mè, e voi conosco, sò perche dite mè non conoscere. Anche la gatta non porta odio a’ colombi, ma per amore ella chiude gli occhi, fingendo non vederli s'appiata in terra, fa vista non curante di essi, che le son vicini, per ciuffarli poi meglio: ma ella si riman con le beffe bene spesso, perche il colombo ha l'ale se la gatta ha le branche. C. Oltre che per non esser concesso à vn’ huomo il diuenir signolare, & eccellente in diuerse professioni, non li dourà parere strano, se egli essendo in altro affare molto esercitato, e perfetto viene nell'Astronomia da chi che sia, è ripreso, ò ricorretto. R. Non vedete, che questa puntura inzuccherata si ritorce contro di voi, posciache non bastandomi far l'arte dell'indouinare, volete spacciar ancor del filosofo, e del Teologo, si che di uoi si può dir garbatamente quel verso del Tasso. Confonde le due leggi à se mal note? C. Conciosiache chi non sà, che M. Catone è cotanto celebrato per le istorie, perche egli solo si legge, che in tre nobilissime facultà hà ottenuto il primo grado di perfezione? Quantunque, se ancora noi vogliamo credere à chi nel medesimo, ò dopo poco tempo fù di lui G. Aquilio nelle legge, M. Tullio nell'eloquenza, e C. Cesare negli affari di guerra gli fosse di gran lunga preposto. - R. Manco male, che se voi ritrouate le costure i tanti barbassori, mi posso contentar, che non la perdoniate ancora a me, che niente vaglio à petto di loro, ma dico ben, che l'esempio non conchiude nulla: imperoche, se quei tali auanzarono Catone in una disciplina, egli non è però, che fino a quel tempo, per quel che se ne sapeua tra gli huomini, egli non fosse stato eccellente; oltre, che eccedaua ad ogni modo in due altre, discipline, che il rendeuano sopra di essi ammirabile . Ne anche è uero, che non possa dirsi eccellente quegli, che, hauendo il primo luogo nel saper qualche scienza, sia scoperto in essa da chi che sia d'alcune cose hauer conosciuto l'vltima perfezione, perche questa sapienza non è conceduta alle humane forze. Hora come huomo parlando, se possa, ò nò diuenire alcuno in tutte, o in gran parte delle scienze singolare, la lite per ancora sotto il giudice pende. Pure se tal materia fra voi e mè disputar si douesse, credo, che alla fine il piato della ciuetta fatto haureste, che si rimase con molte penne, e poea carne. Egli è uero che alcuni vogliono, che non si possa peruenire in più discipline eccellente, perche vi si richiede gran memoria, e ingegno sublime, che non istanno insieme, dicono essi. Ma altri nulladimeno, il contrario affermano. Conciosiache le scienze, e la verità habbiano certa concatenazione insieme à simiglianza d'anello d'oro, sì che l'una si tira dietro l'altra, di maniera, che quegli, che ha difetto di memoria è dalla riminiscenza efficacemente per cotal cagione aiutato; aggiuntoui di più la forza dell'arte Ramondina, e somiglianti, acciò gioueuoli artifici. E coloro, che ingegno non hanno vsano la memoria, che gli habilita, e rende suegliati, per le molte, e varie cose, che ella riserba; onde i tanti motiui adoperano si, che ogni mezano ingegno arriua al termine de’ sublimi. Anzi dirò più; che, per esser l'organo della memoria distinto dall'organo della cogitatiua, possono molto bene eleuato ingegno, e felice memoria altresi in vn medesimo huomo ritrouarsi. Atteso che, se l'organo della cogitatiua inchina più uerlo l'humido, e quello della memoria verso il secco, (cosa, che alcune fiate accade) il medesimo huomo sara di tenace memoria, e di acuto ingegno. L'esperienza (acciò ch'io taccia mille antichi) il dimostra nella persona del famoso Pico, Torquato Tasso, Iac. Mazzoni stati nell'uno, e nell'altra mostri di natura veramente. C. Onde io diuero, non perche egli si dimostri poco pratico nella cognizione de Cieli, percioche questo può à qual si voglia forse accadere per la fieuoleza, e incapacità della natura humana, ma sì bene per vna certa arroganza, che per entro gli suoi scritti si scorge, son forzato e à raffrenare alquanto cotale orgoglio, e per la stessa verità delle cose trattate à rifiutare molti suoi vani capricci, ne quali in leggendo mi sono abbattuto. R. Se la mia modestia è arroganza reputata da voi, perche io difendo Aristotele, pensate, che cosa doura stimari quella di chi l’impugna, attorto. Io m'auueggo, che vorreste poter dire à mè, come quel cortigiano al principe suo, il quale essendo in pericolo d'affogare con esse lui, per certa fortuna di mare, disse; noi berem pur questa volta alla medesima coppa, poiche la barca ormai è piena d'acqua. ma io dubito non forse, auuenga a voi come a chi bene al fonte, che è solo a bere, e paion due. C. In quella guisa adunque, che Filopono, Simplicio, e Auerroe, sono chiamati, e tenuti fedelissimi ad Aristotele, ancorche alcune conclusioni sue sien da essi acerbamente rifiutate, non dubito punto, che io ancora quantunque in molte cose discordi; del Sig. Colombo, non habbia è esser per la stessa ragione chiamato, e tenuto amicissimo. R. Dirò, che vi date à credere, ch'io sia come la moglie di Giordan Tedesco, che dicena di voler megliò al marito, quando le daua delle busse, e che sempre l'amor cresceua per quelle verso di lui. perche alla fine il buon Giordano le disse, moglie mia io t'ho dato tante volte, che se l'amore è cresciuto à proporzione, sarà troppo disordinato: però è ben finirla quì, e le segò la gola. Voi Sig. Mauri me n'hauete date da ritto, e da rouescio, e di male mazzate. qualche balordo ve ne vorrebbe bene: basta ben che, se voi la faceste finita quì senza più, che forse non ve ne vorrei peggio, ma io vi veggo sempre le man per l'aria, sì ch'io terno, che di quì a poco non tentiate anche tagliarmi le gambe, el collo. C. E tanto (nobilissimi lettori) ha potuto in me questa verità, che io ne anche mi son guardato à riprouare, e dimostrar false alcune sentenze di scrittori antichi. R. Che marauiglia, se fino ad Aristotele l'hauete barbata? C. E alcune ragioni hauute fino à ora per vere di molti effetti. R. Di vero il male è stato assai, che huomo imperito ardisca por la bocca nelle dottrine di sì graui autori lacerandole, ma il peggio è, che di veruna cosa hauete pur detto ragione, che apparente sia non che reale, e vera, e ben tosto il ui farò vedere. Disse bene il vero Tucidide; Imperitia audaces, res autem cogitata, atque considerata timidos facit. Ma chi volesse veder doue sta à casa, e à bottegha l'Arroganza, e l'Orgoglio, vadasene pure a trouar la tauola, che fatta hauete à questa vostra leggenduzza; e quiui trouerà scritto senza riguardo alcuno. Filosofi non si sanno seruir degli Epicicli, Eccentrici, e Equanti; Ipotesi Alfonsine senza dimostrazioni, superstiziose; esemplo di Macrobio, del Sacrobosco, e d'altri autori seguiti dal Colombo, dimostrato falso, &c. Hora, in che gli condanna? in vna esperienza tanto manifesta al senso, che quegli, che la nega, si può dir, che sia più cieco della serua di Seneca, di cui scriue Plutarco, che hauendo di notte repentinamente perduta la vista, sendo chiamata a giorno alto, attendeua a dir, che riposar la lasciassero, perche non era ancor di : ne volle mai creder che venisse da' suoi occhi il difetto, finche non le affermò Seneca esser giorno alto, e spalancate le finestre. C. Il perche forse molti pensieri, e molte opinioni, e perche men’ hà dato occasion l'autore, e perche la conformità de’ presi ragionamenti pareua il richiedesse, inserite in queste mie considerazioni, parranno per esser nuoue. R. Messer nò, questo difetto non hann'elleno. C. A chi che sia, ò strauaganti, ò troppo ardite; R. Cosi è veramente, e l'vno, e l'altro à chiunque le legge; anzi, che per dir meglio elle non parranno, perche elle sono. C. Ma qual'altro rimedio poteua io adoperarci, che ò tacere. R. E questo era il vostro megliore. C. Io che facendo in questa maniera i Lettori d'Astronomici. R. O là, qui manca vn puntello a questi Astronomici. C. Filosofi dubbiosi, e Pirroni, non mi pareua conuenisse, ò apportarne quelle inuenzioni, che io da per me m'era andato sopra ciò considerando? R. Anzi, che voi in cambio di schifar cotesta setta, nella cui accademia facilmente trouate da impancarui per esser sempre vota, e poco men, che confitto l'vscio, vi mostrate quanto alle dubbiezze esser veramente pyronio nelle parole, ne'concetti, e nella persona. Imperoche il parlare oscuro, senza cercarne per hora altro esemplo, veggasi questo periodo precedente, lungo, e laconico dimaniera, che nulla più. I concetti, e le dottrine son tali per tutta l'opera, che, se bene vi siete quasi intifichito dentro, per lo stento, son piene di contradizioni, e dubbiezze nel principio, nel mezo, e nel fine, e di autori mal citati peggio intesi, e pessimamente oltraggiati; e fatto dire al mio testo quel che è piaciuto a voi, ma non già quelche dic'io lasciando stare, che per darci il resto delle vostre inuenzioni, per compimento dell'opera non hauete pur detto qual sia il creder vostro circa la nuoua stella per la qual vi siete messo a scriuere, e impugnar l'opinione altrui; ne hauete eziandio fatto parola in difesa della vostra diletta Astrologia giudiciaria. Quanto alla persona incerta, bastera dir, che, non si ritrouando Alimberto Mauri In rerum natura , ella sia vna maschera sorella di Cecco di Ronchitti, suo suiscerato, come si vede per entro queste considerazioni ; di maniera , che appò lei toglie ad Aristotele il primo luogo. Vogliono i Pirroni i quali non son differenti da i Settici, ò in pochissime cose, che di niuna cosa si dia scienza e come che à far parole di costoro, i saui si vergognino, o facciano solo quelle del nostro Poeta, Non ragioniam di lor ma guarda, e passa; con tutto ciò, per esercizio di ingegno, sendo prouocato, mi vien capriccio di non rifuggir la zuffa, più per hauer occasione di fondar salde dottrine, che di rouinar le debboli; conciosiache la vanità di esse, per se medesima le rouini, e il recitarle solo le condanni. Se voi adunque Signor Mauri, oltre all'esser dubbioso, voleste con questa brigata creder, che scienza non si trouasse, io vi domando se sapete, o non sapete, che non si dia scienza: se lo sapete; adunque si da scienza; se nol sapete; alle vostre parole non si dee prestar fede. E per dir come il dotto Agustino, chi dubita se si possa hauere scienza di nulla, non dubita di dubitare. E io direi, che voi siete simili alla Fata di Plutario, che in casa sua si cauaua gli occhi riponendoli nel bossoletto, e quando era in casa d'altri se li poneua in testa per conoscere ogn'altra cosa che se stessa. Voi affermate di conoscer, che noi non habbiamo scienza delle cose, e non conoscete voi medesimi, che scienza hauete di non hauere scienza. C. Le quali, che, che elle si siano non posso negare, che se le piaceranno mi sia per esse sommamente grato. R. Sapete a cui elle piaceranno? a vostri ma non già a’ dotti. Io hauea da giouanetto composte alcune poesie ; e perche assai belle pareuano ad altri miei compagni della medesima età, credendomi che di molta stima fossero saltai in cimbali di farle publicamente vedere, ma non per tanto non volli lasciar di chieder consiglio a vn letrerato huomo in cui molta confidenza hauer mi pareua, di cui la risposta fu cotale. Accadde a vn personaggio, che per esser reputato assai dotto nella sua patria, non vi essendo chi sapesse couelle; partitosi per farsi conoscere ancora a Padoua, gli venne fatto acconciamente, ma troppo più, che voluto non haurebbe. poscia, che essendo scorto da vno ingegnoso poeta il mandò a presentare alla scoperta di vna artificiosa ruota, credo io di zucchero, nella cui superficie dall'vna delle bande molte teste d'asino eran figurate attorno, e vna testa d'huomo il centro di quella occupaua: dall'altra parte humane teste la ruota circondauano, nel cui mezo dipinta vna testa asinina appariua. Daua la prima indizio, costui esser dotto a casa sua, perche in terra di ciechi vede assai que gli che hà solamente vn'occhio. La seconda il fè conoscere, che era ignorante fra i dotti di Padoua; e cosi con sua uergogna apparò più in un'ora à Padoua, che in molt'anni alla patria sua. Sig. mio (dissi) voi m'hauete messo in pensiero, che, se ben quella testa d'asino era di zucchero, bisogna, che molto amara fosse ad ogni modo à masticare; e perciò sara ben, che io non cerchi di questi regali. C. Si come per lo contrario, se non saranno riceuute con quello affetto, che le hò scritte à voi, à me basterà solo, parendomi pure assai, auerle riuestite, e con ragioni, e con esempli naturali di sì fatta verità, ò almeno verisimilitudine, che perciò non apparendo in esse fuora parte alcuna vergognosa, ò inconueniente, come ben alleuate donzelle abbiamo arrossire per comparir nell'altrui cospetto. R. Guardate, che l'amor non u'inganni, e faccia parer come disse il Petrarca. Donne, e donzelle, e sono abeti, e faggi; Percioche elle appaiano come disse il Tasso, Figlie delle saluatiche cortecce. Orsù uolete ch'io ue la dica? a mè elle paiono honeste, appunto, qual fù la figliuola del Soldano di Babilonia, che per noue siate fù contaminata, e ad ogni modo si uendè per pulzella. Ma uoi non hauete cosi ben saputo ricoprirle, che donzelle violate non si dimostrino: e come che uoi uogliate far testimono della purità di esse, alle uostre parole non si dee prestar fede, che padre ui appellate di quelle, e ne siate l'adultero. C. Resterebbe, che io apportassi la cagione: perche hauendo io auuertite, e notate molte cose nel primo discorso del Sig. Colombo, che in particolare s’ appartiene alla Astronomia, non sia entrato ancora nell'altra parte à dirne il mio parere nell'Astrologia, laquale egli à guisa di Licurgo, che vedendo alcuna fiata imbriacato gran parte del contado, fece con danno vniuersale de’ più nobili, e generosi spiriti estirpare tutte le viti, nel fin del trattato; per lo suo uso cattiuo, come, se qual si voglia scienza, ancorche in se stessa vtile, e perfettissima, non si possa dalla maluagità degli huomini contaminare, dispregia, e vitupera cotanto. R. Oime, non posso più; s'a cosi lunga tirata di parole, io non ripiglio il fiato. Certamente se il menar del capo, e delle mani haueste potuto rappresentare ancora, io hauerei creduto ueder ragionare un'altro Grazian delle Codighe. Se Licurgo proibì uniuersalmente il uino, che di sua natura è buono, egli non fece forse il maggior mal del mondo, perche pochissimi sono quegli, che ben se ne seruano, e senza quello, non sarebbe di peggio la natura humana. Nulladimeno si come il uino beuuto come, e quando conuiene è buono; cosi è non altramente dell'Astrologia adiuiene. Il uino souerchiamente usato, fa l'huomo rimbambito, ciancione, e pargli posseder tutto il mondo, e nulla possiede. Quegli, che disordinatamente crede, e si immerge nella giudiciaria Astrologia douenta bambino, perche dice, e tien per uera ogni astrologica menzogna, è reputato baione, e bagattelliero, perche à chiunque gli da innanzi uuol far ueder marauiglie in credibili ; predice tutte le future cose, e non preuede nulla. Vn contadino, che il trouò buono all'Oste, e tracanando senza discrezione; ciò che poscia rincontraua gli pareua l'un due, comepoco dianzi à uoi addiuienne, stimando, che il mio discorso, che è uno fossero due, ò più, dicendo. Nel primo discorso del Sig. Colombo. Giunto adunque il buon’ huomo à casa, in due suoi figliuoli, s’abbatte, che ben quattro gli pareuano, e’ uerso la moglie n’andò, adirato per darle , femina di mondo chiamandola : ella pur sue scuse, e difese faccendo diceua, se esser onesta donna, mentre che egli, che la paletta messa nel fuoco hauea, quando rouente la uide, disse, se tù se senza colpa piglia quel ferro, che non ti nocerà. La moglie, uedendo lui esser briaco, soggionse, dallo quà? egli presa la paletta, scottatosi la mano, e sbucciata, e ritornato in se fu tutt'una; percioche il fuoco del ferro asciugo'l uin del ceruello. Il medesimo accade a gli Astrologi, che dell'Astrologia ebri diuenuti credendosi ueder quel che non era, scottati alla fine rimasi ne sono. C. Alche quantunque io potesi dire: che per risposta d'altri ageuolmente leuandosi tutti quei vituperi, ciò stato sarebbe al tutto superfluo, solo rispondo, che ragioneuolmente non mi son messo à questa impresa. Imperoche essendo l'Astrologia fondata tutta nell'Astronomia, il dispregiatore di essa, per essere stato scoperto da me dotato di fallace, e mancheuole Astronomia, douerebbe esser per la’ gnoranza del merito della causa. R. Che ui dissi, destemela alle gambe, e al capo? Di uero Mauri, che se leuate di queste fette, uoi non sarete una Maschera, ma una Machera, che uuol dire un coltellaccio. Domine, se cosi son fatti gli amicissimi, sarà ben hauerne manco, che uno. C. Come giudice incompetente, meriteuolmente refiutato, e ributtato da qual si voglia intenden- te, e discreto lettore, al cui giudicio (si come io liberamente sottopongo ogni mia opera, e fatica) non dubito, che altresì non sia per acquietarsi, chi non essendo delle cose proprie souerchio amatore, ha per iscopo principale, in qualunque sorte di professione, di ritrouar solo la verità. R. Il fatto sta conoscerla, massimamente voi che disputando volete esser giudice e parte, pensando dar retto ad ogni modo il giudicio. A uoi conueniua scappar fuora con le vostre ragioni, e argomenti per difesa dell'Astrologia, se ve ne bastaua la vista in quella parte doue io la vitupero insieme con tutti i più famosi non dico Filosofi, e Teologi, ma Astrologi eziandio, come si uedrà alla come si vedrà nel fin dell'Opera, doue l'insolente turba degli Astrolagastri, e la superstiziosa Astrologia si condanna. Ma voi non ne farete altro hauendo veduto che il [censored] Lucio Bellanti, che in fauore de vostri concetti citato hauete, non seppe scappar d'alcune difficultà, e obbiezioni fatte dal Pico. I famosi si seruon di cotesta sorte d'astrologia tanto, quanto ella basta loro per ischernire, e beffare i semplici. Onde Catone si marauigliaua, quando s'incontrauano due astrologi, che non crepassero, per le risa. Ma veramente non hauete il torto a non entrare in mar senza biscotto, per che hauendo io di gia fracassati, come dite voi, e gittati al fuoco tutti i libri, e gli strumenti astronomici, che son fondamenti di quella, senza i quali sareste come mosca senza capo, da pratico mi hauete data contro la sentenza nell'Astronomia per fuggire il ranno caldo dell'Astrologia. Cosi fece non ha molto vn'arrogante procuratore, che dinanzi al giudice disputando vna causa in vece di fermare il fatto con l'auuersario, e disputar de meriti, si rinfuocolaua gridando a sproposito, dicendo la uerità è, che noi habbiamo ragione, e uoi senza dire più hauete il torto. Onde l'auuersario dolcemente sorridendo, al giudice riuolto, disse, io debbo hauere a disputar la causa con uostra eccellenza, poi che il giudice è costui. Anzi Sig.Mauri à noi tocca solamente a disputare, ma il giudicare ad altri s'aspetta. Io adunque à discorrer cominciai cosi. Discorso. Perche dell'huomo, e proprio talento desiderar di sapere, e massimamente la ragion delle cose di cui l'nuestigazione, se non impossibile, almeno difficilissima sembra all'humana capacità; di quì è, che dietro a simil cose, come che la verità sia vna, molti variamente pronunziano la sentenza loro, e tale adoperano l'acume dell'ingegno, che, tutto che vno sia, che dica vero, ò forse niuno appena si troua, chi discerner sappia qual di tanti pareri d'intorno a vn soggetto solo, per più probabile da riceuer sia. E tale appunto mi si rappresenta la’ materia di quelle nuoue stelle, che nel Cielo si dicono essere apparite, di cui fanno menzione gli Astrologi esserne stata veduta vna trentatre anni sono nella sede della Cassiopea, acciò ch'io taccia le più lontane, come fu quella, che vide Hiparco; e l'Ottobre passato 1604. alli 12. ò quiui intorno vn'altra nel sagittario s'è fatta a gli occhi nostri vedere. Quella per lo corso di due anni, e questa di uno incirca s'è mantenuta, auuenga che alcuni dicano l'ultima per ancora non essere sparita, ò ritornata di nuouo. La onde molti eleuati intelletti, diuersi fra di loro, ne hanno diuersamente fauellato, e posto in luce la loro opinione, di maniera che l'autorità di quei tali separatamente, e le uigorose ragioni addotte in prò del proprio parere fin quì non hanno per mio auuiso altro, che nuoua dubitanza cagionato, e lasciati i lettori nelle medesime difficultà, anzi maggiori; tra i quali io mi son uno. Onde cosi fieramente s'e adescato in me il desiderio di ricercar la uerità di cotale apparenza, che nulla più. Ne crederò io mai biasimo riportarne, quantunque egli non mi uenisse fatto di persuader per uera la mia sentenza, dintorno alla sostanza, e al modo nel quale possano tali stelle di nuouo nel cielo essersi dimostrate, a gli occhi nostri. Considerazione seconda. In quanto à questa parte d'addur la sua sentenza circa la sostanza di questa nuoua stella, cioè se ella è composta della materia del corpo del Cielo, doue ella si ritroua, come tiene Aristotele, ò se ella è vn fiore della terra, come dice Protagora, non si dee dire, che l'autore, per non l'hauer fatto apertamente, sia dotato di poca memoria, perciocche prouando poco di sotto, che ella non è esalazione, ha pensato forse con la negatiua auer posto in essere la sua quidità, o vero si è creduto, per auer giurato in verba Magistri, superfluo addurne la sua opinione, dandosi ad intendere, che quindi, seguendo egli Aristotile, ogni discreto lettore, se la potesse immaginare. Risposta. La più fracassata ruota del carro, è sempre quella, che cigola. Voi vorreste (se ben non ne trouate buona via) cacciarmi addosso menda di smemorato, ma e' v'auuerrà come al vento Cecia, che soffiando trae a sè le nugole, in vece di mandarle altroue. Hauui però di sì fatta maniera velati gli occhi la passione, che non veggiate, ò pure sdegnate di veder la luce come i barbagianni? Non s'è prouato il tutto nella particella posta dauanti alla considerazion sesta, settima, ottaua, nona, decima, vndecima, duodecima. diciottesima, e trent'esimaterza ? Paru'egli Signor Mauri, che la mia memoria habbia rintracciato, doue era memoria delle proue della natura di tale stella? Voletela più smaltita. Eccouela in quattro parole. Il Cielo è vna sostanza diuersa di natura dalla natura degli Elementi perche non è corruttibile, ne generabile, ne capace di nuoue forme. Ma gli Astrologi tutti hanno dimostrato, e voi lo concedete, la nuoua stella esser nel Cielo; adunque tale stella è della natura, e sostanza celeste, e una di quelle, che vi furono da principio, non sendo il cielo capace di nuoue forme, ne di mutation corruttiua. Che ne dite adesso qual di noi due ha mandato la memoria a zonzo? fate à mio senno confessatela alla libera per che non istando ostinato almanco darete indizio, che l'habbiate ritrouata ricordandoui d'hauerla perduta. Anzi vi varrete di quel bel detto di Seneca in Agamennone; - Quem penitet peccasse penè est innocens. Per mia fè, se mi fate di queste troppo spesso, che marauiglia sia ch'habbiate spacciatamente snocciolatomi contro 53. considerazioni? Sò ben che, se queste considerazioni fossero mie, come son vostre non l'haureste guardata a cacciar dauantila C, vn'S, calzandoui per l'appunto, non volendo lasciar quella parola senza compimento. E quasi quasi, che elle son più che le righe dell'opera stessa. Sig.lettori, sò che il Sig. Mauri mi tien tanto parziale di Aristotele, che io non istimi Platone, ma in questo egli come in altre cose s'inganna; e sò che’ e non attenterebbe di contrastare, percioche con realissimi, e irrepugnabili dimostramenti vedrà, che si come questo suo parere io non lo seguo cosi egli nol consegue. peroche io son di opinione, che per esser questi due splendentissimi lumi, l'vno non ceda all'altro, e nel suo genere amendue son sommi, e in ciascuno di essi è qualche particolar'eccellenza, che à niuno il fa secondo. Ma Aristotele ha seguitato vn genere Ascoltatorio continouato, che è atititimo alle discipline. Platone, s'è compiaciuto del Dialogico interrogando, e rispondendo, per eccitar gli ingegni a speculare. Aristotele perche voleua insegnar le cose materiali, e sensibili offeruò il metodo diffinitiuo, e ordinatiuo delle scienze. Platone, perche voleua insegnar le diurne non ordinò le scienze, e sminuiua il concetto delle cose sensibili per aggrandir le immateriali. Arist. aspirando a formare interamente le scienze, seguitando la via compositiua dalle cose essentialmente concatenate, con voci proprie, e strette, e non metaforiche, e ampliate a scruer si mise. Platone con fiume d'oro di eloquenza procedette, perche bramando solamente destar gli animi si, che gia fecondi si preparassero al parto, si serui delle ragion Dialettiche, e Retoriche delle arguzie, e metafore, e dissimulazioni, e Socratiche Ironie accomodatissime a suegliar gli intelletti altrui. Si che chi l'vno senza l'altro studia, e chi si priua di Aristotele per Platone, ò di Platone per Aristotele mi par, che si priui d'vn'occhio. Adunque delle cose materiali per al presente trattando sara mia scorta Aristotele, ma nello stile eleggo Platone, volendo adoperar l'ironie, le metafore, le arguzie, e piaceuolezze, e simiglianti lumi, e colori retorici, a fin che io sdormenti a cuni, e a miglior filolofia risorgano, e in particulare delle sfere celesti; e se ben non si può conseguire interamente la notizia loro, nulladimeno vna menoma particella; che altri ne capisca vale assai più la giocondita, che all'intelletto apporta, che se con le proprie mani, per dir cosi, si toccassero suelatamente tutti gli effetti terreni, e le cause loro insieme. Lo dice Aristotile ancora con una bellissima similitudine. Celestia, et si leuiter attingere possumus tamen ob eius generis cognoscendi excellentiam, amplius oblectamur, quan cum hæc nobis iuncta tenemus, ut quamlibet partem minimamque corporis puellæ diligenter vidisse gratius, & iucundus est, quam cæterorum membra hominum tota perspexisse, & contrectasse. Discorso. Conciosiache, almeno questo haura meritato lode in me, cioè l'essermi virtuosamente adoperato dietro a materia celeste, la qual non solamente è proporzionato oggetto più che qualunque altro di questo sensibil mondo all'intelletto, ma doue ancora cotanti celebri huomini hanno sparsi gloriosi sudori; ne pare a mè per tanto, che habbiano fin'hora detto, a bastanza per quietare gli studiosi ingegni. C. terza. Quantunque di quì si caui, che chi attende all'Astronomia meriti somma lode, come l’Autore spera di fare egli, e nel fine del discorso douendosi abbrucciare gli Almagesti, fracassare le Sfere, e rompere, e spezare quanti Astrolabi, e sestanti si trouano al mondo, s'argumenti allo sbeffamento douuto a’ seguaci di quella, come gente disutile, e vana, nondimeno non c'è contradizione alcuna. Perche la'ntenzion dell'Autore è tale, che si fatte ciancie, e chiappolerie sieno leuate via, acciò gli Astronomi non vi perdano più tempo, e consumino il ceruello. Onde dalla condennazione di quei libracci non se ne può cauare il dispregio dell'Astrologia , ma il zelo più tosto dell'autore, che l'huomo si risolua à imparare vna volta cotale scienza senza tanti interrompimenti di capo, e beccamenti di ceruello. Risposta. Di vero, se reputate quì essercontraddizione, habbiate per fermo, che ella nasce solo dalla credenza vostra, e per vostro difetto. Impercioche, se haueste fatto differenza tra Astronomia, e Astrologia non hauereste fatto questa chiosa; e tanto, è più graue l'errore quanto vi reputate de baccalari maggiori, che habbiano le matematiche discipline, e che vi vantereste di diuidere, squartare, e sminuzzare il zero, e di trouar, come si dice il pel nell'vouo. Mà qual voi siate riuscito negli zeri si uedra ben tosto nel calcular, che haurete fatto di quelle altezze, grandezze, e riuolgimenti del ciel cristallino, del primo Mobile, e di tutti gli altri, e del numero di essi ancora, poi che ne imputate me d'alcuni per non gli hauer calculati non abbisognando; a i quali computi vedrem se arriueranno i vostri occhiali, poscia che dite, che non vi arriuano i miei. Hora tornando al proposito, se lodai l'adoperar l'intelletto nello specular la materia celeste, e l'Astronomia, non perciò in quel luogo hò fatto menzione alcuna d'Astrologia. Ma quando pur uoleste, che di essa eziandio hauessi inteso, non per tanto non mi son contrariato. Conciosiache ho lodato, e biasimato quella parte d'Astrologia, e quegli Astrologi, come si uede nel fin del mio discorso, che di loda, e di biasimo meriteuoli sono. Discorso. Posciache altri per non discostarsi dalla comune, e vera dottrina Aristotelica affermante il Cielo essere incorruttibile, ingenerabile, e di peregrine qualità incapace, si son posti in cuore di voler credere, che le astronomiche demostrazioni siano state da i lor posseditori in cosi lontane misure male adoperate, e che essi nel senso fortemente si siano abbagliati. Altri per lo contrario sappiendo quanto vere siano lo Matematiche misure, che si toccano per dir cosi con le proprie mani, hanno detto, e cercato eziandio di prouare, che il Cielo e alterabile, e di corruzione, e generazione, e straniere impression soggetto, come i corpi elementari sono. Altri finalmente credendo nauicar sicuri fra Scilla, e Cariddi, non si opponendo alla verità dell'vna, e dell'altra scienza, affaticatì si sono per ritrouar modo, che quadri l'apparenza di tali stelle esser nel Cielo, e il Cielo ad ogni modo non dar luogo a veruna alterazione. Ma perche difficile è stato oltre modo a ciascuno il trouar mezo basteuole per conchiudere il suo intento, di qui è, che nelle primiere tenebre per ancora rimasi sono. Ne reputo io perciò, che il medesimo altresì addiuenire a me non possa auuenga che io mi creda la cagion di cotal mostruosità nel Cielo apparita far palese, diuersamente pure da quello, che insino addesso n'ho veduto andare attorno per le stampe, e scritto a mano. C. quarta. Di sì fatta progenie n'è scapato nouellamente un fuora, ilquale, non contentatosi farsi conoscere in un suo trattato scritto in lingua natia, ora m'ha mandato alle stampe vn’ altro intitolato Anthonij Laurentini Politiani de numero, ordine, & motu cœlorum aduersus recentiores, doue facendo anche egli del filosofo naturale, il cui oggetto proprio è lo speculare la materia celeste, gli basta aprir’ inconsideratamente la bocca contra’l Magino, il Clauio, il Copernico, e tant'altri saui del secolo antico, e mettersi, con modestia non più vdita, à biasimar semplicemente, e non refiutar, come egli dice (poich’e' non adduce alcuna ragion, che vaglia) l'altrui mestiero, cioè il numero, l'ordine, e’ l moto de’ Cieli, oggetto particulare dell'Astronomia; come se troppo modesto, e saputo non dea esser giudicato quegli, che di continuo auendo atteso all'arte u.g. del tagliare, e cucir panni, ardisse in pittura per altro eccellente riprender’ oltre all'attitudine delle vesti, ò la chiarezza de'colori, o’l troppo oscuro dell'ombre, per lequali il saggio pittore venisse à dare à simil ritratto tutto'l viuo, e tutto’ l bello, che in quello si nascondesse. Risposta. Quegli, che è chiamato non risponda, perche hò torto io a volerla con questo prode huomo. E forse che egli non vuol metter in aia col Lorenzini, ilquale fin da fanciulletto diede publicamente più uolte semi del suo valore, e con quello si hà guadagnato la cattreda della filosofia nel dignissimo studio di Padoua, e non trae manco honor la cattreda da lui, che egli da lei: ma che è peggio Sig. Mauri di posta gli date vn solenne saggio della arcifilosofia vostra, affermando, che il proprio oggetto della natural filosofia à la materia celeste; che Dio vel perdoni. Il volersi difender non ci haurà luogo nelle repliche: perche vol non volete, che il filosofo naturale consideri il moto del Cielo, e pure se è corpo naturale non può senza il moto esser suggetto della natural filosofia, poiche Natura Est principium motus, & quietis, Si che non potrete ritirarui con dire, che intendete della materia celeste, come parte del suo obbietto adeguato, acciò ch'io parli col proprio termine, perche ò parte, ò tutto il filosofo considera sempre l'ente, il corpo, o la sostanza, come mobile. Oltre che Arist. nel 2. della Phy.t. 17.18. dice che l'Astrologia è parte della Fisica. Ne è buono Astrologo, chi non è buon filosofo. Voi cercate con guadagnarui nome di cattiuo filosofo, di perder quello di buono Astrologo, e siete per la buona via, ne vi giouera, che i defensori d'Astrologia giudiciaria sian l'armi del Diauolo; perche hormai gli sono state tolte da troppo possenti auuersari senza speranza di mai più riauerle; perche non è per riuscirli con questi il medesimo, che con quel ladro. Fece patto vna volta il Diauolo con vn ladroncello di aiutarlo in iutti i suoi furti; li succedeuan bene; vn dì entrato in casa d'vna bella donna, e toltole vn uago abito monachino da state di taffettà scarnato, che la faceua apparire assai più lasciua, e allettatrice; il diauolo subitamente gli diede vi sorgozzone, e glie lo fe por quiui. O che modo di fare è questo (disse il ladro) mancar di parola? Io hò promesso d'aiutarti rubar l'altrui, e non quel che è mio, rispose il diauolo; non sai tù, che queste sono armi mie? Discorso. Hora perche da coloro, che il Cielo stimato hanno esser corruttibile, non si è prouato se non con alcune ragioni appartenenti al proprio concetto loro in quanto alla sostanza, e al modo circa la nuoua Stella comparita nel Cielo, senza, che habbiano distrutti, e reprouati gli Aristotelici fondamenti, e conchiusioni, come fare ad ogni buon Filosofo si richiede: perciò crediamo esser basteuole distruggere i principi, e ragioni di quegli nel medesimo tempo, che si tratteranno le sentenze de’ medesimi per breuità maggiore. Impercioche, hauendo questo adempito non ui haurà dubitanza veruna, che la di già inuecchiata, e comunemente, riceuuta opinione d'Aristotile restera nella sua candidezza primiera. Ma perche non faccia mestiere di lungo discorso contro coloro, che la sostanza celeste mancheuole, e caduca dimostrare intendono, sara ben fatto, accioche si prendano di quì le soluzioni alle prouanze loro, mostrar per via di conchiusioni discorrendo, che al Cielo non corruttibile, non generabile, non ricetto di qualità contrarie, non della natura, e materia sia de’ corpi elementari. C.quinta. Cecco di Ronchitti, altrimenti detto il Padouano, proua con alcune ragioni generali il Cielo essere corruttibile, mà ò per essere il suo linguaggio forestiero, ò per essere egli di quegli Astronomi lambiccantisi il ceruello in quei pazi libri, meritamente viene à essere, ò non inteso, è dispreggiato dall'Autore, alle quali ragioni potrebbe chi che sia soggiugnere le infrascritte. Risposta. Cecco, per quanto hò saputo è vn bello ingegno, che sà molto bene la vera Filosofia; ma egli si compiace di far vna burla à i troppo corriui, e far vista di parlar da vero; e perciò finge il nome e la fauella, e si chiama contadino, perche i saui conoscano, che sa di dir cose da villano. Io dunque mi goderò il priuilegio che mi concede, trattandolo da tale; che però anche si traueste alcuna fiata nobil caualiero da zanni, ò altra ridiculosa persona, esponendosi alle percosse dell'voua, e della neue sapendo, che ne vergogna, ne danno gli si apporta; anzi ne gode, e ride con quegli che l'infestano. Del rimanente Cecco spogliato, io il reuerisco, e honoro, ne hò mai, ne haurò intenzion d'offenderlo. Ma uoi compar, se vi siete creduto, che dica da verò, quanto habbiate fatto male a credergli, e imitarlo, non ci andra guari, che il vi farò conoscere. Io di vero assai vi ringrazio, che habbiate preso la maschera d'immaginata persona; accioche io mi possa difender non offendendo, ne diguastando à niuno, ragionando io contro l'aria solamente. Vn certo, perche in maschera passò a posta dinanzi all'uscio d'vn suo nimico, il quale, come che conosciuto l'hauesse, fingendo non saper chi fosse valutosi dell'occasione, con arguto motteggiar lo beffò, dicendo, chi è costui, che porta il viso sopra la maschera? volendo inferir, lui esser brutto di viso, per si fatta maniera, che egli si cambiaua da la maschera. Le uane opinioni Sig. Mauri, e gli strauaganti capricci, e le roze parole vi fanno vn brutto viso, che non piace, ricoperto dalla maschera di finto nome ; anzi guardate, che peggio non ui auuanza. Douete sapere, che Carlo sesto Re di Francia, per occasion di certo sposalizio, dopo i balli del festino, con alcuni caualieri si trauestì, ponendosi al viso maschera di Leone, o d'altro saluatico animale, e con certa materia viscosa sù le nude carni, egli e' compani suoi s'attaccaron del lin pettinato, fingendosi pelosi, intantoche orribili, e mostruose fiere pareuano. Giunti nella sala, e fra le brigate saltando, il Duca d'Orliens, per ueder meglio s'accostò con vn torchio acceso, che nella mano tenea; e andò cosi la bisogna, che vna fauilla, schizzando su i velli del lino, tosto leuò fiamma, non solo sopra quegli del Re, ma degli altri mascherati ancora, i quali tutti vi morirono, e'l Re vi moriua eziandio se vna femina con vn suo manto nol copriua prestamente, quella fiamma affogando. Voi adunque, sendo comparito, per ischernire altrui con le saluatichezze, e fantasticherie, ven’ andrete in fumo, e fiamma co’ seguaci insieme; percioche non potrà ricoprirui il manto dell'autorità non sendo voi huomo grande. Io non voglio già pagar le villanie del medesimo conio; perche io, con vostra pace, leuo per impresa vna maschera di bella, e leggiadra Ninfa con dolce color di rose sparto per le sue guance, con biondi, anzi dorati, crespi, & ondeggianti capelli dintorno alla fronte, posta in campo nero, accioche meglio appaia ; e il motto Cum hac nihil, perche non mai voglio esser finto in niuna operazione. Fatti in quà Cecco; che di tù? Sig.Mauri con vostra buona grazia io mi farò lecito di riferire nella fauella nostra gli stessi concetti suoi, perche io vi dò parola di portarli in mezo fedelmente come stanno, ne per questa volta vi muoua a sospetto il difetto vostro, cioe, che io sia per far de’ vostri, come hauete fatto de’ miei rendendoui pan per focaccia, che nol farei per l'oro del mondo. Oltre che ad ogni modo veggo, che ui uestite della sua gabbana aggiungendoui sopra, perche paia alla cittadinesca, certa fornitura assai uecchia, e rigattata tante uolte, che a chi non guarda ella par nuoua. Il Padouano M. lo Cecco vostro dice. Il voler affermar, che il Cielo sia ingenerabile, e incorruttibile, e che perciò non vi si possan generar nuoue stelle, non ui essendo contrari, e parer d'Aristotile, e di sua brigata, che non sanno se son uiui, ne quel che si dicano uolendo parlar del Cielo. R. O Cecco sa’tù quel ch'io ti vuò dire; uà pian con que’ buoi; non uedi che tù esci del seminato? C. Oltre a ciò io mi credo in Cielo esser cosi ben caldo, freddo, humido, secco come si sia qui. R. Sta allegro, che il Mauri tuo figlioccio ui seminare di qui à poco un gran campo di faue, beffando mè, che non credo in quei celesti monti fare i baccelli, ma solamente quà giù, ne' nostri piani: e sai se e ‘ci fanno rigogliosi; egli tel dica. C. Perche, si uede, che u'è il denso, il raro, il lucente, e l'oscuro, e tutti l'un all'altro contrari. Aggiungesi à questo, che gli elementi sono in Cielo, ma che non son della fatta de’ nostri, ma più perfetti, e questo dice Platone, e perciò è trasparente il Cielo R. Pian, piano; che tù mandi i barberi per palazzuolo in cambio di tenerli per la diritta. Percioche tu scambi le parole di Platone C. Di più anche gli Elementi hanno il moto circulare alloro proprio, come della terra afferma il Copernico. Dico ancora, che il Cielo, e medesimamente lo dice il Copernico, non il muoue; e cosi male dice Aristotele, che vuole, che se vn minimo corpicciuolo si aggiugnesse al corpo celeste, egli cesserebbe dal suo moto. R. Per certo S. Mauri, che uoi siete entrato in un laberinto, che per uscirne ci uorrà altro che baie; O andate à impiacarui con Cecco: e v'ha fatto ben cader della padella nella brace, e forse ui cuocera in modo, che non sara più ben del fatto uostro. Chi harebbe mai creduto, che ui foste accordato seco a dir contro Aristotele, e con ischerno ? Di cui dice Dante. Vidi’l maestro di color che sanno; e Auerroe il secondo Aristotele piglia la sua difesa cosi dicendo; Aristoteles sapientossimus inuenit scientiam Naturalem, Diuinam, & Logicam easque compleuit, & in vno indiuiduo inuentri tantam virtutem miraculum est. Del quale Auerroe Dante disse. Auerrois che'l gran comento feo, Hora, uedete bel caso ch'è il uostro; uoi m'hauete dato un rabbuffo de'buoni, dicendo, che io poteua lasciar d'apportar le medesime ragioni, che dal Lorenzini sono state dette, e non u'accorgete , che questa pina scossa cadrà sul uostro capo. Impercioche essendo di peggior condizion dell'Ebreo rificcate à mostra un mantel uecchio, senza qualche nuoua manifattura, acciò che non si riconosca, che e rubato. Le uostre proue fieuoli, e magre inuenzioni, e logore si rimarranno in bottega di cui le uolle uendere auanti a uoi, se non douentate miglior rigattiere. Ma gli argomenti, e ragioni mie , perche non son mie, ne del Lorenzini, mad'Aristotele, e di tutti i famosi, sono state messe in campo perche son le uere, fondate, sufficienti. E che dico più ? Per esser del Grande Aristotele, sono, e saranno sempre nuoue, e massimamente à chi non l’intende: ne si deuono, ne posson mutare, ne tampoco sciogliere: e per prouar la verità de Cieli incorruttibili contro a chi l’opposto afferma, senza hauer pur tentato di riprouare, o rispondere a gli argomenti peripatetici, come se di niun momento fossero, non doueua io altre ragioni addurre, che quelle, che le sicure sono, e le inuitte. Ma voi per acquissarui nome di eleuato ingegno, con certi concetti antichi, e tralasciati in derisione, de’ loro inuentori hauete suscitate certe opinioni, non dirò filosofiche, ma più tosto fauolose, affermando, che il ciel non si muoua, che egli quieti di quiete propriamente detta, che habbia moto retto, che la terra secondo sè tutta si muoua circolarmente, che il circolar mouimento sia proprio di tutti gli elementi, che i Cieli siano armoniaci, cioe, facciano suono, che nel Cielo siano contrari corruttiui, che sia tangibile, che la Luna habbia monti, oltre alle contrarietà, che da questi concetti appaiono nel vostro ragionamento; ne lascio di dire, che sotto l'orbe lunare haureste voglia di metterui il uacuo, come che voi habbiate voluto con certi falsi argomenti cacciar nel mio conto questo tarantello, ma non la correte, anzi vi farò tosto veder, che i viluppi della tela vanno al pettine. Io mi marauiglio, che il ghiribizo non u'habbia tocco di destar l'opinion di Philolao, che diceua, che il Sole era vn gran piatto di uetro; o di coloro menzionati da Plutarco, dicenti il Sole esser feccia dell'aria. Signori lettori, io per questo non mi sbigottisco, che costui arrouesci il Cielo, la terra, gli elementi, e quasi tutta, la natura; perche vn saggio Rè dauanti a cui dolendosi vn uecchio, che gli Spartani voleuano far nuoue leggi, e lasciar le antiche, e buone, conchiudendo, che ogni cosa andaua al contrario. Rispose il Rè state di buona volgia, perche fin quando era fanciulletto mio padre diceua cosi, e perciò se di nuouo vanno à rouescio ella s’ addrizzeranno. Cosi dico io a i peripatetici, presto s'adrizzeranno queste arrouesciate filosofie, e i mali filofosi resteranno beffatti, come è accaduto al Telesio, e simili strauaganti ceruelli. Se voi credeste Signor Mauri occupar la fama, e la gloria d'Aristotele, e di tutti gli antichi uoi siete fortemente ingannato, e vi succedera lo stesso, che auuenne a quel Tiranno, che uolendo oscurare il nome, e la memoria de’ Principi antecessori comando à un pittor, che leuate, e ricoperte l'arme de gli altri, che poste erano al palazzo vi dipingesse la sua. Il valent'huomo conoscendo l'insolenza, non si pote ritener, che sotto quelle, che rifaceua non dicesie. Durabit tempore curta. Il Tiranno, domandando perche hauesse scritto cosi: egli, temendo, rispose, perche i miei colori son di poca stima, uolendo intender ueramente della pazia di lui. Ma noi intendete dell'vna e degli altri, poiche hauete cancellate le memorie degli antichi occultando il mio testo in cui elle eran figurate co'vani colori de' vostri concetti, e con la dottrina male autorizata, vi siete pregiudicato; per non s'intender ciò, che vi diciate, non si uedendo quel che dic’io, per torre ancora a me quel che non è in vostro potere il renderlo quando uoleste. Ma io vi vuò dar vna nuoua da calze: per quel ch'io ueggouoi siete a mal partito; percioche essendo Aristotele dalla mia, io tengo la spada per lo manico, e voi per la punta; ne ci ha scampo ueruno al fatto uostro, perche, uegnendo innanzi vi infilzate, e ritirarsi è uerogna. Hora cred'io, che non uorreste hauer conosciuto Cecco, se non quanto dice hauer conosciuto mè; vi stà il douere; doueuate lasciarlo ragionar dell'aratro, e non della filosofia. Venghiamo a’ ferri sù; che hà egli conchiuso contro Aristotele? non ha riprouato le ragion dell'incorruttibilità del Cielo; non ha prouato la corruttibilità, se non con ragioni alle quali è statto mille uolte efficacissimamente risposto da tutto’l torrente de’ filosofi, e teologi, e da gli astrologi eziandio, se non sono stati puri astrologi, e della feccia. Non sentite voi rossore d'hauermi con tanta audacià rimesso per dottrina di tanta importanza à ueder lui, che osa cotanto contro le scuole comuni? L'argomento suo più solenne è hauer detto d'Aristotele, e di tutti, che basta aprir la bocca, e che non sanno se son viui volendo parlar del Cielo. Il caldo adunque, il freddo, l'humido, il secco doureste ormai hauere inteso, che son qualità attribuite al Cielo uirtualmente, e non formalmente, si come anche nel Sole diciamo, e nella Luna, e’n tutte l’altre stelle esser tutte le cose, che la terra genera, e produce, percioche vi sono in virtù, ma formalmente, e in atto sono in terra, e a’ propri luoghi loro fuor del Cielo. Quanto al raro, e denso del Cielo da cui uorrebbono con troppa fastidiosaggine argomentare i filosofastri ritrouarsi la sù il caldo, e’l freddo & c. Si risponde, che non da altro nascono cotali accidenti nel corpo celeste, che dalla diuersita della - situazion delle parti di esso Cielo; imperoche nel denso le parti son più uicine, e spesse; e nel raro più sparte, e lontane fra di loro. Oltre à ciò il raro, e’l denso in due maniere considerar si possono, cioè, è per generazione non sendo la densità altro, che vna mutazion di maggior mole, in minore, e la rarita in maggior di minor mole: e in cotal modo son contrari corruttiui, perche son capaci di alterazione, e mutazione i corpi in cui si ritrouano tali qualità ò per creazione, e in questa maniera si ritrouano sempre a vn modo inuariabili, e inalterabili per sempre i corpi loro, per che non hanno contrario; e in questa guisa appunto sono i celesti globi incorruttibili. E se bene qualche contrario si ritroua nel Cielo, come pari, dispari, ec. Nulladimeno simili contrarietà non son corruttiue, come dice S. Tommaso. Non cominciando adunque il Cielo per generazione, il raro non è rarefattibile, ne il denso condensabile, ne per lo contrario il denso rarefattibile, e il raro condensabile. L'esperienza lo dimostra apertamente nella Luna il cui raro, e denso stanno sempre nel medesimo luogo, e immutabilmente, come nella via Lattea ancora, e nell'altre stelle, che son parte più densa del lor cielo, senza hauer fatto giamai niuna varieta. Ma io vi fò sapere vna cosa di più, accioche ueggiate, che non sono sdegnato contro di uoi, se ben m'hauete ferito, come si suol dire, con la lancia da Monterappoli, che pugne per tutti i uersi; anzi al contrario di uoi, uoglio adoperar la lancia d'Achille, che feriua, e sanaua nel medesimo tratto; ne douete hauer per male alcune piccole punture del senso, sè cagionan la sanità dell'intelletto. Onde potrete dir poi col Petrarca. Vna man sola mi risana, e punge. Sentite,e tenetene conto. Quando le qualità del raro, e denso del Cielo, e degli elementi fossero della medesima spezie, non per tanto non si argomenterebbe efficacemente per conchiudere, che il Cielo, e gli Elementi fossero della medesima natura sostanziale specifica. Alla altra obbiezion della contrarietà del lume, e delle tenebre la resoluzione è questa. O noi consideriamo il lume come congenito, e proprio; o come alieno, e accidentale. Se nel primo modo, la risposta va di pari passo con le precedenti del raro, e denso: se nel secondo; si risponde, che se bene il Cielo si può alterare, come la Luna, ciò è vero, d'alterazion perfettiua, quando riceue il lume del Sole, ma di alterazion corruttiua non gia. Ma perche nel Cielo non è, assolutamente parlando, oscurità, non si può di uero affermar, che ui siano semplicemiente contrari di chiaro, e di oscuro, se non impropriamente. onde non essendo veri, e propri contrari non possono altramente cagionar corruzion nel corpo celeste. E che in quel corpo trasparente non solo, ma eziandio nelle parti opache della Luna, non sia veramente oscurita se non in rispetto al Sole, alle Stelle, e all'altre parti del Cielo più, ò manco luminose, lo dice Auerroe, affermando la diafamita del Cielo, non mai ritrovarsi in potenza. ma sempre esser la natura sua in atto luminosa. E poco dopo vuol, che il Cielo non riceua mai oscurita, auuenga che ciò appaia nella Luna adiuenire per causa dell'eclissi, e per la diuersità de’ siti di quella col Sole, Impercioche non son propriamente tenebre, etiam che si concedesse la Luna esser fatta di natura trasparente, e non luminosa, e forse è d'amendue queste nature composta. Resta adunque, che il chiaro , e l'oscuro del Cielo non sian contrari, e massimamente contrari corruttiui, come vorreste di compagnia col uostro Cecco. Sentite di grazia, nel secondo del Cielo Auerroe, come egli si dichiara; ecco le proprie parole. Lunæ macula retius est, quod sit aliqua pars in superficie Lunæ, quæ non recipiat lumen à Sole secundum modum recipiendi aliarum partum , & hoc non est prohibitum in corporibus celestibus, quoniam, sicut in eis inuenitur illuminosum aliquo modo, ita oscurum, vt Luna. Vedete come apertamente inferisce, che sì come nel Cielo non è assolutamente il non luminoso, cosi impropriamente vi è l’oscuro. Se voi a dispetto del Mondo volete pur sostener, che la machina celeste sia composta de’ quattro elementi, e verificar fin l'iperbole de 'poeti. Cælum fretumque miscet. Non dite almeno, che non sian della fatta de'nostri, e, se pur volete cauarui questa voglia, non ci mettete Platone a parte, senza sua licenza: perciò, che egli non fu mai si tordo, che volesse fare a guisa del tordo. Che sibi mortem cacat, Come fate voi, che à somiglianza di quest'vccello vi producete il visco, e la pania contro per restarui preso. Ogni semplice huomo argomentera controui così. Se gli elementi di cui risulta il Cielo non son della fatta de nostri; adunque il Cielo non è corruttibile. percoche, le questi son corruttibili, quegli, che compongono il Cielo saranno incorruttibili, non essendo della natura di questi. Oh voi haurete ragione a dare il vacuo tra i nostri elementi, e’l Cielo, perche quegli altri elementi si son logori a fabbricarne così gran corpo, e vi e rimaso quel vano. Sig. Alimberto a voi tocca a far questa concordanza, e non al pedante; per che a sgrammaticar ben questa grammatica altro ci vuol che vn semplice grammatico; poiche, come vedete, se la celeste materia non è capace di corruzione, per non esser della medesima elementare corruttibile, voi haurete contrariato a le vostre conclusioni, mediante le quali sostente il Cielo posseder le medesime qualità, e passioni corruttiue de’ corpi elementari, e sullunari. Se voi seguitate cosi le cose passeranno appunto com'io dissi poco fà cioè, l'arrouesciate s'addirizzeranno di vostra mano senza ch'io mi c'affanni sopra. Platone sta di mal talento con esso voi, e non la può inghiottire: per che disse tutto il contrario di quel che gli attribuite. Egli vuol che il Cielo resulti del fiore, e delle delizie di questi elementi da noi conosciuti, e non d'altra sorte: ne perciò si credette, che per esser fatto di materia corruttibile egli non fosse altresi caduco, e mancheuole. Ma perche è stanza d'Iddio, e de beati, dice, Dio hauer detto. Natura vestra ( à i Cieli parlando ) estis dissolubilia, voluntate autem mea indissolubilia. Se voi haueste letto Platone, e non vi foste rapportato a Cecco, il qual voi dite, che io per disprezzarlo, o non intendere, non hò veduto, non rimaneuate gabbato. Che pensate, che i buon filosofi vadano per apparar le buone dottrine all'Aia, e al campo a ritrouare i pantaloni, e gli zanni per le piazze, per legger, e sentir le cicalare loro ? Questi modernuzzi non si leggon, se non quanto basta per attutir la loquacità di essi, e moderare il souerchio ardire. A quella purità, e eccellenza di mistione di elementi, di cui pur vorreste, che il Cielo fosse composto abbastanza haueua io nel mio discorso soluta ogni difficultà, senza, che da parte dell'autoreuole, arcicanonizato, e in vtroque, anzi c'e chi dice in quattroque addottorato Cecco di Ronchitti, mi steste a infastidir della replica, senza che v'habbiate aggiunto qualche nuoua manifattura. Ma di bel nuouo per leuarmi da gli orecchi questo fracidume di lui, e voi insieme, replico, gli elementi a patto veruno mai non poter mutar natura purifichinsi, e assottiglinsi quanto si vogliano, per che non lasceranno mai d'esser corruttibili (secondo le parti s'intende) e riterranno sempre le medesime qualità contrarie, e prima mancherebbon d'esser, che d'esser tali. A la Ah io la'ntendo voi non vedeuate il bandolo da suiluppar questa matassa di tante vostre contradizzioni, e per ciò vi risolueste a non ci dar di naso, pensando, che il gabban di Cecco vi ricoprisse, se la guerra, non s'attaccaua; perciò che altro non si sarebbe ricercato, e vi siete ingannato d'assai: anzi vi dò vn ricordo, che è in potestà di qualunque huomo il cominciar le risse, ma non già il finirle. Hor vedete quant'era meglio non andare innanzi alla cieca, e auuertire a quel passatoio, che non toccauate questa stincata. Mi ricorda in proposito, che vn giouane assai auuentato camminando di notte alla balorda, diede del capo vn buon colpo nella colonna (da cui prende nome la stessa via dou'ella è ritta) e stornato alquanto indietro, Ohi, diss'egli, perdonatemi, ch'io non vi haueua veduto (pensando, che la colonna fosse vn huomo) e non sendogli risposto, ne ricordandosi della colonna, come quegli, che temeua di peggio, riuolto al compagno, che seco haueua, disse, ch'ha egli risposto, ha’ tu sentito? Cosi hauestu sentito la percossa, soggions'egli, com'I ho sentito, la risposta: perdona più tosto tù alla tua scempiataggine; non vedi, che hai dato nella colonna ? Cecco, il padouano vostro cioè, non argomenta a sufficienza, perche supposto, che il Cielo fosse composto, di quattro elementi d'altra fatta, non perciò dir si debbe che per tal cagione e’ sia trasparente, conciòsiache il medesimo eziandio adiuerrebbe quando cotali elementi fossero della fatta de'nostri, come l'esperienza dimostra nelle gioie, che traspaiono, come che generate, e composte siano di tutti e quattro questi elementi. Ma altramente argomenta Platone. Impercioche vuole, il Cielo esser della natura elementare, perche è visibile, e tangibile; proprieta, che diuero son delli elementi, e delle cose resultanti di quegli. Bene, e vero, che principalmente di fuoco, e di terra afferma esser prodotto il Cielo, e secondariamente per ragion della vnità, e consolidazion delle parti ci aggiugne la mution dell'aria, e dell'acqua. Hora, che tali ragioni certamente non conchiudano di necessità, chiaramente si conosce: perche il semplice elemento della terra nel suo stato natiuo, lontano dalla miltione, si potra vedere, e toccare. Imperoche, diffondendosi in essa terra; lo splendor del Sole, verra per la sua opacita a terminarla vista; e per l'interuento del freddo, e del sacco sarà tangibile; e nulladimeno gli altri elementi saranno separati da quelli. Anzi che il cielo veramente, non è tangibile , per le ragioni, che si diranno a suo luogo. Nondimeno e da auuertire, che cessando il mouimento celeste le qualità tangibili saranno nelli elementi, e ne corpi gloriosi, quanto alla sostanza, ma non già quanto all'azione, perche saranno contenute per la forma della gloria, si come per la forma naturale, accioche non si dissoluano. Quanto a quel concetto, che attribuite al Copernico, se ben non è suo, ma di Heraclide Pontico, Niceta Siracusano, e Aristarcho, che voleuano solamente la Terra secondo sè, tutta muouersi velocemente in giro, e che voi con Cecco insieme hauete da sì lunghe tenebre cauato fuora per isciorinarlo in poco, acciò che non intigni affatto; prima, che io risponda fa mestier, ch'io sappia da voi se siete carne, ò pesce? Sò che mi risponderete, non potendo altro, con quelle parole che cita Varrone. Quid multa? factus suam vespertilio, negue in muribus plane, neque in volucribus sum: Conciosiache anche affermate il Cielo muouersi circularmente: e che è più strauanganza, volete che questo moto sia proprio del Cielo Empireo, e accidentale a gli altri Cieli, e cosi state in fra due, e non date ne'n Cielo, ne'nTerra. E che si, che queste, contrarietà vi mettono in briga trà uoi, e Cecco? Forse hauete discordato apposta per non esser due a far male, e hauete fatto peggio. A lo Scatenato da Perugia sù per la piaggia di sant'Ercolano, via molto repente, essendo ghiacciato, cadde precipitosamente vn mulo di molti, che ne guidaua, eroppe il collo; veduto questo gridaua lo Scatenato, discordia, discordia. Perche di tù così, gli fu domandato? Perche gli altri non s'accordin con quello, rispos egli. Ma voi vi siete accordati ambedue a far male, benche habbiate discordato. Pure perche vorreste in fatti conchiudere (come che habbiate la faccia di Proteo di mille sembianze) che mouendosi circolarmente la Terra, gli altri elementi, e’l Cielo; il Cielo conseguentemente fosse della stessa natura degli elementi, e che sì come quegli hanno il mouimentto retto, e’l circolare, cosi fossero i medesimi moti, e riuolgimenti nel corpo celeste, senza, che nascer ne potesse inconueniente veruno; io stimerei, che le efficacissime ragioni dell'eccellentissimo Astrologo, e filosofo Padre Clauio, poi che non vi acquietano quegli, che son solamente filosofi; vi bastassero senza più. Dimostrando egli la Terra per niuna maniera ne per sè, ne per accidente, secondo sè tutta muouersi. Oltre acciò l'esperienza il dimostra per molte guise euidentissimamente. Imperciocche non è egli uero, che per lo uelocissimo corso della Terra sempre apparirebbe, che soffiasse impetuoso vento opposto al mouimento di quella? Quegli, che di mira tirar uolesiero con archibuso, o balestra giamai non colpirebbono il segno, è à caso colpirebbono. Colui, che muouesse il passo dirittamente contro al rapidissimo volgimento della Terra; ò cadrebbe boccone, o farebbe i passi innanzi sciancatamente; si come qualunque huomo, che andasse il corso di quella secondando cadrebbe rouescio, ò vero andrebbe all'indietro caminando. Ma che stò io à dir più? Certamente non può esser se non sospetto di erronea dottrina, dicono autor grauissimi, quegli che contro la comune peripatetica, e Teologica scuola osa temerariamente stampare. E voi, che è peggio, vi arrischiate, a quel che molti, anzi tutti i famosi Astrologi hanno temuto d'affermare, cioe, che il Cielo sia corruttibile, i quali per non cadere (e voi medesimo il confessate) in cotanto graue errore si son per lungo tempo, e con assidue contemplazioni stillati il ceruello per ritrouar Epicicli, Eccentrici, Concentrici, e quanti deferenti, e somiglianti figure, e partizioni in quei globi celesti, per non esser astretti dalle varie apparenze a creder contro la verità, che la sù siano contrarietà, e alterazioni corruttiue repugnanti all'esperienza, poi che per tanti secoli sempre immutabile si è veduta la forma de corpi celesti, si che alle ragioni irrepugnabili dell'aristotelica dottrina omai inuecchiata, e comunemente riceuta, temerità sarebbe il contrastare. E forse, che, per aggrauarui più nell'errore, non hauete dato vna buona sbarbazzalata al Sig. Lorenzini, perche habbia messo mano contro il Padre Clauio, il Copernico, e'l Magino, per che sono autor famosi. E chi è più famoso d'Aristotele, per non parlar di tanti teologi da eui è seguitato, e pur non glie l'hauete perdonata? Voi vedete ben'il bruscol negli occhi altrui, ma non già la traue, che è ne vostri. Anzi, voi medesimo hauete contro gli stessi autori, come che tanto gli stimiate, audacemente parlato come dissi poco dianzi, è si mostrera non ci andrà molto quanto senza ragione habbiate ciò fatto. Per vostra fè, chiv'ha fatto non solamente il priuilegio di poter censurare, e scriuer contro cui vi piace, ma che possiate a vostro talento anche negarlo a gli altri? Le vostre aggiunte, che hauete attaccate a queste proue della corruttibilita; fatte dall'onnipotente intelletto Ronchittico, in cotale inconsiderazion quinta; di vero assai peggiori della mala derrata, che ne ha fatta Cecco, son queste. C. Prima, doue son contrari atti nati à farsi nel medesimo subbietto, e nel medesimo tempo incompatibili insieme, quiui di necessità si ritroua generazione, e corruzione. Ma nel Cielo vi sono il raro, e'l denso. Lo dice oltre all'autore Alberto Magno, non senza l'autorità di Aristotile, poich’e’ vuole, che le stelle sieno vna parte più densa de’ Cieli. Vi sono il chiaro, e lo scuro, il chiaro e manifesto, perciocchè si veggono le stelle, e i pianetti risplendenti. L'oscuro poi non si vede egli palesemente negli ecclissi della Luna ? Questi son contrari atti nati, ec. adunque. R. Delle contrarietà del raro, e del denso, che nel ciel si ritrouano si è detto quanto fa di mestiere; ma per integnarui questo di più, si aggiugne, che Auerroe dice, la rarità, e densità celeste conuenir con queste sullunari equiuocamente, cioè in nome; come per esemplo il Sole dipinto, e il Sole del Cielo, ò uero il can celeste, e'l can terreno, che non hanno commune altro, che il nome. e per ciò tali qualità nel Cielo non son contrari corruttiui. C. Si conferma la minore, poiche nel Cielo vi è moto, vi è ancora la quiete, laquale semplicemente secondo Aristotile è contraria al moto. Il moto è chiaro; ma che la quiete vi sia, l'affermano tutti gl'Astronomi con Aristotile, quando dicono i poli della machina celeste essere immobili. E’ quantunque Auerroe conoscendo ciò essere contro à suoi assiomi, cercasse accordar Aristotile, e prouare'l contrario, con tutto questo per essere state le sue ragioni sottilmente rifiutate da Gio. Battista Capuano à lui in cotal fatto per breuità mi rimetto. In oltre lo confesesa il nostro Colombo con tutti i Teologi, dando il Cielo Empireo senza moto alcuno. R. Io vi fo saper da parte d'Aristotele tutto il contrario, se bene il vorreste far dir come uoi, ma egli non è Pasquin di Roma. Imperoche, ò uoi parlate di quiete impropriamente presa, e questa non fa approposito, ò intendete di propria quiete, e questa non è nel Cielo; conciosiacosa che dica Aristotele. Tunc enim dicimus quiescere, quando, & in quo Aptum natum est moueri non mouetur, quod aptum natum est. Ma i poli della celeste machina sono immobili, e non atti a muouersi, e'l Cielo empireo altresi; adunque non si può dir che propriamente sia quiete nel Cielo, poiche non si dicon quietare quelle cose, che non son mai state mobili. Oltre a ciò il corpo celeste non è capace di contrarietà di moto, e di quiete; impercioche la sua forma, si come non inchina, effettiuamente al moto, cosi ne anche alla quiete; onde non gli può esser violenta, ne contraria. E Aristotele dice. Non esse pertimescendum ne celestia corpora stent: e soggiugne, Quia non inest eis potentia contradictionis,vt moueantur, et non moneantur. E perciò quando nel luogo da voi citato dice, che il moto, e la quiete son contrari non parla del Cielo. Ma come al Ciel conuenga la quiete, ecco il medesimo Aristotele: con queste parole. Vnde, & sphera quodammodo mouetur, & quiescit, cum eundem occupet locum. Sì che basta, che egli si muoua circa il luogo, cioè d'intorno al centro, e quieti nel medesimo luogo, poi che mai non si parte secondo se tutto dello stesso luogo. Onde impropriamente si quieta il Cielo. In questo sentimento fece l'impresa sua il Cardinale Don Luigi da Este, lagual'era vna Sfera, ò Orbe celeste, il motto , In motu immotus. E ben veramente l'impresa, egli s'impresse nell'animo, poiche, come dice Torquato Tasso, nel dialogo dell'Imprese tra i mouimenti della fortuna, e delle guerre, stette sempre immobile, e costante appunto come sta la mia dottrina al combatter della vostra. Bisogna pesar ben le parole d'Aristotele, quando volete citarlo, accio- che non ui diate della scure sul piè, facendo col citarlo contrario officio, come vi è accaduto spesso. Hauete guadagnato ben assai ad ogni modo, posciache non ui abbisognerà per tal conto leggere il Capuano. imperciòche la guerra tra lui, e Auerroe non ha che far col fatto nostro. Oltre a ciò, se nel Cielo Empireo fosse propria quiete, farebbe di mestier, che nel medesimo corpo si ritrouasse anche il moto, e non in corpo alieno, a uoler che fossero in esso Empireo contrari il moto, e la quiete. C. Anzi che per questa via ancora si scorge, che Aristotile non stimaua assurdo il dar al Cielo sì fatta quiete, conciosiache è chiaro, che egli necessariamente douea presupporre un simil corpo immobile; poiche egli attribuisce il destro, e'l sinistro al Cielo dicendo il destro di esso esser l'Oriente, e’l sinistro l'Occidente, non solo rispetto à noi, ma anche per sua natura, la qual differenza di posizioni in niun modo si può saluare, essendo tutte le sfere mobili, auuegnache inesse la parte, che ora è destra, fra poco è sinistra. Argomentando adunque bisogna, che egli s'imaginasse vna sfera, e un cielo quieto fermo, e stabile. R. Sapete, come è chiaro come l'acqua d'Arno quando vien grosso. Aristotele pone il destro, e sinistro senza fallo veruno nel corpo celeste fermo, e immobile, se voi sapeste conoscerlo, come che queste condizioni non facciano lassù quella quiete, che voi andate cercando, e perciò trouate miglior via, che questa non è la buona per quietare la vostra inquietudine. Sentite. Est orbi procul dubio virtus diuersa scilicet dextra, & sinistra quoniam sunt ei loca inceptionis, et status ex opere factionis sua. Adunque bisogna dire, che auuenga che’ il destro, e sinistro significhino gli estremi della latitudine, nondimeno non disegnisi solamente quei termini, ma che habbiano relazione ancora al moto: Onde niun corpo propriamente potrà dirsi hauer destra parte, e sinistra se non quegli, che hanno diuersità di influenza dal motor suo, ciò è prima, e più efficacemente da vna parte, che dall'altra. Imperoche non la pietra, non la pianta, ne la statua propriamente si può dir che habbiano la destra, e la sinistra, se non metaforicamente, e per similitudine; e questo perche non hanno il motore intrinseco, o congiunto da potersi muouer da luogo à luogo; ma gli animali, che riceuono l'influenza del motore più in vna parte, che nell'altra, e che di luogo à luogo si muouano; veramente si dicono hauer la dritta, e la manca parte, perche la virtù del cuore, sendo più potente nella banda destra, che nella sinistra, cagiona intrinsicamente questa diuersità, che non si varia per mutar di luogo; e perciò è propriamente, e non per similitudine attribuita la manca, e la destra parte a gli animali: Onde Auerroe dice, che il piè sinistro dell'animale si muoue per accidente, e il dritto come principale; e che quando il destro piede si muoue il sinistro ha per suo proprio officio sostenere la mole del corpo. Hora anche nel Cielo si ritroua la destra, e la sinistra propriamente, ma non già vniuersalmente, poscia che non tutti gli orbi celesti muouono, come il Cielo Empireo. La qual destra, e sinistra nasce dalla virtù del mottor congiunto; e perciò disse Aristotele Virtus diuersa, Perche donde è il principio del moto si piglia per la destra parte; conciosiache il motore influisca secondo la sua disposizion principalmente dall'Oriente, nella qual parte di Cielo sempre vniformemente, e in qualunque parte di Cielo volgendosi giunga, quiui più immediatamente, e più prestamente riceue l'influenza, che l'altre parti non fanno. Onde soggiunge Aristotele. Quoniam sunt ei loca inceptionis, & status ex opere factionis suæ. Bene è vero, che questa differenza è tra’ l Cielo, e l'animale, che questo ha il motore intrinseco, e unito à sè; e quegli l'ha estrinseco, e non vnito; sì che il destro negli animali, e il sinistro pone distinzion nelle parti di essi animali di maniera, che quella che è destra, e sinistra vna siata sempremai tale si conserua perche opera vniformemente secondo l'influenza del suo motore: ma nel cielo la destra non si muta con le parti mobili di esso corpo, impercioche quella disposizion non è assoluta, non sendo animato il Cielo, ma hà relazione all'influenza del motore, che riman sempre quiui in quella parte fissa. E auuertasi, che se bene ho detto la destra esser l'Oriente secondo Aristotele, e gli altri filosofi fondati in questa ragion, che il moto, incominciando , hauria principio da leuante, come destra del Cielo, posciacne il Polo Artico è quelgli à cui dobbiamo uolger la faccia, perche è palesato à cotal fine al nostro emispero; non mi è nascoso, quantunque poco al nostro proposito rileui, che i Teologi prendan per destra parte l'Austro per voltar la faccia all'Oriente, come le nostre Chiese imitano, rizzando a quella parte l'altar maggiore: e che gli Astrologi tengan per la dritta banda l'Occidente, atteso che risguardano il Sole a mezo giorno: e che finalmente i Geografi affermino la parte destra essere il Settentrione, allegando, per ragion, che il più alto polo è il dritto, volgendo la fronte col Sole all'Occidente. Sì che pigliate per destra parte qual vi piace più, che tra noi non ne sarà contesa, come accadde a quel segretario, che sendo sopra vn ponte stretto, che non haueua appoggio dalla dritta mano, uolle dar la destra da galant'huomo al Principe con cui era. ma'l buon Principe disse, io ui baccio la mano del fauore, per questa volta noi uogliam riconoscer la vostra serui tù, però andateci uoi. Ma torniamo a bomba. C. Secondo, Doue è violenza, none durabilità, ma nel Cielo è violenza; poiche il primo Mobile rapisce le sfere inferiori al moto diurno Preter naturam, e quello che è preter naturam, è violento, trouandosi la violenza secondo Aristotile douunque la cagione e origine u.g. del moto è esterna. Se adunque vi si ritroua il violento, vi sarà l'instabile, se questo l'alterabile, adunque il corruttibile. R. Questo argomento è della medesima stampa del passato. Quando considero l'arrischiate sentenze, e parole, che vi lasciate scappar di bocca, non posso non mi ricordar d'vn faceto huomo, che vedendosi correr dauanti vn giouane di gambe sottilissime, facendo marauiglie disse per certo costui fa miracoli. Io dimandando perche? Rispose, perche egli corre su due cannucce, e non teme di romper si il collo. Cosi voi andando sopra fragili cannucce di sofistiche argomentazioni, che gran fatto è che elle si siano sgretolate sottoui, senza che habbiate conchiuso nulla? Chi non sa che doue, e violenza non è durabililità? ma che nel Cielo sia violenza, questo si nega; e la ragion della negazione è perche non hauendo il corpo celeste inchinazione, e attitudine al moto, ne alla qui te; ne repugnanza all'vno, e all'altro, si che quieti, o muouasi, ne l’vno ne l'altra gli sien contrari; ne seguita chiaramente, che lassù non sia violenza, come disopra si mostrò, per le parole d'Aristotile. E hauete così presto leuato la credenza, e l'opinion dal Clauio, che hauete riuolto mantello, e non seguitate il suo parere? Egli è pure Astrologo eccellente; e nulladimeno non vuole, che il moto del primo mobile sia violento (si come il nouero di tutti i famosi affermano) in niuna maniera a gli altri Cieli sottoposti. Auuertite, che Aristotele citato da voi non intese mai nella fisica, o altroue, del moto del Cielo, parlando di moti contrari. E chi v'ha insegnato interpretar queste parole Præter naturam? il proprio significato loro è sopra, e fuora di natura, ma non già contra natura, se bene alcune fiate si prendono per contra natura come ha fatto lo stesso Aristotele, e poco appresso il dimostrerò. ma perchè, se non si caua dalla necessità del concetto, non si debbono mai intender tali parole, per significanza di contrarietà in Arist. Guardate a non esser tanto ardito nella interpretazion delle voci, che vi accada come a quel saccente medico, che leggendo nella cattreda di Padoua quelle parole Iugulare febrem usque ad animi deliquium, Che i Medici uoglion, che in alcuni febricitanti sia efficace rimedio, ciò è farsi tanta, estrazion di sangue, che l'infermo voglia cominciare à venir meno, e vulgarmente si chiama scannar la febbre; interpretaua altramente, cio è inclusiue, e non exclusiue; e con parole gonfie, e gloriose inuitò i suoi vditori a veder l'esperienza, che voleua senza fallo lasciar l'infermo netto dalla febbre alla presenza loro. Andarono; egli incisa la vena lasciò vscire il sangue, e l'anima; e quando si pensò che fosse suenuto (il che non douea fare) lo trouon morto. E cosi in cambio di scannar la febbre, scannò il frebbicitante, per voler dar senso storto a quelle parole bene intese da gli altri. Così a voi, vengan pur (se n’hauete niuno) i vostri studiosi scolari; rizzinsi in punta di piedi, e faccian calca allegramente per vederui medicar la filofofia d'Aristotele, che scorgeranno da i termini male intesi suenata, suenuta, e morta per voi la verità della aristotelica dottrina. Mauri habbiate questo ricordo da me per verissimo: che quando volete per detto d'Aristotele affermar qualche cosa secondo il vostro parere, mai non darete in nulla, se non lo citate ne’propri luoghi doue tratta quelle materie prinicpalmen- te, o vero che parlandone altroue si dichiari in guisa tale, che non vi habbia più vero sentimento di quello; e dico ciò perche Aristotele è stato mirabile in questo particulare di hauer trattato di tutte le materie a’ propri luoghi con ordine, e metodo squisitissimo, non confondendo mai la natura d'vna cosa con l'altra. C. E questi con sì fatti argomenti, che a’ lor luoghi in altre considerazioni si proporranno haurebbe mi penso l'Autor nostro pagate à peso d'oro per palesare col risoluerli la sottigliezza del suo ingegno, e la profonda dottrina nella vera filosofia. R.La sottigliezza del mio ingegno ci ha bisognato pur troppo più, che sè haueste adoperato argtue, e dotte impugnazioni; perciò che à rimettere ingangheri vna scrittura, che hauete cotanto mal trattata, e scompigliata, e stròppiata nelle parole, nell'ordine e nella materia ci vorrebbono appunto quegli anni di Nestore, che dite voi alla 14. Considerazione; e ad ogni modo per l'incapacità dell'opera stessa si sarebbe fatto la meta di nonnulla. Dite vero son questi quei concetti, quelle gioie da pagar a peso d'oro? Accadde non ha molto tempo, che fu ueduto vn’auaro murar in certo luogo segreto vn tesoro, e poscia vi lasciò scritto per ritrouarlo Est hic, ma subito che fu partito quegli che vide il cauò, e rimurata la rottura, scrisse Non est hic, perche l'haueua rubato; ma io lascio scritto Non est hic, perche non l'ho trouato. Pigliate questo tesoro da me, che non è falso, e vale assai, se lo conoscerete, e farà ualer voi. Leggete non Cecco, mai buoni filosofi, che ui trouerete sciolti tutti i dubbi, che vengono, ò possono uenire à quegli che fanno del capriccioso. Discorso. Dico adunque, che conciosiache la materia delle cose inferiori sia cosi dalle forme informata, che elle, come continuamente si vede, si possono da quella separare, posciache, se vna forma si corrompe, altra forma immediatamente soprauuiene; cosa che veramente alla meteria celeste accader non si vede: Quindi è che il Cielo, e gli Elementi della medesima materia non sono. Considerazione sesta. Ecco vn'argomento per la incorruttibilità de Cieli, cauato dalla diuersità della materia elementale, e celeste in questa guisa. In terra si veggono seccar baccelli, fiorir cetriuoli, nascer cauoli, e insieme corrompersi tanti animali. Di questi effetti niuno se ne scorge in Cielo, adunque la materia del Cielo è diuersa da quella di questo mondo inferiore; Onde, se questa è corruttibile, e alterabile, ne seguita, che la celestiale sia al tutto aliena da queste passioni. Risposta. Quantunque in tutto il mio discorso non habbia mai fatto menzion di baccelli, come voi, chi dirà, che lassù facciano queste cose, altri che Alimberto Mauri? Signori lettori stiamo allegramente, che, se in Cielo fanno i baccelli e in terra faranno le stelle; poiche gli elementi, e'l Cielo son d'vna medesima natura. Questa considerazione e piena, come dice lo Spagnuolo, di parablas, & plumas; O forse più veramente si può dir, che uoi fate, come le piante saluatiche, le quali, ò non fanno frutti, ò gli fanno cattiui. Egli faceua mestieri, che rispondeste prima alle ragioni artistoteliche dimostranti la diuersità della celeste materia dalla sullunare; quindi doueuate gittare i vostri fondamenti, e prouar, che il Cielo fosse della stessa natura elementare, e conseguentemente vi si generassero nuoue stelle, e nuoue forme. Il Bannes sopra la prima parte di San Tommaso afferma, che, e secondo l'autorità, e secondo le ragioni dell'vna, e dell'altra scuola filosofica, e Teologica, e per gli esempli manifesti; si debba tener per certissimo la materia celeste non esser della natura della materia elementare, e che in maniera veruna credersi dee, il Cielo esser corruttibile, e che le proue, e argomenti fatti d'intorno a ciò sono indissolubili, se gia chi che sia temerariamente non si mettesse a negar la comune, e da ogn'vno riceuuta filosofia. E Alessandro de Ales dice, che questa materia inferiore non può esser comune con la superiore, percioche l'vna non si risolue nell'altra, ne ambedue costituiscono vna terza cosa. Che più ? l'antichissimo lamblico per testimonio di Proclo da diuine spirazioni illustrato cosi scriue. Quomodo ergo vapor quispiam terrestris, qui ne ad quinque quidem stadia à terris tollitur, quin defluat rursus in terram, poterit appropinquare Cœlo, aut alere orbiculare, & immateriale corpus, aut afficere ipsam omnino ulla , vel macula, vel passione ? Quotus quisque enim confertur corpus ætereum esse extra aleam omnium contrarietatum alienumque ab omni permutatione alterationis, & purum ab omni potentia trasmutationis inquid vis, imò esse etiam absolutum penitus ab inclinatione ad medium, & à medio. O queste sole parole dourebbeno leuare ogni vostra ostinazione, e renderui soddisfatto. Oltre acciò proua Aristotele benissimo, che il Cielo sia contento sotto la prima forma. Imperoche nel primo del Cielo uuole, che quel corpo non possa acquistare accrescimento, ne per via di nutrizione, ne per semplice aggiunta conuertendo la cosa nella sua natuta, come fa il fuoco, o trasmutandosi come fa il cibo nella sostanza dell'animale, perche in qualunque di queste due maniere è necessaria l'alterazione; e cosi adiuerebbe ancor se al Cielo si leuasse, e diminuisse qualche particella. Hora l'alterazione è moto, che tende alle qualità contrarie, e corruttiue mouendosi l'alterato da vna qualità in vn'altra contraria, ma nel Cielo non son queste contrarietà corruttiue, come si è prouato; adunque non riceue nuoue forme, ne muta mai la sua forma primiera. E dice di più, che eziandio fino i barbari fanno testimonio antico, il Cielo essere incorruttibile, mossi da l’esperienza, che non habbia mai mutato forma per detto ancora delli Astrologi. Aggiunge, che i mouimenti semplici non sendo più che due retti, e vn circulare; e ogni corpo semplice, hauendo vn solo mouimento proprio; e il circulare essendo in Cielo, e non hauendo moto à se contrario; ne seguita che ne anche il Cielo habbia contrario, e che non sia corruttibile, e quieti sotto vna medesima forma, e il medesimo proua con sottili, e belle ragioni Alberto Magno, mostrando,che è necessario darsi vn corpo semplice, à cui sia proprio , e naturale il moto circolare, e questo proua essere il Cielo. E al capo quinto proua, che il Cielo mediante il moto circulare è necessariamente corpo innanzi a i corpi elementali: onde non può altramente esser della natura di quegli. Il diuin Tommaso ancora vuole, che la celeste materia sia inalterabile, ne a patto veruno alla priuazion delle forine soggetta ritrouarsi. conciosiacosache la sua prima forma habbia resa perfetta la potentialita, dic'egli, della materia. Onde in quei corpi celesti, non sendo mutabili, secondo l'esser sostanziale, non ui si posson generarnuoue forme. Oltre acciò si proua, perche quelche riduce le cose diuerse alla concordia è di natura diuersa da qualunque di esse cose. Ma il celeste influsso cagiona la conuenienza degli elementi (come che contrari siano fra di loro) à generare i corpi misti ; adunque il Cielo non è della natura di quegli. C. Ma sento da non sò che bisbigliarmi nell'orecchio. Oh se l'Autore non vuole, che le stelle della prima grandeza, le quali sono maggiori della terra più di 107. volte, si possano vedere senza occhiali, come saprà egli mai se lassù lontano anco da noi 100. miglia cose tanto piccole vi nascano, ò vi si corrompano; poiche la lontananza di venti miglia ancora ci fà perdere di vista le montagne, non che le quercie, e i faggi. Risposta Voi cominciate molto a buon hora a dar buon conto de vostri zeri, e abachi straordinari, e tale è la strauaganza, che non trouate pur minimo autor da citare in confermazion di quegli. Che, non si vogliono forse impacciar col fatto vostro ? Non vi dau'egli il cuor di trouar qualche scioperato, che non hauesse ricapito da altri? Il Tinca, che s'era vna volta accordato per vn paio di calzoni di velluto a confermar per vero, ciò che d'istorie hauesse detto il dottore Strafalcia; alla presenza di buona brigata, vn dì quando senti dirli; nel paese di Malacca le zanzare vi son cosi fatte, che forano in fin l'armadure; senza indugio mise mano a dilacciarsi le stringhe, gridando to quì, to qui i tuoi calzoni, e rendimi la mia liberta, che questa è troppo solenne a confermarla. Così addiuerebbe a voi; chi mai farebbe testimonio, quantunque hauene taciuto, quando diceste, che le stelle della prima grandezza son maggiori della terra, 107. volte, se bene non son più, che cento sei incirca; che dalla terra all'orbe Lunare fossero cento miglia. Per mia fè, che l'error non è d'vn zero: quest'e vno strafalcion, che val degli zeri, e delle miglia più di millanta, che tutta notte canta; disse Maso a Calandrino. Non è astrologo, che non dica esserci più di cento mila miglia di quì alla Luna, ben che discordino d'alcune migliaia, e centinaia. Impercioche altri vogliono, che ci habbia cento sessanta mila quattrocento venti sette miglia; altri cento trentacinque mila trecento cinquanta. Ma forse haurò il torto io, perche al paese del Mauro, doue è chi fà veder vn morto andar vn cieco, le cose debbono per lui andare a rouescio di qui. Vostro danno, non hauesse spregiati i miei occhiali: bisogna, che i vostri fossero occhiali da fumo più tosto, che da veder lontano. C. Opposizione di vero, per la quale appreso gli intendenti l'autore perderebbe qualche poco di reputazione. R. Oh Oh, voi fate appunto come chi tosa il porco, assai romore; e poca lana. C. Se io non ricordassi loro, che egli è Astrologo sopranaturale, onde egli ha potuto benissimo indouinare, se lassù si facciano, ò nò queste bagattelle di corruzione. -R. Mi par vederui in viso ; e che per vergogna habbiate le guance rosse come di fuoco; Di grazia fate anche voi come la pina, che posta nel fuoco s'apre. apriteui alla libera, e dite; certamente, io sì, ho perduto quel che il Colombo non hà, se non per mio creder, posto in pericolo già mai. Discorso. Oltre acciò il mouimento celeste diuerso da quel de gli inferiori corpi essendo ; imperoche egli è circulare, e quello è retto; diuersa altresì deue credersi la natura loro. Anziche, se il Cielo fosse della medesima natura di quegli alcune volte sarebbe dal moto dell'elemento predominante alterato. Aggiugnesi, che, hauendo luogo il Cielo sopra tutti gli elementi, verisimile è, che la sua natura sia di gran lunga diuersa da quella. La stessa operazione distinte nature eziandio tra il Cielo, e gli elementi manifesta. Impercioche egli è uniuersale agente, e regolatore di tutti gli altri mouimenti; e la uirtù sua in ogni cosa inferiore influisce, e moderanza, e temperamento nella mistione, e nell'alterazione induce, e uiuifica, e conserue qualunque cosa con la sua azione. Cose tutte , che l'eccellenza del Cielo acconciamente ne dimostra auanzar di gran lunga la natura del mondo elementare. Considerazione settima. Ecco un'altro argomento per la stessa incorruttibilità, cauato dalla diuersità de mouimenti celesti, e sullunari: Ma io non mi posso tenere di non addurre à questo proposito alcuni schiamazij fatti da certi moderni filosofastri, che con questi principij, ciò è prouando i moti de corpi superiori, e inferiori essere i medesimi conchiuggono tutto il contrario & c. Risposta. E pur li. Aristotele con tutta la scuola della filosofia, e Teologia, prouano questa diuersita di mouimenti, e da questi la diuersità della natura di tali corpi celesti, e elementari: e hanno con dimostramenti efficacissimi, a tutte le obiezioni risposto, e soluto gli argomenti contrari, che non ce ne resta pur uno da far di nuouo, che ridiculoso non fosse. E uoi ad ogni modo facendo come dice lo spagnuolo, de trippes corazzon, hauete senza riprouar le ragioni d'Aristotele, o prouar con nuoui argomenti il contrario, uanamente co'uostri filosofastri atteso a brauare assai, ma non conchiuder nulla. C. Primo i poli del decimo Cielo si muovono per vna linea retta, o voglian dire un certo arco grande 24 primi scrupuli, essendo tutto il circolo parti 360. vengono di nuouo a ritornare - per la medesima linea: e per questo effetto da gli Astronomi cotal mouimento s'appella, oltre all'usato nome, Accessus, & Recessus, ancora Motus in Diametrum. Il medesimo dico della nona sfera. Se adunque dalla diuersità de mouimenti si dee arguire alla diuersità de i corpi mossi , in vero, che il nono e’ l decimo Cielo auranno la natura stessa de gli elemeti, poiche il moto retto à tutti è comune. Onde se questi corruttibili, e alterabili, quegli altresì corruttibili, e alterabili. R. Io m'accorgo, che hauete bisogno del Leone. Il Lupo rimprouerò vna volta la codardia della Lepre: ella lo sfidò a battaglia: comparirono in campo: il Luppo arrotaua i denti; la Lepre si nettaua le zampe, e veduto il tempo si mise la via fra gambe à più potere, e ancor corre; il Lupo ancor s'arrota i denti. Volet'altro, che il compar Leone, che sedeua pro tribunali, diede la sentenza in fauore alla Lepre, dicendo, che il suo modo di guerreggiare, era il fuggire ? O eccellente Matematico, che direte adesso: non ci fate più del brano a dosso, e dell'astronomo; per certo, che egli non vi giouera il fuggire. Voi dite pure alla considerazione octaua. Imperiocche essendo falsissimo, che al moto circolare, come dice Aristotele, si ritroui contrario alcuno. E cosi rifuggite dal sostener la pugna interpresà . Ben son'io chiaro, che voi gustate in pelle, in pelle questa faculta astronomica, posciache non conosciate ne uoi, ne i uostri filosofastri, che quei mouimenti obliqui, e retti cotali appaiono per causa della diuersità de poli, supra i quali si girano le diuerse sfere per vari mouimenti, e per lo rispetto, che hanno i diuersi Climi col Cielo, donde i riguardanti veggono, chi retto, e chi obliquo il moto del Sole, e dell'altre stelle, e sfere celesti. si che la verita è, che qualunque mouimento di cielo, secondo se tutto, a cui guardan le parti, è circolare, continuo, uniforme, e inuariabile. Alimberto appoggiateui al parer d'Aristotele, e crediate, che quelle apparenze di rettitudini, e di contrarieta, d'obliquita, e di moto in diametro, son ciascuna da per se vere circulazioni senza contrarietà veruna; e non tenete più il ceruello a girar fra quei giri. Ecco Aristotele, che proua, niun moto esser contrario al circular, e voi, contradicendoui ancora, come dissi test è, affermate lo stesso alla considerazione ottaua. Primieramente, adunque, dimostra il moto retto non esser contrario al circolare, dicendo. Il moto retto, solo al retto, è contrario, perche, se fosse contrario anche, al circolare, due mouimenti sarebbon contrari a vn solo. Che i moti fatti sopra linee rette sien contrari, è manifesto, perche i termini loro son contrari, a quali essi tendono, come è il centro, el Cielo, che son grandemente distanti qual si ricerca a’ ueri moti contrari. Di piu dice, che ne anche i moti circolari son contrari fra di loro. Imperoche tal contrarietà si può giudicare, che in vno di questi quattro modi accada. Il primo. Se si dicesse, che il mouimento, che si fa sopra vna linea circolare fosse contrario al moto, che si farebbe opposto a quello, tra i medesimi punti sopra, ò sotto la detta linea. Secondo. Se contrario si stimasse il moto su per vn mezo circolo a quello, che per lo contrario andasse sopra il medesimo semicircolo. Terzo. Se contrariar si reputasse il moto per lo semicircolo d'vn circolo intero al contrario d'altro moto, che si facesse su per l'altra parte del circolo. Vltimamente; Se chi che sia ponesse, che il moto fatto per l'intero circolo da vna parte fosse contrario al moto fatto per tutto lo stesso circolo dall'altra parte. Ma in veruno di questi modi può nascer la contrarietà; adunque non può moto circulare ad altro circolare esser contrario. Proua cosi la prima parte del suo proposito; perche, essendo che in fra due punti si possan disegnare infinite linee circulari, ne seguiterebbe, che a vn solo moto infiniti i moti contrari fossero, conferma la seconda parte; impercioche, a voler, che i moti sian contrari è necessario, che i termini sian grandemente distanti, fra di loro; e questo non può esser, se non nelle rette linee non già nelle piegate, e curue, perche ogni misura debbe esser certa, e finita, e minima. Hora in fra due punti la misura della retta linea è certa, e determinata, perche non può esser, se non una ; è la minore de tutte le linee, che tirar fra due punti si possano, conciosiache, potendosi disegnare infinite linee curue fra due medesimi punti, delle quali ciascuna saria maggior della linea retta, ne segue, che, ricercandosi alla contrarietà grandissima distanza, e la distanza si misuri secondo la retta, e non secondo la curua linea; i moti, che si fanno per i semicircoli, non si dicano hauer vera contrarietà. E con questa ragione stessa rimane ancor prouata la terza parte. Sì ancora perche le porzioni delle quali si fa l'intera circulazione, potendo farsi continue, non possono uicendeuolmente contrariarsi. Aggiugne, che, auuenga che le dette parti di moti fossero contrarie, nulladimeno non si dee per questo concedere ne' moti circolari ritrouarsi contrarietà. Impercioche, cotal contrarietà di parti non è bastante a far, che i semplici mouimenti contrari s'appellino. Persuade la quarta parte, primieramente, perche il moto, che hà contrario ricerca i termini fra di loro contrari, ne tali son quegli che si fanno per tutto il circolo, cominciando dal medesimo punto doue ritornano. Di più conferma lo stesso, dicendo che, se a’ detti moti fosse contrarieta, bisognerebbe, che nel circulo si disegnassero luoghi contrari. Hora nella retta linea si disegnano solamente due luoghi contrari, che son grandemente distanti; ma in qual si uoglia punto del circolo si può pigliar grandissima distanza, tirando da vn punto del circolo vna retta linea a vn'altro punto diametrale, che sarà delle rette linee la maggiore delle cadenti nel circolo. Adunque, conciosiache quelle cose, che per contrari moti si muouono debbano acquistare i luoghi opposti, Sara necessario, se il moto circulare si contraria al circulare, che l'vno, e l'altro corpo in giro volgendosi, da qual si uoglia parte, che a mouersi cominci, egli peruenga a tutti i punti del circolo, che son tutti come è detto contrari. Ma da queste cose ne seguita quell'inconteniente, che disutile sarebbe stata in ciò la Natura, e Dio. Imperocche ò quei corpi haurebbon forze uguali, ò nò. Se uguali; adunque l'uno, non superando l'altro, ambedue resterebbono immobili. Se l'uno uincesse l'altro; quello solo si muouerebbe; e cosi non otterrebbe qualunque corpo suo il moto, e la sua operazione, come fine di quello. Ne è contro à questa dottrina quel, che dice lo stesso Artistoele, ciò e, che i moti, che si fanno nel circolo sien contrari, facendosi alle parti opposte : ne anche dicendo nello stesso libro, che il mouimento fatto per semicircolo da A, in B, non si possa continouare col moto opposto da B, in A, contrariandosi cotali moti fra di loro. Impercioche Aristotele, non solamente s'intende de mouimenti, che nello stesso corpo circolare contrari si fanno; conciosiache repugni, che due moti diuersi nel medesimo tempo, e nel medesimo corpo li facciano senza quiete; ma egli medesimo si dichiara dicendo, Non enim idem est circulo ferrie, & secundum circulum. Doue tutti gli interpreti, e in paricular San Tommaso espongono, che uuol inferire Aristotele, ch'il muouersi circularmente si fa con moto continuo, e per ciò non ha contrario. E che il muouersi secondo il circolo, il moto, non sendo continouato, ma reflesso, perche ritorna per la stessa uia, eziandio, che egli sia secondo il circolo, è contrario come quel che si fa sopra retta linea, quando i moti si fanno a i termini opposti: Oltre acciò il Collegio Conimbricense, e altri affermano, che quella uoce [contrarium] e presa da Aristotele, in quel luogo largamente, comprendendo qualunque maniera di contrarieta, e repugnanza. perche non son quegli propri luoghi doue de’ moti celesti si dee propriamente, e co’ propri termini strettamente disputare. E l'Angelico S. Thommaso risponde a tutti gli argomenti, che fà Gio. Grammatico, altrimenti detto Filopono, nobilissimamente, e leua ogni difficulta; anzi che Auerroe dice, che Aristotele sia di parere, che i moti contrari nel Cielo si diano solamente in astratto, e imaginariamente, sendo impossibile, che tali moti contrari nello stesso corpo veramente si trouino. Si che, non hauendo contrari la materia del Cielo, si risolue, che in veruna maniera non è corruttibile il corpo celeste, ne della natura elementare, ne generar vi si possono nuoue forme. Anzi vogliono i Teologi, che non solamente niuna possanza, e virtù naturale sia basteuole a far della superior materia, e dell'inferiore vna cosa stessa; ma ne eziandio si possa per virtù diuina ciò fare. Conciosiacosache l'inchinazion dell'vna, e dell'altra materia, essendo la stessa natura della forma di ciascuna, e l'inchinazioni siano diuerse; diuerse altresì debbano essere le nature de i corpi loro; e prima mancherebbon d'essere, che vnir si potessero le nature di essi. Hora, perche i vostri argomenti non rileuan cosa veruna, come uedete , quegli scrupuli, che diceuate vi haranno lasciato più scrupuloso, che mai. C. Ma à questo l'autor potrebbe forse rispondere con l'autorità d'Auerroe, ilqual proua non ritrouarsi nel Cielo moto retto, perche ne seguirebbe (dic’egli) la corruttibilità di esso. R. Douereste dire adunque con la ragione, che vale assai più, e non con l'autorità, poiche egli il proua. C. Ne s’auuede, che col fuggire vn solo inconueniente. R. A voi che siete auuezzo a darne molti, vn'inconueniente pare vna fronda di porro, non sapendo, che quegli, che ben non affibia il primo bottone gli affibbia mal tutti. C. Cade in mill’altri assurdi. R. Assurdi son i uostri, che, non solamente adoperate questa uoce scomunicata da i buon autori della nostra fauella, ma che e peggio, hauete osato senza vn minimo fondamento contrariare alle ragioni di cosi graue autore. Almeno, se non volete creder nè a Filosofi , ne a Teologi, credete à gli Astrologi , e essi v'acquieteranno. Impercioche in particulare il Padre Clauio, accioch'io taccia molt'altri famosi, uuole, che questi moti opposti l'vno verso Oriente, e l'altro verso Occidente non sian contrari, perche non si muouono semplicemente a’ termini contrari, non andando a terminare al medesimo punto fisso, cioè, che vi moto vada a vn punto, e dal medesimo punto l'altro moto si parta oppostamente: cosa che ne i moti circolari addiuenir non può gia mai. Le sfere semplicemente si volgono all'Occidente di proprio mouimento ; e per accidente, e [ secundum quid ] all'Oriente, cioè alle parti Orientali. Anzi che il vostro diletto Copernico per leuare ogni contrarietà, e alterazione al corpo celeste hà creduto, che la terra habbia trè diuersi mouimenti in se stessa. Ma, ò non li hauete ueduti, ò non intesi, percioche vi sareste appagato, ò nuoue maniere d'argomenti haureste recate in campo. C. Perche ancor egli, cioè Auerroe, doueua filosofare riserato in camera. R. Finalmente voi gliel'hauete pur carica al vostro Auerroe, che non vi siete vergognato a cacciarlo meco a camera locanda. ma perche io reputo, a diruela, che egli sia alquanto miglior filosofo di voi, con vostra pace, non gli vuò far pagar la pigione. Beato uoi che siate, come quel filosofo, che si vantaua di hauer apparato più alla foresta, che alla scuola, Plus in siluis, quam in libris; Se già non istate alla campanga, e per le piazze, come i Ciurmadori, spacciando la vostra giudiciaria Astrologia biscugina della Negromanzia, che fa trauedere i balordi. C. Onde non lo noiauano le apparenze dell’obliquità maggiore in vn’ anno, che in un'altro, del zodiaco, e dell anticipazione molte volte degli equinozi medij à gli equinozi veri. R. Cotali apparenze non solo noia non apportauano a Auerroe, ma ne anche a tutti i buoni Astrologi poi che il parere, e l'essere, non corron lancia del pari. Onde Auerroe afferma, che i moti circolari sopra i medesimi poli, e circa il medesimo centro, quantunque diversi siano; nondimeno mai non saranno contrari; percioche non posson dirsi contrari se non imaginariamente, come di sopra si disse. Attesoche impossibile è che queste contrarietà si ritrouino ne i corpi celesti; e così si debbe intender sempre intorno acciò Aristotele. C. E pur doueua pigliarne qualche pensiero per istabilir per rispondere à cotali fenomeni quel suo assioma della regolarità con gli altri poco auanti ricitati. R. Crediate, che se haueste dato regola, e fermeza cosi a’ vostri fenomeni, come Auerroe alla regolarita de moti celesti, senza fallo veruno, conuenendo seco, non gli haureste mosso guerra contro per andarne a capo rotto. perche io reputo più facile arrouesciare vn pozzo, che addirizzar questi fenomeni pazzi. C. Ma che dico io rispondere con l'autorità d'Auerroe, anzi penso, che egli à vn tratto si sbrigherebbe in quella guisa, che in simili difficultà egli è solito fare. Il capriccio de’ mouimenti di questi Cieli veramente è bello non vero per tanto dee stimarsi. R. Io hauea posto dauanti alla parola [non] vn [mà] voi l'hauete come disutile mandato a spasso. Non vi doura parer poi duro ch'io faccia, come l'Ariosto à quel pentolato, che, sentendolo stroppiare i suoi versi, roppe quante stouiglie hauea su l'asino; perche vi stara'l douere s'io gitto al fuoco i vostri male adoperati astronomici strumenti, de’ quali mi fate querimonia. E a dirne il vero più tosto mi persuado, che doueuate leggere’l mio discorso correndo la posta, che passeggiando per diporto; perche v'è accaduto lo stesso, che adiuenne a vn certo carrozziere, che verso Parigi, affrettando il corso, perche era tardi, domandò a San Martino, se quella sera entrerebbe nella città: a cui rispose il Santo; se vai adagio sì. Il fantastico carrozziere parendoli esser beffato s'affannaua, sferzzando i caualli fieramente; perche, non veduto vn mal passo, precipitarono i caualli e roppesi la carrozza, ne altramente giunse a Parigi. Il frettolosamente adoperardi giugner a fine di vedere esaltar se stesso, e deprimer'altrui v'ha fatto rouinar tutta l'opera, che non v'è cosa, che non sia mal'andata; e per far peggio hauete lasciato del mio discorso fino i concetti, e periodi interi senza vederli per la fretta; se già non l'haueste fatto a studio per meglio compire il desiderio vostro, o forse per non poter attaccarui oncini, non gli intendendo. Questo, è vuo de lasciati concetti, che è qui sopra doue dico. Anzi che se il Cielo fosse della medesima natura di quegli & c. Che dite, perche l'hauete tralasciato ? Direte forse, che è stato per errore? E io vi rispondo, che quest'è il male, imperoche l’errore, è gabella della ignoranza, se nasce dall'intelletto, e il frodo della malizia, se procede dalla volontà. A cotale argomento non crediate che basteuole fosse il risponder, che la buona temperie del componimento, e purita de gli elementi, e l'eccellenza, e virtù della forma impedisse la pugna delle contrarietà, e il predominio quanto all'azione. perciò che, lasciando i molti argomenti, che il contrario dimostrano, a me basta replicare, che se cosi è, la verità sarà adunque, che non sendo soggetto quel corpo all'alterazione, e corruzione, nuoue stelle altramente generar non vi si potranno. Non vi fate più straziare; concedetemi senza replica l'apparenza dell'obliquità maggiore, e minore vn'anno, che l'altro del Zodiaco, ec. esser veramente imaginarie, e apparenti. Lo dice anche il da voi celebrato Copernico, che persaluar cotali apparizioni, oltre i tre mouimenti attribuiti alla terra, come dissi dianzi, pone il Sole nel centro del mondo, quindi Mercurio, poi Venere sopra la terra, con la Luna, come in vn'epiciclo, lasciando gli altri pianeti secondo l'ordine dell'antiche opinioni. Quegli di cui fate menzion, che m'habbia dato occasion di scriuere, il concede anch'egli, ilquale, se ben s'è compiaciuto mostrar l'acutezza dello'ngegno suo, con alienarsi dalla comune per far proua studiosamente del suo valore, ma non già che ui sia ostinato dentro; afferma, che Venere ouatamente si muoue solo in apparenza. Ma che più ? Voi medesimo, per vostra grazia mi date facultà di sbrigarmi di tale impaccio, più presto, che non feci l'altra uolta, come uoi dite; affermando essere imaginarie queste apparizioni, ancor voi, e ne fate la dimostrazion nella Luna con la figura garbatamente alla considerazion 23. Hora, se tanti famosi astrologi hanno sparso mille sudori, per ritrouare Epicicli, Eccentrici, Concentrici, Equanti, Deferenti, e simili differenze d'Orbi, e di Pianeti, à finche rimanga intatta la celeste incorruttibilità; credete forse, che due scalzacani habbiano, lontani da ogni ragione, e senza necessità, che acciò fare gli spinga, con buona grazia de’ sapienti, licenza di cauar fuora cosi vani capricci, e non esserne agramente ripresi, come che gloria riportarne stimassero? Credonsi questi tali per rouinare il Cielo, a guisa di colui, che abbruciò il Tempio di Diana Efesia, diuentar più famosi di coloro, che da saui, e e virtuosamente la lode si guadagnarono? C. Secondo, sì come noi veggiamo, che gli Elementi si muouono naturalmente solo, quando sono fuor de’ lor luoghi, cosi douiamo, verisimilmente credere de’ corpi celesti. E che questo argomentare per similitudine in cotale affare si dea tenere per più fermo, e sicuro, lo afferma San Tommaso , attesoche la cognizione si fà per mezo di quello, che il conoscente conosce in qual si voglia maniera, cioè per la similitudine, dice egli. Ora noi intendiamo perfettamente per via de’ sensi questa aria questa, acqua, e questa terra: per sì fatti mezi adunque douiamo cercare di peruenire alla cognizione delle cose lontane, e celesti, il che non si può fare, se non mediante vna certa conuenienza, e similitudine. Lagual cognizione , quantunque come scriue Aristotile, non possa essere perfetta, nulladmeno, quanto alla nostra capacità può acquietar lo'ntelletto. R. Voi hauete ben preso questa volta altro, che vn granchio a secco; perche diuero ell'è vna Balena, è ben grande, à dir che San Tommaso in cotal luogo dica tal cosa; per che egli ragiona quiui d'ogn'altro concetto, che di questo. Imperciò che dichiarando Aristotele d'intorno all'ordin del modo dell'intendere fa comparazzion tra’ l senso, e l'intelletto, gli vniuersali, e i particulari; e poi dice, che la cosa intesa è simile all'intelletto, e la sentita simile al senso; cosi dice il mio San Tommaso ; producete il vostro, se però l'hauete; perche non temo, che riesca fatto a voi, come à Solone, il qual mise un verso di suo nel libro d'Homero per hauer da l'autorità di quello la giurisdizion di Salamina parlo di quella, che è nel mare Euboico, non di quella di Cipro, oggi detta Famagosta. Ma io vi dico, che l'argomentare per similitudine, oltre, che non è da gazzerotti, è fallacissimo. Impercioche Aristotele vuole, che tre condizioni necessariamente si ricerchino tra le cose, che veramente si posson comparar l'una con l’altra Sic ergo (dice egli Non solum oportet comparabilia , non æquiuoca esse, sed non habere differentiam , neque quod, neque in quo. Hora uoi non hauete osseruato straccio di questo precetto. Primieramente, perche il subbietto nel quale alloggian le qualità comparate, non è della medesima spezie del soggetto in cui son le qualità comparabili, poi che la celeste machina è diuersa di natura dall'elementare. Secondo; le qualità assomigliate non son della medesima spezie, percioche il motocirculare, e il retto son differenti di spezie. E il raro, e’l denso del Cielo con quello de gli elementi conuengono equiuocamente, che è la terza delle tre condizioni non osseruate da voi, come si è largamente dimostrato a suoi luoghi. Ecco che hauete argomentato, non da i simili, moda i dissimili. Non ha molto tempo che in vn villaggio occorse e non mica da motteggio, che si leuò romore, esseri in vaa macchia appiattato fra certe macie vn Basilisco: furon subito presenti i più animosi con gli archibusi carichi, e risguardato il luogo, videro la forma, i colori verdi, gialli, e rossi, che molte volte veduti dipinti hauete. Il primo, che tirò l'inuesti, e ueduto in aria salire il fumo da quello, tennero per fermo, che per l'ira dell'esser colpito fiatasse veleno. raddoppiarono l'archibusate, e alla fine tenendolo morto, accorsero al luogo, e trouaron, che era la brachetta d'vn Lanzi, le risa furon poscia assai più, che le palle tirate. Io non so se dirò poco; quella proporzion, che era tra via brachetta, e vn Basilisco, la stessa è dalla cosa rastomigliata alla vostra similitudine. Ma io, che per negazione di similitudine ho argomentate, infallibilmente, contro il vostro intendimento, ho conchiuso, il Cielo essere incorruttibile, poiche è di natura diuerso da questi inferiori corpi. C. I Cieli adunque ò sono ne’ propri luoghi, ò fuora. Non fuor; perche altrimenti, desiderando ciascheduna cosa il proprio sito, violentemente altroue sarebbero ritenuti, contro alla dottrina d'Aristotile, che non vuole in Cielo niente di violento. Saranno adunque ne’ propri luoghi: e perciò vedendosi chiaro, che si muouono circolarmente, per consequenza diremo, il moto circolare non essere il moto loro vero, e proprio, in quella guisa, che noi sappiamo, che non è ancora dell'elemento del fuoco. Sarà adunque il retto: e se questo è altresì di questi corpi inferiori, e se dal mouimento douiamo, come fa il nostro Autore, argomentare alla natura, conchiuderemo la materia celeste essere la medesima di questa inferiore, quantunque, come dice Platone, più sottile, e purgata. R. Nel proemio ancora l'vso di questa voce [sito] vi mostrai, che noi conosceuate, per non intender voi il significato suo: ne ui scusate, che, pigliandosi ella in sentimento di luogo, di odore, e di positura secondo la vulgar fauella, qui si debba intender nel primo modo: percioche, doue si tratta di materie filosofiche, non si debbono adoperar parole equiuoche, massimamente disputando: e doue si posson pigliar nell'vno, e nell'altro sentimento. ne dee perdonarsi a voi, che, per mostrarui huomo di quei non dozzinali, hauete cercato guadagnar brighe per lodi: se già non meritaste loda, per che hauete ritrouato vna spezie nuoua di filosofia stroppiata, in quella guisa, che fra i pittori addiuiene dintorno à quella spezie di pittura a grottesche, licenziosa, e ridicola senza regola alcuna. Impercciochè allora, che dipingono, per esemplo, vn grandissimo pero attaccato a vn debol filo; ò fanno le gambe a vn cauallo di tralci di vite; figurano vna debol capra caualcata da vn Bacco; vn viso humano sopra il collo, e busto di vna Grù; vno struzzo con braccia di scimia; vna bella faccia di donna con le parti estreme di ramarro, e le braccia, e le mani zampe, e branche di Leone; gli orecchi d'vn cane fingono esser di foglie di canna; e a chi pongono gli occhi sopra le corna, come hanno le chiocciole; ad altri in luogo di bocca, vn becco di Cicogna, e le braccia fanno in sembianza di racchette, ò mestole da fare alla, palla; a questo formano il ventre di bue, e le gambe di grillo, con le ali fronzate, e simiglianti scerpelloni, da fare smascellar le brigate per le risa. Quegli, che finalmente gli imagina più strani in cotali professione più valent'huomo è reputato. Cosi tra i filosofi non si defraudi à voi la meritata lode negli strauaganti capricci in aria, poscia che con ogni licenzia, e libertà non filosofica, ne poetica, ma più tosto frenetica, hauete nuoui modi di filosofar ritrouati. Anzi Sig. Mauri, che degli vni, e degl'altri anche in esecuzione il fine è stato il medesimo, come che sia diuerso in intenzione; poi che questi filosofi, come quei pittori, fanno rider la gente. Vero è che si muovono gli elementi fuora de’ propri luoghi per ritornare à quegli, e quietarsi, amando la conseruazioni di se medesimi. Ma si come gli elementi, per lo continuo combattimento fra di loro, per causa della generazione, mediante la mistion de’ moti, fanno, secondo le parti il mouimento fuor de’ propri luoghi. Cosi il cielo per lo contrario nel suo luogo quietando, non proprio, ma accidentale, perche è solo in luogo, rispetto al centro; nel medesimo tempo si muoue d'intorno à quello, non violentato ma naturalmente secondo il suo principio passiuo non repugnante; e volontariamente quanto al principio attiuo; conciosiacosache il motor suo, vna sostanza separata, essendo il muoua volontariamente a fin della generazione, e conseruazion delle cose inferiori, come agente, e causa vniuersale d'ogni mutazion naturale, e sullunare. Che il retto mouimento non conuenga al corpo celeste, alla considerazione ottaua, si proua; e dimostrato si è poco dianzi, nella soluzion di quei uostri scrupuli, si come altresì nel discorso fauellato n'habbiamo, se ben non l'intendeste, per amor di quelle imbrogliate contrarietà, che dite, quantunque non fosse intenzion nostra prouare in quel luogo, se non che il Cielo non era composto degli elementi, ne di alcuno di quegli esser fatto. Conchiudesi adunque esser falsa la uostra maniera d'argomentare; impercioche non è la medesima ragione del moto de gli elemeti fuori de luoghi loro, e del moto de’ Cieli, circa il centro. Oltre, che se il moto retto fosse proprio de Cieli, cotal mouimento non si ridurrebbe mai all'atto, ne potrebbe ridursi, non hauendo luogo naturale i Cieli, che sia lo proprio dove possano appetir di muoversi da vn luogo a vn'altro; e cosi vana sarebbe la potenza del moto retto in quegli; e perciò ridicoloso il crederlo. Sono adunque i corpi superiori di natura diuersa da gli inferiori corpi. C. Ma prima che più auanti si uada ditemi ò messer filosofastri. - R. Ben diceste: in fatti io m'auueggo, che siete assai innanzi con l'indouinare, e che farete qualche bella riuscita nella giudiciaria astrolog. C. Che volete con queste vostre conclusioni mandare in rouina la filosofia del S. Colombo, in che modo senza cadere in qualche assurdo possiate affermare, che il moto circolare non sia proprio ne di queste parti inferiori, ne di quelle superiori, e celesti, atteso, che egli (essendo il moto secondo Aristotile il quale non è proprio à vn corpo proprio à vn'altro, ne ritrouandosi altri corpi, che questi, ò inferiori, ò superiori, à quali lo negate) verrebbe à mancar di proprio Padrone. Mi risponderete forse, che è ben conueniente, che per essere egli il più nobile di tutti gli altri mouimenti, e per ciò attribuito da Aristotile a’ cieli, come corpi nobilissimi se ne stia libero, e di se medesimo assoluto padrone. Ma se così fatta fosse la risposta datami, à fondamenti deboli stimerei le vostre conclusioni appoggiate, le quali quasi quasi, per diruela in secreto, andaua forte dubitando, non dessero qualche notabile storpio al discorso del nostro autore. Ma nondimeno, solo perche all'arguire con potenti ragioni auete parlato, mi voglio da per me stesso andare imaginando, che voi in questo altresì più fondatamente discorrendo, attribuiate questi moti circolari per propri al Cielo Empireo, quantunque, come uogliono i Teologi, lo mantegniate stabile, e immobile. Impercchè, sì come non è attribuito per inconueniente à Aristotile, e Auerroe l'affermare, che le stelle, non essendo in se stesse ne calde, ne fredde, riscaldino, e raffreddino, per una certa virtù, che è in lor cagionatiua del caldo, e del freddo, così non si dee giudicare assurdo, che essendo detto Cielo immobile, e fermo, possa concedere altrui mouimenti anche contrari per vna cotal virtù atta à ciò fare, la qual sia in quello nascosamente inserita. Nè oltre à questo manca ragione, per la quale anzi che nò, paia necessario, che per essere egli immobile, mobilità debba ad altri apportare. R. Se vi pensasse hauer trouato il proprio padron del moto circolare, attribuendolo all'Empireo, per la sua eccellenza, di uero che gli hauereste fatto vn fauor singolare a dar’ vn [ius patronatus] cosi nobile, e conueneuole a quel corpo tanto perfetto. Ma, se non mostrate altro priuilegio più autorizzato, che il uostro, assicurateui pur, che egli non sarà ammesso al beneficio da niuno. Padron del moto in atto e il corpo, che’l possiede, e quiui è formalmente, e non nella causa, dice Aristotele. perche i mouimenti seguitano la natura della forma del corpo in cui si trouano; e perciò è proprio di essi cieli, che'l posseggono, e non accidentale il circolar mouimento; cosi come il moto del flusso, e reflusso del mare è nello stesso mare, e non nella Luna, che lo cagiona. Il pesce appellato torpedine, dicono i naturali, che intormentisce la mano del pescatore, per certa virtù occulta, e nulladimeno il pesce, e la canna con cui si pesca, non hanno cotale stupefazione in loro. Ne solo vi è formalmente il moto circolar nell'Empireo; ma ne anche virtualmente per consenso comune de' Teologi, e filosofi, i quali affermano quel Cielo influire stabilita, e fermezza. Strabone, e Beda, che ne furono i primi ritrouatori, ancora essi il fecero assolutamente immobile. Il Pico della Mirandola afferma, che due Ebrei, l'vno Abramo Ispano grandissimo Astrologo, e l'altro Isacche filosofo appellato, voleuano, che ci fosse vn Cielo immobile sopra gli altri mobili, che è l'Empireo, e Aristotele, ò vero Teofrasto [In libris de Mundo, ait] Deum in supremo cœlo habitare, quod est totum lucidum. E il Ciel, doue habita Dio, e i beati, è immobile; e pur, secondo voi, dourebbe esser mobile in atto per se, poi che gli altri son per accidente, del moto circolar parlando: e cosi fareste girare i Beati nel Cielo. Ma Aristotele dice pure; Si alicui inest vnius motus accidentaliter, alteri inest naturaliter. Non sono à proposito, adunque gli esempli, che adducete d'Auerroe, e d'Aristotele, che le stelle, quantunque non siano calde - ne fredde, adogni modo producano effetti di calore, e di frigidita: imperò che virtualmente, e non formalmente sono queste condizioni nel Cielo. Tal sentimento cauate voi da la dottrina de buoni autori, qual sangue le coppette degli stufaiuoli, cioè il fracido, e non buono, se ben la loro intenzion si consegue, ma la uostra si persegue. Voi potreste vsurparui allegramente l'impresa di quel franzese, in cui erano dipinte in campo bianco alcune coppette; e’l motto DE MAL ME PAISTS, perche voi ancora vi pascete l'intelletto di mala intelligenza delle dottrine. C. Conciosiache dica Artistotele. Quando vna cosa è questo, e questo, se vn di quelli si ritroua senza l'altro, l'altro ancora si ritroua senza quello. Ora ne’ corpi superiori, si ritroua il Mobile mouente, che si può dire il primo Mobile, e l'ottauo Cielo con quei di mezo; si ritroua il Mobile non mouente, che sono le sette sfere de’ pianeti, adunque si ritroua ancora il Mouente non mobile, che altro non diremo essere, che l'Empireo. R. La ragione, che voi appoggiate alla dottrina d'Aristotele per prouar, che il moto virtualmente conuenga all'Empireo, è della medesima bontà dell'altre. Impercioche, lasciando star, che habbiate ridotta la sua sentenza in vn Geroglifico, leuandone troppo gran pezzi à guisa di quel mal pratico scultore, che ridusse al maneggiar, dello scarpello vn gigante in vn mortaio; Aristotele, vuole, che trè cose siano al moto necessarie, cioè il mobile, il motore, e lo strumento: e tra di loro, afferma, non esser necessario, che il mobile sia anche mouente, ma si bene lo strumento debba muouere, e esser mosso; e il motore non esser necessario, che si muoua: e però non conchiude nulla per uoi atteso, che il mouente non mobile non potrà esser l'Empireo, douendo si fare il moto fisico percontatto del motore col mobile; il qual moto non può cagionari da vn corpo nell'altro senza muouersi anch'egli. Onde fa mestiere, che il motore sia vn'agente incorporeo, e uolontario a uoler, che sia immobile; e questi è l'Angelo, o la sostanza separata , che dir vogliamo, come vuole anche Aristotele: e l'afferma col testimonio d'Anassagora, che vuol, che muoua, e sia lungi dal, moto, e da la mistione. Primus motor omnino est immobilis, Perche muoue per contactum virtutis, et imperium voluntatis dice S. Tommaso. Hor se tutti gli interpreti cosi l'espongono, e massimamente S.Tommaso, che da quelli che sono stati famosissimi filosofi è stato cosi reputato, che fino il Pomponazio, per altro desideroso di impugnarlo, dice di lui. Opinio recitata D. Thomæ, omnium mea sententia maximi, imò fortassis non minoris aliquo Aristotelis expositore, siue sit grecus, siue Arabs, siue cuiuscunque sit, omnibus est præferenda. Il Sueffano. Pace expositorum grecorum di xerim curiosior, aut vberior, aut quod rarum est clarior inuentus nemo D. Thoma. Il Zimara: Vbi est discordia in Philosophia inter Auerroem, et D. Thomam difficile est videre veritatem, Il Pico: Tacente Thoma mutus fit Aristoteles. Voi adunque intenderete Aristotele diuersamente da S. Tommaso, e da tutti gli altri interpreti? Ma io vi dico vn'altra cosa di piu, che l'argomento, se si intendesse, come voi, saria sofistico, e imperfetto, conciòsiache, volendo argomentar dal mezo agli estremi, doueuate far l'argomento in maniera, che il mezo participasse di quegli. La onde, estremi saranno il mobile mouente, che è il primo mobile; e l'immobile non mouente, che è l'Empireo, per che son veramente estremi, hauendo opposizion di priuazione, e d'habito: il mezo verrà a essere il mobile non mouente per ciò che participa d'ambedue gli estremi, ma non gli comprende, si come il color verde, per esemplo, tien del bianco, e del nero suoi estremi, ma non è tutto bianco, ne tutto nero, per che altramente non sarebbe color di mezo, ne quegli colori estremi, che sono opposti priuatiui. Puossi argomentare anche in questa maniera, dal mezo a gli estremi. In natura si da vn corpo mobile secondo l'essere, e secondo il luogo, che son questi corpi inferiori; e dassi vn corpo mobile secondo il luogo, e non secondo l'essere, che sono i Cieli fuor l'Empireo; adunque è necessario dare vn corpo immobile secondo l'essere, e secondo il luogo, e questo sarà l'Empireo. Non hanno adunque i Cieli per proprio il moto retto, e per accidentale il circulare come afferma il Mauri. C. Soggiugne il Colombo. Aggiugnesi, che auendo luogo il Cielo, ec. C. 5. V. 11: e i medesimi Filosofastri rispondono, che essendo’ l moto circolare proprio solo all'Empireo, e per ciò essendo egli solo inalterabile, e perpetuo, soggiacendo l'altre sfere alla corruttibilità, le sfere celesti non altrimenti anno luogo sopra tutti gli elementi per essere ancora esse elementi, quantunque più purificati, e semplici; ma sì bene che l'Empireo sottentrando nel luogo de’ Cieli, cioè essendo date all'Empireo le qualità, e preminenze attribuite da Aristotile, e gli altri alle Sfere superiori, egli solo hà luogo sopra tutti gli Elementi, e perciò, come argomenta il Sig. Colombo, la sua natura è di gran lunga diuersa da quella. R. I filosofastri direi, che fossero somiglianti allo Struzzo, che ha sembiante d'animal volatile, ma non vola altramente. Cosi essi paion filosofi, ma veramente non sono altro, che filologi, che uale il medesimo, che sofisti, dice Seneca, ambiziosi, e inganneuoli; e perciò non rispondono cosa, che vera sia, come per cento maniere si è prouato. C. Ma io, se volessi interporre l'opinion mia in cose di Filosofia, ò di Loica. R. Fate à mio senno, e farete bene; tacete, come hauete fatto nell'astrolegia giudiciaria, che pure è la vostra scienza particulare. Non vorrete esser modesto in quelle scienze, di cui non possedete - straccio? C. Direi quì assolutamente, che molto debole fosse questa maniera di arguire . I Cieli sono sopra gli elementi, adunque se questi corruttibili, quegli incorruttibili, per dimostrare la corruttibilità, ò incorruttibilità de’ Cieli. Imperciocche il fuoco ancora , secondo Aristotele è posto sopra gli altri elementi, e di più è chiaro, che e da quegli diuersissimo di natura, e con tutto ciò non ne segue che quello sia inalterabile, e questi alterabili, e corruttibili. - R. Auuertite, che Aristotile non la uende per sicura, ma per ragioneuole molto. Se bene voi, che non hauete Loica lo accettate per argomento dimostratiuo, e assoluto; ma, sè spendeste la moneta del nostro conio, e non la falsaste, non verrebbono in campo i vostri difetti. Non è egli ragioneuole molto, che a quel corpo, che è causa vniuersale col suo moto, lume, e influsso di tutti i mouimenti, e operazioni naturali, come primo agente, inuariabile, viniforme, e di qualità peregrine incapace; si dia vn luogo eccellente, proporzionato non solamente alla dignità della natura del locato, ma eziandio alla virtù, e operazion di quello? Sì, Il Cielo adunque è tale; e come si è dimostrato efficacissimamente essere incorruttibile quanto a sè, dee tale stimarsi ancora quanto al luogo, e diuerso di natura dagli elementi. Onde lo stesso Aristotele nel 12. della Metafisica c. 8. t. 44 dice, che l'ordine dell'intelligenze è secondo l'ordine de'moti: ma l'intelligenze son distinte di spezie; ad unque i moti ancora, e i corpi per conseguenza saranno tali. e per ciò non si dee dal buon filosofo negare, che quanto più alto, e locato vn corpo non habbia ancora l'esser suo tanto più nobile: così afferma anche San Tommaso nel luogo detto. È se bene è vero, che tra gli elementi l'uno auanza l'altro di luogo, e di purità, ma non già trà di loro è distinzion di natura, quanto alla corruttibilità; nulla dimeno è da considerare, che non è si proprio a ciascuno elemento il suo luogo, che almeno secondo le parti di qualunque di essi non siano ancora comuni tutti i luoghi a tutti gli elementi, ben che per accidente: cosa che del Cielo adiuenir non può per niuna maniera. E che non possa ciò accader fra gli elementi, e'l Cielo, si argomenta ancora dal veder, che muouendosi così regolatamente quel corpo, è necessario dir, che sodo, e impenetrabile sia in guisa, che corpo men nobile, e alieno giugnere, e penetrar non vi possa. Anzi che la nobiltà, e sublimità del luogo è tale, che, se il cielo fosse penetrabile, l'elemento del fuoco nonvi ascenderebbe, per non esser proprio suo luogo, erepugnanza farebbe à se stesso, come la pietra a salire in aria. Oltre a ciò sè si danno i corpi, che hanno contrario è necessario dare vn corpo, che non habbia contrario come più nobile. Ma i corpi contrari hanno luoghi distinti atti per riceuerli; adunque il corpo, che non ha contrario haurà luogo separato, e tanto più nobile del - luogo di quegli, che in capaci di ascenderui saranno, per che fra il luogo, e il locato sia proporzione. E posto il Cielo per tanto, essendo incorruttibile, in più conueneuole, e sublime luogo, che gli elementi non sono, per che possa comprendere, e abbracciar come causa vniuersale tutte l'altre cause naturali de corpi inferiori. ne poteua meglio locarlo, ne più proporzionatamente la natura, che per ciò lo fece sferico, e grandissimo oltre à tutti i corpi; acciò che validamente diffondesse in ogni cosa la virtù sua. Hora guidicate da per voi stesso, se il vostro parere contrapponendosi a quel d'Astristotele, e della comune in tutta questa opera vi fa annouerar tra coloro , che per molto souente errare in fifosofia, habitan sotto il palco dell'errore in Teologia. Aristotele ancora in molti luoghi dice quanto sia male partirsi dalla comun sentenza. - Discorso. Ma in particolare, perche alcuni di natura di fuoco stimato hanno le celesti sfere, chiaramente si vede, non mai douersi cotali condizioni ascriuere a quei globi superni. Conciosia che, sè di tanta attiuità è il fuoco a cui nulla resiste per l'ingordigia, e voracita sua, haurebbono quegli tutto questo mondo sullunare consumato in breuissimo tempo. E nulladimeno l'esperienza per tanti secoli trascorsi il contrario ne dimostra. E a dirne il vero a cui non è egli palese, che, se il Cielo dell'elemento igneo, e di qualunque altro resultasse, egli haurebbe contro la natura de’ semplici corpi due contrari mouimenti al natiuo moto suo? Diciam per esemplo del fuoco al mouimento delquale, perche è retto, ad alto tendendo, contrari sariano il circulare, che in esso Cielo si ritrouerebbe, e'l moto al centro discendente delle graui cose. E cosi la natura de’ corpi semplici, non potendo hauer più d'vn moto naturale, ne più d'un contrario quegli, che nuoue forme riceuono; necessariamente ne seguiterebbe, che il Cielo non con lungo tempo, ma incontanente si fosse distrutto, e annullato. Considerazione ottaua. Vn certo Lorenzini da Montepulciano: Risposta. Queste maniere sprezzanti di parlare non merita il Sig. Lorenzini: e chi non rende altrui i douuti honori non fa honore à se stesso. C. Scriuendo soura cotale stella, si è ingegnato anch'egli di dare ad intendere, che le celesti sfere non sieno altrimenti di fuoco. Onde il nostro autore, per non essere da manco di lui, in competenza, per proua dello stesso, oltre à una sua ragione di certe imbrogliate contrarietà, ne adduce vn'altra dell'ingordigia , e voracità del fuoco, della quale, forse per parergli molto gagliarda, non ha voluto, imitando il detto Lorenzini defraudare il suo trattato. Ma dura alcuno, se tale argomento era stato già annullato per lo discorso di Cecco di Ronchitti, non doueua il S. Colombo, ò replicando fortificarlo, ò per non allungare à sproposito i suoi ragionamenti, lasciarlo libero al sito inuentore? Certamente che sì: anzi io aggiungo di più, che non auendo egli per le mani altre ragioni, che le due apportate, doueua col tacer del tutto tralasciar si fatta questione, poiche l’altro suo argomento ancora è fallace, e non proua. Imperocche essendo falsissimo, che al moto circolare, come dice Aristotile, si ritroui contrario alcuno, e chiaro, che il fuoco, essendo i cieli di fuoco, non aurebbe contro la natura de’ corpi semplici al suo proprio moto due moti contrari, posciache il circolare non gli sarebbe giammai contrario. R. Sig. Lorenzini stiamo lesti, che questo, Antropofago si vuol manicare, non solamente vn Colombo, ma che è peggio, voi, Aristotile con tutti i leguaci suoi, e buona parte degli altri letterati. Gli Antropofagi, referisce il Ramus, che, perche mangiano carne humana, nell’Isola Estotilanda usciti fuora si mangiarono alcuni nauiganti, e voleuan far del resto, se non che, vedendo alcune reti con il quali pescauano, spauentati da tal cosa non mai più da lor ueduta, si misero subitamente in fuga. Lasciamlo pur venir via, imperocche, se quei pescatori auanzati al macello di quegli animalacci gli cacciarono, per lo spauento delle reti da pesci, che mostraron loro, in rotta; pensate quel che auuenirà a questo, che e solo, quando vedra l'artificio a rete composta de’ tenaci nodi delle conclusioni Aristoteliche, con cui si fa preda degli huomini senza speranza di poterne mai scappare. bisognera ben rimanerui colto. Io uorrei Mauri, che mi diceste qual sarebbe reputato, che volesie dare ad intendere , che le lucciole fossero lanterne; ò voi con voler persuadere insieme con quei filosofastri, che il Cielo sia di fuoco senza ragione addurne, che da mentouar fia; ò il prouar con le ragioni efficacissime accompagnate dall’autorita d'Aristotele, e di tutti a buon filosofanti, e Teologi, e con l'esperienza stessa, che egli sia vna quinta essenza diuersa di natuta da qualunque di questi elementi? Oh fermate; uolete voi dar contro al vostro intendentissimo nocchiero Cecco di Ronchitti? In somma a uoi aggrada attaccarla con l'amico, e col nimico, ditela; ditela, credete voi come io, che egli sappia più tosto guidare il timon del carro, che quel delle naui? Si vede ben che voi non hauete giurato in verba magistri, come dite, che hò giurato io. Cecco garbatamente risponde [io non dico cosi] a quell'altro villano, da cui è domandato, se crede, che il Ciel sia di fuoco; poi che, secondo il creder suo, e uostro, hebbe annullato l'argomento del Lorenzini. Riproua egli l'argomento in questa maniera. Vna fauilla di fuoco e bastante per accender vn pagliaio, e poi abbrucerebbe anche quanto legname si troua. Ma quante fornaci sono al Mondo non potrebbono abbruciar vn Zecchin d'oro, perche l'oro non si può abbruciare; e cosi se gli altri elementi potessero abbruciare, ogni poco di fuoco basterebbe per far l'effetto. Voi di vero vi siete ricourato sotto vn cattiuo gabbano per fuggir dà tempesta sì rouuinosa dell'Aristoteliche percosse, Signora Maschera. non vedete, che il mantel di Cecco non ha straccio, che buon sia, per difender lui solo, non che poteruene seruire ancor voi? Non è il suo mantel da ogni acqua, se già non seruisse per giacchio da pescare. Parui peroche Cecco habbia risposto a bastanza al Lorenzini, e prouato, che gli elementi non siano materia conueneuole, e atta al fuoco? Non è cosa, che sia esca del fuoco, che non sia composta degli elementi; e l'aria stessa si trasmuta nel fuoco; ne starebbe acceso in legne, ò un altro, sè non ui fosse la parte humida, e aerea, come si vede nella cenere, che sendo abbrucciato l'humido, non arde più. L'oro, le gemme infino, si alterano, e consumano, mediante il fuoco, se ben assai meno, e con maggior fuoco, più tempo, e con mescolanza d'altre materie: perciòche doue è la contrarietà, finalmente vi è la corruttibilità. Et nulla res potest diu conseruari in igne, Dice San Tommaso. Testimonio, ne facciano gli Alchimisti delle cui mani, l oro posto nel fuoco, se ne va in fumo, più che non fanno le legne verdi. Ma che il Cielo non sia di fuoco, oltre a quel che s'è detto, aggiugne San Bonauentura, che, sè quel corpo fosse di natura ignea infiammerebbe tutti i corpi sottoposti, e con la sua grandissima attiuita, e quantità subito inghiottirebbe tutta l'aria. E perciò Hereodoto, dell’ elemento del fuoco, disse. Ignem belluam avidissimam inexplebilemque esse. O pensate, se fosse di fuoco il corpo celeste; in vn batter d'occhio, come fosse arida stoppia ridurrebbe ogni cosa in cenere. E dice lo stesso Santo, che non sarebbe ragion buona, il dir, che il Mondo non abbrucia, perche cosi ha disposto l'autor della natura, perche, se cosi fosse, il Mondo sussisterebbe miracolosemente, e non naturalmente. Et miracula non debent admitti in prima rerum conditione, quoniam hæc ponuntur ad confirmationem fidei, Dice il Bannes, con tutta la scuola. Se volete dir, come stà il fatto, l'argomento della voracità del fuoco è riuscito più efficace, che non vi pensauate, ne direste hora, che bisognasse rinforzar l'argomentazioni. Ecco, che non il Colombo, ma il Mauri allunga, e da occasion d'allungare il ragionamento a sproposito, seruendosi delle ragion di Cecco, senza aggiungerui nulla di suo, ò dire cosa, che buona sia; credendosi, che, il citare, e lodar questo suo villano interessato, basti per rimaner vincitor della guerra. Si conosce ben, che chi loda per interesso vorrebbe esser fratel del lodato. In questo proposito, vn fauorito di Vespesiano, il pregò, a fare vna grazia, dicendo, che il raccomandato era suo fratello. L'Imperadore sapendo ciò esser falso, e scorta la malizia, lasciò per allora in dubbio la resoluzione. Chiamato poscia il finto fratello, gli cassò delle mani quella somma di danari, che dar voleua in premio all'amico, e gli fè la gratia. Di nuouo comparì il fauorito, e raddoppio le raccomandazioni, a cui Vespesiano rispose, procacciati pur d'vn'altro fratello, perche quel, che tu stimaui tuo, hauendo pagato mè, è stato fratel mio. Cecco vostro lodato è stato per questa fiata nostro fratello, non hauendo pagato voi della lode, ma noi per che ha detto, che il Cielo non è di fuoco. sì che prouedeteui d'altro fratello a vostra posta perche non vuol dir come voi. Mauri da quì innanzi, quando hauete voglia di bere, corretea i fonti, e non a’ ruscelli, e a le pozzanghere; per chè, oltre che mai non vi trarrete la sete, sempre gusterete acqua torbida. Sapete voi quanto sono imbrogliate quelle contrarietà; appunto quanto elle paiono al vostro ceruello, che, non - le capendo, non le sà sbrogliare, per esser d'Aristotele; e perciò da galant’huomo, hauete fatto capital dell'argomento del fuoco; che si sente più che non s'intende. Aristotele, accioch'io vi smaltisca meglio cotali contrarietà, quando afferma il moto circolar non hauer contrario, vuol dir, che il corpo celeste non può esser capace di moto contrario, ciò è diretto concosiacosa che vn corpo semplice non possa hauer più d'vn moto proprio, e naturale. Onde il Cielo, hauendo per proprio moto il circolare, impossibile è, che nel cielo vi sia anche il retto. Se il Cielo adunque fosse di fuoco, come dite voi, quel corpo haurebbe due mouimenti propri, e cosi sarebbon contrari; atteso che il medesimo corpo semplice, se hauesse due moti, l'vno repugnerebbe all'altro. E perciò resterebbe di muouersi, se i moti fossero di vguali forze; e se l'uno superasse l'altro, il superato resterebbe mobile in potenza: onde, mai non potendo ridursi all'atto, vana sarebbe, e in vtile cotal potestà. Anzi che, per esser nello stesso corpo, sarebbon maggiormente contrari, che se fossero in diuersi, come negli elementi, perche repugna, che il medesimo corpo si muoua di proprio moto rettamente, e circularmente. Ma che il circolare sia proprio del Cielo si è prouato a pieno. Oltre acciò, se non è quel corpo graue, ne leggieri; come dicono tutti i filosofanti, come potrà egli mai hauer moto retto ? Benissimo adunque dice Aristotele. Quare si ignis sit id quod versatur, vt quidam inquiunt, non minus hæc motio præter naturam est ipsi, quam ea, qui infera loca petuntur. Vero è per tanto, che se il Cielo fosse di fuoco, o di qualunque altro Elemento, a cui è proprio, e naturale il moto retto, che quel corpo haurebbe due contrari mouimenti. Ma questo è impossibile, impossibile è ancora, che la celeste machida sia di fuoco, o della natura elementale. Ricordatemi, che sopra dicemmo, le parole [preter naturam] in suo proprio, e vero significato non importare il medesimo, che [contra naturam] ma sopra natura; se non doue il concetto ne costringe a riceuerla per tale come potete conoscer, che adiuuiene in questo luogo. Imperciòche, sè non importasse contrarietà, nulla haurebbe conchiuso Aristotele, con ciosiache suo intento è di ponderate in questo luogo, solo i semplici mouimenti, che altri non possono esser, che i naturali; o contrari alla natura e perciò disse Non minus ipsi præter naturam iste motus est, quam qui deorsum. Così interpreta Auerroe nel medesimo luogo. San Tommaso; e il Zabarella. E lo stesso Aristotele nel secondo del Cielo dice; Nullum præter naturam esse perpetuum. Nel qual luogo Auerroe interpreta contra natura e violento. Hora per questa notizia, che hauete di più, credo, che muterete concetto di mè, affermando, e hauer meritato cotanto di lode a non defraudar, non dirò il Lorenzini, ma Aristotele imitandolo; quanto doureste esser degno voi di biasimo a non hauer defraudato Cecco. Hauete ormai inteso, crederò io, che il Cielo, come che non habbia contrarietà di termini nel moto circolare, da i quali nascono ancora i moti contrari; ad ogni modo, se il Cielo fosse di fuoco haurebbe due contrari mouimenti nel modo, che si è detto. Doue sono le mie fallacie adesso? Nel fallace giudicio di chi mi giudica. C. Dico in oltre, che, se il fuoco, per muouersi circolarmente, auesse al suo moto due moti contrari, ò almeno, se l'auere due moti contrari fosse semplicemente assurdo, Aristotele, ilqual diede al fuoco, e à una parte dell'aria il mouimento circolare, per potere quindi affermare, che le comete si generano, e ritrouano nella regione elementale, aurebbe senza fallo dato in grande, e pericoloso scoglio. Ne si replichi, che per essere improprio all'elemento igneo il moto circolare, attribuitogli da Aristotile, inconueniente alcuno non è, che auendone solo un proprio, ne abbia ancora vn'altro accidentale. Imperocche il medesimo appunto ne seguita, se faccendo il Cielo di fuoco, glie ne assegneremo un per accidentale, e l'altro per proprio contrario al suo mouimento. Per laqual cosa io vengo à conchiudere con vostra licenza, Sig. Solombo, che questi filosofastri, ò qual si voglia altro, se per auuentura piacesse loro lo stimare, che i Cieli fossero generati di fuoco, per essere annullati i silogismi da voi, come fondamenti principali, per la contraria parte addotti, non sarebbero fuor de' termini, ne da biasimare cosi alla libera, come vi pensauate. Risposta. Se voi come cortese degli studiosi l'additauate ancora a Aristotele, di uero, che egli non vi inciampaua dentro. E che vi pensate, che egli sia smemorato come voi, che a ogni piè sospinto vi contraddite? State a veder Signori lettori, che costui vorrà passare innanzi ad Aristotele? Il Gambero anch'egli entrato in frenesia ardi sfidare al corso la Volpe; e per farla doppia di figure, le diede vantaggio il principio del corso stabilito. Hora, e conoscendo la sua pazzia, la necessità il fece accorto, e cosi pian piano s'appiccò, fra tanto, che ella si mosse, alla coda di essa. Giunta, che fù al segno presisso, voltandosi adietro, per veder doue era il Gambero; egli subito, lasciata la coda rimase doue la Volpe hauea il capo, e appari, che le fosse innanzi, ben che egli ingannata l'hauesse. Ma voi a che v'attaccherete per dare a credere questa vanità a niuno? Forse che non haureste voluto, per non allungare il ragionamento, ch'io hauessi lasciato queste ragioni, come di niun momento fossero. Voi non sapete; che le ragioni d'Aristotele son la mazza d'Ercole contro cui la vuol seco? Anzi che si come una fiaccola accesa dauanti a gli occhi del Leone il rende placido, e vinto, dicono i naturali; così il lume dell'Aristotelica dottrina vince gli humani intelletti. Ma elle non faceuan per voi è? Perche egli habbia detto, che l'elemento del fuoco, e l'aria habbiano per accidente moto circulare cagionato dal rapido mouimento del Cielo, questo non è contro il suo intendimento; perche, il moto circulare a gli elementi, basta, che non sia proprio, e intrinseco. Anzi, che per cagion di tal moto egli addiuien che l'elemento del fuoco si conserua quiui, nel concauo della Luna come in suo proprio luogo. Onde non segue però, che, se fosse proprio al Cielo il moto del fuoco, e il moto circulare, non fossero contrari a quel corpo, sendo impossibile, che, habbia due monimenti naturali, vn semplice corpo. Se poi volete co' vostri filosofastri dire a dispetto della filosofia, che il Cielo sia generato di fuoco, trouate chi vel creda. E qual filosofo, e di ceruel così sgangherato, che non affermi la generazion delle cose resultar della mistion degli elementi, e che quel che è composto di essi non può esser senza contrari, supponendo la generazione il subbietto, e i contrari i quali non possono in vn semplice corpo ritrouarsi? Onde, per che vna cosa non può resultar d'vn solo elemento, si disputa tra i filosofi, se vn'animale, ciò è la Salamandra di fuoco, il Camaleonte d’aria. La Cicala di rugiada sola nutrirsi possano. Atteso che Ex his nutrimur, ex quibus sumus. E per ciò vogliono, che ci sia necessaria la mistion degli elementi per far la nutrizione, quantunque in qualungue elemento si ritroui alquanto di mistione, perche Non reperitur elementum purum. Hor pensate voi se il Cielo lodo, e impenetrabile sara generato d’ vn solo elemento, e del più tenue, come e il fuoco. Discorso. Non soggiace il Mondo superiore alla corruzione, come l'inferior Mondo fa, attesoche non è la materia comune in fra di loro. E che ciò sia vero la materia degli elementi, nuove forme di continuo mutando, la priuazione, e'l desiderio di quelle hauer ne dimostra, donde la corruttibilità si cagiona. Ma la celeste materia, che della primiera forma s'appaga solamente, non è alterabile in veruna guisa, ne eziandio si potrà per tanto della materia degli inferiori corpi stimare. - Considerazione nona. Per quello, che si è prouato nella Considerazione quinta, e settima, e si prouerà nella 10. & nella 34. si nega, che la materia ce’este sia incorruttibile, apportandosi nella Considerazion sesta, la ragione perche paia, che ella della primiera forma s’appaghi. Risposta. Perche i è ampliamente risposto, e siamo per rispondere a qualunque obiezione di ciascuno de'mentouati luoghi, e si sono di nuouo rinforzate le ragioni spettanti a dimostrar perche si quieti la materia celeste sotto vna forma sola senza più appetirne, si risolue, che è verissimo, e non pare altramente, che il Cielo non soggiaccia alla mutazion delle forme, se non se in quanto paresse a voi, che siete come gli infermi di torto sentimento, perche egli veramente non vi soggiace, Di vero, che se bene il tratenersi tanto senza frutto, in queste proue cosi vane, e graue fallo, io vi scuso, perche mi penso, che vogliate imitare Alcibiade Ateniese, che tagliò tutta la coda a vn cane, che hauea di prezzo, e lasciollo andare, per dar materia piccola da dir di sè, acciò che si tacessero le cose di momento. Discorso Nasce la corruzione, e la varietà delle forme della contrarietà de’ moumenti, principi d'ogni contrario, come non quelli de’ corpi sullunari l'vn verso il centro, e l'altro verso il Cielo. Hora non hauendo il Cielo contrario moto, sendo, che circularmente, continuo, vniforme, e inuariabile sia il suo riuolgimento, quindi è, che necessariamente dir si dee inalterabile il Cielo, e di generazione incapace, e che, non rendo comune la materia sua con la materia elementare, alle tante passioni, che dalle forme di quella resultanno, non soggiacere in niuna maniera il Cielo. E perciò non è egli caldo , freddo, humido, secco, ne di spessazione, rarefazione, grauita leggerezza arredato, ne di ruuido morbido, e altre simili qualità. Ma con tutto, che ciò verissimo sia, noi pur veggiamo, che nuoue stelle apparite nel Cielo in diuersi tempi sono; come adunque stà il fatto. Prouano gli Astrologi primieramente, che tali apparizioni nello stellato, ò in quel torno vedute si sono, perche scintillavano; proprietà che è dell'ultime, e supreme stelle, cagionata dalla gran lontananza, nella quale si vanno perdendo, e suaniscono quelle spezie, ben che luminose: onde l'occhio nostro si rende astaticato a riceuerle, e cosi titubando par che scintillino. Considerazione decima. Si è dimostrato nella Considerazion settima, che i Cieli anno moti contrari, anzi i medesimi de’ corpi sullunari. il perche, se i mouimenti, e la materia, come si dice nel medesimo luogo, sono gli stessi tanto à corpi superiori, quanto à gl’inferiori, le qualiità, le quali dal nostro Autore sono attribuite a questi, a quelli ancora in niun modo si douranno negare, e perciò caldi, freddi, vmidi, secchi, leggieri, e graui saranno i Cieli: anzi di più si proua, che e’ sieno condensabili, e rarefattibili, argomentando in cotal guisa. Risposta. Non ha dubbio, che in quanto al creder vostro, non ci occorreuano più dimostrazioni, anzi meno di quelle, che hauete fatte, per istabilire i cieli hauer contrari mouimenti: ma quanto alle ragioni in soddisfacimento d'altrui, hauete più tosto persuaso a credere il contrario cui era dalla vostra, che indebolito, ò adombrato gli argomenti d'Aristotile. E, se in ciò meritate lode veruna, è l'hauer fatto con le false dottrine da voi poste in campo, maggiormente risplender la verità. Almanco haueste voi preso alcune argomentazioni, che hauessero dell'apparente, e a prima fronte ingannassero l'intelletto con l'artificio loro, come fece quell'Alchimista, che, sendo menato per ingannatore dauanti a l'Imperadore Anastasio, cauò fuora vn bellissimo freno da caualli d'oro massiccio, tutto contesto di ricchissime gemme; e'l donò all'Imperadore per menar per lo naso ancor lui co’ suoi inganni, percioche era finto, e non reale quel freno. Onde l'Imperadore accorto il prese, dicendo, se tù hai gabbati tutti gli altri, mè, non gabbera'tù; e'l fè cacciar in prigione, ne mai più si riuide. Ma voi certamente non gabbarete se non voi medesimo co' vostri sofismi, perche sono scoperti d'ogni artificio. Voi pur l'hauete con le contrarie qualità, e non vi bastano, che eziandio fino dall'armonia celeste vi pensate prouar corruttibile il Cielo, ne vergogna niuna vi ritrae da cosi fiacche, e melense argomentazioni? Ma perche si è risposto di sopra, e conchiuso’l contrario, basterà dir solamente, che Aristotele dice; Corpus igitur id, quod versatur, impossibile est grauitatem, aut leuitatem habere. Voglio prouarlo ancora con le ragioni, se ben non dourei, posciache non hauete atterrato, ne argomentato niente, circa le dimostrazioni d'Aristotele, come, sè egli mai non n'hauesse fauellato. Pure, perche m'hauete fatto conoscer fino al Mauro, non voglio, che mi vinciate di cortesia. Diciamo adunque, il Cielo non hauer cotali condizioni, perche non si muoue al centro, ne ascende più sù di doue egli si ritroua, come fanno i corpi, che leggieri, ò graui sono. Oltre acciò, questi mouimenti retti, ò conuengono per natura al corpo celeste, ò contra natura. Non nel primo modo; perche è corpo semplice, à cui vn semplice moto conuiene eziandio, che è il circulare. Non nel secondo modo; atteso che de’ mouimenti retti, sè l'vno gli conuenisse contra natura, l'altro di necessita gli conuerebbe per natura, contro quello che si è conchiuso: onde non è graue, ne leue quel corpo altramente. La medesima conseguenza si dee far delle parti ancora; essendo che la stessa ragione habbiano le parti, che il tutto; sì che, se fosse possibile separare vna parte di Cielo, quella da niuna parte haurebbe inchinazione al moto, non sendo ne graue, ne leggiera. La sua figura rotonda è argomento ancora, che solamente habbia attitudine al moto circolare, che non inchina più à vna parte, che a vna'altra; perche, sè appetisse qualche particolar luogo, non andrebbe regolatamente, e vniforme; ma hor più veloce, e hor più tardo. finalmente io dico, per conchiudere in poche parole, che il corpo celeste con le sue stelle è vna sostanza soda senza craffizzie, di forma lucida, d'atto mobile, di figura rotonda, di superficie piana, di natura purissima, di materia senza potenza, di luogo altissimo, di moto velocissimo, di quantita grandissimo, di virtù efficacissimo, di mouimento immobile, di rarita non densabile, di densita non rarefattibile, d'opacità non tenebrosa, di mole non graue, non leggiero, non ruuido, non morbido, di resistenza non tangibile, densissimo senza oscurita, diafano senza pori, di potesta, che riscalda, raffredda, inhumidisce, e disecca; senza, che habbia siccità, freddezza, humidita, caldezza; e in somma è vna quinta essenza tutta diversa da’ corpi elementali. C. Se, come tien Prisciano Lidio in Teofrasto i con tutti i più saui, il suono procede, essendo l'oggetto, che è di mezo fra quello, che suona, e quello che ode, mosso, e per dir cosi trambustato; onde dice Aristotile, che la voce non può essere se non in corpo rarefattibile, e condensabile, e per consequenza propriamente variabile : e se dal vicendeuole girar delle sfere, e dal moto contrario de Cieli, ne nasce vna certa armonia, e come scriue Macrobio, vn soauissimo suono, il quale da noi non si può vdire, dice il Dalciato con altri autori, sì per lo imperfetto nostro udire, come per la perfezione ancora di quell'armonia, i cieli, per tacer degli elementi, come cosa manifesta, i quali sono quell'oggetto di mezo, che si ricerca per generar cotal suono, abbisognerà, che nelle parti loro sieno mobili, e transmutabili, e perciò necessariamente rarefattibili, e condensabili. Risposta. Pigliate il vostro Astrolabio, che, per hauerlo voi ben difeso dale mie persecuzioni, ancor si conserua intero; e ricercate tutto questo vostro periodo, che è più lungo, che la buca delle Fate, che dicono, che và dalla piazza di Fiesole fino a San Giouanni di Firenze; e trouerete, che egli pizzica di monco. Voi dite. [Il Suono procede, essendo l'oggetto di mezo mosso, e tram bustato] Quest'è il concetto, leuatone le parole interposte. Hor giudicate voi, che dolce maniera di costruir sia questa. Ma che più importa è, che io non veggo la causa efficiente, donde procede il suono: La quale è, come vogliono i filosofanti, il percotimento di due corpi sodi; e l'aria, o l'acqua sono il mezo in cui tal suono si riceue, e quindi passa all'orecchie altrui. Doueuate dire adunque. [Il suono procede, sendo l'aria, ò il mezo mosso dal percotimento di due corpi sodi;] che cosi vuole Aristotele Stateui pur da voi con Prisciano, e con tutti quei più saui, che affermano il Cielo far vero suono; perche io mi vuò rimaner con Aristotele. San Tommaso. San Bonauentura. Auuerroe. Alberto. e con tutta la comune dell'vna, e dell'altra scuola, per non mi recar la muffa a buon sapore. E anche vi dò parola, che s'io fossi della vostra Accademia vorrei frodarla ogni giorno, per disimparare cotali dottrine lontane da ogni ragion di vera filosofia. Ma queste stroppiate filosofie, Alimberto, fanno a punto come fece vn piaceuolissimo zoppo. Ritrouandosi vna volta sei amici a vna cena, ogn'vn si pose a tauola senza considerarà precedenza niuna: ma per che tra loro era vn zoppo litterato, il qual, per essere alquanto più modesto, si pose nell'vltimo seggio.Vollero honorarlo del primo, tardi auuedutisi del l'errore: ma egli non l'accetò, dicendo, il sesto luogo si conuiene al trocheo. Volendo inferir, che si come il trocheo piede ne' versi esametri, non può star, se non nella sesta, e vltima sede, percheua senza regola; cosi egli perche era imperfetto; hauendo una gamba lunga, e vna corta, douea fuor di regola tener l'vltimo luogo. Le zoppe, e monche filosofie, adunque, fanno il medesimo, che si pigliano l'infimo luogo da loro stesse. L'armonia celeste è uera; ma non già con quel sentimento, che ne cauate da Pittagora; perche non consiste altramente in numero sonoro, ma si bene in certa proporzione aritmetica, e graziosa bellezza diletteuole a i riguardanti. Trè sono i generi della musica, e armonia, dice Boezio: Vocale, strumentale, e Mondana; e questa sola è quella, che nel Ciel si ritroua, consistendo in certo componimento di parti col tutto; e in vn diuisamento di lumi, di colori di figure, e altri simiglianti proporzioni secondo la natura delle cose, ben che nel Cielo più, che in qual si voglia luogo di questo vniuerso, risplenda. E di questa intese Platone nel suo Fedone; Tolommeo; Plinio nella Istoria naturale. Ne operano contro a ciò le parole di Iobbe al cap. 38. Et concentum Cœli quis dormire fecit? Attesoche metaforicamente si deono intendere, cosi afferma Santo Agostino, San Tommaso, San Hieronimo, Beda, e tutti gli Scolastici; essendo, che ogni cosa consista in certa proporzione di numero peso, e misura. Persuade il medesimo la ragione eziandio: imperoche, non sendo aria nel Cielo, non posson quei corpi cagionare il suono, mancandoui il mezo, che le riceue, e lo porta, come si è di sopra prouato. Ne anche le Stelle posson produrlo, mouendosi per lo Cielo, essendo, che il Cielo e sodo, e quelle son fisse in lui non altramente, che i nodi nel legno, e perciò si muouono al moto dello stesso corpo celeste, e non da loro, fendendo, o violentando quel corpo, da cui possa il suono generarsi. Aggiugnesi, che le stesse sfere, come che l'vna si giri nell'altra, e di mouimento diuerso, nulladimeno, suono gia mai far non possono: conciòsiache per esser corpi semplicissimi, e puri, non può la resistenza fra quegli ritrouarsi, per cagion di ruuidezza, è scabrosità, sì che da quel fregamento nascer ne possa il suono. Quindi è, che non ui si ritroua corpo tenue di mezo, per abilitar quelle sfere al velocissimo corso loro, non vi facendo mestiere. E veramente, se il Cielo fosse corpo arrendeuole, e cedente non per tanto non farebbono suono mouendosi in quello le stelle; perche si muouono vnitamente, e non più ueloci, ò più tarde; donde resultarne possa da quello strisciamento, sibilo, ò armonia veruna. Esemplo ne siano le naui, che mouendosi con lo stesso corso dell’acque non producon suono, ò romore. Ma chi direbbe, quando pur si concedesse i Cieli fare armonia, che, non solamente, ella non si sentisse di quaggiù, ma’ che anche, da quel suono eccessiuo, non fossero stupefatti i sensi, e corrotte eziandio le cose insensate ? Non cagiona il medesimo effetto il tuono , e il tremoto? E che sono cotali romori in comparazion del tuono, e strepito incredibile, che farrebbon cosi gran machine di tanta velocità, douendo proporzionarsi il suono alla grandezza, e velocità del suo producente? Vano per certo sarebbe se chi che sia dicesse, non esser la medesima ragione, ne poter compararsi il tuono elementale all'armonia celeste; conciosiache quello distrugga, e alteri i sensi, e le cose; e questa gioui, e conserui; si come il moto da cui procede il suono genera, e mantiene altresi. Ne aggiungasi ancora, che il sommo artefice, cosi disponente, habbia posto in quella, soauita, e giocondezza sì che molestia non apporti. Perche non è egli vero, che anche la Luce del Sole, quantunque habbia virtù generatiua, conseruatiua, e viuifichi, e illumini; ad ogni modo a chi fissamente il riguarda nocumento a gli occhi cagiona, perche è sensibile di troppa eccellenza? Non patiscono, si distruggono, ò si seccano i corpi lungamente alla spera del Sole esposti nella stagione ardente? Così appunto l'eccessiuo romor delle sfere, da cui fuggir non si potrebbe ne temperamento alcuno ritrouarui, corromperebbe il senso non pur dell'vdito, ma stupidi renderebbe tutti gli animali, e in poco tempo ogni cosa inferiore alla distruzione, e al fine condurrebbe. Ne in difesa di ciò rileuerebbe il dire, che tale armonia, per non esser proporzionato oggetto alle nostre orecchie, non si sente, in quella guisa, che i cani, ò altri animali sentono certi odori, che non sentiamo noi; e noi per lo contrario odoriamo alcune cose non sentite da loro, come per esemplo le rose, che alcuni dicono non esser da loro odorate. conciosia cosa che, oltre al non esser uero, che i cani non sentano olire anche le rose; si risponde, che la differenza consiste solo nell'eccellenza del senso, circa il più, e’l meno apprendere, ò più presto , ò più tardi i sensibili difficili a sentirsi. Ma perche il fuono celeste non sarebbe sensibile, difficile per la sua estrema eccellenza, quindi è, che sè tale armonia fosse nel Cielo, ella si sentirebbe. Ma, che il senso dell'vdito sia proporzionata potenza a sentire ogni suono, lo dice Aristotele, uolendo, che l'anima, secondo l'intelletto, e’l senso sia in potesta, in certo modo ogni cosa. Dicasi, per tanto, che non ui essendo suono, l'udito del Ceruo, eziandio si affaticherebbe in uano, per sentire armonia, doue non è armonia, ne ancora la priuazion di quella. A quella ragione, che si suole addurre, dicendosi, che non si sente tal suono, per l'assuefazion, che habbiamo fin dal nascimento di riceuer nellorecchie, quel suono senza cessar cotale strepito mai; e perciò non possa partorirsi la cognizion della priuazione, e della quiete di quello, posciache vn contrario fa conoscer l'altro: si risponde, che non solamente de' contrari si conoscono i contrari, ma ancora dal più, e dal meno si discernon le cose della medesima spezie essere in natura. si che, sentendo i quaggiù altri suoni, e romori non di pari tuono, si uerrebbe per questi a conoscer quello esserci ancora. Ne è uero, che l'assuefazion non lasci sentire, adducendosi l'esemplo di quegli, che habitanò lungo il mare, e simili, di cui si dice, che non senton quel mormorio dell’onde per la lunga consuetudine, che leua la molestia, perciò che ad ogni modo sentono, ma non senton tanto; e si conosce questo esser vero, massimamente, quando vogliono auuertirui, perche lo sentono appunto, come il primo giorno. Oltre acciò tale armonia, ò non si sente assolutamente, ò respettivamente. Non nel primo modo, perche altramente io domanderò, che testimonio n'habbiano quei tali, che ella vi sia, se ella non si sente: adunque nel secondo modo: adunque si sentirà qualche poco: ma ella non si sente punto; bisognerà pertanto conchiudere, che nel Cielo non sia armonia in veruna maniera. Potrebbe esser bene, che voi l'haueste negli orecchi, e pensaste, che ella fosse anche nel Cielo, come accadde a vn semplice soldato contadino, che per certo accidente, gli parue, vn giorno intero, e la notte dipoi sentir sonare il tamburo. Perche, leuatosi la mattina per tempo, s’armò tutto com'vn'Istrice. La moglie, veduto questo, il domandò doue andar volesse. Rispose; a Firenze à pigliar danari per andare alla guerra che si tocca tamburo a distesa. La pouera moglie co' parenti, e con gli amici non potè mai cauarglielo del capo, che in quel tempo si fossero mai sentiti tamburi, finche egli non venne à Firenze, e chiarissi, che solo ne suoi orecchi sonauano i tamburi. Hora voi, non potendo farne la proua, vi rimarrete con cotesta armonia nell'imaginazione, che buon pro vi faccia. Giorgio Veneto nella sua Armonia del Mondo, non fece come voi, ma scherzò molto leggiadramente. Conciosiache egli ritrouasse nel Cielo tutte le proporzion musicali risultanti da sei numeri, cioè da l'Epitrito, Hemiolio, Duplare, Triplare, Quadruplare, & Epogodo. Dalle varie proporzion di questi si generan, poscia le Simphonie, come il Tono, il Semitono, il Diatesseron, il Diapente, il Diafason, & Disdiafason: onde ne risulta soauissima melodia; ma intellettuale è la celesti, perche ciò sono quei tanti lucidissimi splendori (o Mauri) finalmente, che la uera armonia del Cielo è quell'ordine mirabile, onde Tibullo; Ludite, iam nox iungit equos, currumque sequuntur matris lasciuo sydera fulua Choro. Ne vi crediate, che le parole d'Homero. Multis erus Cœlum, Facciano al vostro proposito; perche volle, come Iobbe significar la creazion del Cielo, essendo, che le cose di simil metallo si gittano in vn tempo, e fannosi d’vn pezzo; Tu forsitam cum eo fabricatus es Cœlos, qui solidissimi quasi ære fusi sunt? Dimostrando, che è incorruttibile, con la somiglianza del bronzo, che è metallo di lunghissima durata. Il medesimo accennar volle Torquato Tasso in vn suo Sonetto con queste parole; Ad eterna memoria altera incide, Là ne’ bronzi del Cielo il sacro nome: della Fama parlando. Non suona adunque il Cielo, e perciò non si rarefa, ne condensa. Onde non è alterabile, ne coruttibile, come ui credeuate; perche non son quei bronzi, come se fossero le campane della celeste Gierusalemme, ma metaforicamente intender si debbono. C. Il rispondere, che sì fatto suono, e concento essendo intenzionale, non occorre, che l'oggetto di mezo sia sottoposto alla possibilità dell'esser mosso, e tramutato, saria del tutto ridicoloso; conciosiache, se questo fosse, la ragion, che s'adduce, perche noi non vdiamo tale armomia, cioè la perfezione dell'vdito, sarebbe apertamente friuola, e vana, auuegnache cotal senso niente si adoperi nello'ntendere detto suono intenzionale. R. Se il suono è intenzionale; adunque il suono non si ode ? Antecedente male inteso, e conseguenza falsa. Male inteso, perche l'essere intenzionale è vna di quelle cose, che non si imparan fuor di camera: però non è marauiglia, che il vostro esperto Nocchiero nòn vel'insegnasse nauigando. Volete voi ch'io vel dica alla libera? i vostri concetti mostruosi mi paiono i Sileni, a cui Socrate fu assimigliato da Platone. Erano i Sileni certe figure di legno strauaganti, e roze, che rappresentauano saluatichi animali; ma aprendosi per lo mezo, dentro vi appariua vn Dio maesteuole, e pomposo: onde il Tasso. Già nell'aprir d’vn rustico Sileno, Merauiglia vedea l'antica etade. Questa differenza veramente è tra i vostri Sileni, e quegli, che i vostri riescon uoti d'ogni bene; se non vogliam dir, che di dentro, come di fuora appaion Sileni. Chi vuol disputar dell'intenzionale, fa mestier, che sappia, che differenza sia tra intenziole, e reale; ma per quel ch'io veggo voi ne siate più innocente, che non è l'agnello della morte del lupo. Bisogna, che dell'intenzionale habbiate qualche nuoua intelligenza cauata da i sogni di Democrito. Ma andate, che, accioche voi guadagnate perdendo, mostrandoui, l'argomento dell'intenzionale non valer nulla, come che ne facciate tanta stima; io vi voglio far grazia, che ne sentiate il parer della vera, e non sognata filosofia, accioche non ne parliate a sproposito da qui innanzi. Diciamo adunque, questo termine intenzionale non significare altro, che vn esser di mezo trà puro intellettuale, e materiale reale, ò ver materiale naturale, che dir vogliamo, perche participa dell'vno, e dell'altro. Non è semplicemente spiritale, perche rappresenta l'esser coporeo, cioè gli accidenti corporali, le quantita, e diuision del corpo di cui manca l'essere spiritale. Non è assolutamente materiale, perche non hà quella corpolenza della cosa materiale reale, se ben la rappresenta: sì che l'imagine, per esemplo, nello specchio, perche rappresenta le dimensioni della mia faccia, le quantità, gli accidenti, e ogni minuzia, per insino i peli, le margini, e somiglianti, dell'esser materiale, non si può chiamare spirituale. Ma dall'altra parte, perche non hà quelle dimensioni, e corpolenza, che mostra quella imagine spiritualizata, non sendo palpabile; però non è materiale reale, ne intellettuale; ma si dice hauere vn’ esser mezano, e questo, intenzionale, s'appella. Chiamasi ragioneuolmente cosi, perche hà vn esser deficiente dal reale in certa guisa, che pare vn ente di ragione, e intellettuale, per dir cosi, non hauendo esser fermo, e stabile, ma per modo di passaggio; come per esemplo il color verde, per le sue spezie manda nell'aria l'esser suo, ma non vi hà quella realità, che hà nel proprio soggetto, cioè nella sostanza dell'herba. Dicesi il medesimo anche della luce; ma con questa differenza, che l'esser naturale reale di essa consiste in questo essere intenzionale; ma l'esser de’ colori, e somiglianti, non consiste nell'esser, che hanno nella spezie intenzionale, ma nell'oggetto, parlando dell'esser reale, e naturale. Esemplo ne fia l'esser naturale della mia faccia, che non è quell'essere intenzionale, che è nello specchio. In somma qualità reale si chiama quella, che à questo fine è fatta, cioè, perche ella sia, benche secondariamente rappresenti altra cosa. Qualita intenzionale s'appella qualunque qualità, che è primieramente instituita, accioche rappresenti altra cosa, come che ancor’ella habbia il suo essere. Che ve ne pare adesso; la risposta dell'intenzionale sarebbe ridicolosa? Se voi non volete errore nel parlare, pigliate da me questo consiglio, Signor Mauri: parlate come la statua di Mennone. Racconta Filostrato nella vita d'Apollonio. che quell'Idolo, essendo posto in luogo, oue era dal Sole illustrato, giunto il raggio solare, al piede; non perciò faceua la sua Maestà senso veruno; ma quando il raggio entraua in bocca, allora tale statua parlaua, dando fuora il suo oracolo. Ma à voi il grande Aristotele appena ha dato lume de primi principi, che hauete voluto dar l'oracolo: e però se aspettauate il Sole alla lingua più, che al piede voi parlauate bene, e non correlate male. Anzi quegli, che così a discorrer si mettono son simili alla testa di bronzo fabricata con tale artificio da Alberto Magno, che parlaua; ma senza sale, perche la zucca era vota. Ditemi per vostra fè, qual filosofo è stato il maestro, da cui hauete apparato, che il suono, se fosse intenzionale, non sarebbe oggetto dell'vdito? Bisognaua prima, che replicaste alle risposte de'buon filosofi, e non faceste veduto di dormire, per metterui in pericolo, che vi fosse fatto vn di quei soffioni, che dite alla considerazion quindici. Anzi che i sensi non riceuono il sensibile mai, se non intenzionale, quantunque alcuni, come il gusto, l'odorato,e'l tatto, lo riceuano anche realmente, se ben la spezie intentionale passa più auanti, che la materiale. Esemplo chiaro ne siano le spezie delle cose visibili, che all'occhio nostro non altramente, che intenzionali trapassano. Chi sarebbe mai si priuo di giudicio, che dicesse, che la stessa pietra, ò monte, che io veggo, mi venisse nell'occhio? Aristotele dice pur, che il senso riceue le forme senza materia, intenzionali. altramente ne seguirebbe, dic'egli, che il senso riceuesse la forma stessa, e la medesimi di numero, che è nell'obietto sensibile, il che è falso per la ragion detta. Ma può ben riceuer a spiritalmente perche tal riceuimento non è altro, che l'imagine di quella forma che ella rappresenta; che per ciò si dice esser la medesima, cioè per rappresentazione; Auerroe, dichiarando il detto luogo ottimamente, afferma, che se il senso riceuesse le forme sensibili con la materia, ne seguiterebbe, che le cose sensibili hauessero il medesimo essere nell'anima, che fuor dell'anima, perche in qualunque luogo di questi sariano materiali. onde, è necessario confessar, che intenzionali si trasportino al senso le spezie delle cose sensibili. Il medesimo Aristotele dice di più; la scienza, e la cosa scibile sono vna cosa stessa; non la cosa materiale scibile, che è fuori dell'anima; una la spiritale che è dentro l'anima: e il medesimo si intende del senso, e del sensibile. Sara adunque, il suono intenzionale oggetto conuencuole dell'vdito. E chi non vede, che non ha del verisimile, che il tuono, che fa vn'Artiglieria sempre si trasporti per lo mezo dell'aria realmente per la distanza di quindici, e venti miglia fino alla miringa dell'orecchie? E perciò, parte realmente, e parte intenzionalmente facendo quel Passaggio, bisogna confessar, che alla potenza vditiva è conueniente, e proprio oggetto il suono intenzionale. Vero è per tanto, che se il Cielo facesse intenzionale armonia, ella si sentirebbe, perche anche le spezie intenzionali hanno vn corpo, che le riceue mediante il quale alla potenza sensitiua si rappresentano. Hor non direte più che, se nel Cielo fosse armonia intenzionale, friuola sia la ragion della perfezion dell'vdito, per rispetto del suono. Sapete voi quel che è friuolo, è vano? Il dir che i Cieli suonino, e non si possan sentir per le ragioni da voi addotte. Almeno haueste voi detto, come Filone nel libro de Somniis; Cœlum perpetuo concentu suorum motuum reddit harmoniam suauissimam, quæ si poset ad nostras aures peruenire excitaret impotentes amores; & insanum desiderium, quo stimulati rerum ad victum necessarium obliuisceremur. Doue par, che al miracolo ascriua, che il suon celeste non giunga alle nostre orecchie, se ben da tutti è ributtato, stimandosi ragion volontaria, e senza autorità sufficiente. A me par, che andiate imitando, con queste fantastiche chimere, Pier di Cosimo pittore, che era tanto strano ceruello, che egli (per quanto si caua dalle vite de Pittori di Giorgio Aretino) si fermaua talora a considerar vn muro, doue lungamente hauessero sputato persone malate, e ne cauaua animali, huomini, città, paesi, e piante strauagantissime, e bizzarie le più nuoue del mondo. Cosi voi certamente non da gli sputi, ma da i sogni degl'infermi ceruelli ch'habbiano i febriconi, par, che facciate nascer tutta quest'opera. Piero almeno, di non nulla faceua qualche cosa; ma voi per lo contrario, di qualche cosa hauete fatto non nulla, cioè della verità la bugia. Discorso. Aggiugnesi per cagione di questo ancora il mouimento della trepidazion di quel Cielo, sè però è vero. E se alcuni dicono Mercurio certe fiate hauere scintillato, egli può essere stato per accidente cagionatosi da certa caligine, e moltitudine di vapori, che spargenti quella luminosa specie, e disunendola habbiano cagionato quello scintillamento, si come souente fanno le stelle non lungi all'orizonte dalla parte Orientale, vicino al nascer del Sole, per la gran copia de’ vapori, che allora si eleuan per l'aria, e la scintillazion maggiore a gl'occhi de’ riguardanti apportano. Onde secondo alcuni anche le Comete scintillano, ma per accidente simile, come si e detto; e perciò non sempre come alle stelle del firmamento cotale effetto accader vedrassi. Anzi direi, che nelle Comete fosse più tosto alzamento, e piegamento di quella fiamma, che producesse la scintillazione, come che non manchino di quegli, che vogliono le Comete non essere accese altramente, ma solo quel vapore, o esalazione, che si sia essere illuminata dal Sole in quella guisa, che alcune fiate s'è veduto qualche nugoletta cosi illustratasi per lo raggio solare, che vn'altro Sole è stata creduta veramente. Dicono alcuni esser ragioneuole il creder, che non siano le Comete ardenti, e accese: imperoche la durata di tali esalazioni appena sarebbe di giorni, non che d'anni interi. Esemplo ne siano, dicono essi, quelle accese esalazioni, che passano scorrendo per l'aria in vn batter d'occhio, e subito suaniscono; le quali stelle cadenti s'appellano. Secondariamente affermano i matematici cotali stelle esser nel Cielo. impercioche al moto di quello si muouono vniformi, facendo tutto il circolar uiaggio per lo spazio di ventiquattro hore. Considerazione XI. Auuertite, che il nostro autore seguita in questa parte l'opinion de’ semplici, i quali sentendo, che e' c'è un moto chiamato della Trepidazione, e insieme vedendo, che le stelle in un certo modo tremano. Risposta. Farò ben io tremare, e rouuinare i vostri deboli argomenti, se non treman le stelle. C. Si son creduti, che cotal moto si sia da gli astronomi imaginato per poter render ragion di questo tremamento, ò scintillamento, che vogliam dire, e che, essendo trouato per questo, sia stato nominato cosi, per conformare il nome suo al suo effetto. R. Io seguo, e seguirò sempre i semplici, quanto alla schiettezza de' sensi, e delle parole in ogni mio affare; ma non già nella abbiettezze, e credulita delle vane opinioni. Al mio proponimento non si ricercaua il disputar, se tale sia il moto di trepidazione, circa la verità della causa, ò dell'effetto, ò del nome, ò se in vn Cielo più, che nell'altro, come che io sappia, il Clauio, il Collegio Conimbricense, e altri infiniti, come voi stesso Confessate, hauere in ciò seguito i semplici essi ancora. Impercioche io domando Alimberto, che di inconuentente; che di contrarietà ne seguirà egli al mio proponimento, ò siano vere, è nò cotali cose? Non hò io prouato per detto degli Astrologi, e Matematici la stella apparita esser nel Cielo con le ragioni loro, trà le quali è questa della trepidazione? Hora, se la trepidazione è nel Cielo e se aggiugne tremamento ò nò, ò se questo scintillamento accada più da vna cagione, che da vn'altra, sì che non ne sia cagione l'accesso, e recesso, che io non l'hò affermato: anzi dissi [se però è vero]; accennando, che à me non caleua il disputarlo; solo mi basta, che l'effetto sia tale, per conchiusion del mio concetto, sì come tutti gli Astrologi, ancor vogliono, che la scintillazione sia propria passion del Cielo stellato. Ho bene affermato, che la scintillazion si cagiona per difetto della potenza visiua, come - afferma Aristotele nel luogo da voi citato, e impugnato a torto. C. Vorrei particolarmente in questo esser bene inteso; acciò non si seguitino in simili affari più tosto gli ignoranti, che gl'intendeti. R. Disse Platone a Socrate [Gratis liba] perche egli non hauea nel conuersare, se non rozezze: ma io dico a voi, che non doureste guardarla in danari, per torre vna casa à linea, ò a vita nel Garbo; perche, si come io non fù mai quel che voi siete; cosi non farete per niun tempo quel ch'io sono. C. I quali dal sentire il nome Trepidazione, non conchiuggono adunque tal mouimento è cagione della Trepidazione, come quegli, che sanno molto bene, che questo è lo stesso moto, menzionato da noi nella Considerazion settima, attribuito al nono, e decimo Cielo, e chiamato latinamente, e nell'Astronomia Motus accessus, & Recessus, ò vero motus in diametrum. Se adunque il moto di quei due cieli, che volgarmente, sì come in latino ancora, quantunque più di rado, si dice per le ragioni addotte dal P.Clauio, il moto della Trepidatione è vero, e certo, si per tanti fenomeni, sì per lo discorso dello stesso nostro Colombo, ilquale per seguire l'Ipotesi Alfonsine, tenute da alcuni per buone, quando non era ancora trouato quell'altro Cielo detto Secunda Libratio, attribuisce tal sorte di mouimento all'ottauo Cielo, in che modo si potrà giammai, come pare, che faccia il nostro autore, non senza qualche contrarietà alle sue conclusioni, mettere in dubbio il moto della Trepidatione ? e chi sarà poi quegli di ceruello cotanto ottuso, che considerando la lungheza, e tardanza di sì fatto moumento, si lasci scappar di bocca, che egli della scintillazion delle stelle, che si vede fare in un momento possa essere in alcuna maniera la cagione ? Ma poiche noi siamo ne’ ragionamenti di questo scintillare, penso sia bene l'andar cercando se si potesse (ilche per infino à quì, se io non sono ingannato non è adiuenuto ) addurne cagione almen verisimile. Aristotele fù d'opinione, che ciò aduenisse, per essere elleno assai lontane, dallo’ndebolir si la vista nostra in mirarle. R. Guardate, che il troppo ardir contro Aristotele, non dipenda più tosto da imprudenza, che da scienza. Ma, se da questo procedesse, non ci hà dubbio alcuno, che le parrebbero più à uno, che a vn'altro, e à vn medesimo più in vn'età, che in un'altra scintillare, secondo l'acutezza, ò deboleza della vista, lagual cosa, per esser manifestamente falsa, pare, che cotale opinione rimanga senza niun fondamento. Credette vn'altro valent'huomo, che lo scintillar fosse cagionato da i corpi mobili, i quali son fra noi, e l'ottauo cielo. Perche (diceua egli ) sì come guardando noi per un gran fuoco l'oggetto, che gl è dietro, per essere detto fuoco mobile, e tremolante, ci pare anche tale oggetto vacillante, e mobile, cosi passando la nostra vista per questa varietà di moti, molto bene ci posson parer le stelle ancora del firmamento tremolare, e scintillare. Sottilissimo pensiero di vero, e che in prima apparenza ha molto del verisimile: ma considerisi, che, se questo è, accadra necesssariamente, ò per lo mouimento diurno, ò pe’ moti propri de’ Pianeti. Per lo diurno non si dee dire: atteso che, oltre all'auere l'ottauo Cielo anch'egli cotal mouimento, le stelle, che si ritrouano nel polo, ò vicine ad esso, come quelle, che anno auanti à separte del cielo quasi ferma, e stabile, ci dourebbono niente, ò almeno manco assai scintillanti apparire. I moti propri ancora de’ pianeti, non mi pare possan cagionar vn cotale effetto. Prima, perche essendo i loro mouimenti tardissimi, molto tardo ancora dourebbe essere il tremolare. E poi detti moti auendo ancor’essi i lor poli, intorno à questi niente, ò poco si aurebbe à veder nelle stelle lo scintillamento, ilquale, come ogn'vn può scorgere, è in tutte il medesmo, cioè tanto in quelle, che son lontane da essi, come in quelle, che son lor vicine: onde ne anche questa openione si dee ammettere per sincera, e sicura. R. E chi mai negherà, che le stelle non appaiano scintillar più a vno, che a vn'altro, e più questa fiata, che quella, e maggiormente in vna parte, che in altra, e altra stella meno eziandio, e altra più ? Sentite vn sottil auttore. Paiono scintillar le stelle, perche mouendosi l'aria, i raggi che vengono a noi perpendicularmente; si frangono; onde par che le stelle tremino, come appunto la ghiaia, e i sassuoli, che nel fondò di qualche limpido fonte appaion tremolare, mediante il corpo di quell'onde correnti. I pianeti non sembrano scintillare; perciò che mandano i raggi loro a’ nostri occhi più viuamente, e con maggiore efficaccia. Alcuna volta le stelle fisse dimostrano di tremar molto più; e paion fare scintillamento anche i Pianeti, che scintillar non sogliono: è questo, perche l'aria è assai più agitata dal vento, che ella non suole: segno manifesto, che indi a poco per lo più si sentira spirare il vento quà giù ancora. Marte perche è alquanto oscuro, rosseggiando scintilla, e massimamente appò coloro, che di vista debole essendo, giudicano più stelle tremolar, che gli altri, non hauendo il vedere acuto. Per la stessa ragione le stelle, che di la dall'Equinozial si ritrouano, maggior trepidazione appar, che facciano, essendo a gli occhi de'riguardanti viè più lontane. Il Can maggiore, eziandio, che molto luminoso, e grande si mostri ad ogni modo, perche e lungi assai tremare il direste; si come in altra parte del Cielo scintillar più, e in altra meno, molte stelle si veggono, come per esemplo quelle, che nel vertice sono, e quelle, che molto splendono, e che grandi sono, e le vicine al Polo ancora; posciache l'aria è quiui meno agitata, e mossa, e il moto delle stelle più tardo. Ma quelle più tremolanti appaiono, che locate sono vicino all'Equinoziale, e che sono più lontane, e piccole; imperoche il corso loro in quella parte è velocissimo, e'l vento assai alto vi spira; onde paiono per tali ragioni più alte, e minori, che elle non sono. I. Ma che la lontananza, e la debolezza della vista, e il mezo diafano alterato possano cagionar tale apparenza di scintillazione, esemplo chiaro ne sia il veder, che, vn lume posto lontano a chi è di vista debole, e corta, gli sembra pieno di raggi non solo, ma scintillante ancora. E quegli, che di possente vista si ritrouano, che di tale sperimento hauessero desiderio in loro stessi, pongansi alquanto lungi a fiaccola, ò candela accesa; quindi serrin gli occhi in guisa, che appena riceuan fra le palpebre quello splendore, e vedranno indubitatamente scintillar quella luce, raggiando intorno, intorno. Del mezo alterato infallibile sperienza n'adduce San Tommaso, affermando che, il Sole, nell'Oriente, e nell'Occaso, per li humidi vapori, che ascendono sopra l'orizonte, diffondendosi dentro i raggi, apparisce tremare, come che il medesimo faccia nel mezò giorno, per l'eccessiuo suo lume, che offende la visiua potenza. Per difettto della vista adunque nasce l'apparenza dello scintillamento, ò trepidazione, come vuole Aristotele, e non altramente, si come è seguitato dalla comune de’ filosofanti. C. A me adunque e sempre paruto incoueniente il dire, che ciò auuenga alle stelle, per cagion lor propria, e interna. Conciosiachè per qual ra-gione loro esser tutte scintilla- nti, quantunque sieno di diuersa materia una lucida, e risplendente, una ignea, un'altra plumbea, e i pianeti esser lontanissimi da simili proprieta? ne meno penso, che la ragion di questo si possa attribuire à noi, ma da noi sia lontanissima, e del tutto aliena. R. Hauete adesso, per le ragioni dette, occasion di conoscer di quanto vi ingannate. C. Poiche à tutti, e nel medesimo modo, e sempre appariscono scintillare. R. Ancora questo, per quanto vi hò mostrato, par solamente a uoi; e perciò non hauete pieno il margine d'allegazioni. Ma forse l'hauete fatto a posta, perche io non mi serua del testimonio loro contro di voi, poiche sempre scelto hauete le dottrine in testificazion de vostri errori, e in mia difesa, per darui da voi medesimo a conoscer per filosofo, e astrologo d'altra qualita, che non è il Colombo. C. Ma si bene son di parere, che tutto l'effetto di ciò al Sole si debba attribuire, il quale lontanissimo, arriuando col suo lume fiacco, e debole alle stelle, lequali non altrimenti, che la Luna, da esso, si come dice Vitellione, riceuono lo splendore, à quelle contribuisca i suoi raggi, per cosi dire à folate: onde se ne cagiona poscia quell'affiebolimento, quasi spirazione, ò anelazione affaticata. R. Io credo, che voi farete, come quei caualieri antichi, di poca stima, che portauano, secondo il costume, in battaglia lo scudo bianco, e talè il manteneuano, si che si moriuan finalmente con esso bianco, per la dappocaggine, senza mai poterlo fregiar di qual che segnalata vittoria. imperoche voi siete venuto per la prima volta in proua con troppo gran campione, a giostrar contr'Aristotele, che non lasciò mai il campo voto a niuno per la seconda lancia. A chi parrà egli mai, che habbia del verisimile tal concetto? E pur osate metterlo in battaglia contro il parer di tant'huomo, che è il vero, per certo, vanamente abusando la sua modestia, poi che egli disse per non affermare [Quæ causa fortè. Voi adunque volete leuargli senza ragione il uanto della cagion di cotale effetto? Tutto il vostro fondamento debole, e fiacco, si appoggia alla fiacchezza de raggi del Sole, perche stimate, che debolmente arriuino alle stelle fisse: Ma donde voi cauiate questa dottrina, per adesso, non v'è piaciuto allegarne autori, ne ragioni eziandio, che più importano. Hora, che dalla mancanza del raggio solare il tremolar delle stelle non adiuenga, si proua; perche non solamente illuminano i suoi raggi fino alle stelle fisse, ma più oltre trapassano: e ci ha chi reputa, che giungano fino al Cristallino, e forse più sù, come afferma il Vallesio tanto eccellente, cosi dicendo. Sol non illustrat totum hunc orbem, sed eam solum partem, quæ motui subiecta est, nam quandoquidem in quarto orbe situs substantque illi tres tantum, superstant verò plures: siguidem planetarum alij tres, insuperque stellatus, & nona sphera, atque qui his superstant, tanto sunt crassiores , quanto sublimiores, constat solis splendorem non pose sedem Beatorum attingere. Di più, Aristotele vuole, che nell'azion fisiche si ricerchi il contatto scambieuole tra l'agente, e'l paziente, acciò che la natura possa validamente produrre i suoi effetti operando, e non patiscano difficulta le cause naturali nell'esercitar la virtù loro. Onde, che dir si dourà egli de’ raggi del Sole agente vniuersalissimo? E tanto più circa l'illuminazione, che è la principale operazion sua, per necessità della Natura? Le stelle di vero se scarsamente riceuessero il lume del Sole, chi direbbe mai, che per mostrarsi così luminose, e risplendenti, ciò basteuole fosse? Altra adunque è la cagion della scintillazione, e più vniuersale; poiche il Sole ancora patisce di tale accidente alcuna fiata, ne però hà mancamento di raggi da cui possa la trepidazione in quello cagionarsi. E che direm noi de’ Pianeti, come per esemplo Mercurio, a cui il medesimo accidente auuiene, e nulladimeno il raggio del Sole in esso, e negli altri abondeuolmente percuote ? E auuertasi, che, se ben lo scintillare è attribuito solamente alle stelle fisse, questo si dee intender, come dice S. Tommaso allegando Simplicio [vt in pluribus.] Aggiungesi, che quantunque i raggi del Sole si distendessero solamente fino all'ottaua sfera, ad ogni modo non si cagionerebbe nelle stelle, per difetto de raggi, il tremamento di esse. Imperòche, ò potrebbe cio accadere per debolezza, e mancanza de' i raggi stessi; o per l'impedimento del corpo diafano mezano tra le stelle, e'l Sole. Non si puo dire il primo; perche non sono i raggi vna qualita corporea, che successiuamente proceda dal suo corpo; non sendo materiali, diuisibili, ne alterabili i raggi, o mancheuoli, si che a somiglianza della fiamma, poiano a solate scemare, e crescere, mancare, e soprabbondare, secondo che la materia al fuoco è somministrata. Nè anche il secondo è da affermare; attesoche non e il diafano del Cielo corpo alterabile, come l'aria, che da mille accidenti perturbata può impedir la vista, e il passaggio della luce; e per tanto, diuerie apparenze, cagionare. Nulla sembianza di vero adunque ha il dir, che per difetto de'raggi solari, si produca la scintillazion delle stelle; ma verissima per lo contrarlo è la ragione Aristotelica, cioè, che, per difetto della potenza uisiua cotal tremamento appaia nelle stelle ritrouarsi; si come ancora per difficultà cagionata dalla mancanza della visual virtù, doue illumina il Sole, appare, che tra i confini del lume, e dell'ombra sia vn certo tremolare, come, se il corpo del Sole volgesse per lo Cielo ascosse, e non vniformemente. La ragion di questo è, dice il Cardano, perche tanto inuisibilmente il Sole si muoue, che stiamo con l'occhio sempre ambiguo, quantunque fissamente osseruramo, ne discernendosi bene il mezo fra il termine della luce, e dell'ombra, perche non è veramente ombra, certa, ne certo lume, ci par che tremi non potendo distinguer quel mouimento l'acutezza del nostro sguardo. Bene è vero, che Aristotele adduce vn'altra ragione, laqual però si può aggiugner per doppia causa di tale effetto; ed è, che, quel corpicciuoli, ò bruscoli, che son per l'aria, mouendo i continuamente, hor nell'ombra, hor nel lume del Sole, fanno parer, che il termine della luce, ò dell'ombra, per quella commozione si muoua tremando. Quella filosofia nuoua pur della medesima stampa di tutte l'altre vostre, donde domin la cauate voi; affermando, che le stelle, perche paion di color diuersi, siano diuerse anche di materia ? Non sapete voi, che gli accidenti non mutan la sostanza ? Noi siamo bianchi, e neri gli Etiopi; e nulladimeno, ne la materia, nè la forma tra noi, e loro è niente diuersa. Oltre che, è falso, che siano le stelle veramente di color diuersi, ma appaion tali, perche il maggiore, e minore splendore, e la distanza fra loro, e'l Sole, e la rarita minore, e maggiore, che in quelle si ritroua produce quella varianza di apparenti colori. Onde per tali cagioni i pianeti non risplendono a noi tutti ugualmente. Le varie disposizion dell'aria, che è mezana tra i Pianeti, e gli occhi nostri, eziandio cagionano cotal varietà di colori, perche non sempre appaiono a vn modo, ma quando più oscure, o più, ò meno lucenti simili stelle. La veduta di essi Pianeti ritrouantisi in maggiore, ò minore alteza di Cielo, e la mutazion della positura ancora fanno varianza di colori, come si vede adiuenire nel collo delle collombe. Ne rileua, che alcuni Astrologi ascriuano i colori diuersia i Pianeti; attesoche è vero apparentemente onde, tra essi Astrologi, molti gli negano esser reali, come vogliono l'uno, e l'altro Mirandolano; il primo contro gli Astrologi; Il secondo nell'Esamina delle vanità, Leggasi intorno a ciò anche Egidio, che benissimo ne parla. Ma finalmente, quando fossero colorate, e vi fosse differenza di colore, perche è si minima, e sono tutte le stelle luminose; io domando, perche non potrebbono scintillare? L'esperienza non mostra il contrario? Vostro danno, se stauate a filosofare in camera serrato, come dite, che fò io con Auerroe, e non vsciuate la notte al sereno a osseruare i colori, e gli scintillamenti delle stelle, non faceuate, come quel pouero Astrologo, che guardando più le stelle, che i passi si fiaccò giù per vna balza il collo. Chi volete, che vi solleui adesso dal precipizio in cui siete caduto, senza che vergogna, e danno ne riportiate? Il Clauio, Vittellione, da voi citati, non posson darui aiuto veruno, poiche nulla dicono circa il vostro concetto della cagion della scintillazione, ne altro autore, che sia degno di lode, ò d'esser letto. Discorso. Cosa che adiuenir non potrebbe, sè elle fossero sotto l’orbe lunare : conciosiache l'aria non si muoua in giro con la medesima velocità del Cielo quantunque suprema, perche l'aria è corpo tenue, e arrendeuole, di maniera, che la region prossimana a quella di cotal violenza non sente; ma è da i venti alterata solamente, al moto de’ quali ella si muoue. Segno euidente ne sia il vedere, che bene spesso per buona pezza le nugole altissime stanno ferme. Terzo aggiungono, che se elle non hauessero hauuto la sede loro sopra l'orbe della Luna, haurebbono con l'altre stelle cangiato aspetto, secondo la varieta de’luoghi, donde sono state riguardate. Si che in Fiorenza, per esemplo, non sarebbono apparite nel medesimo sito di Cielo, che in Padoua. E nulladimeno in questo comuue è stato il parer degli osseruatori, affermando le due sopra mentouate stelle non hauer mutato aspetto, come che non sia mancato chi in Padoua, credo io perigioco, habbia stampato, affermando l'astronomiche misure essere state mancheuoli, e mal conosciute da i matematici in osseruare di cotali stelle la paralasse, a cui da eccellentissimo professore è stato nel medesimo luogo riposto, e stampato altresì, e dimostrato, che la paralasse, ò varietà d'aspetto è infallibil teorema. Ma che tali stelle non habbiano variato aspetto tutti gli Astrologi osseruarono in particolare, che la stella veduta nella Cassiopea per vn'anno intero non cangiò mai distanza, ma sempre fece con tre stelle di detta imagine vna figura, che i matematici rombo appellano, cioè, quasi quadrata. E quest'vltima in Padoua scriuono gli Astrologi il medesimo hauer fatto. Vere per tanto sono le Astronomiche demostrazioni, cioè, che nel Cielo tali apparenze state siano. Ma vero altresì indubitamente è, che il Cielo inalterabile, lontano da ongi straniera impression sia, e non capeuole di nuoue forme, come la vera Filosofia ne'nsegna. - Considerazione XII. Vn che fa professione d'intender d'Astronomia tanto, quanto di Teologia e Filosofia il Colombo. - Risposta. Io m'accorgo, che voi vorreste farmi douentar d'vn Colombo vn'Oca, e ben grossa, ma voi state fresco; non crediate, che io faccia profession d'Astronomia, quanto voi d'Astrologia, che per poco affermareste per uera (cotanto stimate il valor delle stelle) quella bella fauola da Eusebio raccontata, di quello scrittor, che tiene, l’obbe Paiarca non hauer profetato, ma astrologato i futuri gesti de’ suoi figliuoli, allegando quelle parole di libro apocrifo. Legi in tabulis cœli, quæcunque ventura sunt vobis, & filijs vestris. C.Và dicendo, che vna delle ragioni, per le quali i Matematici mettono le nuoue stelle nell'ottauo Cielo, e non nella regione elementale, non è, perche il fuoco, e l'aria si muoua, ò non si muoua con la medesima velocità del Cielo, ma sì bene, perche'l fuoco, e l'aria, per esser rapiti, come tiene Aristotile, dalla sfera della Luna giran per appunto in quella guisa, che gira ella stessa. Onde le stelle, che in quelle parti fossero collocate , dourebbero auere il medesimo corso della Luna. Questi adunque conchiude, che i Matematici non per altro, che per essere stato osseruato, che le stelle nuouamente apparite, non haueuano ne il moto lunare, me anche niun'altro planetale, furon costretti à stimare, che perche elleno manteneuano il medesimo sito con le stelle dell'ottauo Cielo, nell'ottauo Cielo altresì auessero il proprio seggio. R. Nelle scienze, in cui dite nel principio ancora, che molto sono esercitato, beffeggiandomi, si come hauete ueduto, e uedrete per l'auuentre, non v'è toccato mai a porui bocca per assagiarle; e doue hauete per l'improntitudine pur messo identi, non potendole finalmente masticare, ne siate rimaso digiuno più, che prima. Ma a quel ch'io veggo forse non volete Filosofi, ne Teologi in corte di quel buon vecchione Tolomeo, per la ragion, che di lui dice Celio Rodiotto, cioè, perche [ Theologiam, & physicen spreuit. E perciò fece degli errori, come nota il P Clauio. E auuertite, che il peggio e, che sè delle Matematiche, le quali stimate essere vostro cibo, io vi leuo i bocconi mal cotti per li denti vostri, come fin'hora ho fatto, voi non ne gusterete lisca; ed eccoui morto di fame, e finita la guerra. Oh può fare il mondo; almeno replicaste voi bene il mio argomento? Pensa tù qual sara la risposta. Le mie parole, se ben non hanno bisogno di eposizione, sendo chiare, e grandi, come quelle delle scatole da speziali, inferiscon questo, cioè: che, non si mouendo l'aria uniformemente con la medesima velocita del Cielo, non poteua l'apparita stella esser nell'aria; posciache sempre si è mossa col medesimo moto celeste, e ha mantenuto la medesima dutanza, senza mai far varieta. Hora Sig. Mauri, che hauete in contrario ? nulla. O di che sclamate adunque? Perdonatemi, che hauete ragione a dolerui, perche voi fate apunto, come quel pouer huomo, a cui, mancando ogni bene si staua mesto, è piangente; mosso vn vecchio a compassione il domandò, che aueste : nulla rispos'egli. O perche piangi, replicò colui? Di nuouo riposte il pouero, perch'io non hò nulla. Cosi voi, perche nulla hauete, che dire, perciò sclamate. Discorso. Onde per mio intendimento la difficultà tutta nasce da non si essere ben saputo filosofare, quanto alla sostanza di esse stelle, e circa la maniera nella quale elle si siano nel Ciel fatte vedere. Impercioche alcuni sono stati di parere, che tali apparizioni fossero certe esalazioni, o vapori, i quali appoco, appoco assottigliandosi, e salendo, e purificandosi diuenuti siano al Cielo simiglieuoli, e quasi vna cosa stessa. Onde cosi leggieri habbiano penetrato il Cielo, e siano fino all'ottaua sfera ascesi, e quiui spiritosissimi, e risplendenti fattisi, come quegli, che di là sù prima in terra discesi sono, hauendo (perche son della natura del Cielo, dicono essi) attidudine a rilucer per se medesimi, e aiutati ancora dal Sole, e dalla virtù de’ suoi raggi, lambiccati, stelle veramente poscia diuentati sieno. Ma che questi vapori siano della natura medesima del Cielo, prouanlo cosi. Questo Vniuerso è vn corpo solo di cui la terra, e gli elementi son parti; e le parti mai non discordano dal tutto, ne il tutto dalle parti sue, quanto alla natura. Esemplificano col mezo delle varie forme resultanti della materia degli elementi dicendo, che, quantunque varie siano le spezie delle cose per cagion delle forme diuerse, di maniera che, noi veggiamo, per esempio, l'acqua del diamante, ò altra simil gemma esser più pura, e più fissa, che quella del pomo, o d'altra cosa tale; nulladimeno la gemma, e’l pomo costano della medesima materia degli elementi. E cosi vanno di grado, in grado, per le spezie delle cose scorrendo, e la purita della mistione assottigliando fin che alla composition celeste arriuano, credendo, che si nobil corpo delle delizie degli elementi sia prodotto, e di cosi fatta maniera, ridotto in vna quinta essenza tanto semplice, che egli rimanga incorruttibile, auuenga che della natura sia di questi corpi inferiori, e corruttibili. Oltre acciò vogliono con altra ragione affermar che il superior mondo sia per natura caduco, e alterabile, perche non è eterno. L'eternità, dicono, è vna sostanza semplice, sempre eguale à sè stessa, che non si muta, o si muove, o si altera mai; ne ha alcun rispetto di più di meno, d'alto, e basso, d'innanzi, e d'indietro: e'l Cielo è pieno di questi rispetti, e perciò di corruzion capace, ma di lunga durata. E perciò credono, che le celesti sfere siano penetrabili; e con l'esemplo della vista il prouano, quella affermando penetrar fino alle stelle nella guisa che’l Sole co’ suoi raggi l'acqua, e'l vetro penetra eziandio, che siano più grossi, e men puri che’ l Cielo. E si come le gioie non appaiono alterate, ne che patiscono detrimento veruno, ben che elle di continuo euaporino, cosi del Cielo adiuerra, e non altramente quando i vapori cosi puri penetreranno. Conchiudono vltimamente, che quando il corpo celeste durissimo fosse a penetrare nulladimeno resistenza niuna a quei vapori sì spiritosi non farebbe; in quel modo appunto, che le durissime pietre preziose danno luogo al riceuimento delle qualita prime senza restarne offese, o maculate. Considerazione XIII. Attendasi bene adunque à questo discorso, e imparsi il vero modo di filosofare, non quanto alla sostanza, perche di questa, come si è detto nella Considerazion seconda non se ne parla mai, ma quanto alla maniera, nella quale cotali stelle si sien potute vedere, acciò impariamo nuou’uso d'occhiali, de' quali c è data più a basso vna marauigliosa, e rarissima cognizione. Risposta. Se haueste hauuto i miei occhiali non vi sareste abbagliato nel cerear le proue della sostanza ancora; ma, perche non se ne uende sotto la loggia degli offici, e costan troppo, il uostro mobile non ci arriua. Discorso. Hora noi dobbiamo ricordarci, che poco dianzi si stabili la machina celestiale esser di materia, e di natura diuersa da questa de’ sullunari corpi. La onde siano pur l'esalazioni spiritualizate, quanto si vogliano, che mai non muteranno la natura loro per esser più, o meno purificate. Anzi che, tal mutazione, se l'essere specifico importera della cosa tanto più indizio manifesto dara della diuersita di natura trà la materia sua, e quella del Cielo. Impercioche dimostreranne d'essere in potenza a nuoue forme. Qualità che veramente nella celeste materia non alloggia, non sendo ella in potenza ad altro che [ad vbi ] dicono i filosofi. E perciò la materia, che a quella mutation soggiace, sempre la medesima essendo, mestier sara, che sempre sia in potenza a nuoue forme, e conseguentemente, quel vapore assotiglisi quanto può mai, sempre sara corruttibile, appettendo la sua materia altre forme, e ritterra tuttauia le qualità prime degli elementi di cui non è, come di sopra dicemmo, capeuole il Cielo. Ne rileua niente il dir, che tutta questa macchina mundiale sia vn solo corpo, e conseguentemente le sue parti resultino di quella, ne da quella diuerse siano, si come quella eziandio dalle sue parti diuersa non è. Imperoche vn corpo è solamente in genere logico, dicono i filosofanti, cioè per ragion della corporeità, ma non in genere fisico, poi che diuerse maniere di potenza fra la materia celeste, e la materia degli elementi si ritrouano; questa in potenza ad altre forme, e perciò corruttibili gli elementi; e quella in potenza al doue solamente, onde in alterabile è il Cielo. Non è vna adunque la materia di tutte le cose, ma altra è la celeste, altra la elementare. Alla conchiusion poi, che il Cielo sia, per certo modo, corruttibile; perche egli non è eterno, io non sò veder, che buona conseguenza sia questa, per inserirne l'intento loro. Ma, per intelligenza di ciò, è da considerare, che in quattro modi può l'incorruttibilita ritrouarsi, Primo, quando la cosa ha per sua natura necessità d'essere di maniera, che per niuna possanza mai può venir meno; e quest' è IDDIO in cui la vera eternità fa dimoranza. Secondo modo è, quando la cosa niuna comunicanza ha con la materia, chente appunto sono gli Angeli. La terza maniera è quella, che, quantunque la cosa sia alla materia congiunta, auuenga che corruttibil sia, ad ogni modo vien d'altroue dotata di certa qualità, che leua, e non concede il passaggio a niuna alterazione. E tali sono i corpi beati, mediante vn'efficace virtù infusa nell'anima dalla diuina onnipotenza. L'ultimo modo è, quando la cosa, ancorche materiale, talmente della sua primiera forma s'appaga, che altra non ne desidera, quale appunto la materia celeste esser si vede. Onde non corruttibile per natura è assolutamente considerato, ne dilunga durazione, ma per tempo infinito durerà il Cielo, quantunque habbia hauuto principio, riguardando quella parte di durazione, che Euo s'appella. Ma rispetto all'eterno suo fattore da cui l'esistenza, e'l bene essere di tutte le cose depende, caduco, e mancheuole potrà dirsi il Cielo, gli Angeli, e qualunque altra creatura. Percioche solamente quegli è, che esiste per se medesimo, & è. Onde veruna cosa prouano aspettante al proposito loro, dicendo, che eterni quei globi celesti non siano, cioè senza principio, e senza fine, bastando il non hauer fine, accioche il Cielo incorruttibil sia. Ma ritorniamo la onde ci dipartimmo. Dico di più, che i vapori, quando si conducessero fino al cielo, supposto, che deuorati dall'igneo elemento non fossero; eglino, che leggieri fossero stati fino allora, da indi in sù graui sariano, rispetto al luogo non naturale à loro; e per sè medesimi inabili a più alto ascendere si ritrouerebbono; si come l'aria, che assolutamente considerata è leggiera, per giugnere al suo luogo, ma graue rispetto all'elemento del fuoco di maniera, che nel luogo di quello non potrebbe, come graue passare. Considerazione XIIII. A considerare à pieno queste Alchimie d'oro, e queste elementali spiritualizazioni non seruirebbe l'età di Nestore, ne’l ceruello di Platone. Onde io, che non hò l'intelletto cosi spiritualizato, e lambiccato da penetrar queste quinte essenze, me la passerò di leggieri. Risposta. Cosi haueste voi fatto del rimaso dell'opera, per maggior lode vostra. C. A suo luogo, toccando solo di queste materie qualche cosetta, che non habbia bisogno di sottiglieza più, che dozinale. - R. Buon per voi, se vi stauate dentro è cotesti termini. C. E tanto più, che io tengo per certo, che questi luoghi à bastanza abbiano à esser considerati, dichiarati, e corretti da chi oltre allo’ntendersene più di mè, dourebbe auer maggior desiderio, che e' fossero bene’ tesi, e capiti, per hauer dato egli, per quanto posso conoscere, al nostro Sig Colombo occasion di scriuere. R. Douete saper, che, gli attizatori di risse, io gli assimiglio a quei testi rotti, che a niun'altra cosa son buoni, che a portare il fuoco di questa casa in quella: ma perche tale strumento non passa per le case nobili, uoi haurete, per mio auuiso, perduto il tempo. Non ha bisogno di vostre fiancate quegli di cui fate menzione, ne riccucrebbe il mal consiglio del pedante, come è accaduto a voi; e'l conoscerebbe Cimabue, che hauea gli occhi di panno. Io non hebbi mai l'occhio di parlar contro veruna particolar persona; ma solo di dire il parer mio, e attendere a’ concetti come conuiene, e come è stato sempre lecito a ciascuno scrittore, honorando tuttauia coloro, che virtuosamente s'adoperano, come che io discordi da essi in alcuni pareri. Anzi non concorrero mai nell'opinion vostra, che mi sgridate, che io gli habbia lodati infino di ingegnosi, per non mi dimostrar litigioso: e non dimeno per molti rispetti doueuate lodarmene. Mauri voi fate passo con queste carte troppo spesso: elle vi debbon dir molto cattiuo. Può frà, che, lasciate passare i concetti a quattro per volta? Io non vidi mai far l'Alchimie, e tramutar l'oro in piombo, meglio, che a voi, riducendo le buone dottrine in sofisticherie. Ma vi consiglio a fuggire più, che gli Alchimisti l'alchimie; perche, quantunque l'arte sia vera, egli è anche verissimo, che tutti gli Alchimisti alla fine ripieni di fumo, e di fame, tengono vn'occhio al Crociolo lutato, e l'altro alla borsa vota; ne si veggon mai per le strade, che non sian neri, come demoni, e che non paia, che ogni pel chiega vn pane; e ad ogni modo, tale è la lor pazzia, che speran, tra pochi giorni, trouar più oro, che non porta la Flotta al Re di Spagna. Discorso. Oltre acciò non possono i vapori toccare il Cielo, non che per entro a quello penetrare, non sendo egli tangibile. Impercioche egli non è ruuido, morbido, caldo, freddo, humido, ne secco: tutte qualità sottoposte al senso del tatto, delle quali è spogliato quel semplice, e incorruttibil corpo. E che egli toccar non si possa è pur troppo chiaro. Considerazione XV. Ecco vna nuoua dottrina - cauata dal profondo della vera filosofia, che datur vacuum in natura. Perche chi che sia argomenterebbe cosi. Sotto alle sfere celesti vi è il fuoco, e gli altri elementi; ma fra il fuoco, e’l Cielo non vi è niente; adunque frà il fuoco, e'l Cielo v'è vacuo. Si proua la minore, perche il Cielo secondo la filosofia del nostro autore non è tangibile. Risposta. Tutto questo manico si lungo, che voi fate, per diruela, voleua esser di materia assai più loda, che lunga, se voleuate finalmente poterlo attaccare a quei gran mestolini della nuoua stella, e della densità celeste: perche chi non vede, che egli si piega, e rompe nel fabricarlo? Niuna marauiglia è, ch'io tragga la mia dottrina dal profondo della vera filosofia; ma sarebbe da marauigliarsi ben, se voi la sprofondaste con la falsa. Chi v'ha'nsegnato si bella conseguenza, che, se il fuoco non tocca il Cielo, di necessità ne segua il vacuo tra’ l Cielo, el fuoco ? E vero, che tra l'elemento, e'l corpo celeste non è niente, perche il Cielo tocca l'elemento; ma non già l'elemento il Cielo. Aristotele, non dic'egli, disputando contro gli antichi, che non è buon modo d'argomentare Extra Cælum nihil est; ergo vacuum; Ma che bisogna dire, ergo nihil? La ragion, perche il fuoco non tocca il corpo celeste ò, perche non è altro il tatto fisico, propriamente parlando, che quel, che si fa tra diuerse quantità corporee occupanti luogo, di cui l'estreme superficie congiungendosi fanno vicendeuolmente l'azione, e la passion fra di loro. Hora, perche l'elemento del fuoco non comunica in materia col Cielo, non si produce da lui azione in quel corpo, ma si bene la riceue. Onde metaforicamente, e per similitudine si dirà, che l'igneo elemento faccia contatto col Cielo, ma non proprio, ne fisicamente; così dice Egidio Romano. Cum Cœlestia corpora mouent hace inferiora est ibi tactus metaphoricus, ex altera parte tantum: nam ex parte horum inferiorum bene est aptus natus reperiri tacius proprie, sed non ex parte Cœlestium, quia tangunt impassibibiliter. Ecco, che il vacuo si và riempiendo. Cosi si riempiesse quel, che si ritroua, nella borsa, nella scienza, e nel ceruello d'alcuni; perche fuor di questi tre luoghi il vacuo veramente non si dà. C. Ma quì sono di ma passi, perche Aristotele vuole tutto’ l contrario, e se il Colombo non fosse nel resto tutto suo, temerei forte, che non cedendo l'uno all'altro, la lite non infistolisse. E la cagione di questo scompiglio sarebbe stata l'arguire di quel tale, cauandone da quel vostro intangibile necessariamente il vacuo. Onde egli, come huomo da bene, aueua più tosto deliberato di stimare contro’l discorso il Ciel tangibile, che mettere fra simili persone sì gran zizania, fondato in questa sua ragione. R. Haueuate ragione di additar questo mal passatoio, poiche c'hauete dato sì gran colpo, che ve ne ricordarete per lungo - tempo, perche non apriste ben gli occhi a leggere quel tale, cioè il Clauio. Egli dice nel luogo da voi citato. Cælestes orbes sese tangunt mutuo. Ma non dice degli elementi, che tocchino il Cielo; e de'Cieli ancora si intende di contatto quantitatiuo solamente, e non qualitatiuo, come si dice più sotto. Eh non fate questi marroni Alimberto? Forse, che il Clauio si parla fra i denti, da non essere inteso, ò consenso ambiguo da poter dire io l'intendo così. Io credo pur, che il uostro testo, e il mio sian figliuoli del medesimo padre, se già il vostro non fosse scambiato a balia. Toccato adunque è il fuoco dal Cielo per modo di resistenza, se voi desiderate saperlo, la qual non è altro, che vn certo impedimento dell'azion senza contrasto, o repugnanza contro l'impediente: ne hà cotal repugnanza altro esser, che priuatiuo, non sendo altro, che quel non riceuer, ne ammetter l'azione. E se ben questo modo priuatiuo non è da per sè in predicamento; nulladimeno si riduce al predicamento dell'azione, e passione. Onde cotal resistenza non debbe dirsi, che sia nel Cielo, ma nello stesso elemento, che non può toccare il Cielo, quantunque sia toccato da esso. Dicono graui dottori, che, se chi che sia fosse vicino alla Luna, e distendesse la mano, conoscerebbe per intelletto, e col senso interiore di non poter penetrar nel Cielo, ne toccarlo, per qualche ostacolo, ma non di qualità sensibile, non hauendo tali accidenti il corpo celeste. E come che i sensibili comuni non possan sentirsi, se non mediante i sensibili propri; nientedimeno si farebbe tale imperfetta sensazione adogni modo: imperoche, essendo di due maniere tangibili; l'uno matematico, e l'altro fisico; e toccando nel primo modo, che solo tatto quantitatiuo si appella; e non nel secondo, che è quantitatiuo, e qualitatiuo insieme; si sentirebbe, per priuatione, e mancanza de sensibili propri: conciosiacosache il senso interno, essendo in atto per sentire, e non sentendo, si dice che egli sente di non sentire il sensibile proprio. E questo basta per far la sensazion del sensibile comune quantitauo. Perciò Aristotele nel secondo dell'Anima, al capo settimo, e i seguenti vuole, che Eodem sensu percipiamus obiectum proprium, & etiam priuationem illius; Si come il medesimo occhio conosce la luce, e le tenebre. C. Quelche rapito, e girato è dalla sfera Lunare, è toccato dal Cielo: Ma il fuoco è rapito, e girato, secondo Aristotele dalla sfera della Luna; adunque il fuoco tocca il Cielo: adunque il Cielo è tangibile. R.Oltre che non è vero, che ciò che è girato, e rapito dalla sfera lunare, sia toccato dal Cielo; si negano queste due conseguenze, non solo perche non son di buona Loica, per le ragion dette, ma etiandio, perche, della prima in buona conseguenza, doueuate dire; adunque il fuoco è toccato dal Cielo: e cosi non seguiua, che il Cielo fosse tangibile altramente. C. Ma teme non ve ne ridiate, Sig. Colombo, rispondendo voi, secondo, che egli si persuade per i vostri sottili ritrouamenti, prontissimamente, che ò madonna Luna hà certi spaghetti, per i quali, senza imbrattarsi le mani, si tira dietro quella parte d'elementi, ò vero che ella si serue di certi strumenti à guisa di soffioni, per lo cui alito, e vento sò dir’io, che gli fa trottare. Potrebbe di vero replicare, che'l vento non essendo altro che aria commossa, almeno da questa aria perturbata è toccato'l Cielo: ma non ne vuol far’ altro, perche subito lo fareste forse, tacere, dicendo: che questo non è di quei venti nostrali, ma d'una sorte non conosciuta , e straniera. R. Hor cred'io, che uoi sareste il caso suo per soffione; e che habbiate gonfie le nari, e inquieto soffiate, ruggendo com'vn Leone accanito, posciache, questi sbeffamenti ritornano in capo à voi. E vero ch'io rido; non gia di questa melensagine degli spaghetti, che niente friza; ma che ella mi fa ricordar d'vn certo huomo, che, hauendo dato nelle girelle, si mise vn giorno alla finestra con la bocca piena d'acqua a far con vn fil di paglia vn bel zampillo nella via, ma perche vide la moglie, che tornaua di fuora, subito si leuò. Ella, giunta in casa, il domandò, perche si fosse fuggito, pensando, che fosse stato effetto di vergogna quel, che era segno di maggior pazzia; posciache egli rispose. Perche io hauea paura, che tù mi tirassi giù, attaccandoti a quell'acqua. e ciò disse parendogli, che fosse vno spaghetto. Torniamo a noi. Siate voi capace adesso, che il Cielo non è tangibile, e che, se ben non è toccato dal fuoco, non per tanto non vi è il vacuo? Anzi, che se lassù fosse il vacuo, il Sole, la Luna, e l'altre stelle, non solamente non ci manderebbono il lume, ma ne eziandio vedremmo i corpi loro, perche, non vi essendo il diafano di mezo, per cui le spezie si diffondono, e i raggi, che son portati a noi; come si potrebbon mai da gli occhi nostri vedere? Il lume, che è forma corporale ha mestier d'vn corpo, che lo riceua, e trasporti, cosa che nel vacuo non può accader senza fallo veruno. Ecco il testimonio d'Aristotele nel secondo dell'Anima; [per vacuum] dic'egli [non est videre. ] Non che sia impotente la cosa visibile, ò l'occhio, che dee vedere, ma nasce dal mancamento del mezo, si come colui, che hà fame, e non può mangiare, perche non hà cibo; onde non è impedito, ma non è aiutato, e però non mangia. Discorso. Posciache, se il contiguo elemento suo il toccasse, conseguentemente le sue qualità gli comunicherebbe. Si che ormai l'attiuo suo calore, eccitato dal rapido mouimento di esso Cielo, haurebbe per tante migliaia d'anni la fabrica celeste alterata tutta di maniera, che, se bene ella per lungo spazio di tempo, secondo que'tali combustibile non fosse, come si vede all'oro adiuenire, ad ogni modo si rarefarebbe liquefacendosi, e rossa del color del lo stesso fuoco douenterebbe, e consumeriasene alquanto , in quella guisa che all'oro medesimo accade. Anziche l'oro per la mistion d'altri metalli, e minierali si muta di natura eziandio, come gli Alchimisti sanno. Non possono adunque giugnere i vapori al Cielo, toccare, e penetrar quello. Ma quando pur si volesse conceder, che passar vi potessero, e di natura celeste douentare, chi crederà gia mai, che, se quei vapori cotanto esanimati, e cosi spiritosi ridotti, e meno che l'aria visibili, giungessero là doue le stelle assai maggiori della terra si perdono d'occhio in tanta altezza; quegli veder si potessero in sembianza delle maggiori fiammelle, che nello stellato alloggiano? Considerazione XVI. Se adunque il fuoco come efficacemente mi penso, si proua nella Considerazion passata, tocca il Cielo, il Cielo per vostra conseguenza, Sig. Colombo, aurà le qualità del fuoco: adunque calidità, contro à quello, che auete affermato più volte. Risposta. Voi hauete la bocca tanto gentile, el gusto così alterato che ancor ch'io v'habbia ridiguazzato, e ripesto nel mortaio ben bene ogni cosa non c'è stato verso a farui inghiottir questo boccon salutifero. Orsù andate io hò anche masticato, e inzuccherato, che è più, questa medicina di modo, che la virtù ritenitrice, se bene è fiacca, non la doura sdegnare. Altramente io vi prometto, che vi morrete per mio conto, nella vostra infirmità: perche a dirlaui, questa cortesia vsataui, non è la carita di Don Tubero, che masticaua il zucchero a'malati; e per ciò la faceua volentieri, C. Il perche la cosa v’andrà molto male, se per risposta non si arreca a quella ragione altro, che ò spaghetti, ò soffioni. E quanto sia debole, e uano il vostro argomento dell'attiuità del fuoco, ilqual dite , se toccasse il Cielo aurebbe già liquefatta la celeste machina, lo dimostra, come s’è accennato nella Considerazione VIII. nel suo trattato il Padouano. R. La Filosofia è molto mal condotta, se ella debbe stare a sindica- to di Cecco di Ronchitti. ma, gli habbiano risposto, per non mandare sconsolato [se ben era meglio il tacere. C. Ma di più si potrebbe far palese la sua falsità; imperocche, sì come è cosa notissima, gli elementi ne’ lor luoghi non anno inclinazione al nuocere, ma più tosto maggior naturalità al giouare: onde argomentano, e dicono gli Astrologi, che i pianeti ne’ propri luoghi son sempre di miglior condizione. Il fuoco adunque ritrouandosi nel proprio sito, per sua natura, giouerà sommamente, ne per quell'arrotamento, cagionato dal moto del Cielo, essendo eccitata, secondo’l vostro parere, l’attiuità del suo calore, potrà apportar nocumento alcuno all'vniuerso: anzi cotal mouimento, per esser naturale, sarà conseruatiuo delle primiere qualità, e nature d'amendue que’ corpi. R. Di tanto mi dolgo circa questa mia fatica, ch'io non potrò mostrar la sottigliezza dell'ingegno mio, di cui diceste dianzi, alle persone letterate in rispondere a gli argomenti vostri; perche non son nuoui, ne ingegnosi da suegliar l'intelletto, ma più tosto nausa, e fastidio apportano. Sapete come son le vostre saluatiche dottrine ? simili alle Ficaie, che nascon nelle rupi, di cui solamente i Corui, e Nibbi, e altri somiglianti vccellacci si pascono. Gli elementi ne luoghi loro, e anche fuor di quelli non sò, che habbiano inchinazione a nuocere per alcun modo, ne per alcun tempo; e, se di fatto alcuna fiata nuocono, ciò accade per accidente; e questo basterebbe per risposta alle vostre argomentazioni insolite. Ma per ch'io veggo, che l'intenzion vostra è di arguire, che il fuoco nella sua sfera non arda; si risponde così: che egli è vero, che il fuoco nella sua sfera non arde, perche, essendo nel suo luogo conseruante, non hà bisogno di cibo; ma che ad ogni modo le sue forze si rinuigoriscono, e son più robuste, che fuori del suo luogo, mediante il moto velocissimo del Cielo, che e sodo, e l'arruota, e trita, oltre al lume del Sole, e delle stelle, che aggiungono calore, e dal calor nasce rarefazione, e dalla rarefazion si cagiona, che, volendo ampliarsi, e occupar più luogo, l'aria cerca farli resistenza, e così egli la diuora, e consuma, in se stesso mutandola. e perciò, secondo le parti sue estreme sempre è in operazione il fuoco, e non cessa mai di abbrucciare necessitato dalla mistion de’ moti, dal corso celeste, per bisogno della natura. E se egli non si auanza, e non si dilata, se non fino a certo termine, che non altera l'ordine della scambieuolezza: ciò adiuiene, perche riman, secondo le parti, da gli altri elementi superato, conciòsiache, nel far la sua azione in quelli, sente la reazion molto più efficace. e s'infieuolisce, perche la virtù de corpi naturali, agguagliandosi alla quantita della mole, non può minima parte dell'igneo elemento, fuor del suo luogo, superare il gran corpo dell'aria nella sua sfera. E questo per beneficio della natura, accioche durino lungamente, e l'vno non distrugga l'altro. Hora, se quel calore infocasse'l corpo celeste, perche è di grandezza incomparabile, di velocità inestimabile, di sostanza sodissima; non solo non contrasterebbono gli elementi con l'attiuità voracissima corrispondente a quel corpo; ma incontanente ridurrebbe in cenere ogni cosa, massimamente, che le forme elementali, e in particular quella del fuoco sempre stanno in continua operazione. C. Aggiugnesi, che non è vero, che l'attiuo calor del fuoco possa niente di più esser’eccitato, ò accresciuto dal rapido mouimento del Cielo, attesochè girando amenduni il Cielo, el fuoco di compagnia, con la medesima velocità, viene à mancare quell'arrotamento, dal quale, con questa condizione però, se violento fosse, e non naturale, potrebbe forse nascere qualche accrescimento di caldeza. R. La violenza, che fa il Cielo all'Elemento igneo non è violenza di contrarieta corruttiua, ma conseruatiua, e gioueuole, perche accresce il suo calore, e lo conserua, come per esemplo il soffio del mantice, che augumenta, e vigore accresce allo stesso fuoco, benche gli sia violento. Che tal violenza si faccia dal Cielo all'elemento del fuoco, per cagion della difformità de mouimenti s'è mostrato à bastanza accader dalla difformità de mobili, essendo quel denso, questo raro, quel sodo, questo arrendeuole, e alterabile. Se teste vi pigliate gusto, e gioco di schernir le mie dottrine, e quelle d'Aristotele, e di più graui autori ridendoui de'fatti miei, col dirmi, che mi andra nolto male: io dirò auoi, come disse la Volpe al Lupo. Diede vn pastore vna solenne bastonata al Lupo sù la schiena, sì che egli per la pena, ritirando le labra, digrignaua, e mostraua tutti i denti. Ilche veduto la Volpe, e pensando, che egli se ne ridesse; ridi quanto tu vuoi, diss'ella, cotesta e stata vna mala bastonata. Cosi dico a voi, che burlate, e ridete, quando vi è stato riueduto il pelo da ritto, e da rouescio. Discorso. La ragione a non crederlo ne persuade. Impercioche, i vapori non son tutta la terra, ma vna parte menomissima di quella, e cotal parte in guisa lambiccata, e assottigliata, che quasi al niente ridotta, menzogna sarebbe il voler pur dire, che fin dall'ottaua sfera si lasciasse quel vapor vedere. E perche, se quei vapori per virtù propria, e per virtù delle attraenti stelle, stelle douentano, il Sol non potra da se solo fare il medesimo effetto? Onde continuamente accaso sparse appariranno nel Ciel nuoue stelle: Cosa che falsa appare per l'osseruanza di molti secoli trascorsi il contrario dimostrante. Considerazione XVII. Questa ragion non vale vn zero: perche vna menoma parte di tutta la terra andatasene in vapori, e in aria, come dice Aristotile, può diuenir molto maggior, che non è la terra, in quella guisa, che fa la poluere d'archibuso, la quale accesa, e suaporizata, cresce le decine di centinaia più del corpo suo primiero, e di quì aduiene, perche non capendo ella più in quello strumento, ne esce con quella furia, e forza, onde ne proceda incontanente sì fatto scoppio. Risposta. Sapete quel ch'io v'hò da dire? quanto più sangue vi fate trar da questa uostra piaga, tanto più l'incrudelite. Arist. da voi citato fa comparazion tra le quantità de’ corpi elementali; e vuol, che, per esemplo dieci parti d'aria sieno in quantità vna parte d'acqua, per esser quella tanto più densa; ma non afferma già come voi, che l'aria multiplichi le decine delle centinaia di parti sopra una d'acqua. Considerate adunque, i vapori quanto potranno accrescersi, quand'escon dalla terra, quasi ridotti in aria, tanto sottili sono. Onde, chi crederà mai, che possano, rarefacendosi quei pochi vapori, cotanto spaziarsi, che auanzino di latitudine mille volte lo spazio, che occupa il corpo della terra, che è quasi come, se si ampliassero, per dir cosi, in infinito? Cosa, che veramente è impossibile, dice San Tommaso con tali parole. Quod etiam dicunt de rarefatione corporis in infinitum, propter hoc, quod corpus est diuisibile in infinitum: vanum est: non enim corpus naturale in infinitum diuiditur, aut rarefit, sed vsque ad certum terminum. Ma, quando tal rarefazion potesse farsi, indubitatamente benche non più di cento braccia si eleuassero cotali uapori, dai nostri occhi veder non si potrebbono. Onde, che menzogna sarebbe il creder ciò, quando fossero ascesi fino allo stellato Cielo? Le stelle si veggon non solamente perche son magggiori della terra tante uolte, ma eziandio, perche son dense, e luminose, che altramente visibili non sarebbono all'occhio humano. Oltre acciò non passano i uapori la seconda region dell'aria, come uoi medesimo affermate alla Considerazion 43. E che più importa, il vogliono tutti i filosofi, e in particular San Tommaso. Dicere enim quod aquæ vaporabiliter resolutæ eleuentur supra cœlum sydereum, ut quidam dixerunt est omnino impossibile, tum propter soliditatem cœli , tum propter regionem ignis mediam, quæ huiusmodi vapore consumeret, tum quia locus quo feruntur leuia, & rara est infra concauum orbis Lunæ, tum etiam, quia sensibiliter apparent vapores non eleuari usque ad cacumina quorundam montium. Che più ? il uostro Vitellione, e Alhacen, dicono l'esalazioni non ascender più alto, che tredici leuci, cioè 52. miglia. Al meno haueste uoi degnato il dubbio seguente, circa la uirtù del Sole, per cui si farrebbe la generazion di tante stelle generandosi di uapori. Crediate pur, che non si può far peggio nelle dispute, che finger di non ueder gli argomenti, e lasciarli in asso: perche è manifesto segno d'arrenamento, e di debolezza di schiena irreparabile. Quanta al uostro esemplo della poluere d'archibuso, perche non proua a bastanza, faceste bene a seruirui della figura dell'amplificazione; poiche il Cardano afferma, che solamente occupa vna parte di poluere, cento uolte più luogo a darle fuoco, che non fa spenta. e nulladimeno, per esser corpo denso, e ristretto in quel poco luogo, bisogna dir, che molto più de vapori spaziare, e ampliar si possa. Ne anche è uero, che, la causa efficiente dello scoppio, che fa la poluere sia quell'impeto, e forza della poluere solamente: imperò che tre sono le cagioni di cotale accidente, dice lo stesso autore nel medesimo luogo. La prima è il fuoco, che, attiuissimo essendo, per lo suo calore, subito s'appiglia a quella materia ben disposta, e la rarefa, sforzandosi dilatarla in quella stretta canna dell'archibuso: onde con gran uiolenza la scuote per ogni parte; ne trouando altra via più facile per vfcir fuora, che donde entrò la palla, di quiui con gran forza scappa molta violenza facendo, per lungo spazio, anche alla stessa aria, che le si oppone, cagion di strepito maggiore. La seconda è la stessa palla, che per l'impeto stride nel fender l'aria. Finalmente, ed è la terza cagione, il salnitro anch'egli scoppia, come si vede, che fà da se stesso nel fuoco, benche non racchiuso, come ogn'altro sale. Quindi soggiugne; His tribus causis, sed prima præcipue dum exoneratur machina fragor tantus, ac tonitru non absimilis excitatur. Hora vedete, che il fuoco è vera, e principal cagion di cotale accidente; e l'altre cose son cause strumentali, e materiali, come la poluere, la palla, l'archibuso, e simili. Discorso. Aggiungo, che se pur nelle celesti sfere nuoue stelle si generassero il mouimento loro cesserebbe, secondo, che Aristotele ne'nsegna; affermando egli, che la natura del Motore è cosi adequata al mobile, che aggiuntoui vn minimo corpicciuolo farebbe sproporzion tra il mobile, e'l motor suo. Ma si dee intender sanamente Aristotele, cioè , che di qualunque corpo la virtù, e la dignità sendo finita, finita altresì, e adeguata à quello è la virtù del mouente suo: sì che il mobile non perciò è graue, ne il motor si stanca; ma la sfera dell'attiua di quell'Angelo, che a quell'orbe assiste più oltre non si estende. All'altre ragioni, e esempli, che dintorno a tali esalazioni, e vapori adducono questi valent'huomini, non par, che mestier faccia di risposta. Impercioche (e auuertasi hora per sempre ) quando i principali fondamenti doue tutta la machina si regge rouinati saranno, secondo il creder nostro, vano sarebbe il prender noia di far cader le mura, che precipitan per se medesime. Vengo all'esempio, che apportano in mezo, dicendo, che si come la vista passa tutti i Cielo, e arriua alle stelle senza alterazion di quei corpi; cosi è non altramente penetrar possono il Cielo quelli spiritualizati vapori. Considerazione XVIII. Leggasi per cortesia quel trattatello del Padouano, e veggasi quanto si dea stimare simile argomento. Rispesta. O fatemi di queste, ch'io vi prometto, che spacciatamente ci spediremo. Perch'io leui la briga altrui di legger Cecco, poi che vi siete uergognato a mentouar le sue dottrine, quantunque egli sia tutto vostro, per esser elle più tosto da zanni, che da filosofo; non voglio restar di apportarle in mezo. Egli, beffeggiando Aristotele, risponde, al Signor Lorenzini, che vsa le sue ragioni, e dice, che non mancano i letterati, che tengono, che il Ciel non si muoua: alludendo a quella opinion ch'io citai nella risposta della quinta considerazione, rinnouata dal Copernico, e seguitata da lui solo, o pochi più, senza ragion veruna, che verisimile appaia. Ma voi perche non rispondete alle mie ragioni, fuor di quella della mancanza del moto, addotte? E a quella parui, che tal risposta sia degna di filosofo ? Se volete imitar gli Areopagiti , che hauean precetto di giudicare al buio, almeno imitategli interamente. Essi hauean cotal costume, per fuggire il pericolo di destar l'affetto dell'amore, o dell'odio : ma voi sentenziate a chius'occhi, per non destar l'appetito ragioneuole a conoscer la verita. Discorso. E primieramente si nega, che i raggi visuali vadano à trouar gli oggetti visibili, e massimamente le stelle. Considerazione XIX. Non occorreua veramente entrate in queste contese, atteso che (dato ancora, che la vista si faccia intromittendo) per questo non s’annulla l'esemplo, anzi si mantiene in quanto à questa parte nello stesso vigore, dicendosi in cotal maniera. - Si come la spezie delle stelle passa tutti i Cieli, e arriua a gli occhi nostri senza alterazion di que’ corpi, cosi, e non altrimenti, penetrar possono il Cielo quegli spiritualizati vapori. Risposta. Certamente, che egli si può far comparazione conueneuole tra i vapori, e le spezie delle stelle; queste intenzionali, e spirituali essendo, e quegli corporei, e materiali, si che, se quelle penetrano i Cieli, la conseguenza sia, che anche i vapori penetrar gli possano. Ricordateui in buon'ora, che tra intenzionale, e reale è molta differenza, come prouammo di sopra; e perciò conoscerete, che tanto conuengono i uapori materiali, con le spezie delle stelle spirituali intenzionali, quanto le scrofe con le Scimie. Finalmente la differenza è tale, che sè i uapori penetrassero il Cielo, cagionerebbon reale, e materiale immutazione, che alteratiua, e corruttiua s'appella: ma le spezie luminose producono in quei corpi celesti immutazione intenzionale, e spiritale. Onde non corruttiua, ma perfettiua immutazion dee chiamarsi, perche introduce la farma di qualche cosa, senza scacciamento di contrari; come per esemplo la bianchezza, che nell'occhio, ò nello specchio, ò nell'aria cagiona la sua spezie, niuna altra forma cacciandone. Signor Mauri a’ vostri esempi, e accaduto in quella stessa maniera, che alle penne degli altri vccelli, quando s'accostano a quelle dell'Aquila, perche subito rimangon rose, e annullate da certa qualità di esse penne dicono i naturali. Penne d'Aquila son le ragion de famosi autori, da cui suanir si fanno simili esemplivani, e leggieri, a somiglianza di penne d'vccelletti, quali son certi filosofastri suo lazzanti. C. E tanto più mi pareua pur si douesse lasciare andar si fatta quistione, perche io mi vò imaginando, che ella sia stata messa in campo, forse per mostrare di mantener sempre in qual si voglia cosa la sentenza d'Aristotile. R. Io veramente in questo particulare seguo Aristotele, per non errar come hauete fatto voi. C. Conciosache non è chiaro ancora qual delle due opinioni si tenga quel filosofo. - R. Si appo voi, che ancor siate irresoluto di qual vogliate riceuer per vera; e pur vorreste seguitar la falsa, o per lo manco far’ vn mescuglio d'amendue insieme: e cosi, stando fra due , non pascete l'intelletto di cibo veruno. Onde quadrano al proposito vostro quei versi di Dante. In fra due cibi distanti, e mouenti D'un modo prima si morria di fame, Che liber’huom l'vn si reccasse a’ denti. C. Alquale non come se fosse interprete della natura, ma la natura stessa, si da ad intendere il nostro autore, che gran resia sarebbe il non credergli. R. Così è, in questo particolare, si come in molt’altre cose, Natura locuta est ex ore Aristotelis. C. Imperoche disputando egli di questo con Democrito, con Empedocle, e con Platone, tiene, che la vista si faccia intromettendo, e cosi bene spesso tiene ancora altroue. Ma non perciò mancano luoghi, donde manifestamente si può argomentare, che egli non dispregiaua, come fa quì il nostro Colombo. R. Come son’io vostro, se non conuenite in cosa niuna meco, accioch'io sia tutto mio? Voi fate à somiglianza di quei Tiranni, che fanno, e consigliano ogni cosa da sè, e per sè soli; e nulladimeno con finta modestia, dicon Noi, per non soddisfare anche in questo alla coscienza loro, douendo dire lo. C. Anzi molto apprezaua la contraria oppenione. R. Vi ingannate, che egli la dispreggia, come falsa, ma come non variante i suoi concetti, ne parla da perspettiuo, per accomodarsi a’ termini, e modo di intender comune, come hò fatto, e farò io ancora: e perciò nel secondo della Topica, dice, che dobbiamo vsar quel modo di parlar, che adoperano, e che intendono i più, quando però non varia il concetto. Cosi dicono eziandio Auerroe. C. Poiche, ricercando la ragione, perche una sola cosa alcuna fiata apparisca esser due; ciò accade , dice egli, perche i raggi d'amendue gli occhi non tendono allo stesso punto. Medesimamente, inuesitgando il perche d'altri curiosissimi effetti, solo col tenere, che la vista si faccia extramittendo, rende a pieno la ragione di essi. Ne si discosta da simil sentenza, volendo egli assegnare le cagioni dell'Arcobaleno, dell'Alone, delle Verge, e del Parelio, anzi auanti renda le ragioni di queste apparenze, faccendo prima tre presupposti fonda in questa opinione il primo, del quale poscia si serue, adducendolo, come prossima cagion di cotali effetti. Ne si dica in alcun modo, che egli in detti luoghi seguitasse l'opinione, che si faccia, extramittendo, non come propria, e vera, ma come quella, che allora era tenuta da’ più. Imperocche, se al Filosofo si conuiene saper le vere cagion delle cose, per potere attribuire à quelle gli effetti naturali, sì come ne insegna Aristotile stesso, vn bel giudizio sarebbe stato il suo, fondare la cagione di essi (poiche afferma sempre cotali accidenti cagionarsi dalla refrazione della vista) in fondamento debole, e tenuto da lui per falso, quantunque da altri accettato per vero. Onde se io non m'inganno, si vede manifestamente, che Aristotele non fu cotanto schizinoso in voler dare questa prerogatiua agli occhi, che auessero à esser visitati, senza poter rendere, come ben creati ancor’ essi; la visita agli oggetti visibili. R. Signor sì, che in questo , come nell'altre cose vi siete ingannato; poiche, ne anche per termine di creanza vuole Aristotele, che i raggi visuali debbano incontrar quelle venerande matrone delle spezie delle cose. Non direbbe il Galateo, che si come vn gran personaggio; per esemplo il nipote del Papa, per l'eccellenza del grado, riceue, e non rende le visite, eziandio a’ Cardinali; Così l'occhio, per esser luogotenente dell'intelletto, poscia, che tutto ciò che questi vede, quegli intende, la sua maesta ricerchi l'aspettar le visite de colori, che nella carrozza delle spezie il vanno a trouar, senza che, per dignità dell'officio, renda la visita? Aristotele, come stimate voi, non merita altramente nome di poco giudizioso, ma dee, per la stessa ragione, la prudenza di esso grandemente commendarsi; poiche egli, volendo non mettere in dubbio, che deboli fossero i suoi fondamenti in determinar la cagion di quelle apparenze, si seruì dell'opinion platonica di già diuulgata, e comunemente riceuuta, che la vision si facesse estramittendo, posciache l'effetto era il medesimo, sendo l'vna, e l'altra causa materiale; cosi afferma egli medesimo dicendo della causa dell'Arcobaleno. Nihil interesse an emissione, an receptione visionem fieri dicamus. Oltre acciò, non era tempo di trattar quiui, disputando, cotal materia, massimamente, che egli, come di sopra dicemmo, non vsò mai confonder le dottrine, ma quelle a’ propri luoghi disputare, doue mestier non faceua altramente. Questa medesima regola adoperò ancora nel render la ragion, perche la Lanterna mandi fuora il lume per quel vetro, dicendo, che ciò accade, perche il vetro, e l'osso hanno le porosita; e nulladimeno l'opinion sua, e vera è, perche simili cose trasparenti sono. Ma perche di questo parlò nella Posteriora, non era luogo conueneuole a disputar di tal materia: percioche ad ogni modo, trattandosi della causa materiale, l'effetto sarebbe stato il medesimo, benche la visione estramitendo non si faccia. E che direste, s'io vi citassi grandi ingegni fra’ quali vino, e il Mazzone, che pretendon Platone hauer tenuto, che la vision si faccia per riceuimento delle spezie? Ecco le parole di Platone da lor addotte, In Timeo. Colores ad efficiendum visum in oculum immitti. Ma se volete dirla, come ella sta, io men'auueggo, voi vorreste accommodarui appoco, appoco, che non paresse vostro fatto, col parer d'Aristotile, e perciò andate variando destramente, per calarui con manco vergogna. E io ve ne consiglio, perche [sapientis est mutare consilium; ] e'l douereste fare almeno per le ragion, che vi dirò adesso, atte a persuadere ogni altro piu ostinato di voi. Non è egli chiaro al senso, che le spezie degli oggetti visibili, si diffondon per l'aria, come gli specchi manifestamente ne dimostrano? sì. Qual perspettiuo farà mai cosi apertamente vedere i ragi visuali vscir fuor dell'occhio, e andar per l'aria a trouar le cose visibili? Sè quelle adunque si veggono sensibilmente andare all'occhio, chi ardirà dir, che non le spezie si riceuano entro di quello, ma che i raggi visibili a quelle giungano; per far la visione? Ne ha del verisimile, ne veruna necessita ne spinge a crederlo, che gli vni, e l'altre si vadano a rincontrare; perche sarebbe vn volere indouinar, per opporsi al senso, e a vna verissima proposizion riceuuta da tutti i filosofanti, cioè Quod potesi fieri per pauciora frustra fit per plura, nelle naturali cose, massimamente , perche a dirne il vero, qual ragion s'addurrà egli, per tal opinion, che vana non sia? E la doue alcuni non si rincuorano di ben rispondere, come gli occhiali faccian meglio veder, se non dicono farsi la visione estramittendo; io, per lo contrario dico, che non si può a bastanza rispondere, se non si afferma la vista farsi intramittendo. Imperoche, sè i raggi visuali hanno bisogno d'andare a ritrouare, ò incontrar le spezie visibili, a che fine adoperar gli occhiali per meglio, e più comodamente vedere? Non verranno impediti i raggi da quel vetro che, più oltre passar non potranno. E, se chi che sia mi rispondesse, che il vetro, per esser poroso, non può ritenergli, in quella maniera, che non ritiene i raggi del Sole; io replicherei, che, lasciando di dir, che i raggi visuali non son cotanto incorporei, come quegli del Sole; non posson penetrar per quel vetro rettamente (supposto, che lo penetrassero ) perche i suoi pori son tortuosi, obliqui, e non retti; altramente il vetro non si terrebbe insieme vnito, e non haurebbe le sue parti continue: onde non anderebbono a far la base della piramide sopra l'oggetto visibile da noi ricercato per linea retta, mediante la quali vogliono i perspettiui potersi far la visione intera, e perfetta. Anzi dico assolutamente, che non solo i raggi visuali non penetrano il uetro per li pori, ma ne anche il trapassano i raggi del Sole. E quel lume, che per esempio si vede passar dentro vna fenestra di vetro è vno splendor generato di nuouo, per cagion de'raggi solari in quel corpo trasparente, Di uero, che, sè i raggi visuali andassero, a trouar le cose visibili, non occorrerebbe adoperar gli occhiali, perche quel vetro, riceuendo il lume esterno illuminasse maggiormente la pupilla dell'occhio, accioche meglio discernesse i colori: perche, haurebbono lume a bastanza, sì gl'occhi de’ vecchi, come gl'occhi de'giouani, douendo riceuere il lume sopra l'oggetto visibile, e non dentro all'occhio. Per due altre cagioni sogliono gli occhiali adoperarsi; l'vna è per vnir le spezie, e l'altra per maggiori rappresentarle. Hora, che vtile apporterebbon con l'vso loro gli occhiali, se i raggi andassero a trouar le spezie, e le cose visibili ? Anzi danno apportarebbono; perche, si come in quel corpo diafano del vetro non passano sì le spezie de’ colori intenzionali, che nella superficie di quello non si terminino, e rappresentino; cosi vengon da quella i raggi uisiui rattenuti, e terminati, che i perspettiui direbbon refratti, come appunto si vede, che fa una moneta possa in vn uaso d'acqua, laquale, mandando la sua spezie alla volta della superficie di quell'acqua, vien' da essa superficie refratta, e terminata sì, che eziandio, che, per impedimento dell'orlo del vaso, a chi è lontano veder non si lasciasse la moneta, ad ogni modo si vede la sua spezie in quella superficie, come se la stessa moneta ui fosse. La ragione è, perche niuna cosa è visibile senza vna superficie terminante, la quale è uisibile inquanto, che rappresenta i colori, e mediante quella sono le spezieterminate, e fatte visibili. Onde i colori nell'aria non si veggono, perche non vi è superficie, che gli termini, e riduca in atto. Auuertasi ancora, che vna cosa non può vedersi, mediante più superficie, ma solo mediante quella, che è all'occhio più uicina, conciosiache quella, rispetto colui, che guarda, è superficie visibile in atto, e le più sontane in potenza, e perciò non si veggon, perche quel che è in potenza non è visibile. Donde si caua, che la moneta, che è nel uaso pien d'acqua non è ueduta, come pare, nel fondo di esso uaso, ma nella superficie dell'acqua in cui si rappresenta la spezie di essa moneta. Ecco vn'esperienza manifesta, che i raggi uisuali non uanno a trouar gli oggetti uisibili. Non è egli uero, che quella cosa, che fa l'azione, quella è causa della mutazione? sì. Ma noi ueggiamo, che a mettere una guastada d'acqua fra un'oggetto uisibile, e l'occhio, l'oggetto par maggiore all'ontanandolo è minore auuicinandolo, come si è prouato alla Considerazione 43. in risposta, e che non fa cotal mutazione accostandosi, ò dilongandosi l'occhio: dunque la uision non si fa, mediante i raggi uisuali, non si facendo l'azion da loro. Dico di più, che se la uista si facesse, per li raggi uisuali uscenti dell'occhio, questa azion non sarebbe immanente, come dice il filosofo, e nell'occhio; ma ne’ raggi, là doue riceuessero l'obbietto; e pure è uerissimo che, [Vbi est atio, ibi est passio. ] Ma la passion si fà nell'occhio: adunque iui si fa l'azione altresì del uedere. Ne è sofficiente risposta il dir, che basti, che rimanga l'azione in qualche cosa vscita dall'occhio; perche ne seguiterebbe, che la generazion fosse azione immanente, essendo, che ella riman nel seme dell'animale; il che è falso. Oltre acciò i raggi farebbon quegli, che senso haurebbono; facendo essi fuora dell'occhio la sensazione. Contro la sententia d'Aristotele, cioè, che la uista si faccia intramittendo, si dubita, come possa vn monte, mediante la sua spezie, che tanto piccola nella pupilla dell'occhio si rappresenta, ò gran parte del Cielo giudicarsi dall'occhio grande qual'è ueramente; non parendo, che sodisfaccia a pieno, la risposta comune, cioè, che le spezie intenzionali , che passano dall'oggetto uisibile all'occhio, per non esser corporee, e materiali, non sian quante, se ben rappresentan la quantità dell'oggetto loro; e che perciò non occupin luogo; atteso, che ad ogni modo resta in piedi la medesima dubitanza, sendo che l'essere intenzionale, perche è esser fisico, deemuouer la potenza fisicamente; e per conseguenza si stimeranno le cose, come le spezie loro, della stessa piccolezza, che l'occhio le riceue, e che elle si rappresentano. Hora, io mi crederei, che per maggior chiarezza la difficultà si potesse forse leuar cosi. Si come nella fantasia, racchiusa in quella piccola cella del capo dell'animale, si riceue, mediante la spezie intenzionale, la grandezza d'un monte, o di qualunque altro gran corpo; in qualche spazio di tempo, e successiuamente, se ben quasi impercettibile, sì che par, che in un'istante si riceua, quantunque uero non sia; peroche la cogitatiua, e la fantasia, non operan senza tempo: così, e non altramente nella pupilla dell'occhio le spezie intenzionali degli obbietti uisibili, benche grandi, si riceuono. Perloche, ancorche appaia, che in un momento s'apprendano tali spezie cosi grandi egli di uero non è cosi, conciosiache l'occhio, velocissimo essendo nella sua operazione ci fà stimar, che senza tempo si riceuan quelle imagini, che successiuamente si riceuono, come che in tempo brevissimo, e inconsiderabile, ciò accada. Bene è uero, che imperfetta è tal uisione, e confusa, non si potendo in cosi breue spazio, dice Vitellione, e gli altri perspettiui minutamente, e di perfetta cognizion riscorrer da tutte le parti l'oggetto visibile. conciosiache in quella sola linea uisuale, che passa per lo mezo della piramide, che forma l'occhio sopra l'obbietto, la quale, Asse i perspettiui appellano, si produce la perfetta visione, e non in tutta la base, che l'obbietto comprende in quel sì poco tempo. Sono le spezie, o imagini delle cose, che per l'aria si diffondono indiuisibili, perche sono immateriali, e intenzionali, come dice Aristotele nell'Anima. Omnes sensus esse receptiuos specterum sine materia. Onde non occupano mai luogo quatumque grandi siano gli oggetti, da cui elle deriuano; ma si bene rappresentan lo spazio, che occupa la magnitudine del loro obbietto, la qual non è rappresentata nell'occhio cosi grande, perche egli non è capace, quantunque materiali non sieno, ne corpulente, che possano impedirsi fra di loro. Esemplo chiaro ne siano le spezie de’ colori, che nellastessa aria, e nello stesso tempo, e luogo si spaziano, che, comeche contrari siano, nulladimeno senza mischianza alcuna, o confusion cagionare, non corrotti, ne alterati passano allo specchio, e all'occhio a rappresentare i propri oggetti loro, e molti colori, eziandio insieme distintamente nell'occhio, e nello specchio nel tempo stesso si riceuono, perche spiritali, e immateriali sono. Hora l'occhio, che è specchio viuo, e animato, e alla sua operazion uelocissimo di moto, scorre quasi senza tempo, e le spezie, che per l'aria sparte sono in ogni punto di essa, riceue, e fa la vision, non s'accorgendo, che successiuamente quelle riceue, per quanto si spazia l'oggetto, che le produce; e perciò, grandi com'elle sono, in un momento par che'l senso le riceua. Ne si rechi in dubio, se possa vn solo oggetto multiplicar le sue spezie per l'aria fin doue si dilata la sfera della sua attiuità. perche è natura, dicono i filosofi, delle qualità sensibili multiplicar le spezie nell'aria in infinito; e l'esperienza il conferma, e dimostra, che uno stesso obbietto si rappresenta tutto in ogni punto dell'aria, mediante la sua spezie, poiche infiniti specchi rappresenterebbono l'imagini d'una medesima cosa, infiniti occhi, e infiniti orecchi la spezie intenzionale d'vn solo obbietto riceuono per quanto si spazia la potenza dell'oggetto, che le spezie cagiona. E come che il medesimo oggetto visibile, diciamo un monte Morello, piccolo rappresentandosi nello specchio, piccolo altresì l'occhio lo giudichi, e non come è ueramente; cotal differenza non da altro adiuiene, che da quella superficie piccola dello specchio in cui si termina, non solo la spezie, e imagine del monte, ma la vista ancora: doue per lo contrario guardandosi verso il monte, la spezie di quello, che è di mezo fra lui, e l'occhio nostro, non hauendo altra superficie, che quella dello stesso monte, che la termini, e renda visibile, è necessario, che grande si rappresenti quanto la superficie, che la termina: onde l'occhio, per comprender tutta quella imagine si spazia, e trascorre tutta la grandezza della superficie di esso monte nella quale, e non in altra superficie egli si quieta; e per conseguenza non può giudicare il monte se non grande come è, se ben piccolo il giudica nello specchio; ma grande può dirsi, che lo stimi ancora in esso specchio, se rispetto habbiamo alla piccolezza nella quale alla pupilla dell'occhio si rappresenta; auuenendo ciò, come si è detto, dalla velocità dell'occhio, che quella imagine, e superfice trascorre in cosi poco tempo, che nol conosce. E a chi per auuentura dubitasse, come accader possa, se la vista si fa per riceuimento delle spezie nell'ochio, che noi veggiamo le cose in faccia, per la banda dinanzi, e non veggiamo la parte di dietro, come si vede, che l'imagine d'un'huomo è riuolta col viso uerso colui, che nello specchio si guarda, e il capo uiene a esser riuolto verso la parte deretana dello specchio: si risponde, che ciò addiuiene, perche, essendo le spezie, e imagini delle cose intenzionali, e senza materia, e passando nell'occhio, che è trasparente a guisa di cristallo, l'imagine della cosa si rappresenta tanto dall'vna parte, quanto dall'altra, in quella guisa, che veggiamo in vn sudario, ò in vn vetro l’imagine di che che sia scolpita, o dipinta d’amendue le bande, per esser trasparente quel corpo. La medesima risposta vale per isclor la dubitanza di coloro ancora, che dicono, che, se per intromissione è vero, che la vision si faccia, dourebbe altresì esser vero, che mutata apparisse la destra, e la sinistra parte delle cose rappresentate all'occhio, quale appunto nello specchio appaiono. Conchiudere adunque Sig. Mauri; che quegli, che difender vogliono gli antichi contro Aristotele, ne quegli, ne Aristotele intendono. Bel caso, mi ricorda in proposito. Vno scolare di ceruello assai tondo, che perspettiua ad apparar si mise, non fu mai capace, come i raggi visuali potessero andare a pigliare gli oggetti visibili, fin tanto, che il maestro suo non gliel cacciò nella testa con l'esemplo delle chiocciole, le quali, hauendo gli occhi sopra le corna, quando ueder uogliono gli cauan fuora alla volta della cosa visibile, con essi tutta ricercandola. Ma andò si la bisogna, che il buono scolare se l'impresse di maniera nell'imaginazione, che egli entrò in humor di non voler andar più fra la calca, parendoli andare a rischio di percuotere i raggi visuali, nel cauargli fuora, come le chiocciole le corna. Discorso. E chi è quegli, che dar si voglia a credere, che l'orizonte - della visual potenza, & c. Considerazione XX. Impara questa. L'Orizonte della visual potenza, in vece di dire Linea della visual potenza. Risposta. Non solo questa, ma cent'altre cose hauete da mè apparate, e siete per uia d'appararne molte più, che è peggio, in ricompensa de beffeggiamenti, ch'io riceuo da uoi. C. Vn semplice Astronomo direbbe solo. L’Orizonte del tal paese, come quegli, che per ancora non sà, in che modo possa auere la visual potenza l'Orizonte. R. E perciò Macrobio, che non è semplice Astronomo, ha uoluto lasciar, che, chi ama parlar da semplice, troui il suo luogo non occupato da lui posciache, Hic Orizon, dic'egli, quem sibi vniuscuiusque circunscribit aspectus. E soggiunge Centum enim, & octoginta stadia non exce- dit acies contra videntis. E ne’Saturnali dice lo stesso, Cicerone ancora afferma; l’Orizonte esser detto cosi, Quia cœlum diuidit, quasi medium, & nostrum aspectum definit. Centum, & octoginta stadia non excedere putatur, cum oculorum acies vltertus se non extendat. Ma che dico Macrobio, e Cicerone, se gli astronomi, e perspettiui, e matematici, e filosofi vnitamente dicono il medesimo? Il Sacrobosco non dice; Horizon vero est circulus diuidens inferius hemisphærium a superiori. Vnde appellatur Horizon, idest, terminator visus? Onde il Padre Clauio nel suo comento afferma questo esser l'Orizonte sensibile nominato, che secondo Macrobio non più, che cento ottanta stadi si spazia la meta di esso; e, referendo il parer di molti d'intorno a cotal lontananza, conchiude finalmente, la maggiore essere reputata di cinquecento stadi, che rileuano miglia sessantadua in circa. Voletene voi maggior canlendari ? Discorso. Si estenda fino alle stelle, che il medesimo quasi è, che dire in qual si uoglia distanza? Io non mi lascierò mai ingannar da color, che voglion fondarsi sopra l'autorita d'Hiparco, e altri perspettiui; posciache l'esperienza, madre delle cose questa falsa credenza ne palesa. Impercioche vn'oggetto, per causa di lontananza, non veduto, a quello auucinandosi, ò vero il mezo diafano ingrossando il veggiamo; come chiaramente lo ci fanno toccar con mano quegli, che, hauendo la vista corta, mediante gli occhiali, che maggior la cosa visibile rappresentano, scorgon quelle cose, che non potrebbon, senza cotal mezo altramente vedere. Segni cuidenti son questi, che non in qualunque lontananza si dilata la visiua potenza. Considerazione XXI. Si dee sapere, che tale apparisce l'oggetto visibile, quale e l'angolo, che si fà all'occhio, da’ raggi visuali, ò vengano quelli dall oggetto all'occhio, ò vero dall'occhio alloggetto. Risposta. O questa è solenne, Domin, che voi vogliate, che da l'oggetto possano vscir raggi visuali, e andare all'occhio ? Questa menziogna non mi farete uoi testimoniare a ueruno autore, come hò fatt'io la verità dell'orizonte della visual potenza. C. Perche io mi protesto, che per non importar niente, quanto e al nostro proposito, non ci farò differenza alcuna. R. Anzi importa tanto, che, se la vista si facesse, perche i raggi visuali andassero a trouar le cose visibili, impossibile saria, che arriuar potessero fino alle stelle, dice Aristotile. e cosi, non si vedendo, non haureste fattami questa guerra. C. Se adunque l'Angolo (intendendo però secondo Pietro de Alaico, che detto Angolo non possa mai passar l’acuto) sarà grande, grande ancora apparir à l’oggetto: se piccolo, piccolo: R.Chi ne dubita, che gli oggetti visibili posti in proporzionata distanza, essendo illuminato il mezo diafano, e non impedita la visiua potenza, che, le spezie di già sparte per tutta la sfera dell'attuita di essi oggetti gli rappresenteranno all'occhio, facendoli vedere ? Il fatto stà, che, se la vision si facesse estramittendo, la ragion della grandezza degli oggetti uisibili non varrebbe nulla per prouar l'intento vostro, ma più toste la falsità di quello ne dimostra. Concosiache i raggi, iquali, secondo voi, si dilungano dall'occhio, per giungere all'oggetto uisibile, hanno anch'essi la uirtù loro finita, e fino a certo termine si spaziano, oltre alquale non si estende la loro attiuità. Onde, se passato quel termine fosse vn'oggetto, per dir cosi, grande quanto tutto il Cielo, ad ogni modo visibile non sarebbe, non essendo compreso da i raggi visuali. Hora Aristotele dice, che stoltizia saria il dir, che alle stelle arriuassero i raggi uisuali: adunque è falso, secondo il vostro parere, che l'oggetto, crescendo secondo la lontananza, si possa in qualunque distanza uedere, se bene è vero, conceduto, che la vista non si faccia estramittendo. C. Ma per due cagioni l'angolo diuien grande, e per esser l'oggetto grande, e per esser vicino all'occhio. Onde se accadrà vna sola di queste due, l'oggetto apparirà mediocre ; perche sarà mediocre l'angolo. Se niuna, anzi la cosa da vedersi sia per se stessa piccolissima, e oltre a questo molto lontana dall'occhio, sparirà del tutto, perche all’ora quell'angolo s’auuiciner à all'angolo della contingenza, ilquale, come dicono i Perspettiui, non è per la sua strettezza basteuouole al vedere. Dì quì nasce, che vna cosa stessa veduta in diuerse distanze, diuersa altresì apparisce di grandezza: perche di continuo si diuersifica l'angolo, facendosi sempre più grande, per la vicinanza di quella, come manifestamente si scorge in questa figura. R. Di grazia non perdete tempo à disegnar figure, perche il fatto è verissimo, ne è chi vel neghi: ma la cagione è diuersa molto dal creder vostro non si facendo la vision se non per riceuimento delle spezie delle cose visibili nell'occhio. E perche voi non mi pigliaste in parole, come vorreste fare ad Aristotele, siaui à memoria, che, quando parlerò co’ termini perspettiui, non douete far capital, se non del modo del parlare, per esser inteso meglio, poi che l'effetto è il medesimo. C. Ora gettati questi fondamenti, dico, che l'autore hà il torto à non voler, che in qual si voglia distanza s'estenda la visual potenza, sì come aurebbe anche il torto ad affermare, che ella s'estendesse in qual si voglia vicinità, auuengache ponga egli pure un'oggetto lontano, quanto gli piace, e concedasi ancora à me (poiche ogni osa visibile hà una certa determinata, distanza, oltre alla quale più non si può scorge) pigliarlo à proporzion della lontananza, grande, quanto si conuiene, che io l'assicuro, che sempre cotale oggetto sarà visibile. Perlo contrario auuicini à se medesimo, quanto e' vuole, u. g. un'Atomo, che mai la sua virtù visiua sarà bastante poterlo scorgere. Imperocche, se la base di quella piramide, per la qual si genera la veduta, non cade sotto grandeza sensibile, essendo Atomo, che sarà l'angolo? R. Se non hauete miglior fondamenti, vi bisognera dormire a occhi aperti, come la lepre, acciò che Arno per la prima piena non ne porti voi, e loro insieme. Ma andate; che io voglio mostrarui, che quando voi voleste creder, che la uista, efframittendo, si facesse, non ui haurebbe mestier, che gli oggetti fossero maggiori per potersi ueder più di lungi; e che ogni oggetto, benche piccolo, si uedrebbe in qualunque lontananza, doue linea visuale, ò raggio tanto fuori dell'occhio vscisse, che la cosa sensibile non fosse sopra il senso, che il mezo illuminato non restasse, e la cosa da vedersi quantità sensibile non hauesse. Dico adunque, che, consistendo, secondo i perspettiui, la vision perfetta in quella linea visuale, che passa fuora dell'occhio, per lo mezo della piramide, laqual linea, se bene è quanta non fà angolo, ne piramide, però è detta Asse della piramide, cotal linea, arriuando in ogni lontananza, farà la vision d'ogni minima cosa, che minore non sia della grossezza di essa linea; sì che sè vna mosca fosse, per esemplo sù la palla della cupola del Duomo di Firenze, chi fissasse lo sguardo in quella, certamente la vedrebbe, come che piccola fosse. Anzi che, quantunque l'oggetto visibile habbia necessità d'esser tanto grande, che la piramide visuale faccia tanta base, che l'occhio riceua l'Angolo tanto largo, che non si accosti à quello della contingenza, ò del contatto, che dir vogliamo; quiui potrebbe farsi questo ancora, poiche la mosca è sopra vn corpo si grande, che l'occhio può comprenderla dentro vna piramide, che faccia base, quanto gli fa di mestiere. Non è egli vero, che vna macchia in vn corpo grande, che pur si può uedere, è alle uolte minor, che vna mosca? E le mi si risponde, che è visibile vina piccola cosa in vn gran corso, quando non è molto lontana; ma che leuatala di certa proporzione, sì che ella non faccia più angolo, l'occhio non può uederla: io replicherò, che adunque non sia vero, che la perfetta vision consista in quella linea sola Asse appellata; e che ella non uada sola altramente, per minutamente discernere, a'nfilzar la mossa: cosa, che è contro l'opinion comun de’ perspettiui, e vostra ancora. Bisogna perciò confessare assolutamente, che altra sia la cagion del uedere, che i raggi visuali. Sono alcuni vermicelli minori, che vn punto di penna piccolissimo, che lontani dall'occhio più d'un braccio si scorgono; nulladimeno, chi direbbe mai, che tanta base potesse far la piramide visuale in quel corpicciuolo, che per tre linee distinte, che pur hanno grandezza, per non esser matematiche, si potesse cagionar l'angolo nell'occhio, necessario per la visione? Queste difficultà non vengono, dicendosi, che la vision si faccia per riceuimento delle spezie, lequali, non potendo in qual si uoglia distanza difondersi; ma solamente in lontananza determinata, secondo la grandezza del corpo, da cui elle procedono; per questo, non giungendo all'occhio, egli non può uederle; e le troppo piccole cose, ò troppo vicine, non si veggon, perche suanisce dell'vne la spezie per l'aria, e dell'altre, perche non sendo il mezo illuminato, veder non si lasciano l'imagini, che le rappresentano. Discorso. Macrobio nel sogno di Scipione vuol, che la sfera della visual virtù si possa spaziar non più, che cento ottanta stadi, sia quella della retta, ò della pregata linea, e dicono essere vno stadio l'ottaua parte d'un miglio solamente di piedi geometrici. Hora se di qui alla superficie concaua del Cielo stellato son miglia cento milioni sette cento sessantamila cento nouanta noue; come potrà gia mai il raggio dell'occhio nostro fin la sù dilungarsi ? Dicasi adunque con Aristotele, che la verità del fatto e, che la vision si fa per riceuimento delle spezie delle cose visibili, che all'occhio s'appresentano, ma in distanza possibile, e proporzionata, e non si fa estramittendo altramente. Ma quando si ammettesse, per lasciar la contesa, che i raggi dell'occhio andassero a trouar l'obbietto visibile, e che penetrassero il Cielo, non per tanto non conchiuderebbe l'esempio. impercioche il raggio visuale non è corporeo, come i vapori, ma intenzionale, e però non possono i uapori, quale i raggi uisiui, penetrare il Cielo. E l'esemplo del Sole da lor portato in mezo, per prouanza, che in quella guisa, che egli penetra il vetro, e l'acqua, il vapor trapassa per entro il cielo; se io non m'inganno proua contro di loro, poi che si uede, che i vapori si posson tener racchiusi un vn vetro, e non esalano da quello, ne si partono, come fa il Sole: e cosi vano, per esperienza, sarà l'esemplo loro. Quando inferiscono, che si come, le prime qualità dentro le gioie durissime trapassano, diciamo il fuoco verbigrazia nel diamante; cosi il Cielo (auuenga che durissimo fosse) da quelle esalazion penetrato sarebbe; si risponde, che non corre l'esemplo, e perciò non proua altramente. Imperoche le qualità de'corpi misti son vicendeuolmente comunicabili infra di loro, perche conuengono in materia, e hanno i medesimi principi. Oltre acciò non è misto cosi puro, come che durissimo sia, che porosità non habbia, auuenga che al senso nostro non appaia. Onde i naturali affermano, che le gioie ancora suaporano, e gittano odore; hauendo ciò osseruato da alcuni animali, che all'odorato le ritrouano. Ma la sostanza celeste, che è semplice, di maniera è densa, che ha la diafanità senza pori; e senza crassizie, o siccita, è soda. E perciò il Cielo, non può con le gemme in questo compararsi. Ne si dee mica dir secondo il parer loro, che trattabile, e cedente, e condensebil sia la sostanza del Cielo, in quella guisa, che l'acqua, e l'aria esser si vede; si che le stelle, quasi tanti pesci, ò vecelli essendo, per lo gran campo celeste di uagare a lor uoglia hauessero talento. Impercioche, auuenga che, essi l'argomentino, dicendo, che altamente non potrebbon tra quelle sfere tanti epicicli, eccentrici deferenti, adeguanti, e altre simili diuision ritrouarsi: egli è da auuertire, che non solamente imaginarie son tutte queste partizion planetali, ma che, eziandio quando reali, e uere fossero, perche tutte mouimenti circolari rappresentano, e non contrari, perche sopra diuersi poli si girano; necessita uetuna ui saria, che arrendeuole fosse quella sostanza per dar luogo al riuolgimento degli altri circoli, che per entro di essa si muouono. Anzi che, quantunque denso, e durissimo sia il Cielo, ad ogni modo non fa mestiero, che tra le superficie dell'uno orbe, e dell'altro aria, ò simil corpo tenue si ritroui, per dar luogo al facilissimo uolgersi delle sfere uicendeuolmente l'una nell'altra. Conciosiache, nuda è la region celeste, e spogliata di tutte le qualita; che resistenza apportano, chente è la ruuidezza, scabrosità, e grauità dalla mistion resultanti de’ corpi elementari. Ma perche semplicissimo è quel corpo, quinci è che l'un Cielo nell'altro di mouimenti diuersi, ma non contrari si gira con somma agilita. Considerazione XXII. Non vi date ad intendere Sig. Colombo, ò almen non vogliate persuadere ad altri, che Macrobio sia dalla vostra, perche'l fatto passa diuersamente. Conciossiache egli afferma, che noi possiamo veder’ un monte posto in lontanissime parti, anzi le superne ragion del Cielo, distanti da noi di vero altro che 180. stadi; con la qual distanza, quantunque egli poi misuri il semidiametro dell'Orizonte, descritto da’ raggi nostri visuali: per lo piano, non si può per questo argomentare, che la nostra visual potenza, senza comparazione non si dilati molto più, quando ella non andando, come dic’egli, terra terra, se ne và per l'aria, solleuata, innalzandosi. A talche anche secondo Macrobio, contra'l vostro credere, à ragione affermeremo, che la nostra virtù visiua peruiene alla nuoua stella posta ancora nel primo mobile, per esser’ella situata in alto. Risposta. E chi lo dice noi, che Macrobio non tenga dalla mia? Da Macrobio si caua, che se l'orizonte della uista ha non più, che cento ottanta stadi di semidiametro guardando terra terra egli non possa far tanta differenza, guardando uerso il Cielo, che importi tanti milion di migliaia di miglia, che è quasi senza proporzione, e in comparabile. E a qual virtù mai s'ascrivera cotanta uarianza ? Per questo Arist. disse. Irrationabile vero omnino est exeunte quodam, visum videre, & aut extendi usque ad Astra, aut quodamtenus producente coadherere: sicut quidam dicunt. Come si è ragionato ancora in alcuni discorsi che io son per istam par d'intorno alle quattro marauglie dell'huomo, doue si dice de raggi, che dall’occhio si mandano, se sian uisuali, ò nò. C. E se io pensassi, che voi pure stesse ostinato nella vostra openione, auendo fitto il capo in quel suo Orizonte. R. Hora uedete, che io nel'hò cauato, e postoci il uostro, e non sò quando mai ui basterà l'animo d'vscirne, per molte girauolte, che dentro ui facciate. C. Per poco vi prouerrei, che quell'autore, per altro Graue, piglia notabile errore in determinare’ l detto semidiametro: ma non penso sia necessario. R. Piano, la uostra pacienza, non sia, come quella di quel pouero huomo, a cui sendo ricordato, che nelle sue miserie sopportasse in pace, rispose. Fratello, io confesso il debito, ma paga tù per mè, che io no ho il modo. E che importa disputar, se quell'è il semidiametro appunto, della sfera de'raggi uisiui, ò nò? A me basta, secondo questa lontananza poiche nulla rileua, quando ella fosse più trè uolte, hauere argomentato a sofficienza, che impossibil sia, secondo i perspettiui ancora, che fino all'otta a sfera, i raggi uisuali arriuar possano, per non vi esser comparazion di distanza tra il guardar uerso l'orizonte, e verso il Cielo, ne ragione alcuna, che uerisimile appaia. Dico ben, che egli nol disse per errore, poi che anche ne’ Saturnali afierma lo stesso cosi. Quorum indago fideliter deprehendit directam ab oculis aciem per planum contra aspicientes non pergere vltra centum octoginta stadia, & inde iam recuruatur per planum. C. Il perche passando più oltre, ditemi vi prego. Perche aggiugnete voi sia quella retta, ò della pregiata linea ? P. Perche lo dice Macrobio. C. Macrobio non dice mai questo, ne quando ei lo dicesse, voi haureste ad acconsentire. R. Io diuero poteua di ciò lasciare il carico a Macrobio, poscia che a me non rileua niente, come si hauesse inteso quel passo, se non fosse che uoi negate, che lo dica, il che nascer potrebbe da non l'hauer letto. Ecco adunque le sue parole. Sed visus cum ad hoc spatium venerit , accessi deficiens in rotunditatem recurrendo curuatur. E ne’ Saturnali Quæ si diutius pergat (Della vita parlando) Rectam intentionem lassata non obtinet: sed scissa in dexteram leuamque diffunditur. Hinc est, quod vbicumque terrarum steteris videris tibi quamdam cœli conclusionem videre: & hoc est quod horizontem veteres vocauerunt. Hora che difficultà hauete? C. Perche, chi è quegli cotanto insensato, che non sappia, che per linea curua non si può cagionar la nostra veduta ? R. Adunque vorrete, che, le parole di Macrobio, non si intendan per piegata linea ? Ecco il Mazone huomo addottrinato, e vniueriale in tutte le scienze, che nelle difese di Dante, al predicamento dalla qualità dice; Aggrandi dunque l'Ariosto. molto, la forza della potenza visiua in quel luogo, poiche la distese, per lo spazio di 1800 miglia, tutto il diametro, che 900 è il semidiametro, per quanto non può arriuare in modo alcuno il nostro aspetto, ne con la diritta linea, ne con quella, che piega, venendo determinata da i matematici, come Macrobio afferma; e referisce le citate parole. Che dite, non s'intende quella voce [curuatur,] per piegarsi? Replicate, e ui ostinate, con dir che, se Macrobio il dicesse, direbbe male. E il Mazone ancora, perche principalmente, attese alla Filosofia, e Teologia, meno pote conseguir questa ragion perspettiua. E io vi rispondo, che par, che facciate habito di lasciar sempre ciò che di buono dicon gli autori, e pigliare il cattiuo, poiche biasimate in ciò Macrobio, e lo seguite nell'hauer egli attribuito il suono, e l'armonia al Cielo: hauendo fatto, come Francesco della Luna architettore, ilquale in assenza del Brunellesco, seguitando di far la loggia degli Incenti, perche fece il ricingimento d'vn'architraue, che corre à basso, di sopra, fu sgridato da Filippo al suo ritorno. E perche si scusaua, dicendo hauerlo cauato dal Tempio di San Giouanni : rispose il Brunelesco. Vn solo errore è in quell'edificio, e tu l'hai messo in opera. Or eccoui Ignazio Danti, che principalmente habito faceua, di somiglianti facoltà, e per questo fù adoperato da Principi secolari, e Ecclesiastici, e pure anche egli vsa questo termine di piegata linea, dicendo, che quelle cose, che son uedute da i raggi, che più piegano alla destra ci appaion più destre; e cosi per lo contrario le vedute da i raggi, che più piegano alla sinistra, son più sinistre; e ne fà, la dimostrazione ancora, che è quel che uoi cercate. E Aulo Gellio, nel libro delle sue notti antiche, dice, che i perspettiui chiamano vedere obliquo, quando il raggio è refatto, cioè piegato. Siete voi chiaro adesso, che questo termine è ignoto solamente a voi ? Ne resta per ciò, che la linea visual, che va dall'occhio all'obbietto, secondo i perspettiui, non sia retta, ma ella si piega mentre con la sua estremità (per esemplo) disegna vn arco nel voltarsi a destra, ò a sinistra, non potendo più dilungarsi, e questo termine è l’orizone della visual potenza disegnato dalla piegata linea, dice Macrobio, e qualunque huomo, che perspettiua intende. L'orizonte adunque della potenza visiua, e la piegata linea visuale non saranno termini nuoui, ne falsi, se non secondo il creder vostro. Non vi pare strano d'essere stato preso a quel boccone, che voi giurato haureste esser senz'hamo? Non fareste uolentieri, come la scolopendria, che uomita tutte le viscere, per istrigarsi dall'hamo, che già, vede hauer ingozzato ? C. Che perciò d’vna palla non veggiamo, se non la metà, ò poco meno, essendo impossibile: che i raggi visuali si pieghino per veder l'altra parte. R. Orsù, sarà vero quel che dianzi si disse; che ne anche della vostra arte intendiate straccio. Il medesimo Ignazio proua, che quantunque retti uadano i raggi uisuali, ad ogni modo alcune fiate con essi possiamo vedere una palla di là dal mezo dalla parte, che piega, cosi dicendo. Se l'interuallo, che è fra’l centro dell'vno, e dell'altr'occhio, sarà maggior del diametro della palla, se ne uedra più della metà; se il diametro sara eguale alla detta distanza, se ne uedrà la metà ; se il diametro sara maggior dell'interuallo, se ne vedra meno della metà. Che potrete uoi girabizzar quì ? Son matematiche demostrazion queste, che son note al senso, e pure ardite di negarle. Oime voi neghereste il paiuolo in capo, e fareste à passar co’ passatoi, perche non rispondete a meze le cose. All'esemplo dato de’ raggi visuali, per prouar, che i vapori, come quegli penetrar possano il Cielo, che si è mostrato, che non proua, che ci replicate? Che alla falsità dell'esempio del Sole? Che all'esemplo delle prime qualità nelle gioie ? Che alla proua fatta, che il Cielo arrendeuole non sia ? Discorso. A quella moderna inuenzion dell'Epiciclo di Venere di cui vogliono ouale essere il mouimento per lo Cielo, niente altro direi, se non che, per tor le difficultà alle demostrazioni astronomiche, per causa di quella apparenza, che il capriccio è bello, ma non vero, per tanto dee stimarsi, come degli altri s'è detto. Onde non segue perciò, che il Cielo affermar si debba esser alterabile, dicendo, che egli rarefare, e condensarsi dourebbe, per dar luogo a quelle inegualita di quello epiciclo, poiche non reale, ma imaginario è veramente. Considerazione XXIII. Tengasi cara questa risposta. Perche ell’e diuero pellegrina ; e inaspettata. Conciosiache qualche Astronomo comunalmente aurebbe risposto: prima, che l'epiciclo di Venere non è insino à qui da niuno, che di quei moti abbia scritto, imaginato ouale, e che manco da altri di sì fatta figura dourebbe esser tenuto per l'auuenire: Risposta. Ecco, che io v'hò seruito, perche, come uedeste anche alla settima considerazione in risposta, non l'hebbi per reale. Mi marauiglio ben di voi, che in questo capriccio non seguitiate il uostro Copernico, seguendolo nell'altre sue fantasie di gran lunga più bizzare. C. Poiche quell'apparenza, nella qual sola è il fondamento di chi dice quell'Epiciclo non esser di forma rotonda, addotta ancora da in certo, per aggradire, mi penso, le inuenzioni del Copernico, semplicemente, sì come semplicemente s'adduce, potre' negarsi. Secondariamente, che dato ancora, che cotale Epiciclo fosse ouale, non ne seguita perciò necessa- riamente, che Venere con tale Epiciclo mouendosi di continuo intorno à un sol centro, rispetto à quello non si volga , ancorche à noi altrimenti apparisca, in circolo rotondamente, e perfettamente. Onde per mio auiso l'argomento, che per esser l'Epiciclo di Venere ouale, maggiormente si douesse dire il Cielo arrendeuole, non conterrebbe in se stesso, circa la proua di cosi fatta arrendeuoleza, niente più di vigore, che se circolare fosse stato creduto, e presupposto communemente. Poiche, e l'Epiciclo, e gl'altri cerchi, che vi bisognegebbon di Venere, co’ lor mouimenti, quantunque diuersamente apparisero, in se stessi nondimeno, per via ancor di demestrazione, si potrebbe affermare esser circolari, e rotondi. Ne darò quì per dichiarazion di questo l'esemplo nella Luna. Chi seguita la dottrina di Tolommeo, ne caua per corollario, che l centro dell'Epiciclo di essa Luna, ogni mese descriue vna figura ouale, senza tralasciar niente il corso circolare. R. Sig. Mauri, come quegli, che non attende, se non per diporto, a queste cose, ha uoluto anche per diporto farnela dimostrazion, con la figura: però si lascia, come vana fatica, non hauendo noi tempo da gittar ne’ diporti. C Quindi si può acconciamente, s'io non m'inganno, venire in cognizion di quello, che di sopra è da noi affermato di Venere: perche mi pare per tal figura assai ageuole lo’ntendere, che tanto l'Auge dell'eccentrico, quanto’ l centro dell'epiciclo, faccendo intorno al suo centro vn perfettissimo circolo, descriua, nondimeno, rispetto à vn'altro punto, o vero centro, vna figura ouale; non perche à suo capriccio, non girando eglino intorno à vn sol centro, suolazin per lo Cielo arrendeuole, ma perche detto lor centro è mobile, per la mobilità dello stesso Auge dell'eccentrico. Per conchiudere adunque, la seconda risposta, d'vn semplice Astronomo sarebbe cotale. Se quell'Epiciclo di Venere necessariamente per le osseruazioni si dee constituire ouale, di maniera si saprà secondo i precetti Astronomici accommodare, che con tutto ciò circolari sieno i suo’ mouimenti. Onde ragioneuolmente non ne segua, che più si possa dire arrendeuole il Cielo per parer l'epiciclo di Venere ouale, che per apparire egli circolare, e rotondo. R. Queste vostre opposizioni contro coloro, che tengono, che Venere, o la Luna ouatamente si muoua, strighinle, quegli à cui appartiene, perche io non ci sento stroppio; ne hauendole sostenute m'accorderò volentieri, con chi l'opposito afferma. Anzi che della demostrazion, che per farmi piacer fatta hauete; io ven'hò quel grado, che ha il Proconsolo a chi pesca per lui; perche nulla più mi gioua, che, se fatta non l'haueste. Duolmi ben, che, in vece di spiegar tante girelle in cui la Luna si gira, poteuate spendere il tempo dintorno a que’ luoghi, che sopra vi mentouai; perche haureste detto qualche bella cosa da pagarla va tesoro, come faceste alla considerazion quinta. Discorso. E io non dubito punto, che meglio filosofandosi ragione assai più verisimile ritrouar si potrebbe per questa, e per l'altre apparizioni, e potrebbonsi forse tor via l'imaginazion fauolose di tanti Epicicli; ma per hora intorno a ciò altro non fa mestiere ch'io dica. O Aristotele, sè tà in questi tempi viuessi; quanto riderestù di quegli astrologi, che rouinan tutto il Cielo per non rouinar se medesimi sotto vn'argomento? Vogliono altri, che queste nuoue stelle siano vna parte condensata di Cielo, affermando cotale spessamento in quel semplice corpo altro non cagionare, che perfezion maggiore, apportando in quello nouità di lumi, che son parti più nobili dell'orbe nel quale essi riseggono; e perciò tal mutazion non douersi la suso sconueneuole apppellare. Credonsi, che questa spessazione dal concorso di più stelle, e raggi si cagioni, per lo mouimento, e per l'vnita di quelli reuerberanti in quella parte di Cielo, si che, aiutata da raggi del Sole, poscia come l'altre stelle risplenda. Ma perche dicemmo di sopra il Mondo celeste essere in alterabile non par, che la bisogna richiegga, per non esser souerchio alle purgate orechie di cui dirittamente intende, di nuouo affaticar, il medesimo replicando. Diciamo per tanto che l'acquistamento di nuoua perfezione altro non inferisce, che riceuer nuoue forme, sendo questa perfezion niuna altra cosa, che generazion di nuoue stelle. Onde la materia di esso Cielo sarebbe stata in potenza ad altre forme, e insiememente corruttibile; cosa falsa veramente, come s'è dimostrato di sopra. Nè rileua nulla quello, che dicono, cioè, che al Cielo non sia nota di imperfezione l'acquistamento di migliori forme, come le stelle sono. Impercioche l'essere in potenza a miglior forma, o peggiore, altro non vuol dir, che essere capace d'alterazione; perche, la miglior forma acquistata, lascia la sua materia in potenza alla peggiore, di cui ell'è priuata. Aggiungo, che se per condensamento, e rarefazion si generassero lassù nuoue stelle, vicendeuolmente quelle si vedrebbono senz'ordine hora auuicinarsi, hora discostarsi, e confondersi tra di loro. Cosa, che all'esperienza stessa contrariar si vede. Considerazione XXIIII. E gran cosa questa. Vogliono i filosofi ne’ Cieli vniformità, e regolarita, e questa non imaginaria, non finta, ma vera, e reale. Risposta. Di grazia non vi disperate ancora, perche i confortatori son troppo impacciati, per adesso, dietro a quei tali, che dite esser da me stati mandati à giustizia, C. E perche alcuna fiata, per apparir u. g. il Sole quando di moto più tardo, quando di moto più veloce, e Saturno ora retrogrado, ora fermo, e stabile, il senso chiaramente repugna, se ne ricorrono per soccorso agli Astronomi; acciò eglino, poiche essi non possono, con l'apportar la cagione di cotali apparenze, mantengan per veri nelle menti de gl'huomini questi lor pensieri de' Cieli vniformi, e regolari. Cli Astronomi adunque, come fedeli amici, col pensare, e giorno, e notte, e a Epicioli, e à Eccentrici, e à Equanti, anno dato lor machine tali, che, volendo, possono contra ogni feroce mimico ageuolmente restare in sì fatta contesa vittoriosi. R. Se voi sollecitate così, io vi prometto, che spacciatamente vi spedirete, e non haurete a veghiare. Ah, Ah, in fatti voi siete garbato, poiche, s'io vi concede dianzi vna cosa (perche faceua al mio proposito) à me volete concederne molte, per non esser auanzato di cortesia. Onde io m'imagino, che alla fine saremo d'accordo, poi che per non parer prouano, e litigioso non volete guardarla cosi per la minuta. E che vuol dir, che non rispondete cosa niuna a gli argomenti, che prouano la nuoua stella, non poter’ essere altramente vna parte condensata di Cielo ? Egli e pur vero, che que’ tali, secondo i vostri fondamenti, hanno questa. Opinion suscitata. C. Ma ecco, che cotali strumenti, non prima posti loro in mano, essendo, ò per dispregio de’ donatori, da essi dannosamente vilipesi, ò per ignoranza ne’ suoi affari abusati, danno in uece di vinta, perduta lor la battaglia. R. Coccole d'olmo: quest'e vn calcio senza discrezione. Infatti quando il cauallo è toccato su'l guidalesco, se egli tira, che marauiglia? C. Per esemplo piglisi quì il nostro moderno Peripatetico, ilguale (faccialo per qual si voglia ragione) non s'accorge, che con l'affermare imaginari gli Epicicli, imaginarie altresì afferma, per consequenza, contro i suoi assiomi, le sue regolarità. Poiche, se è vero, come è verissimo, che gli effetti seguitan le lor cagioni, come si potranno giammai stimar realmente per regolare i mouimenti celesti, essendo gli Epicicli, Eccentrici, ed Equanti, per mezo de’ qua’ soli si può saluare, anzi farne cagionar l’vniformita de moti, tenuti fauolosi, e finti. R. Non vogliate darui a credere, che i filosofi non sapessero cosi ben come i matematici ghiribizare, e imaginarsi le cagion dell'apparenze diuerse de’ Pianeti. perche sarebbe il medesimo che dir, che quegli, che sà ritrouar le vere, e reali cagioni delle cose, non sapesse dire vna bugia, che faccia di vero hauesse. Io ho veduto vn discorso curioso, e dotto, e degno veramente, che i letterati lo leggano; doue, oltre che si piglia a dimostrar, che in tutte le scienze, e arti i cattolici sono stati più eccellenti degli eretici, egli non solamente, quando nouerai filosofi non fa memoria veruna di quegli, che per loro impresa si misero a contraddire ad Aristotele, si che voi Mauri non ui acconterete in quel bel numero ezandio, che voi foste eccellente; ma parlando de'ritrouatori degli strumenti, che voi negate a’ filosofi, mostra, che tutti Filosofi, e Teologi sono stati coloro, che i maranigliosi strumenti hanno fatti conoscere; come Ignazio Danti, eccellente filosofo, e Teologo, il Radio latino, il cui uso è mirabile: Alessandro Piccolomini, che vn nuouo strumento anch'egli ne'nsegna: il Cosmolabio, che da Iacopo Bessani è mentouato: L'Olemetro, che diede fuora Abel Fulone: e il Filandro l'Anello sferico: e Gemma Frisio l'Astrolabio cattolico: altro ne fece Giouanni Roias: Antonio Lupicini Fiorentino, che filosofo non mediocre fù ancora, insegna alcune verghe astronomiche, e altri infiniti. Che ne dite? Sanno i filosofi, senza gli Astronomi, adoperare, e ritrouare gli strumenti astronomici? Non ui lasciate più scappar di bocca, che i filosofi ne siano ignoranti: non perche importi a loro il cicalar vostro, ma per zelo di uoi medesimo guardaruene douete. Hora, che questi epicicli di Venere, e della Luna descritti ouatamente, e l'altre apparenze, reali non sieno, ma immaginari, il termine, e nome stesso, il manifesta; come afferma ancora il medesimo Ignazio, sopra gli specchi di Euclide, dicendo, che dal Greco gli diedero questo nome, perche si suppon quel, che solamente apparir si vede a gli occhi nostri. I moti circolari son reali, e veri, ma l'apparenze diuerse, che in essi pianeti si veggono, come i mouimenti ouati, e simli altri, reali non sono: e perciò non vi attaccate alla mala intelligenza vostra delle mie parole, per le quali vorreste, che io chiamassi fauoloso ogni circolo, e ogni mouimento celeste, hauendo io detto, che imaginarie sian tutte queste apparizion planetali, attesoche, dicendo apparizioni, chi non vede, che io distinguo da i mouimenti reali gli imaginari? E che ciò sia uero, hauete voi osseruato, che io dico, che si potrebbon forse tor via l'imaginazion fauolose di tanti epicicli? Adunque non dico di tutti, ne de moti reali. Oltre, che s'io lo dicessi senz'altra distinzione, quelle parole, imaginazione, e apparenza, basterian per dichiarar, che non di tutti assolutamente si parla. Ne, quantunque voi mi chiamiate nuouo peripatetico, ho io altramente, che da antico parlato, perche, concedutoui, che reali fossero queste apparenze, non ne segue però, che chi nega cotali esser le cagioni loro, neghi la realità degli effetti, poiche altra può esser la vera cagion da cui essi procedono. Quei filosofi in somma, che niuna cognizione hanno di cotali strumenti astronomici, e moti, e apparenze celesti, che bene intendono, filosofando la ragion delle cose, chi dubita, che facilissimamente: non l'apparino, leggendo cotali autori, e senz'altro maestro? Il che non posson cosi agiatamente far quegli, che, mediante le filosofiche speculazioni, non si son resi agili d'intelletto, e di facile apprensiua nelle squisite discipline, e varie esercitandosi. C. Ciò vegga il nostro Colombo. R. Voi pur mi chiamate nostro, e nel medesimo tempo fingete di non hauer mai hauuto lume de’ fatti miei, non che mia amicizia. Onde per altra cagione bisogna, che tale mi appelliate. Dite vero, forse, perch'io son vostro patriotta? Io mi pensaua, che voi foste del paese de Baschi; ma, poi che siete nostrale, mi crederò, che ciò adiuenga da esser voi stato gran tempo per le catapecchie fra le grotte di Merlino a douentar buon negromante; e hora, che l'indounar le cose passate ui riesce, siete scappato fuora, come nuouo bergolo a farui cosi valente conoscere. La doue non è marauiglia, che, mè non habbiate sentito ricordare, e conosciate poco altri, e voi stesso non punto. C. E ne sia egli stesso il giudice, percioche io penso, non istarà pertinace nella sua opinione, almen per fino à tanto, che egli meglio filosofando, come di corto per suo auuiso si dee sperare, non apporti aiuti cotali; onde, lasciati à Matematici gli estranei sussidi de’ lor finti Epicicli, e’ vegga alla fine di proprie forze fortemente circondata la sua nuoua, e vera filosofia. R. Se voi, messer mio, haueste saputo stringermi addosso il farsetto di maniera, che mi fosse conuenuto dar la fuora, per mio scampo, haureste sentito chente la nuoua maniera di filosofare intorno a simili cose, non già lontana dalla vera, e peripatetica filosofia, adoperata da me si haurebbe. Ma perche non mi hauete posto in cotal necessità (non vene basta l’ animo ) vi rimarrete con la voglia. Discorso. Oltre à ciò non trarrebbe il Primo mobile seco vniformemente tutte l'altre sfere sottoposteli, se elle fossero labili, e arrendeuoli, si come adiuenir si uede all'aria, che il suo moto non fa con quella uelocita di quel del Cielo, che la muoue. Non ha altramente balia il concorso di molti raggi, di cagionar tale spessazion in quella parte celeste, secondo che uoglion questi tali. Impercioche, non è egli uero, che il Cielo, per qual si uoglia concorso di lumi, e raggi, e uelocità di moto niuna alterazion patisce, ò uarietà di corruzione? Considerazione XXV. E pur tirato il fuoco con vna parte dell'aria, quantunque e’ non si possa ne gar, che è sieno arrendeuoli. Risposta. Si e dimostrato ancora, che non son tirati con la medesima uelocita, che si muoue il Cielo, e che non vanno vniformemente, per essere il corpo celeste di sostanza soda, e quegli di arrendeuole, e cedente; e perciò non capaci di girar col medesimo moto insieme, come che ui sforziate fargli girar voi, con aggirare i semplici, che ui credono. Discorso. Pure, datoche egli soggiacesse a cotali imperfezioni, egli dourebbe riscaldar di sì fatta maniera, che ormai tutto di fuoco esser dourebbe, e tutto haurebbe abbruciato questo mondo inferiore più tosto, che minimo segno hauer fatto di condensamento. Imperoche, chi non sa, che del caldo natura è di rarefare, e assottigliare, dicono i filosofanti, e'l condensare condimento esser del freddo? La qual condensazione, per mouimento, ò per lume non si produce. Onde, prima senza stelle è da creder, che resterebbe il Cielo, le veri fossero cotali accidenti in esso, anziche aggiungeruisi perfezion di nuoue stelle. Considerazione XXVI. Vedi la Considerazione ottaua: perche questa somiglia mirabilmente quella bella ragione del Lorenzini, Riposta. Piano vn pò; quest'è pur quel tempo, che voi spendete per diporto: fermate, non l'abborracciamo, non tanta fretta. Sapete, voi Signor Alimberto, come questo argomento somiglia quel del Lorenzini? come la vostra filosofia quella d'Aristotele, se già non haueste voluto dire, che questa considerazion vostra, e simile all'ottaua. Bene è vero che, io ancor parlo di fuoco, come fece egli, ma però diuerse son le maniere d'argomentare. Hora, perche non si risponderebbe Albubater Mauro, che fù si grande astrologo; pensate, se potrà rispondere il Mauro suo bisnipote, che ne sa tanto manco di lui, che per ancora non ha capito i miei argomenti. Discorso. Il corpo Lunare fa conoscere a qualunque huomo indubitatamente, che il moto, l’vnione, e ripercotimento di molti raggi, veruna mutazion nel Cielo non apportano, posciache, come che il Sole di continuo nella faccia della Luna ferisca, non per tanto non perde quel suo liuidore; e quelle macchie, che vn viso figurano son sempre le medesime, e nel luogo stesso senza varianza alloggiano. Considerazione XXVII. Ecco, che’ l nostro autore mette in campo madonna Luna, acciò sia quella che confermi, che ne per lo moto, ne per l'unione, e ripercotimento di molti raggi patisce veruna alterazione il Cielo. Ma nota prima, che’l corpo lunare per esser oscuro, e tenebroso, è diversissimo da quello delle sfere celesti, leguali son diafane, e trasparenti. Secondo che’ l Sole non ferisce altrimenti di continuo nella faccia della Luna, se però ella non è, come quel mostro Echidna, ilguale auea cento facce: il che è cosi chiaro à chi intende punto punto, inche guisa ella apparisca ora tonda, ora cornuta, che sarebbe cosa ridiculosa il perdere tempo. Intesi questi notabili, uà cortesissimo lettore da per te medesimo considerando sì fatta confermazione, e quanto per essa si rinugorisca l'argomento, e stà sicuro d'imparar di quì gran parte di Loica. Risposta. State di buona voglia, con questi vostri notabili, che per mia fè, andate a rischio di inuolare il vanto a Giorgion da Castelfranco, sì ben sapete distinguer, tritare, sminuzzare, e far per ogni verso apparir le vostre uerità. Era Giorgione huomo cosi ingegnoso, che fece veder, la Pittura non cedere alla Scultura nel mostrare i dintorni, con tale artificio. Figurò egli vna persona ignuda, laqual, voltando altrui le spalle, e hauendo da ciascun lato vno specchio, e vna fonte d'acqua a i piedi, mostraua nel dipinto il diretro, nella fonte il dinanzi , e nelli specchi i lati. Ma voi hauete fatto vn'inuettiua, che è vno specchio, in cui si scorge troppo ben quel che voi siete di dentro, e di fuora: cosa, che non potè mai far Giorgione. Che il Cielo non patisca alterazion corruttiua, sopra in molti luoghi prouato l'habbiamo. I notabili poi, non uaglion'vn fico. Perche, quanto al primo, s'è mostrato il corpo lunar, non esser di natura differente al suo Cielo, sì come l'altre stelle ancora. E che la Luna non è assolutamente tenebrosa, essendo il corpo celeste sempre luminoso in atto. Ma quando vi si permettesse il dir, che oscura fosse assolutamente la Luna, che ne seguirebbe? Anzi che, per esser molto differente, e più imperfetta del suo Cielo, secondo il creder vostro, dourebbe hauer fatto in tanto tempo qualche mutazione; e nulladimeno il contrario ci dimostra. Circa il secondo, se vostra openione è, che il Sol non ferisca continuamente nella faccia della Luna, altri uoglion però, che egli vi ferisca dentro, dicendo che la parte, in cui le macchie riseggono, mai non varia sito. Imperoche, mentre l'Epiciclo la porta, volgendosi, ella si gira per lo contrario di proprio moto, mantenendosi sempre nella medesima positura: cosi dicono i ritrouator degli Epicicli, Lascio di dir, che Aristotele, perche vide, che la parte della Luna, che faccia si appella, sempre staua nel medesimo sito, volle, che ella non si volgesse nel suo orbe; E'l medesimo afferma San Tommaso. Ma io dico di più, che la Luna, essendo sferica in forma di vna palla, viene, di uero, a non hauer propriamente faccia. Onde, vedendola il Sole alla scoperta, meza si può dir, che la ferisca nella faccia douunque ella si sia, saluo però, che alcuna stata nelle sue eclissi, per piccolissimo tempo. E che si dica la Luna hauer la faccia impropriamente, Aristotele medesimo il mostra dicendo, [Ad id Lunæ, quod facies nuncupatur,] perche quelle macchie veramente non son faccia: e perciò dissi [che vn viso figurano] Ne, ancorche i vostri notabili conceduti vi fossero, haureste conchiuso nulla. attesoche fa di mestier prouar, che quelle macchie lunari, non siano state sempre nel medesimo luogo, e siano andate variandosi, mediante il calor de'raggi solari, quantunque il Sole alcune fiate non percotesse in essa faccia lunare; se vero fosse, che ella potesse riceuere alterazion corruttiua. Ma non sò già veder perche, se io inteso hauessi delle macchie, e li si debba intendere strettamente, sì che non possa alcune fiate non percuotere il raggio in quelle, e ad ogni modo sia ben detto, che sempre il Sol vi ferisca; perche sempre, ancor si dice, che che sia fare vna azione, quantunque da alcuna fiata da certo interuallo di tempo interrotta. Onde si dice, che l'huomo, del continuo mangia per viuere, e pure mette tempo in mezo, da vna volta all'altra. Sapete adunque quel che è ridicoloso? Il dir, che quel mostro habbia cento faccie; e io vi confesso, che men duro mi farebbe a creder, che l'haueste voi, che egli. Imperò che cento fiate all'hora mutate parere. Echidna al mio paese non e altro, che l'Idra, ò fera Lerna di cui fauoleggiano i Poeti; fingendola di sette teste, e i Latini vogliono ancora, che sia Serpente, ò Vipera. Giudicare hor uoi Signori Lettori, anzi uoi medesimo Alimberto, se la mia loica, e buona, per inferir, che nel Cielo non si faccia per le dette ragioni alterazion veruna. Discorso. Le quali altro non sono, che parti più rare di quel denso corpo. Considerazione XXVIII. Non istarò à riprouar l'oppenione, che qui tenete sopra questa faccia macchiata lunare; imperocche Da me rifiutata prima con sottili argomenti cotal sentenza, ne adduce poscia vna sua, laquale, per esser meza Teologica, mi par, che molto ben sarebbe quadrata al titolo di questo trattato, e allo’ntento vostro di voler conformar l'Astronomia alla vera Filosofia, e Teologia, se da essa non s'apportasse per altro, sì come io penso, cagione poco sicura di quello splendor cotanto variato. Risposta. Se ben vorreste dare due tauole, cioè a Dante, e a mè, credo, che il giuoco andra al contrario. Quel famoso poeta secondo l'Astrologia terrena, rende ragion delle macchie della Luna, per la causa a posteriori, cioè dall'effetto, perche altro modo non habbiamo: onde in quel luogo, egli stesso dice. Poi dietro à i sensi, Vedi che la ragione ha corte l'ali. E perciò cotal opinione è la miglior, che addur si possa, ancor secondo il parer di Dante, intantoche ha mostrato di spregiar ogn'altro parere, non ne facendo pur menzione. Ma, volendo il parere, anzi la uera cagion dalla sapienza celeste, che uede, e intende le cose per le cause loro , ne domanda Beatrice, figurata per quella, à cui non conueiua rendere altra ragion, che per la causa a priori, diuersamente dalla filosofia, di cui l'Astrologia è parte. E, che sia uero, che l'Astrologia faccia le sue dimostrazioni da gli effetti, il Zabarella, e altri dicono, la Geometria esser più nobile dell'Astrologia, perche Demonstrationum certitudine excellentior est; Attesoche l'Astrologia. Infirmus demonstrat , & a posteriori potus quam a prioris, Se ben poi e vinta la Geometria. Nobilitate subiecti. Hora potete conoscer, che quando argomenta contro la rarità, e densità, ha voluto Dante mostrar, che questo modo di prouar da gli effetti, e da simili può ingannar, come negli specchi si vede. Ma con tutto ciò le ragioni non sono insolubili, e più tosto il fece, per mostrar la fallacia di quelle maniere di prouare'l raro e'l denso, che negarlo volesse. Vedesi nella similitudine del grasso, e del magro, che egli apporta; imperoche se ben paion simili nulladimeno molto diuersi dal raro e’l denso del Cielo veramente sono. però ingannato il senso ne rimane. Beatrice adunque adduce la sua sentenza dalla causa, e non dall’effetto perche. Est potior, & nobilior demonstratio. Ma in genere, perche il venir al particular non è cosa di capacitarci mentre quaggiù viuiamo. E certamente, che l'argomentar da gli effetti per similitudine con dir nello specchio; per esemplo, il lume fa questo effetto; dunque il medesimo farà nel Cielo, è cosa tanto fallace, che nulla più. Si che sola Beatrice poteua la sua fallenza conoscere; poiche di lei, cioè della sapienza, Salomone, dice. Gyrum Cœli circuiui sola: Perche lassù solamente si può vedere se l’ombra della Luna si cagiona nel modo stesso, che l'ombre nostre si cagionano. Seguitaua, per tanto Signor Alimberto, la comun de' filosofi, e degli Astrologi il nostro Dante, dimostrando dagli effetti, cioè, che dal raro, e denso le macchie della Luna procedono. Lo afferma ancora Egidio, Ricardo, e il Collegio Colnimbricense, il Cardano, il Vallesio, e altri dicendo, che le macchie di quel corpo appaion cosi oscure, perche leparti rare di esso, riceuendo il raggio, non lo rifletton nella superficie di quel globo, come le parti dense onde non posson generar lo splendor, come quelle, e cosi mostran quella oscurità. Ecco, che voi erauate ingannato a creder, che Dante fosse d'opinion contraria alla mia, si come altresì si siete ingannato, nel dir, che l’opinion di Beatrice sia poco sicura; e perciò come diceste, si conforma la Teologia, la filosofia, e l’ Astronomia col parer nostro, e con quel di Dante alla barba del Signor Mauri. C. Conciosache, se fosse vero come vuole quel diuino ingegno. R. Piaga per allentar d'arco non sana. Dateli pur del balordo, e poi medicatelo col diuino. C. Che quegli, che fabricò l'uniuerso doppo l’auer fabbricato stelle di diuersa materia altre lucide, e altre oscure, volle far’ vn pianeta , che composto di materia mista, della natura d'amendue le sorti participasse, vero sarebbe ancora, che si fatto misto, cioè la Luna, essendo alle sue cagioni conformi gli effetti, produrrebbe ne’ corpi inferiori i medesimi influssi, u.g. e di Venere lucida, è risplendente come è gran parte della Luna, e di Saturno oscuro, e plumbeo simile à quelle macchie Lunari: il che, per esser lontanissimo dalla verità, come sà chi hà dell'Astrologia alcuna cognizione, falso altresì viene ad apparir palesemente l'antecedente. R. Per non disputar se lo splendor di Venere s'agguagli alle parti più chiare della Luna, e alle più oscure quel di Saturno, si che da questo si possa argomentar degli influssi; basterà ch'io dica, Dante non hauer altramente dalla mistione argomentato, non sendo mistion di materia ne’ corpi celesti, ma dalla diuersità delle forme, laqual non adiuien nella materia del Cielo, se non dalla disposizion di essa, secondo il raro, e'l denso, dicono i doti; e perciò le stelle, secondo il raro, e'l denso, hanno diuerse forme specifiche; atteso che la forma resulta dalla potenza della materia, e secondo la disposizion di quella l'informa. Esemplo ne siano gli elementi, che, secondo che più densi, ò più rari sono sortiscono diuerse le forme loro, come il più denso alla forma della terra si dispone, e l'acqua men densa, altra forma riceue da quella diuersa, e cosi gli altri elementi. Auuertendosi, che nel Cielo non si ricerca la trasmutazion della materia secondo il numero, per la varietà; conciosiache questo solamente nelle cose naturalmente generate si richiegga, doue dalla corruzion d'vna cosa, vn'altra se ne genera cosa, che nel Ciel non addiuiene che è fatto da Dio, non per generazion, come le sullunari cose, Veggiasi quanto malamente voi argomentiate contro l'opinion di Beatrice. Voi stesso dite, che gli effetti son conformi alle cagioni, ma le cagion degli effetti (loggiungo io,) son le forme delle cose, che gli operano, e non la materia: adunque, dalle forme, e non dalla materia, si dee cauar la ragion delle cose; e voi cercate al contrario con biasimar Dante, che non intenda il modo d'argomentare. Credete voi però, che Dante habbia stimato, che non la forma, ma la materia sia cagion della virtù delle stelle? C. Ma, perche ciascheduna cosa hà la sua propria cagione, andrei per quella inuestigare altrimenti discorrendo, e direi, che, per esser la Luna, secondo Possidonio, e altri antichi Filosofi, come referisce Macrobio, cotanto simile alla terra, che un'altra terra è da lor nominata, non è sconueneuole il pensare, ch’ella non sia per tutto egual nello stesso modo, ma, sì come nella terra, ancora in lei si ritrouino monti di smisurata grandeza, anzi tanto maggiori, quanto à noi son sensibili. R. La Luna, che è tanto minor della terra haurà i monti quasi maggiori della stessa Luna, a voler che siano sensibili: e cosi farete, come quel rosignolo, che per farsi correr dietro a vn certo gocciolone, gli diede a’ creder d'hauer in corpo vn diamante grosso quant'è vn'uouo d'oca, non s'accorgendo egli, che non era si grosso il rosignuolo stesso.- C. Da quali, e non da altro, ne nasca poi in essa quella poco di chiazata oscurità; conciossiache la curuità grande de’ monti, non può, come insegnano i Perspettiui, riceuere, e reflettere il lume del Sole in quella guisa, che fà il restante della Luna piano, e liscio. E per proua di questo addurrei vn'ageuole, e bella osseruazione, che si può di continuo fare, quando ella è in quadrato, rispetto al Sole. Perciocche allora ella non fà il mezo cerchio pulito, e netto, ma sempre con qualche bernoccolo nel mezo. R. E che sì, che voi rinnouellate i capricci di coloro, che diceuan la Luna esser vn desco, altri vna barca, altri vna zolla di terra coperta di nugoli, e caligini, e presso ch'io non dissi ? Almeno faceste voi, come Democrito, che sempre rideua, mi penso io, perche dato haueua ad’ intendere al popolo questa chimera anch'egli, cioè, che la Luna fosse montuosa. Questa fauola non è men da ridere di quella, che si racconta d'vn pastor d'Arcadia, di cui l'asinello, beuendo a vn fiume, rasente al muso del quale risplendea nell'acqua la Luna, perche venne ricoperta da vn nugolo, parue che beuuta la si fosse. Il buon pastore, veduto questo, diede tante bastonate al pouero ronzin di Sileno, che’ l mise in terra per morto; ne vedendol rimandar fuori la Luna, lo sparò, e aperseli tutte le budella, perche la Luna ritornasse in Cielo. Onde, riuedendola poscia con quelle macchie, maladiua l'asin suo, che l'hauesse con le dentate cosi diserta. Ma, che la vostra ragion circa le macchie lunari sia falsa, lo stesso esemplo delli specchi addotto da Dante, il dimostra. perche, quando il Sole stà perpendicularmente, fra due monti, che ombra vi fa egli? Anzi vi fa reflesso, e reuerbero maggiore. Oltre acciò, nel plenilunio, perche diametralmente, e per retta linea feriscono in quella, i raggi solari, appena dourebbon, quelle macchie vedersi, ò per dir meglio non si vedrebbon, per la detta ragione. E vale l'esemplo degli specchi contro di voi, perche è dato di cose della medesima materia, e natura, posciache sostenete il Cielo esser della mistione elementale. Io mi pensaua, che voi credeste, che fossero stati que’ maladetti giganti di Flegra, che quando vollero battagliar con Gioue, s'affrontassero con quella cornuta della Luna, e le facessero que’ bernoccoli, che uoi dite. Aggiungo, che, essendosi prouato a bastanza la materia celeste esser diuersa dall'elementare, e che il Cielo non habbia mistione, non vi possono esser monti, ne scabrosità veruna: ma, perche è corpo semplice, è necessario, che sia sferico, liscio, e terso. Se la sù fossero i monti cosi nobili, grandi, e luminosi, io non istimerei tanto le Muse, come quelle, che habbiano tanta prudenza; poiche haurebbon fatto elezion del Monte Parnaso a somiglianza dell'altre femine, che sempre al peggio s'appigliano. C. Di che, qual cagione si addurrà giammai ancor probabile, se non la curuità di que’ monti ? per li quali, e in particulare in quel luogo, ella vien à perder la sua perfetta rotondità. R. E questo è’l uostro Achille? O pouer huomo, uoi vi siete ben fidato d'un rompicollo, che v'hà lasciato, come vedete nelle peste, e vi sò dir che mai più non m'vscirete. E a dirne il uero, che difficultà ci ha egli, supposto, che non vi si fosse mostrata la vanità del uostro parere, che, doue quelle macchie vi paion bernocoli, dà gli altri sian’ reputate parti più rare di quel corpo? Parui, che si sia facilissimamente sfangato di questa obbiezione insuperabile? E chi direbbe, la Luna esser di figura sferica, se ella hauesse quel monti cosi grandi, che la maggior parte occuperebbon di quel corpo, volendo, che sieno di grandezza à noi sensibile ? Gli astrologi dicono la terra esser rotonda, perche le sue parti montuose sensibili non sono, in comparazion del rimaso di quella, perche è trentatante uolte maggiori della Luna. Signori Lettori, perche in questa risposta vien soluto alcuna tacita obiezione, mi souuien d'auuertir, che, se per l'opera tutta si ritrouassero dichiarazioni, argomenti, soluzioni, che non paressero molto necessarie, per l'opposizion del Mauri, sì sono per altre, che amici, in voce, e per lettere, mi hanno fatte, e in particulare un dotto Padre Domenicano: e perciò potranno questi tali in leggendo trouar le soluzioni a tutte le difficultà loro, se non espressamente, almeno tacitamente ci saranno. Eccone una in proposito delle macchie lunari dello stesso Padre. Se è uero, che l'oscurità della Luna sia cagionata dal non reflettere i raggi del Sole in quella parte, per esser più rara; il medesimo seguirà dell'altre parti del Cielo, sendo rare anch'esse; e cosi oscure appariranno: ma questo non adiuiene; adunque è falso, che per tal cagione appaiano le macchie nella Luna. Hora si risponde, che questa oscurità non apparisce nell'altre parti del Cielo, perche non son circondate da quel chiarore, e splendor dell'altre parti assai più dense, come è circondato il raro della Luna; donde nasce, che per lo splendore opposito, quelle parti più rare, e per lo poco, e suanito lume, che fanno, appaiono oscure, e quasi vn sucidume in comparazion di quelle, che il solar raggio riflettono. Perche Opposita iusta se posita magis elucescunt. E che sia vero, anche le macchie della Luna sembrano del color celeste, quando elle non son circondate di splendore, come si uede, allor che ella è intorno al quadrato col Sole; attesoche, hauendo, come si disse di sopra, alquanto di luce da se medesimo il corpo celeste, e la Luna ancora, non è superato tanto dall'altro splendore, che non possa mostrare il color zaffirino a somiglianza del rimanente del Cielo. Discorso. Opinion d'altri è stata, che per l'incrocicchiamento di molti raggi ammucchiandosi, cagionato dalla concorrenza di più stelle, vibranti in vna parte di Cielo, benche rara, iui si possa con lunga dimoranza esser impressa quella luminosa qualità, nella guisa stessa, che verso la sera qualche nuuoletta percossa da i raggi solari, quantunque tramontato sia il Sole, resta della sua luce impressa per buono spatio della notte. Ma a questo si risponde, che se il Ciel non e capace di spessazione, quei raggi non saranno rattentuti per vn minimo che di tempo, accciò che restar vi possa cotale impression lucida. Anzi dico più, che eziandio, che quella parte di Ciel fosse condensata, ad ogni modo non hauria facultà quel lume, e splendor di rimaner nel corpo alieno, se non quanto è dal corpo luminoso ueduto. Imperoche quel lume, che è in corporeo non può imprimeruisi altramente. Onde ne anche l'esempio della nuuola è vero. Percioche, il lume del Sole spirituale essendo, non può mischianza di se medesimo far con quel vapore humido non sendo il solar raggio diuisibile. Attesoche, se egli fosse tale, esso ancora, come le cose materiali consumabile sarebbe; la qual cosa è falsa per lunga proua. E se ben quella nuuola biancheggia, quantunque sia il Sol valicato, il nostro Hemisperio, ciò addiuien perche ella ancor vedata è da quello, per esser tanto più da terra eleuata, che noi non siamo. Considerazione XXIX. Se adunque il Cielo, come si proua ai sopra è capeuole di condensazione, cotal sentenza è vera. Imperoche à quello, che voi dite per aggiunta, cioè, che eziandio, che quella, ec. si risponde, che ciascheduna stella, per esser maggior della terra, vede di continuo ciascheduna altra stella, quantunque oppostagli. Risposta. Il fatto sta che a voi è paruto di prouarlo, che il Cielo possa riceuer, condensamento, ma vi siete ingannato, come dimostrato v'habbiamo; e perciò non è vera cotal sentenza. Ben'è vero, che poteuate argomentare, e attentarui di prouare il vostro intendimento, supposto il Ciel condensabile, ma prouato non gia. E chi lo dice, che tutte le stelle sian maggiori della terra ? Mercurio, Venere, la Luna son maggiori ? Ma che rileua maggiori, ò minori? Bisogna rispondere a proposito, perche poco- importa, che le stelle veggan, sempre quella parte, se lo splendor di esse non vi rimane impresso di maniera, che generi vina luce simile a vna stella: la qual cosa, per le ragion dette, non può accadere. Il raggio del Sol riman'egli stampato nell'aria, e impresso, quando si parte il corpo solare, se ben per quella si diffonde? C. Onde molto ben poteua l'incrocechiamento de’ raggi di più stelle cagionar nel corpo alieno, cioe nel luogo della nuoua stella di continuo da quelle stelle veduto, lo splendore, non di continuo (come voi direste) ma infino à tanto, che cotali stelle furono in aspetto partile, ò platico al sito della nuoua stella. R. Donde riceueste voi priuilegio, che non si douesse intender la voce, [continuo] detta da me, sanamente, e detta da voi sì. Guardate a non por tanta osseruanza in quel che stimate error d'altrui, che non v'accorgiate, de' vostri. Vn musico entrò in tanta frenesia di por mente a ogni romor, che vsciua di tuono, che, intendendo vn dì, che la sua casa abbruciaua; e sentendo le diuerse voci del popolo, che gridaua al fuoco, egli abbrucia; resto in cosi fatta maniera offeso da quella discordinza di voci, che, senza darsi pensier veruno della sua casa, andaua con la maggior pena del mondo contemperando quelle dissonanze, perche facessero dolce armonia. Io vi domando, la stabilità, di tali aspetti, che si vanno continuamente variando, quanto volete, che duri? Diauol, che voi diciate due anni, che tanto durò la stella di nuouo apparita? O non haueste voi mai sentito ragionar d'aspetti di stelle? Adunque, se l'apparita stella doueua durar quanto la configurazion di quelle, riguardanti in quella parte, non poteua mai per si lunga durata vedersi. Discorso. Sentenza d'altri è stata, che la nouità dell'apparite stelle sia cagionata da vna certa disposizione aerea nella region suprema, per tutto vgualmente continua di maniera, che qualunque sua parte rappresenti, per lo circuito di questo Emisperio à gli occhi de riguardanti cotali stelle da qualunque regione osseruate; ma, però, hauuto rispetto a vna stella fauoreggiante quella apparizion sì, che ne più, ne meno stelle appaiano, ne altroue situate, che doue, e quante sono le stelle a cui riguarda cotal disposizione. Onde veramente, l'effetto sia, che niuna reale stella, ma apparente si vegga, come altresì veggiamo tanti colori nell'Iride, ò Arcobaleno, benche veri colori, e reali non siano. Ma sia con pace, e sopportazion di cosi graui autori, questo parere al mio parere è molto infermo, e fieuole, e niente appaga l'intelletto. Impercioche domanderò io, se la stella à cui riguarda tal disposizione è del nouero delle mille ventidue da i migliori osseruate, ò nò. Se vien risposto di sì; questo haurà apparenza di menzogna, conciosiache niuno de’ conoscitori delle stelle affermi, che le di nuono apparite siano del numero mentouato, fattesi veder maggiori, ma altre fuori di quelle. Se dicessero, che delle conosciute non sono, ma di quelle, di cui non si fa menzione, che mediante la disposizion nominata visibili fatte, a gli occhi de’ riguardanti si rappresentano, e di quella magnitudine. Ricercherassi, per qual ragione habbian cosi piccole stelle particulari tanta possanza di illuminar sì grandemente quell'aerea disposizione, e non l'altre cotanto maggiori, che la spezie lor senza altro aiuto agli occhi nostri cosi rilucente ne conducono? Onde, per tal cagione, chi negherà, che non vna per volta, ma quasi senza nouero, mediante quella disposizion, nuoue, e maggiori stelle si vedranno. E pure il contrario adiuenuto esser si mostra. Oltre acciò gli intelligenti vogliono, che la medesima proporzione habbia l'agente all'operar nel paziente, e che il paziente ha con l'agente a riceuer l'azion di quello. La doue ne seguirà, che non si potendo condur le spezie luminose di quelle cosi piccole stelle a questa disposizion riceuente, attenuate, e suanite essendo, mediante cosi lunga distanza, l’illuminazione altramente non si faccia, per la mancanza di proporzion tra’ l corpo illuminante, e l'aere cosi disposta da illuminarsi. Segno assai manifesto è, che apparite non siano tali stelle per disposizione aerea, il non si esser veduto eziandio ne’ pianeti queste mutazioni, come alcune fiate racconta Aristotile intorno a quegli essere apparite certe corone, che da refrazion di raggi nell'aria sottoposta, quando è molto vaporosa, si cagionano, ma non per ogni parte, e ragione si mostrano, ne per ciascun grandi nel modo medesimo si veggono, e piene di mille varianze, e alquanto abbaccinate sembrano, e non lucide, e chiare, come le nuoue stelle sono apparite a gl'occhi nostri. Hora perche vna sola stella per ciascuna uolta è apparita senza hauer cangiato sito, ò fatto uarietà d'aspetto, quindi è, che stelle ueramente reputar si debbono, e che non sotto l'ottaua sfera, come la scintillazion di quelle ne significa, eziandio, habbiano di lor fatto cosi graziosa mostra. L'esemplo dell'Iride a dirne il vero non proua. percioche non discendon co'raggi lor quelle minori stelle, come s'è detto, in quest'aria, ma si bene e’ raggi del Sole, passando, e mescolandosi tra mancante, e minutissima pioggia, quella apparenza di non reali color cagionano, mediante l'oscurità de’ nuuoli nell'aria, dinanzi alla quale si figura quell'Arco. Aggiungo di più, che non da ogni luogo, e positura si veggon quei colori, ma solamente donde hà deretano il Sol, chi l'Iride riguarda, e non dauanti a gli occhi. Ma queste fiammelle celesti di nuouo occorse a gli occhi de'mortali, per ogni regione a qualunque huomo, da ogni varieta d'aspetto, di sito, di splendore, e di grandezza sono state lontane per mesi, e anni interi. Altri, da altra parte, son, che per fuggir l'inconueneuolezza di far capace il Cielo di straniere qualità, e insieme, alle matematiche misure non volendo contrariare, hanno creduto l'vltima stella, ne diciotto gradi di Sagittario vedutasi non esser nuouamente generata, ma vna di quelle di non apparente grandezza, fattasi visibile, e della maggior magnitudine, per la vicinità di Gioue, e Marte, che di trino, e di sestile aspetto rimirandosi con le stelle di essa, imagine, reflettendo vno, ò vero amendue i mentouati pianeti co’ raggi loro in quella piccola stella, habbiano cagionato cotale apparenza; ma che, di vero, nuoua stella non sia. Questa considerazione a prima fronte d'essere ingegnosa molto ha sembianza: ma per mio auuiso, appo coloro, che cercano aprir l'anatomie fin dentro le medolle, credo, che molte magagne, sotto questa bella apparenza si ritroueranno. Considerazione XXX. Questo luogo hà due dichiarazioni: ò che, quando appari la nuoua stella, Gioue, e Marte si rimirassero, e di trino, e di sestile, ò che Gioue in quel tempo fosse in trino, e Marte in sestile con qualche stella del Sagittario. In qual si voglia di amendue trouerrai manifestissimi inconuenienti. Imperoche, essendo cosa certa, che Gioue, e Marte molto auanti la nascita di cotale stella, che fù, secondo la comune, nella congiunzione di quei pianeti, si ritrouauan nel Sagittario, come sarà egli possibile, che eglino, nello stesso segno ritrouandosi, facessero aspetto (se per aspetto impropriamente non intendentissimo ancora la congiunzione ) con alcuna stella di quella imagine? E medesimamente doue si trouò e’ giammai, che due stelle nello stesso tempo, nello stesso segno si rimirassero di trino, e di sestile, poiche, per ritrouarsi in qualunque di quegli aspetti , ò sessanta, ò cento venti parti almeno, l'vna dee esser lontana dall'altra? Onde mi marauiglio, che que’ tali, per leuar di Cielo vna inconueneuolezza, cercassero metteruene tante altre à dispetto di Madonna Astrologia. Risposta. Finalmente la vostra intenzion, con tanto fracasso di diuisioni, e dichiarazion d'aspetti propri, e impropri, come, se non gli sapessimo al par di voi, doue arriua ? C Ma più mi scandalezo di certi, che per non mostrarsi litigiosi (penso io) non solo acconsentono, quando più aueuano à schiamazare, à queste assurdità, ma di vantaggio danno loro ancora di considerazioni ingegnose. R. Ecco doue tendeua il Mauri, col suo scandalezamento à voler, in somma, ch'io facessi vn gran romore in capo all'autor di questa opinione; e, perche non l'hò fatto, n'ha voluto lacerar mè, e lui ancora. Non vedete, che egli intese, non degli aspetti propri de’ pianeti fra di loro; ma che rimirandosi con quelle stelle del Sagittario Gioue, e Marte, nel far la congiunzione, prima di sestile, e poscia di trino aspetto, impropriamente si risguardassero con esse ? Ilche non fù da lui detto (cred'io) se non per mostrare, in che modo elle fossero insieme situate: ma non già, che egli intendesse parlar di ueri aspetti planetali, che a gli influssi, e non all'illuminazion solamente, hanno riguardo. Hora, per non disputar io questo, che niente importaua, hauendo modo più facile, e più noto anche a’ vulgari, per dimostrare il mio intendimento; perche non poteua lodarlo di ingegno senza adulazione, e ad ogni modo mostrare il suo inganno consistere in altro, come dauanti alle considerazion 31.e 32. e 33. discorrendo si mostra? Guardate, che il pigliar ombra, fin delle cose, che non doureste, non vi faccia simile al Ceruo; ilqual, per la sua stupidezza,vggiando, e trattenendosi in ogni fronda, che si muoue, rimane alla fin dal cacciator' vcciso, pernon guardare a quel, che più gli importa. C. Il perche vò forte dubitando, non auendo visto ancora altroue cotale storpiata opinione dell'autor di quella, ò vero di qualche strauolgimento di testo. R. Marauiglia è, che n'habbiate veduta niuna altra, non che questa, essendo voi nuouo nell'Astrologia, come affermate con parole, e con fatti ancora. E habbiate per fermo, che il testo non è stroppiato, per non dire storpiato, come direste voi, se non quanto il giudicate tale, come vsato a non ui guardar da simili cosette: anzi ne siete sollecito maestro, come altresi vergogna non sentireste di finger l'autore. Discorso. Conciosiacosache, per non mettere in quistione, se quella piccola stella fosse con Gioue, e Marte, e con l'altre stelle del Sagittario, nelle positure sopranominate. Considerazione XXXI. Veramente fate bene à non mettere in lite cotali positure. Perche, se il quadripartito, e le efemeridi sono state già condannate à crudel morte, chi ne sarebbe giudice competente? Risposta.Voi; che già l'hauete con sì braue difese scampate, conseruandole appo gli altri simili strumenti, potrete, quando che sia, metterle in vso per tale esperienza, accioche poscia ne mettiate in luce vna leggenda, che habbia il medesimo applauso di questa, che hauete scrittomi contro; alquale è uiuuta quanto il pesce Effimero, men d'vn giorno, e morta, ha fatto come l'anguille, che mai più non si riueggono a galla nell'acqua riformare. Discorso. Chi vide mai, che lume veruno in altro lume reflettesse? Egli fa mestiere, accioche il raggio si refletta, che il corpo, in cui si debbe far l'illuminazione, sia non solamente denso, ma tenebroso eziandio, come adiuenir si vede al corpo lunare, che, per essere oscuro, i raggi del Sol percotendo in quello chiaro, e lucente il fanno. E che due lumi non faccian reflessioni fra di loro, la comun sentenza il conferma. [Adiueniente lumine maiori cessat minus.] Anzi è da’ Auuerti, che, se il primo lume è maggiore, il soprauegnente non gli da, ne toglie. Se ambedue sono eguali, la lor presenza lustra maggiormente l'aria, e'l luogo doue sono; ma non perciò appaiosi più lucenti i corpi loro. Se alquanto maggior del primo è il secondo lume, il primo, vn certo che abbagliato rimane. Ma, se molto maggiore è il corpo luminoso, che sopragiunge, il lume primo s’occulta, come appunto le stelle fanno alla prima presenza del nascente Sole. Considerazione XXXII. Piano non vi riscaldate. E'c'e chi giornalmente lo vede. Risposta: Anzi compatitemi; perche in questo particulare, poiche siete si tardo a capir cotal verita, se la mia non paresse ghittanzia, direr come Cicerone: Nam quoquisque est sosertior, & ingeniosior, hoc docet iracundius, & laboriosius: quo l'enim ipse celeriter arripuit, id cum tarde percipi videt, discrutiatur. C. E per dichiaranzion di questo, douete sapere, che le stelle son composte della materia del corpo del Cielo, doue elle si ritrouano, e, che per essere il Cielo di sua natura splendido, elle altresì sono splendide. Ne mi contraddico per questo auendo detto nella considerazione undecima, che le stelle riceuono il lume dal Sole. R. Mai si, voi ui contrariate, percioche, hauendo con Cecco affermato, alla Considerazion quinta, esser nel Ciel contrarieta di luce, e di tenebre, fù necessario, che la Luna non fosse tenuta da uoi hauer proprio lume, perche altramente non poteua argomentarsi di contrarieta, se la oscurità fosse stata secondo voi, respettiuamente nel corpo lunare; attesoche contrarie son quelle cose, che [maximè distant] dice il filosofo. - C. Imperoche, quantunque da per lor sien luminose, con tuttociò il compimento, e perfezione dello splendore è dato loro dal Sole, ilche si vede manifestamente auuenir nella Luna, lagual, come dice Rainoldo, se ella non auesse vn certo lumeproprio, e particulare, manifesto è, che ne' totali eclissi, quando ella del tutto perde di vista il Sole, non si scorgerebbe il suo cerchio di quel colore cosi tetro, e alcuna volta spauenteuole. R. Se haueste contrappesato ben le mie parole, e osseruata la distinzion de' lumi, e che è necessario, che il corpo in cui si reflette qualche lume, sia denso, liscio, e non luminoso, che perciò diedi l'esemplo della Luna, non hauerete perduto tante parole senza profitto veruno. Non si nega, che non possa vn corpo luminoso, ma di poco lume, reflettere i raggi d'altro corpo molto lucente; perche allora il corpo, che fa la reflessione è rimaso tenebroso di lume proprio, e solamente è lucido in potenza; conciosiache lo splendor, che rende è del raggio del corpo alieno, e non suo. Esemplo chiaro ne fanno le lucciole, e alcuni bruchi, i quali di notte risplendono, e di giorno son tenebrosi, e colorati appaion, per la presenza del maggior lume. Cosi auuiene alla Luna, che in comparazion del Sole è tenebrosa, tanto è debole il suo proprio splendore. Onde il Cardano dice, Luna lumen proprium habet simile flammæ, & hoc patet in deliquis maximis, quia rubet. E in quella parte non solo è tenebrosa, ma densa, e liscia , accioche niuna condizion le manchi, per far cotal reflessione. Hora, perche le stelle, massimamente le fisse, hanno proprio lume, come altresì lo stesso Cardano, e altri affermano; e hanno lume eguale fra di loro, o poco differente, secondo la proporzion della grandezza, e distanza loro, non possono altramente reflettere l'vna dell'altra il lume; conciosiache le condizion di sopra dette non habbiano, acciò far necessarie; e nulla cosa può da altra riceuer qualità veruna, di cui prima ella spogliata non sia. Se voi adunque Signor Mauri faceuate capital de miei occhiali, che mostran vero, non haureste detto, che ci sia chi giornalmente vegga vn lume con altro lume cagionar la in fra di loro. Io mi penso adesso, che voi dobbiate esser raffreddato assai più, che non credeuate mè dianzi esser riscaldato, e che vi sian cadute affatto le mazze, perche, se volete dire il vero, vi pensauate hauermi stretto fra l'vscio, el muro. C. Ora, se le stelle son per se stesse qualche poco luminose, e reflettendoui il lume del Sole, cioè arriuando i suoi raggi a quelle più splendide, e luminose si fanno, meritamente si concluda, contro il parer vostro, e che lume in altro lume reflettae, che il corpo, in cui si dee far la illuminazione, non è necessario, che sia al tutto tenebroso. R. Ola voi allargate troppo la bocca: da mè non trouate voi detto, che deua esser al tutto tenebroso. C. Seruendomi senz'altra proua à confermar la verità di queste conclusioni, la vostra stessa confermazion del corpo lunare. R. E vero, che la Luna, ciò che voi dite proua, ma non fa per la vostra intenzione. atteso che ella dimostra, che io intesi i corpi oscuri in comparazione, ancora poter cagionare il medesimo effetto di reflessione, come i totalmente oscuri. - Discorso. Oltre acciò, se, per causa di reflessione, apparita fosse cosi grande quella celeste lampada; quale stella gia mai potrebbe adoperar tale effetto meglio, che il Sole? E cosi reflettendo sempre in quella, perche sempre la uede, nuoua non apparirebbe. Onde possiamo dir, che altra sia la cagion di quella nouità; e che Gioue, e Marte niente più habbiano, che far seco, che qual si voglia altra stella. Potrebbesi dire ancora, che per lo rapido mouimento celeste, mutandosi continuamente gli aspetti, haurebbe durato cotal mostruosita di quella apparenza piccol momento: e nulladimeno altramente è andata la bisogna. Anziche, quando volessero pur, che per queste congiunzion di stelle nascessero cotali accidenti, farebbe di mestiere ancora, che molto souente, per lo Ciel nuoue stelle si vedessero, posciache di quelle positure, e aspetti di pianeti, in quei superni giri, ad ogn'ora si veggono. -Finalmente, sentenza d’vn'intero collegio è, che tali stelle, non per fisica generazion, siano comparite di nuouo in quelle incorruttibili sfere, ma dall'Autor della Natura miracolosamente create: ne perciò la sapienza humana, à cosi fatto refugio correndo, ripigliata esser ne debbe, dicono essi. impercioche, auuengache la cagion di alcuni prodigi sia nascosta, molti portentosi effetti, Iddio volente, accaddono lassù nel mondo celeste, di cui non intende il fine la nostra capacita. Esemplo ne sia la stazion del Sole in fauor di Iosuè: la retrogradazion del medesimo in segno al Rè Ezechia: e dello stesso Sole, alla morte del Redentor del Mondo, l'eclisse, quando la Luna nel punto opposto del Cielo, diametralmente riguardandolo, il fece immediatamente eclissare. Ma perche egli è comun parer de' Sacri Teologi, che, quando mostruosi accidenti occorrono, di cui si può la cagione alle naturali forze attribuire, miracoli altramente appellar non si debbano; impercioche affermano, i miracoli, senza necessità, non douersi multiplicare: quindi è, che fino a tanto, che la strada al filosofar non è impedita, a mè gioua ricercar più auanti cibo, che appaghi l'intelletto, per non rimanere assai più, che prima digiuno. Ne tralascio ancora, che i medesimi Teologi vogliono, quando Iddio fà qualche miracolo, che, se egli si può far quanto al modo, nol faccia quanto alla sostanza, come in pronto lo ci dimostrano gli esempi, che teste mentouati habbiamo. Conciosiache sempre fosse il medesimo Sole, ma diuerso, e sopranaturale il modo dell'operazion di quello. Ne eziandio argomenta in contrario la stella a i Regi orientali apparita: imperoche, se ben lasciar si dee questa materia a’ Teologi, egli e pur vero, che antichi, e moderni santi, e dottissimi scrittori hanno tenuto, che vera stella non fosse; ma, che vn'Angelo sia stato veramente, sotto sembanza di stella, posciache, innanzi, ne dopo l'effetto, veduta non fu mai. Non era nel Cielo, perche altramente non haurebbe potuto mostrar la strada, che dall'Oriente all'Occidente andaua contro il corso diuerso delle stelle. E non solamente di notte, ma di giorno, eziandio splendeua: non riceuena, come l'altre stelle il suo lume dal Sole, poiche tal ora si ascondeua, e quindi a uopo riappariua: si fermò sopra l'albergo finalmente del diuin Fanciullo. Circostanze tutte degne di crederle più tosto in persona d'vn Angelo, che in altra maniera. E perciò non fù uera stella, ne miracolo, circa la sostanza. Onde non si dee creder, le nuoue stelle eziandio, esser di nuouo state create miracolosamente. Siami lecito per tanto fra questi pellegrini ingegni, eccellenti, e letterati osare interporre il mio parer dintorno à cosa non men cara di sapersi, che difficile a inuestigarsi, come è il ricercar, che sostanza sia quella, che rassembra vna stella, e in qual modo sia fra gli vltimi lumi del Cielo a gli occhi nostri cosi risplendente, e grande fattasi vedere, Dio adunque, la stella vedutasi l'Ottobre 1604. ne' 18 gradi del Sagittario, si come quella, che nella Cassiopea si vide l'anno 1572. e se l'altre di questa guisa nel Cielo apparite ne sono, qual fù quella, che osseruò Hiparco ne'tempi suoi, niuna altra cosa esser, che vna vera stella di quelle; che furono da principio nel Cielo, non di nuouo creata, non generata, non apparente per reflession d'altre stelle, non per disposizione aerea, non per incontro di più raggi di stelle impressi nel Cielo, non per condensamento d'alcuna parte celeste, e fatta luminosa. Ma prima, che più innanzi passiamo auuertir si debbe, che dubbiezza non ci ha veruna il Cielo esser di maggior perfezion, dice Aristotile, in quella parte in cui le stelle rileggono, si come lo stesso splendor di quelle ne dimostra: e che altesì, come i Filosofanti vogliono, quanto vu Cielo all'altro è di luogo supremo, tanto sia la sostanzà dell'inferiore auanzata di eccellenza dalla sostanza dell'altro. Esemplo ne sia l'ottauo Cielo, che mediante, la moltitudine di tante stelle, che son la più nobil parte di quel corpo, manifestamente lo ci fa conoscere, L'ordine de' corpi elementari ancora indizio apporta, che le cose più eccellenti, e più pure in parte più sublime ricouerano; poscia che la terra dall'acqua; l'acqua dall'aria, l'aria dal fuoco auanzata è di perfezione, si come di altezza di luogo. Quindi la Luna, Mercurio, Venere, il Sole, Marte, Gioue, Saturno, lo stellato Cielo, il Cristallino, e'l Primo mobile sopra cui l'Empireo, e vltimo signoreggia, gradatamente inferiori l'uno all'altro di luogo, e dì nobiltà di sostanza riseggono, accioche proporzion tra’ luogo, e'l locato si serbi. Differenza di perfezione ancora, tra l’ vno orbe celeste, e l'altro argomenta, il farsi da i Teologi, e i filosofi distinzione specifica tra gli Angeli, o sostanze separate secondo la dignita de'Cieli, a cui per motor quegli Angeli assistono, acciòche sia vgualità fra’ l mobile, e'l mouente suo. Onde si come al superior corpo celeste di più eccellenza è l'Angelo, che v'impera, che non è quegli, che l'infima sfera gouerna; cosi di spezie più sublime dee esser quel Cielo, che questo non è. E se apparisse l'ordine forse variato ne'Cieli, conciociache il comun consenso de' sacri, e profani scrittori voglia, il Christallino senza stelle ritrouarsi, e che tutto diafano, e trasparente a somiglianza d'acqua, o di christallo sia, nulladimeno egli è veramente ordine bellissimo di prouidenza sopranaturale. Considerazione XXXIII. Tolommeo, quantunque per la vostra seuera sentenza, abbia gia la tauoluccia dauanti à gl'occhi, quì si risente, e da generoso, come egli è, fa una braua negazione. Conciosiasche, essendo la congiunzione molto più efficace, e potente ne’ suoi effetti, che'l sestile non e, il Sole, che risguardaua il luogo dell'apparizione di sestile; possedeua assai più debole, e sneruato dominio di Gioue, e Marte, i quali amendue congiunti à quel luogo, per altre diuerse cagioni, di esso si eran fatti assoluti padroni: Onde Gioue, quando ancor fosse stato solo per esser in casa sua, nel suo trigono, in congiunzion cotanto robusta, e forte, assai meglio, che’ l Sole poteua, e doueua adoperar cotale effetto. Riposte. La congiunzion, che poco fà spregiauate cotanto, hora è da uoi cosi esaltata, che più efficace, e piu robsta affermate esser, che il trino, e'l sestile aspetto non sono. La congiunzione, el’oposizione, benche in propri aspetti, ad ogni modo sono aspetti: poiche secondo gli astrologi son di pessima inchinazione. ll primo è quando vn pianeta raggia sopra l'altro del medesimo segno, da quindici gradi: ed è massimamente doloroso, afferma Azael, allor, che due pianeti, nel segno della medesima complession, si congiungono, perche significan confederazion di scelerati huomini, che vadan qualche mal fatto trattando. Il secondo aspetto è, quando due pianeti di contrarie qualità sono in segni opposti ancora; perche cagionan peggiore influenza, che non farebbono; come quando Venere è in Ariete, e Saturno in Libra, che nimistà pertinaci, e implacabili influiscono. Sappiate, che, se Tolommeo và à giustizia, e l'Astrologia ancora, io non fò in questa occasione altro officio, che quel del confortatore, che è atto di misericordia, esortandoli à morir con la buona religione, ma quegli Astrologi, che gli fanno negare il libero arbitrio, gli conducono a morire, e morire eretici, che è peggio. Anzi, io grido campa, campa, e gli difendo dalle calunnie delle male pratiche, che alle forche gli hanno condotti, per impacciarsi di latrocini, adulteri, di scoprir malignamente i segreti, e il cuore altrui, per arte del fistolo. Non crediate, ò non uogliate far credere ad altri, che nel Ciel sia stella, ò aspetto ueruno, che superi di virtù inveruna maniera, il Sole, ne da sè, ne per accidente, parlando dell'illuminazione, secondo il proposito nostro. E senza, che n'adduciamo altre prouanze, basterà dire, che è comun consenso di tutti gli Astrologi, per non men touare i Filosofi, Teologi, e la Sacra scrittura, eziandio; che vogliono il Sole esser locato nel mezo del Cielo, accioche illumini il Mondo; ma non già l'altre stelle. Anziè cotanto risplendente, che il suo reflesso nel corpo lunare è cagion, che la Luna è detta luminar magno, e costituita, per illustrar le tenebre della notte. Che più ? Oltre, che egli è maggior dell'altre stelle; uoi medesimo affermate, secondo il comun grido, ogni altra stella riceuer la perfezion della luce da’ raggi del Sole, che solo egli da altro lume il suo lume non va mendicando. Ma quando pur voleste, che possenti fossero state cotali stelle a produr col lume loro, nella lontauanza di quattro Cieli, il grande splendore apparito, chi negherà non potersi tale ancor produr dal raggio solare, tanto più efficace, che i raggi di quelle non sono? Nulladimeno, perche egli non produce tali effetti, come l’esperienza ne dimostra; bisogna dire adunque, che ne anche le stelle cagonar li possano. C. E veramente à ragione par, che egli così arditamente si risenta, poiche voi (dispregiate, senza dirne il perche, l'osseruanzioni da eccellentissimi ingegni, in tanti secoli, i raunate, insieme con le sue demostratiue ragioni, perche tra le reflessioni, ò voglian dire aspetti, sieno da gli Astrologi annouerati solo il trino il quadrato, e’l sestile) volete di più, che il Sole di continuo si dica reflettere, e riguardare, vna stella, perche egli di continuo la vede. R. Questo insipido risentimento in modo alcun non fa, ne farebbe Tolomeo, si come ne anche il farebbe niun famoso astrologo: non send'io entrato ne loro aspetti propri, ne impropri, se ben vi siete fitto questo pensier nella testa, di maniera, che non lo schioderebbon le tanaglie di Vulcano. Ma perche voi cercate honorarui di falsa lode, con voler, che gli autori habbian detto quel che non è, e Tolomeo, ne faccia testimonio, egli ve ne farà l'honor, che meritate. Demetrio, per alcune bisogne, mandò ambasciadori a Lisimaco Rè, il qual riceuutigli, dopo diuersi ragionamenti, mostrò loro vn Leone, cui egli haueua di fresco, in caccia con molta sua gloria strappato la lingua; e ne faceuano indubitata fede le nude braccia, che fè veder loro ancor tutte graffiate dalle branche del feroce Leone. Ma vn di essi, per ischerno del Rè loro, disse; anche il nostro Demetrio l'altr’ieri, hauendo combattuto con la fiera Lerna, ci mostrò , che egli n'hauea tutto il collo graffiato, e morso. E questo palesò l'ambasciatore, per beffar la vergognosa ambizion di Demetrio, che si vantaua d'hauer fatto alle pugna con vna vil meretrice, appellata Lerna. Perche io habbia detto, che il Sol sempre reflette i suoi raggi nelle stelle, perche di continuo le vede, non sò conoscer donde vogliate inferir, ch'io parli degli aspetti intesi da gli Astrologi, e da cui traggono i giudici loro, per causa dell'influenze, se io tratto di illminazione, e non d'influssi. Reflessione è nome generico, che comprende ogni rincontro, fatto per ripercotimento, di qualche cosa in vn'altra, in qual si uoglia positura; e perciò, parlando io del Sol, che reflette i suoi raggi nelle stelle di continuo; chi intenderà, ch'io ragioni d'aspetti astrologici? Anzi, che è modo improprio di parlare, appellar gli aspetti, reflessioni, e solamente dee vsarsi, quando non si può intender in altra maniera. Hauete ancora inteso? Quale astrologo dice in contrario ? Auuela barbata Tolomeo? C. Ragione per non diruelo dietro alle spalle, senza fondamento veruno, e ridicolosa. Ma lasciamo ormai questi ragiouamenti come chiari, e smaltiti, e vegniamo à quello, che più importa. R. Oime, quand'io sentiua, che faceuate cotanto rombazzo, io dissi, buona nuoua: costui ha le man piene; perche al gran fracasso, che egli fa, bisogna, che picchi col piede: ma di uero, io son rimato ingannato, perche il romor significa, che non le mani, ma il capo è pien d'ira, e di cruccio a sproposito. Ma che, io dico male: attesoche, se per voi ogni mia proposta è ridicolosa, ridicolosa ancor debbe esser la risposta, per farla secondo il proposito, che per ciò reputate chiari, e smaltiti, in fauor vostro, questi argomenti, che tutto il rouescio conchiudono. C. Vi dico adunque da parte sua, che, se voi sarete contento liberarlo dalla condennazione impostali, non senza malleuadori, poiche di que gli uno pretendo esser io. R. Ti sò dir, ch'io sarei bene assicurato da vn'homo in maschera, che è lo stesso, che va malleuador di paglia. O quì si, che il puntello sarebbe più debol, che la traue. I mercatanti se voglion, che alle lettere lor si creda, le danno fuor molto ben col proprio nome , e autentiche, e non le si tengono in tassa, come fate voi. C. Si proferisce, ogni volta, che saprete far vedere a lui vna medesima positura di pianeti di quella, che si ritrouaua ne’ superni giri in quel tempo della congiunzione di Gioue, e Marte, far vedere a voi, per ricompens’apparir, si come apparì allora vn'altra nuoua stella. R. Tolommeo, perche non era di quegli Astrologucci, che attribuiscono alle stelle i miracoli, non prometterebbe questo, ma ne lascerebbe volentier la cura a voi, che vene vantate; e lo potreste comodamente fare, mostrando prima tali positure per mè con gli strumenti, che per ancor conseruate nuou di pezza senz'esser adoperati, o fracassati come i miei. C. La qual positura ne’ Cieli, ad ogni ora affermando voi di vedere. R. Cosi è, ma non quella, che intendente voi. C. Tengo di certo, che senza altre preghiere, con l'esser’ auaro della cortesia vostra, à quel buon vecchione, in modo veruno siate per voler restar priuo di così belle vedute, e della vista, come le chiamate voi di cotanto miracolose mostruosità. R. Io ui sò ben dir, che quando cotali positure ui si facessero uedere, per esser gia morto il principale, e il malleuadore incognito, e per le buche, la promessa sen'andrebbe in fummo, non si ritrouando chi la mantenesse. Perche, à dirne il vero, se da quella positura fosse nato simile accidente, come affermate voi, qual'è quell'Astrologo, che senza niuna ammirazione, la cagion di tale effetto non hauesse antiueduta? E nulladimeno, dopo molti pareri, ancor è appò loro in dubbio la verità di essa produzione. Egli ci mancaua questo di più, che voi mi faceste l'Aristofane addosso, e il censor di lingua, voi, che non ne sapete straccio: e poi hauerete per male, s'io vi farò dell'Aristarco. Qual difetto conoscete voi, nell'hauer io detto, miracolose mostruosita? Non è comunissimo, e proprio della fiorentina fauella le cose maraugliose, miracolose ancor chiamarle ? Il Boccacio non disse, della peste parlando [orribilmente cominciò i suoi dolorosi effetti, e in miracolosa maniera a dimostrare ?] Ma voi, posciache destato hauete il can, che dormiua; per la viziosa figura, detta eclisse dalla mancanza del verbo principale, quanti periodi senza costruzione, duri di intelligenza, per causa del solecismo, cioè della viziosa composizione, e testura delle parole hauete fatti? Quanti barbarismi, per la corruzion de vocaboli, per tutta quanta l'opera, come che solo alcuni pochi auuertiti n'habbia, per non fare il pedante ? Quante voci di suon pessimo, improprie, di senso diuerso, e mille discordanze vulgari, ch'io taccio, per non far di questa materia il mio ragionamento ? Hauete detto in fin, Le, La, Loro relatiui, nel primo caso. Quegli nell'obliquo, nel numero dell'vno. Quello, nel caso retto del maschio. Gli, nel datiuo dalla femina. Nascano, Corrompano, nel presente del demostratiuo. Per i, in luogo di per li. Quali, in cambio di i quali. Oppenione, Gettati, Storpiati, Quercie, Vegniamo; per Opinione, Gittati, Stroppiati, Querce, Vegnamo. Auuengache, in significato di Conciosiache, e delle voci equiuaualenti, per tutta l'opera. Ne meno, Ne manco, in significanza di Neanche. Visto,Vista,Viste, per Veduto,Veduta, e Vedute, verbo. Conuexo, Conuexa, sempre con l'X. Assurdo, Assioma, e altre molte voci della schiera pedantesca da uoi vsate, in sì poca leggenduzza, che fatta hauete. E questo basti, perche veggiate, che qual'asin dà in parete, tal riceue. Sig. Mauri, io hò fatta vn'obiezione intera à vn parer dintorno alla stella, che non l'hauete rifrustrata: che non la vedeste, ò pur non haueuate oncini da pescar sì al fondo ? Discorso. Imperoche, influendo quel cielo humidità, e frigidezza grandissima, fù con proueduto artificio locato, in mezo all'ottauo, e'l decimo orbe, accioche i lumi dell'vno, e dell'altro, la virtù eccessiua di quello, rintuzzassero, e insieme insieme le vehementi influenze loro, mediante l'attiuità del medesimo, si correggessero, per mantenimento dell'ordine di tutto l'vniuerso, che l'vtile prima, e poscia l'ornamento riguarda. Chiara testimonianza ne fà il Sole, che, auuengache l'ordine dell'ornamento, e bellezza appaia mutato, più bello, e piu lucente dimorandosi, che Marte non è, egli nondimeno, in tutte l'altre cose alla sua operazion soggette, l'ordine del buono, e del bello produce, mentre che egli illumina, riscalda, genera, nutrisce, purga, ristora, rauuiua, e conserua. Considerazione XXXIIII. L'Autore già si è lasciato suolger da quei cotali, che di sopra hanno prouato per tante vie la corruttibilita de’ Cieli; poiche anch'egli quì da materia amplissima d’argomentare in fauor di quella loro opinione in questa maniera. Risposta. Se voi non fate conto d'altra materia, che di quella preparataui da mè, per arguirini contro, assicurateui, che i vostri sillogismi hauranno tanto difetto di materia, quanto vi credete hauerne abbondanza per formarli; dite pur via. C. Quel che è soggetto à qualità attiue, e pessiue, poiche secondo il nostro autore i lumi dell'uno, e dell'altro rintuzzan la virtù eccessiua del Ciel Cristallino, mentre, che egli ancora corregge le vehementi influenze loro, mediante la sua humidità, e frigidezza: R. Cosi stà, e lo dicono i Filosofi , e Teologi, e Astrologi ancora. ò guardate s'io voglio empieruela, perche, ad ogni modo vi auuerra, come a’ prugauoli, che si cuocon nella loro acqua. C. Adunque quelle celesti sfere sono alterabili, e corruttibili. R. Quest'è la chiaue del mellonaio; che vi siete creduto, che le qualita del Ciel sian le medesime, con le qualita elementari; e perciò nulla vale il vostro argomento; sendo che di sopra vi si è dimostrato de la materia celeste, e delle sue qualità resultanti dalla forma, non esser corruttibile quella, ne corruttiue queste; e cosi perche non connengono vniuocamente le qualita del Cielo, con quelle degli elementi, diuerie le operazion lor sono altresi. Onde non corruttiue qualità, come le sullunari, ma perfettiue le celesti sono. perche S. Tomaso , à proposito di ciò, dice. Cœlestia habent alterationem secundum illuminationem, & obscuritatem non tamen generabilia, & corruptibilia sunt. Ma è l'azion loro, azion di perfezion nel paziente, come per esemplo l'illuminazion della Luna cagionata da’ raggi del Sole. Ecco, che io non sono stato da quei cotali, ne da voi tirato a consentire a cosi vana opinione, perche è impossibile vnir le serpi con le colombe. Discorso. Oltre acciò, quanto all'eccellenza di essi Cieli, circa l'orbe tutto di ciascun parlando, l'ordine per auuentura non è alterato. Imperoche io non haurei per difficile a creder, che quasi tutta la perfezion del Cielo, in cui alloggia il Sole, ristretta fosse in quel globo cosi lucente. E il Ciclo acqueo, è cristallino, oltre che può la nobiltà sua consister nell'esser priuato di stelle, accioche egli sia di maggior virtù a lui propria guernito, operando negli altri Cieli, ha come dice l'Angelico dottor, nel secondo del Cielo, i suoi moumenti ordinati per le stelle de gli altri giri celesti, come, che questa non sia del moto suo causa adeguata. Conchiudiamo per tanto, che, se i Cieli, che piu altamente situati sono, maggior eccellenza posseggono, e quegli massimamente, che a gli altri souraitano, il Primo mobile sia leggiadramente di gran numero di stelle adorno. Considerazione XXXV. Dato, che tutta la perfezion, del Cielo in cui u.g. alloggia il Sole, sia ristretta nel globo solare, non so conoscere per questo, che l'ordine de’ Cieli non si debbia dire alterato, appunto appunto, come se perfezione non fosse di più nel globo del Sole, che nel restante del suo Cielo. Dico questo, non perche io tenga, che l'ordine della belleza appaia mutato, ma perche non sò quello si voglia dire il Colombo per questo [Oltre acciò] non ci vedendo alcuna conclusion necessaria. Risposta. Se voi non iscorgete questo vero, incolpatene la vostra cecità. Ch'in tutto e orbo, chi non vede il Sole. disse il nostro Petrarca. Signor nò, che l'ordine de Cieli non si dee chiama alterato; concioiache, non solo la virtù che è ristretta in quel globo solare, se fosse sparsa per tutto il suo Cielo,verrebbe tanto innacquata, che meno efficacemente, opererebbe, che non fà la virtù di Marte con tutto il suo Cielo; ma, che più importa è, che per esser differenti di spezie le celesti sfere, non può mai il Cielo inferiore, quando fosse tutto stella esser più nobile del superiore, si come altresi delle stelle fra di lor comparate, accade il medesimo: sendo che altro non siano le stelle, che parte più densa del suo Cielo; e, come i filosofanti vogliono, tale è la forma delle cose, quale è la disposizion della materia, che la riceue. Tolommeo ancora nel suo quadripartito, non dic'egli, che le stelle quanto più alte situate sono, più nobile, e più efficace è la virtù loro? Virtus Saturni, (dice egli) coaptatur ad vniuersalia tempora; louis ad annos; Martis, Solis, Veneris, & Mercurij ad menses; Lunæ autem ad dies. Ac primi tres planetæ superiores respiciunt ea, quæ ad existentiam rei secundum se ipsam pertinent: quatuor reliqui ad rei existentis motum ordinantur. Il medesimo afferma anche San Tommaso. Ecco adunque, che l'ordine del la nobiltà, e eccellenza, de’ Cieli, e delle stelle veramente non può dirsi alterato; e che quanto vn ciel più alto ascende, e luogo più eminente ottiene, si dee dire in conseguenza, che la sua natura sia più eccellente di quella degli inferiori, come che all'occhio nostro, quanto al Sole, altramente appaia, rispetto alla grandezza, e luce di quello, in comparazion dell'altre stelle. Ne si può ragioneuolmente porre in quistione, che l'influenze celesti più efficaci, e di virtù maggior non siano in quelle sfere, e stelle, che più alto riseggono, che nelle inferiori. perciò che, se à ogni Cielo assiste con la sua presenza, e virtù vn'Angelo distinto di spezie più nobile, secondo la nobiltà del Cielo, da lui gouernato, come il filosolo, e la comune opinion de’ Teologi afferma, chi non dira insiememente, la possanza, e gli influssi di quel cielo esser di gran lunga più nobili, che gl’influssi del sottoposto Cielo? Non e egli vero, che gli effetti corrispondono alle cagioni? Se, come ancor voi confessate alla considerazion 33. producon Marte, e Gioue influenze più nobili, più nobili ancora saranno le cause loro, cioè essi pianeti, e gli assistenti motor del lor Cielo, da cui le virtù riceuono. Hora, si come è chiaro, che il Ciel del Sol veramente non muta l'ordine della nobilta; cosi è falso, che quanto all'apparenza, mediante la grandezza, e splendor suo, non si potesse, per quello, che l'occhio giudica, dubitarne (se ben uoi non volete) poi che è pur quanto alla veduta, piu bello. Onde non doueuate dir, che quelle parole da mè aggiunte.[Oltre acciò] con quello, che segue, non hauessero conchiusion necessaria: poiche seruon per mostrar, che quel, che appare al senso, spesse fiate è inganneuole, e dalla verita, e ragion lontano. Ma quando si concedesse finalmente, che il Sole, e il Cristallino Ciel discordadssero da quest'ordine, la conseguenza non vorrebbe gia, che disordinati fossero gli altri Cieli ancora, se per qualche ragion non si conuincesse douere adiuenir ciò, in essi altresi. Perloche, se quegli vogliam conceder, che escan di cotal regola, diremo, che sia ciò addiuenuto per necessità della Natura, e beneficio universal di tutto il Mondo, che l’ordine del tutto riguarda, cosi disponente il somma artefice: e questo è a fin di maggior ordine, e perfezion, che altramente stato non sarebbe. Bene adunque si argomenta dalla nobilta de'cieli douersi ritrouare stelle nel Primo mobile. Discorso. Ne si debbe dubitarne altramente, poiche l'Empireo, che à quello immediatamente sourasta, per efser perfettissimo di tutti gli altri cieli, e stanza de’ Beati, sopra i quali, per modo indicibile Iddio siede, e gouerna, gloriosamente in se stesso felice, dicono i sapienti esser tutto splendore, e lucentissimo a somiglianza d'un fuoco, anzi d'un Sole, che perciò l'appellano Empireo. Ne in esso è già parte niuna men lucida, ò inferiore all'altre di bellezza, come nell'altre sfere, non hauendo altro ciel sopra di se, a cui l'ultima perfezione ascriuer si debba; ma in quello adiuien, che si termini, e finisca. Ne dee reuocarsi in quistione il suo nobilissimo splendore (comeche a gli occhi nostri non appaia) dicendosi; se egli è tutto quell'orbe di sostanza assai più lucente, che il Sole, come potra egli non rappresentarsi a gli sguardi altrui, quantunque lontanissimo? Impercioche il medesimo dottor Angelico afferma, non esser visibile, per vna di queste due ragioni, quel corpo risplendentissimo: ò perche non essendo egli spessato, e denso di maniera, che e' possa lanciarlo splendor suo raggiando, e terminare ancor la vista, e quindi non possa altramente farsi vedere. O perche il suo lume, che è di gloria, non di natura, non sia proporzionato oggetto, per farsi visibile all'occhio corporeo, caduco, e mortale. Ma, che la densità sia necessaria, per terminar la vista, acciòche la vision si faccia, l'esemplo nelle cose terrene, e molto più materiali chiaramente il fa palese. Imperoche, non e egli vero, che le spezie de’ colori, e l'imagini, che nello specchio si rappresentano, prima si figurano, e son riceuute nell'aria, e dall'aria passano a quel cristallo , che le ci mostra? Nondimeno elle non si scorgono nell'aria, perche non è densa di maniera, che in quella si termini la vista, per riceuer quelle imagini, come adiuiene in quel vetro, il quale è corpo denso, e terminato la guisa, che la superficie sua figura, e rappresenta a gli occhi quei colori, e imagini degli oggetti visibili, da cui la virtù visiua vien terminata. Non che i raggi dell'occhio, vicendo fuori, vadano a terminarsi in quella superficie colorata, ma quella imagine, terminata in quella superficie, se è specchio , ò cosa simile reflettendosi, uiene all'occhio, in cui ella si termina di nuouo, e rendesi uisibile. E l'altre che, per lo specchio si ueggono, fanno nell'occhio il medesimo effetto, ma addirittura, la spezie uisibile per l'aria passando, nell'occhio si termina, e figura. Ma, che tutto sparto di stelle sia il Primo mobile, da Aristotele la ragione apertamente s'appara, nel secondo del Cielo, tutto che egli stimasse il Formamento. Primo mobile, dicendo, che ciò si richiede a quell'orbe, per la sua eccellenza, sì perche da più nobile intelligenza è agitato: sì per che più immediatamente uicino al motor sommo si ritroua: sì perche l'altre sfere dal suo monimento portate sono. Considerazione XXXVI. Ansa si, è di più vi dico, che io hò sentito, che, se voi non vi aiuterete altrimenti voi haurete la sentenza contro: e veramente andianla vn poco discorrendo senza passione. Risposta. Che dite uoi di sentenza Signor Mauri? Non mela deste voi contro fin nel principio, intorno all'Astronomia ? Orsù manco male, che mi resta qualche speranza; e tanto più, che par che vi contentiate, esserne giudice altri che voi; perche altramente io non la voleua inghiottir senza appello. C. Che il Primo mobile sia leggiadramente adorno di gran numero di stelle, si proua da voi con queste ragioni, se però ho bene inteso il vostro linguaggio. R. Il mio linguaggio, e in buona gramatica fiorentina, separata dalla pedantesca, di cui la vostra leggenda è piena, per esserui, stata imburchiata da vn di que’ cotali, che per simil manifatture tosto n'haurà vn buon gratta capo; hor dite via. C. Prima il sito de’ Cieli si sà per via delle stelle, che quiui si trouano, ma del Primo mobile si sà il sito, adunque nel Primo mobile sono stelle. Seconda. Il Cielo è di maggior perfezione in quella parte, in cui le stelle riseggono: ma il Primo mobile è di maggior perfezione di tutti i Cieli per esser di tutti più sublime, adunque i Primo mobile, e pien di stelle. Terza. Quel Cielo il quale e agitato da più nobile intelligenza. Quel Cielo immediatamente vicino al Motor sommo: Quel Cielo finalmente, al cui moto obbediscono gli altri Cieli, facendosegli seco girare, è conueniente sia dotato di maggior belleza , nobiltà, ed eccellenza, il che consiste nelle stelle: ma il Primomobile è quella sfera di cotante perminenze: adunque. R. Se voi metteuate in carta prima le parole del mio discorso, oltre che uoi facciate il debito uostro, non mostrauate di non hauer mai veduto Loica, non sapendo ridurre i mei argomenti in fillogismo, ne ritrouarne il bandolo. Pensate quali saranno l'impugnazioni, e come a proposito. Quella voce [sublimita] non vedete voi, che ella non si dee prendere in sentimento d'alteza di luogo, ma d'eccellenza di stelle? E non poteua intendersi in altra maniera, poiche seruiua, per esemplo dell'eccellenza della sostanza celeste, e perciò dissi quella parola, [regolarmente] attesoche se ne dee cauare il ciel cristallino. Onde è falso, che io dalla veduta delle stelle argomenti l'altezza del luogo, ma si bene dall'altezza di esso luogo, la nobiltà maggior d'vn ciel rispetto all'altro; e da questa ragion si argomenta, il Primo mobile essere stellato, e il segno di ciò son le stelle numerose, di cui è l'ottaua sfera adorna; essendosi innanzi mostrato, le stelle esser la più nobil parte del lor cielo. Hora potrete uoi hauer per risoluto quel, che poco dianzi haueuate per dubbio, cioè di non intendere il mio linguaggio. Ma andate, che; per torui ogni speranza di refugio, voglio accommodarmi a’ vostri spropositati argomenti, e non lasciarui in asso com'io dourei. Che dite adunque? C Ma altri tenendo tutto il contrario, fondati particolarmente in questo, che’l Cielo, ilquale e cagion dell'uniformita, come è il Primo mobile, non dee esser difforme nell’auere stelle: rispondono al primo argomento, col negar la maggiore: poiche voi, per non si partir dalle proue somministrate loro nel vostro discorso, sapete il sito del cristallino, e pure affermate insieme insieme non essere stellato. R. O bella maniera di parlare; che adopera questo auuerbo replicacaro [insieme insieme?] egli ci stà più a disagio, che non istò io con la penna in mano, per rispondere a cosi stuccheuoli argomentazioni. Quest'e altro ripieno, chè quel de’ curandoli nella salsiccia, che pur vaglion qualche cosa. - C. Onde bisogna, che l'habbiate, col seguir, come dice il Copernico, le pedate de’ più antichi, e fasmosi Astronomi, rinuentato per altro mezzo, che delle stelle. R. Se altri tengono il contrario, non lo tien già Alberto nella metafisica, libro secondo, trattato secondo, capo venzei da voi citato; ne ragionò mai in quel luogo di cotal materia. Ma voi, che l'hauete segnato, e non veduto, douereste molto bene aprir gli occhi, perche non poteuate far peggio, che, quistionando senza occasione, ma solo, perche cosi vi aggrada, citar gli autori a rouescio, accioche v'habbiano a esser rinfacciati finili errori. Anzi, ne Alberto, ne altri dicono, che la ragion d'Aristotele non sia vera, e naturale, prouando egli, che le molte stelle, che nell'ottauo Ciel si ritrouano, sian segno della nobilta sua, e che al moto regolato, e velocissimo di quello, esse conuengono. E se ben poi e stato osseruato, quel cielo hauer più mouimenti, non per tanto non si può dir, che le stelle assolutamente sian cagioli, che egli habbia deformita di moto. Imperoche il Ciel cristallino è pur senza stelle, e nulladimeno più d’vn mouimento haner si ritroua. E perciò, se altri, poi che s'è ritrouato non esser lo stellato il Primo mobile, hanno detto, che il decimo ciel non ha stelle, per ragion dell'uniformita del suo mouimento, è manifesto questa ragione esser fallace; e tanto piu oggidi, che stelle ritrouatesi uisono. Onde la ragion d'Aristotele, che è la piu ragioneuole, e naturale, come si mostrerà poco appresso, confermata da altri, e negata da niuno, resta nel suo valor primiero. C. Al secondo affermando, che è cosi vero , che’ l Cielo, cioè l'orbe verbigrazia di Gioue, sia più perfetto, doue risiede quella stella, quantunque alcuni tengano, che qual si voglia parte del Cielo abbia vna stessa virtù, e proprietà; come per lo contrario è falsissimo, che del Cielo, cioè di tutti i Cieli, sia più eccellente quello, che hà stelle. Poiche l'Empireo è di ciascheduno, e più nobile, e più perfetto, e con tutto questo, eziando secondo’ l parer vostro, quiui non si ritrouano stelle. Il perche diuidon la maggiore, negandola, se per lo Cielo s'intende l'aggregato di tutte le sfere celesti : per lo contrario concedendola, senza temer danno veruno dalla forza di cotale argomento, per la sua moltiplicità de termini, se’l Cielo si piglia per l'orbe d'un sol pianeta. R. Io vi torno a replicar, che dissi, le stelle regolarmente mostrar la nobiltà d'vn cielo in comparazion dell'altro. Di più hò anche detto, che niuna stella ha tanto di eccellenza in se, che auanzar possa la nobilta della sostanza del ciel superiore, eziandio doue stelle non sono. Ma ui potrei ben negar, che l'Empireo fosse, eccettuato dalla regola. Anzi è tanta l'eccellenza di esso, che è tutto vna stella, come hò detto, se ben mi vorreste far Calandrino. Non hò io detto, che egli risplende più, che il Sole, e tutte l'altre stelle insieme, e che non ha parte ueruna, che inferiore all'altra sia, perche in esso è l'ultima perfezion, che possa hauere il Cielo? Hora poi che non temete del mio argomento, mediante quella stupenda distinzione; almeno bisognerà, che ui rimanghiate col danno, se non con la paura. C. Finalmente al terzo, adducendo in risposta, la dottrina per resoluzione del secondo apportata; poiche è chiaro, che in altro, che in essere stellato, può consister la maggior eccellenza d'un Cielo, cioè nell'esser egualmente per tutto risplendente. R. Se volete conoscer questa resoluzione irresoluta, digrazia non ui lasciate scappar della memoria quella parola, [regolarmente,] da cui potete cauar, che quegli, che ha la regola dal suo, mette in necessità il contraddicente di prouare il contrario, se vuol conseguir l'intento. C. Rendon molto deboli, anzi annullano i vostri fondamenti, e perciò, restando voi senza ragioni probabili, vi bisognerà, à guisa de’ Pittagorici, addurne solamente, per proua l'autorità de’ famosi scrittori. R. Quantunque io v'habbia fatto veder, che le Aristoteliche ragioni stanno in piedi, e che niuno è, che l'habbia impugnate, non che annullate, oltre la sua autorità, che andate ricercando, per esser di quei famosi, uoglio per abbondare, e sodisfarui maggiormente, nuoue ragioni, e autorità di scrittor famosi addurre. C. Ma à chi giammai ricorrerette? Alessandro, Alberto Magno tengono, e prouano, che il Primo mobile non è stellato. Auerroe, San Tommaso, con tutti i Filosofi naturali senza mancarne pur vno vogliono il medesimo: e per finirla tacendo di Dante nel Paradiso, quale è quell'astromo antico, ò moderno, che non affermi, e approui questa stessa verità. R. Questo è vn dire, io non ti vò creder, se tu non produci per testimon gli huomini ch'hanno ancora a nascere. Se al tempo della maggior parte di questi mentouati non era nata la cognizion di questo cielo, come volete, che la testifichino? Essi non son [de facto], ne per voi, ne per me, ma [de iure, ] son per me contro voi, perche dalle loro ipotesi si vede, che, se fossero all'eta nostra, direbbon, come dic’io. Hora, se vi basta l'animo di far comparir quì tutti quei tali, che non hebbero cognizion del decimo Cielo, che noi Primomobile appelliamo, come fece la Fitonessa comparir Samuel, ad instanza di Saul, io vi prometto, che diranno, il Primo mobile esser tutto parto di stelle. Non è vero, come in dianzi dissi, che San Tommaso con tutti questi autori, habbiaio contrariato ad Aristotele. Anzi che, affermando essi, il Cristallino esser Primomobile, perche, secondo la Scrittura Sacra, si conferma, il dir, che sia senza stelle, essendo simile all'acqua; dissero, ad ogni modo, per non discostarsi dalle ragion naturali d'Aristotile, che quel moto era ordinato per le stelle, cioè per la difformita. Dante ancora da voi citato (che benedetto sia quella volta, che voi non chiamate gli autor, che vi fanno contro) parla del Cristallino, e non del Primomobile. E tra i moderni eziandio il Collegio Conimbricense dice il medesimo, sopra lo stesso luogo d'Aristotele. Il Tostato ancora, che fu dopo San Tommaso tien; che noue sian le sfere, secondo gli Astrologi, e che il Cristallino sia Primomobile. I. Se bene al cercar, se altri moti, ò cieli si davano, s’aspettaua, secondo il Mauri, a quegli, che studian fuor di camera. Onde a gli Astrologi di que' tempi, che siauano alla capagna, hauendo il Ciel per camera, si rapportauan que nobili scrittori. Ma, se l'hauer dalla mia Aristotele, e per autorità, e per ragion, no vi quieta in maniera, che ad ogni modo non vogliate imputarmi di troppo ardito, crederei che, doue gli scrittori son dubbi; o vari, o non contraddicenti, e mutoli, non potendo dirsi, che altri vada contro la comune, perche altramente non haurei cotal cosa affermato; ci, douesse almen bastarui per conceder, che io potersi far proua dell'ingegno, senza sottener menda di arrogante. Ma voglio di più mostrarui, che non mancano altri attoreuoli scrittori, mediante i quali, e le lor filosofiche ragioni, io possa, contro la vostra vogia, loda riportarne. Il dotto San Bonauentura adunque, oltre a le ragioni addotte da Aristotele, proua per molte vie naturali, che, se il Primomobile fosse senza stelle, e vniforme, egli non dourebbe muoueri. Prima, dic'egli, il Cielo Empireo da i Santi Padri è reputato immobile, per la sua vniformita; ma il ciel, che vniversalmente manca di stelle è vniforme; adunque niun ciel senza stelle è mobile. Di più; douunque è moto, quiui è continuità, e variazione: ma la continuazion, che è nel moto, vien dalla continuita della grandezza del mobile; adunque, per la stessa ragion, la varianza del moto vien dalla varieta del mobile: ma il corpo celeste, che manca di stelle non ha vareta ne suoi moti; adunque, ne eziando ha mutatione. Oltre acciò, ogni mouimento serue per qualche bisogno di esso mobile, ò di qualche inferiore: ma il ciel, che non ha stelle non può muouersi per bigogno di se medesimo, attesoche, per quel moto, niuna mancanza di esso ciel si complice. Non può seruire anche per altro inferior corpo, perche egli cosi bene influisce stando quieto, come mouendosi, e influisce uniformamente; adunque in veruna manie a conuiene al ciel, che non ha stelle muoueri. Aggiungo alle ragion di San Buonaentura, che, se il moto procedesse dall 'vniformita, i cieli inferiori al Primomobile, per esser moltiformi, e stellati, non haurebbon moto proprio, ma solamente l'accidentale, cagionato dal Primomobile. Dico inoltre che, se il Primomobile stellato non fosse, egli saria nelle tenebre; il che veramente non si dee credere in modo veruno. Lo prouo, perche, se secondo voi, al Sol non illumina oltre la superficie stellata del firmamento; e secondo altri non illumina, se non il Cristallino; e’l Cielo Empireo non diffondendo, come si è detto, abbasso il suo splendore; ne seguita, che il Primomobile, non hauendo stelle, sia nelle tenebre, almeno in rispetto a gli altri cieli, che hanno stelle, ò son dal Sole illuminati. E perche si porreboe contro San Buonauentura argomentar, che, per esperienza, false appaion le sue ragioni, che prouano il Primomobil. non douer muouersi, per cagion dell'uniformità, poiche non solamente quel cielo, ma anche il Cristallino, che non hà stelle, si muoue: risponde i negando, che nel Primomobile stelle non siano ma se si concedesse, come nel Cristallino, si dice, eziandio che stelle non si ritrouino in essi, adogni modo uarietà, e difformita in quelli i ritroua, di moto, e di quiete, di destra, e di sinistra per comparazione all'influenza del moto e, e perciò si muouono. Se ben si potria dir, che vicisse il Cristallino dell'ordine naturale, per la perfezion dell'uniuerso, come afferma lo steffo Santo cosi dicendo. Quod est ponere aliquod cœlum moueri, quod careat varietate stellarum, & luminarium, & hoc est Cœlum aqueum, siue cristallinum, ad cuius cognitionem, & si pauci philosophi peruenerunt, quia corpus illud latet sensum, ratiocinando tamen peruenerunt aliqut, & illi qui peruenerunt posuernt ipsum moueri sicit quidam Astronomi nixi sunt hoc probare. Communiter tamen ad cognitionem existentiæ huius Cœli, peruenerunt omnes tractatores catholici, autoritate Sacræ Scripturæ diuinitus illustrati, quæ ipsius existentiam expresse declarat : motum tamen eius, vel quietem non explicat. Sed doctores Thæologiae, rationibus fulciti, communuter ponunt Cœlum illud moueri, & inter alias rationes potissima est illa, qua sumitur ex perfectione vniuersi. E soggiunge; Cristallinum potest dice, habere vniformitatem partium, sed habet diuersitatem secundum rationem dextri, & sinistri, per comparationem ad influentiam motors. E, chiamandolo Primomobile, perche non era ancor noto il decimo Cielo, dice. Motus Primi mobilis respectu allorum est vniformis, quamuis variatio dicatur respectu quietis, & motus. Ecco adunque, che non dalla uniformità, ma dalla difformità naturalmente si cagiona il moto; e per ciò secondo il filosofo, Motus est passio consequens ad multi formitatem corporis. E stellato per tanto il Primomobile Signor Mauri. C. E, se Aristotile, pare tenga dalla vostra, affermando il Primo mobile esser l'ottauo Cielo, doue grande infinità di stelle si ritrouano, con tuttociò il fatto passa altrimenti: Imperocche, per non si essere in quei tempi osseruato altri mouimenti, che’l diurno, e de’ sette pianeti, non abbisognaua oltre all'ottauo, alqual diedero nome di Primomobile, il numero de’ Cieli multiplicare. Onde per essere il firmamento sensibilmente stellato, insensato, e ridicoloso sarebbe stato quegli, che non ostante il vederlo continuamente, auesse creduto, che quel che teneuano per Primomobile, non fosse in niuna maniera ripien di stelle, si come per lo contrario sagace, e arguto chi ingegnosamente, lasciata la contesa dell'essere, come chiara, auesse ritrouata, qualunque ragione si fosse, perche in quella guisa si dimostrasse diuisato. Aristotele adunque, perche'l vedeua, ò per dir meglio pensaua di vederlo. R. Che vuol dir pensua di uederlo? Che il Primomobile, ò il cielo stellato? C.Non si discostò dall'uniuersale opinione, che egli fosse fermamente stellato, ma andò bene inuestigando probabili ragioni di quello, che per lo senso non gli pareua potersi negare, le quali, chi intende, quanta differenza sia dal render la cagione d’una cosa manifesta, e necessaria, e d'una incerta, e dubbiosa, non si persuaderà mai, che elleno fossero state addotte da quel pellegrino ingegno, per cagioni di quella varietà, se per Primomobile fosse stato al suo tempo tenuto, come è ora vn ciel superior al firmamento, e del tutto inusibile. R. Come vn ciel superiore? Anzi son due, e forse più secondo alcuni, pur de, mobili parlando. C. Oltre che io mi dò ad intendere, che se i seguaci della sua dottrina, ammaestrati, e guidati dalle medesime conclusioni, anno tenuto, e prouato, che il Primomobile del tutto manca di stelle, egli ancora infallibilmente tirato da gli stessi principi aurebbe giudicato non diuersamente da loro. R. Quest'è doue vi ingannate, come sopra vi hò mostrato. imperocche, i medesimi principi seguendo, faceua mestier, che eziandio i seguaci suoi affermassero, il moto nascer dalla difformità; ed è cosi vero, che, se Aristotele hauesse ueduto il Primomobile senza stelle, ad ogni modo attribuito haurebbe la cagion di quel moto alla difformità, come si uede, che hà fatto San Bonauentura, e altri, per le ragioni addotte, che son tutte naturali. E perche voi sappiate meglio, la vostra maniera di argomentar, si ritorce tutta contro di voi: percioche, si come Aristotele filosofaua la ragion delle molte stelle nel Firmamento, allor tenuto Primomobile, perche egli le vedeua; cosi que’ tali, che tengon nel decimo ciel, non essere stelle, filosofaron la ragion, perche non vene fosero. ma egli, che hà trouato ragion, che val, per dir la cagion del moto del cielo, e delle molte stelle insieme, che in quello si trouano, impon necessità a gli altri, che seguir debban le sue ragioni: tanto più oggidì, che stelle nel Primo mobil uedute si sono. C. E tanto più, che gli Aristarchi, i Tebezi, i Timocari, i Tolomei. - R. Fate pian con que’ Tolomei, se parlate dell'Alessandrino, e con que’Timocari. Se voi haueste veduto il Padre Clauio. il Collegio Conimbricense, e tanti altri famosi, che fanno le distinzion delle Classi degli autori d'Astronomia, non faceuate memoria di questi tali, che non fanno per voi. Tolommeo l’anno del Signore 131. incirca, ritrouò con gli altri de’ suoi tempi la nona sfera, e la chiamarono il Primo mobile, anzi che, Timocare, che fu 330 anni auanti la natiuità di Cristo, non osseruò altro ciel sopra lo stellato, se bene alcuni voglion, che egli, e Arsatile hauessero cominciato ad hauer qualche spiracolo della nona sfera. Dopo Tolommeo 1140. anni, ò quiui intorno Tebith, e Alfonso Rè con altri astrologi ritrouarono il decimo cielo, che oggi Primo mobile s'appella. C. A'quali in tal materia; come dice egli, si dee prestare intera fede, hanno stimata sempre verissima sì fatta openione. R. Agli Astronomi si dee creder più, che a Filosofi, quelle cose, che aspettano alla Astronomia solamente; ma non gia quelle, che alla filosofia ancora appartengono, come il trouar la cagion delle cose, quale adiuiene appunto in questo, cioè, se stelle sian nel Primo mobile, ò nò; perche non se ne può far demostrazione astronomica, per prouarlo dal senso, negando voi, che quelle stelle, che vedute si sono, secondo la uostra astronomia prouar si possa, che elle siano state in quel cielo. Perche gli Astrologi, uolendo negar, che tali stelle siano state da principio nel cielo, e nel Primo mobile, sariano contrari al filosofo, che veruna cosa di nuouo non concede generarsi in quel corpo, e’ perciò conuiene a lui, il trattar simil materia ancor, aper non dare il ciel corruttibile. Laqual dottrina, i buon astrologi seguitando, farà mestier, che stelle nel Primo mobile concedan, secondo il parer d'Aristotele. Non si deue adunque tralasciar la ragion naturale, per credere à chi nega senza riprouare, e senza alcun fondamento, che stelle sian nel Primo mobile; sappiendo ogni buon filosofo, che, gli argomenti presi dall'autorità negatiua, non prouan cosa veruna. C. Torniamo ora à quello donde ci dipartimo, e andate vn po considerando, Signor Colombo, se quello, che dite esser manifesto, può meritamente dirsi dubitabile, poiche l'opposto per l'appunto vogliono tanti scienziati huomini, i quali malamente s’altererebbero contr’a quel giudice, che senza apportarne voi nuoua autorita, e ragioni, vi dichiarasse vincitore. R. Signor mio nò, che dubitabile non può dirsi, da chi non cerca il nodo nel giunco; poiche i sapienti, da uoi ricercati, per che fede uene facciano, u'hanno lasciato sù le secche, con un braccio di naso. E se non uolete esser condennato nelle spese della lite, posciache mi dauate ragione, ogni uolta che, nuoue ragioni, e autori, adduceua, fuor d'Aristotele, il quale allegaste a sospetto; rinunziate alla causa quanto prima, e non ui fate più straziare. C. Ma che fà bisogno di sì lungo discorso: poiche'l vostro ritrouamento, e capriccio del vedersi la nuoua stella, dato ancora, che’l Primo mobile sia stellato, niente di più ha del probabile, e del verissimile, che, se si negasse, come si è fatto di sopra, che egli in alcuna maniera non fosse in quella guisa diuisato. Conciosiache non si potrebbe da noi con tutto questo giammai vedere, per esser l'ottaua sfera in niuna sua parte alla vista penetrabile, e l'ultima delle sfere visibili, come tiene con tutti gli intendenti d'Astronomia, il Copernico: e oltre à questi secondo ne scriue Antonio Dulciato, i Sacri Teologi ancora, perciò affermano non cader sotto sentimento alcuno il cielo Empireo, con gli altri, che si ritrouano sopra il Firmamento. R. Pian vn pò Signor Alimberto, che le cose vanno molto bene; Poiche, hauendomi voi conceduto, per ragion la nuoua stella poter esser nel Primo mobile, vi resta solo vna difficultà, ed è questa, che, per non esser penetrabile alla veduta nostra il ciel cristallino, vero esser non può, che tale stella sia stata veduta nel Primomobile. In vna difficultà minima, in vn capello consiste tuttà la vostra forza. Orsù leuiamo il capello a questo Niso, che in vero vn capello è, che vi tien, che non vi arrendete: e posso ben dir contro di voi le parole del Petrarca. Vedi Signor cortese, Da che leue cagion, che crudel guerra. Hora, che le sfere mobili sian tutte dalla vista penetrabili, non è in maniera veruna da reuocarsi in dubbio. Ma prima è da auuertir, che altro è dire vna cosa esser visibile, e altro è dir, che sia penetrabile dalla vista; poiche l'aria, e l'acqua, e'l vetro, e altri simili corpi, perche son trasparenti, son penetrabili alla vista, ma non son già uisibili. Come si vede auuenir delle gocciole d'acqua, che piouono, le quali, non si veggon per l'aria, se non doue fra l'opaco, e l'occhio elle piouono, e fra cosa colorata ancora; conciosia, che l'oggetto visibile è necessario, che lucido, e colorato sia. Quando adunque il Copernico, il Dulciato, e gli altri dicon, che noi non possiamo uedere, ò che non è visibile il Cristallino, e l'Empireo cielo, dicon vero; e io non discordo da loro, poiche il cristallino è senza colore, e senza stelle, ma non è già vero, ne lo dicono i filosofi, ne i Teologi, ne gli Astrologi, eziandio, che l'ottauo cielo non sia penetrabile dalla vista. E intendasi sanamente penetrabile, perche non dico, che la vision si faccia, mediante i raggi visuali. Ecco il Vallesio. Sol non illustrat totum ortem, sed eam solum partem, quæ motui subiecta esi, nam quandoquidem in quarto orte situs est, subtantque illi tres tantum, suberstant vero, plures: siquidem planetarum alij tres insuperque sellatus, & nona sphera, atque, qui his superstant, tanto sunt crassiores, quantò sublimiores, constat solis splendorem non possa sedem Beatorum attingere, aut adeò languidum, vt illa futura esset obscura. E San Tommaso dice. Sed quia corpus firmamenti, et si sit solidum, est tamen diaphanum, quod lumen non impedit, vt patet per hoc, quia lumen stellarum videmus non obstantibus medijs Cœlis. é cosi dicono i suoi comentatori. San Buonauentura afferma, il Cielo acqueo esser tale appellato, perche le proprietà dell'acqua ritiene, tra le quali, dic'egli, è l'esser recettino del lume, perche è trasparente. E adunque il Cielo alla vista penetrabil di maniera, che le spezie delle stelle, che fossero sopra il firmamento, si posson diffondere, e trapassare alla nostra vista, come di fatto si vede accadere. Ma per finirla, quanto all'Empireo ancora, se fosse uero, che i raggi, e lo splendor non penetrassero lo stellato cielo, e che fosse non pur comune, come voi dite, ma almeno di pochi, e probabil cotal'opinione; a che fin tutti gli scolastici metterebbono in question, come possa star, che il Cielo Empireo sia così lucente, attesoche noi non ueggiamo il suo splendore ? Non è però chi risponda trà i famosi, che ciò addiuenga, perche il cielo stellato dalla vista impenetrabil sia; ma per le ragioni, che adduce l'Angelico dottor, come sopra ho mostrato, nel dicorso. Paru'egli ancor, che sia leuato quel peluzzo, nel qual uoi confidauate tanto ? Restaci altro da dire? E auuertite, che io, se bene affermo, che il cielo stellato è penetrabil da raggi del Sole, per questo non determino quanto in suso essi raggi si estendano; non per l'impedimento, che faccia loro il corpo celeste, ma perche, per l'impotenza di essi raggi, è la distanza lor terminata. C. Sicome adunque è cosa da non credersi, che essendo u.g. di mezo tra gli occhi miei, e l oggetto visibile vna gran marauiglia, per vsar qual si sia più perfetta sorte d'occhiali, che à Murano in Venetia, ò altro luogo si fabricassero, io auessi à potere scorger cotale oggetto separato, cosi appo di me e medesimamente cosa ridicolosa, che non leuandosi prima lo’ mpedimento dell'ottaua sfera non altrimenti, che vna grossa muraglia penetrabile alla vista, per virtù di certi occhiali, i quali quì appresso in considerazione appartata mi riserbo à dichiarare, nell’apparizion della stella, trasposti per lo mouimento del cielo Cristallino fra quella, e gli occhi nostri, si sia potuto la veduta di cosi bel lume à noi mortali cagionare. R. Hor che noi habbiamo leuata quella sottil tella di ragno, che à voi pareua vn muro ben grosso, se non vi dispiacerà metterui i miei nuoui occhiali, vederete, che per essere di più bello artificio, che non pensauate, essi vi mostreranno, ponendoueli sopra gli occhi (se però il vostro naso n'e capace) le stelle del Primomobile. Ma perche vi fidate tanto in quegli, che vi fanno trauedere, e penetrar di là dal Mondo, di qui e, che non volete sentir parlar de miei, non che veder con essi. Sappete quali sono i vostri occhiali? Quegli, di cui disse vn faceto giouane, che sentendo in vn cerchio di letterati domandar, che fosse più a proposito per veder lume bene, ed essendo risposto, il finocchio: soggiunse, io hò sempre creduto, che l'Inuidia auanzi qual si voglia sorte di rimedio, ò d'occhiali per veder di là da i monti. Horaper ueder la nuoua stella, questi occhiali Signor Mauri, non so no il caso vostro, perche non uagliono ad altro, che a cercar di vedere i difetti altrui, ben che minimi; e nella mia stella non è magagna. Quì reputo, Sig. lettori, esser molto acconcio luogo, per rispondere a vna dubitazion d'un Padre teologo; ed è questa, che dice non hauer del uerisimile, che nel Primomobili siano stelle, attesoche la Scrittura Sacra non ne fa menzione, e che par conueneuol, che noi altri cattolici dobbiamo accomodar le materie filosofiche al la Scrittura Sacra, massimamente io, che hò detto di conformar la mia opinion con la Teologia. Ma si risponde, che, se ben l'argomentar per negatiua, non rileua cosa ueruna, dicendo egli, che, se la Scrittura non fa menzion, che stelle sian nel Primo mobile, bisogna, che non uene siano; nulladimeno, assai si conforman con la Scrittura quelli, che trattan materie filosofiche non repugnanti alla fede Cattolica, ne discordanti con la Scrittura; che perciò sono state uarie l'opinion de’ Teologi, circa le parole della Genesi, di quel che si debba intender per Firmamento, in cui ella dice esser le stelle; si che non pochi hanno affermato douersi pigliar per Firmamento tutto il cielo insieme senza distinzion di sfere. Onde secondo tal sentenza le stelle del Primo mobile si potranno dire esser nel Firmamento conforme alla Scrittura. E a dirne il uero questa esposizione è ragioneuole molto, perche, chi non sà, che non tutte le stelle son nell'ottauo Cielo, che altri intendon per Firmamento? La Luna, il Sole di cui la Scritura dice Vt luceant in Firmamento, & illuminent terram; son l'una nel primo cielo, e l'altro nel quarto. Ma, condedendosi, che per Firmamento si douesse intender l'ottauo cielo, o l'aria come altri uogliono, dico non esser necessario, che, se la Scrittura non ha fatto menzion di stelle fuor dell'ottauo cielo, preso per Firmamento, egli non si possa dir, che anche in altri cieli ne siano; poiche, quel che è da essa Scrittura taciuto, o detto implicitamente, non è inconueneuole, che altri affermi, e dichiari, come è ma manifesto de’ Pianeti, i quali sono stati taciuti, perche son compresi nel Firmamento, inteso per tutti i cieli insieme, poiche essi pianeti non son nell'ottauo cielo. Ma perche, essendo stelle anch'essi, come la Luna, e il Sole, furon presi con un sol nome, massimamente essendo ancor tutte a un fine ordinate, sotto le quali ragioni si ritrouan anco le stelle del Primo mobile, e perciò benissimo mi son conformato con la Scrittura, non sendo marauiglia, che elle sian da essa state taciute, posciache ha taciuto i pianeti, che pure son molto più uisibili, che le stelle del Primo mobile, delle quali pochissime si son vedute in lunghissimi tempi. Ne si dica, che le stelle del Primo mobile non seruon, ne sono ordinate al medesimio fin della Luna, e del Sol, come gli altri pianeti; essendo, che elle non illuminan come il Sole, e la Luna; perciòche io risponderò, che, in proposito nostro, due sono i fini delle stelle; l'uno d'illuminare, e questo al Sole, e alla Luna propriamente s'aspetta secondo la Scrittura, l'altro d'influire; e questo conuiene a tutte, tanto a i pianeti, e le stelle del Firmamento, quanto alle stelle del Primo mobile. E se pur volessimo, che anche l'illuminazion douesse conuenire alle stelle, almeno secondariamente; chi dirà, che l'apparite stelle non lucessero quanto i principali pianeti Venere, Marte, e Gioue? Discorso. Si ancora perche il moto di quello è semplicissimo, velocissimo è regola di qualunque altra mutatione. Tutte prerogatiue, che al nouero quasi infinito di quelle stelle appartengono, in cui risiede la virtù ualidissima all'operar di esso cielo, come parti di gran lunga più eccellenti, che tutto il rimaso di quello non è. Quindi è che, il Primo mobile di tante stelle adorno essendo, la nuoua stella, e qualunque altra delle mentouate di sopra, da altro Cielo, che da esso a gli occhi nostri apparite non sono. Considerazione XXXVII Anzi per esser egli semplice, veloce, e regola de gl'altri è necessario come dice Alberto Magno, che per non confessar la cagione difforme dall'effetto, il cielo à cui è attribuito quel moto, sia semplice vniforme, e per tutto, quantunque meno dell'Empireo, lucido, è risplendente. Risposta. Che vna medesima causa produca diuersi effetti, rispetto la disposizion del subbietto in cui ell'opera, appo gli intelligenti non sene dubita. Oltre acciò, secondo i diuersi modi di considerar la medesima causa, può dirsi, che vniforme, e multiforme sia, come si è prouato di sopra. Ma perche non hauete prouato l'intento vostro, non occorrera, che perdiamo più tempo, poi che il nostro si è manifestato a bastanza per con chiuder la verità de'nostri proponimenti: ricordandoui pure, che Alberto non è contrario ad Aristotele, se ben pare a voi. Scriuono i naturali, che nell'Indie, doue nascono gli Vnicorni, l'acque patiscono assai di ueleno: onde niuno animale è, che ber ne uoglia fin tanto, che l'unicorno non leua di quelle il contagio, tuffandoui il corno dentro. Il pelago della filosofia è stato da capricciosi filosofastri tutto infettato, per la mala intelligenza: è però chi non beue di quella parte, doue l'unicorno Aristotele, per esser unico, ha beuuto prima, si auuelena di corrota filosofia, come hauete fatto uoi. Discorso. Ma, che non molte, ne molto souente habbian fatto di se nuoua mostra, ciò addiuenuto è, perche egli hauuto hà di mestieri, che alcuna parte del cielo Cristallino, a quello immediatamente sottoposto, alquanto più densa, traponendosi alla vista de riguardanti, e all’ apparita stella, la veduta di essa cagioni. Considerazione XXXVIII. E di nuouo apparita questa stella (dice il Colombo) perche una delle parti del ciel Cristallino alquanto più densa à guisa d'occhiali, i quali maggior l’oggetto visibile rappresentano, s’e interposta alla vista nostra, e alla nuoua stella. E questa sua opinione la conferma dal non saper egli render’ altra ragione, perche finalmente ella sia mancata, e sparita, che questo denso, cioè questi occhiali, de quali manchiamo, ogni volta, che il cristallino, per lo suo mouimento gli ci toglie dauanti à gli occhi. Quasi, che voglia dire. Io che infallibilmente so l'ultime cagioni degli effetti naturali, considerando soura l'apparizione, e mancamento di cotale stella, ne ritrouando altra cagion proporzionata, à quella, e à questo, che l'abbondanza, e mancanza d'occhiali, è necessario per conseguenza, che questi sieno loro la cagione di simili effetti. Conciosiacosache se altra ragione più conueneuole sene fosse potuto addurre, senza fallo à me sarebbe caduta in pensiero. Risposta. Saggio voi, che per non hauer di questi ribrezi, ancora hauete a pensar di risoluer, qual volete, d'intorno a ciò, elegger per vostro parere; e finalmente, dopo molto cercare senza ritrouar nulla, hauete deliberato, lasciarui pensare ad altri, per non ci intisichir dentro affatto. C. Confermazion di vero, laquale (oltre all'esserci ancora in istampa vn'opinione dirittamente opposta, cioè, che per la interposizion di maggior rarità, non densità si sia fatta vedere cotale stella) la quale, dico, per esser solo fondata nell'autorità propria, da non si stimare forse niente da quegli, i quali non conoscendo la fama, e’l valor del Colombo, richieggono migliori; e più stabili fondamenti alle loro conclusioni. R. Perch'io sò, esser vero, che solo, chi è di torto appetito, vuol, nel ber, più la bonta del paese, che quella del vino, come, se non il vino, ma il paese a bere hauesse, non hò timor di non darui sodisfazione, comeche a gli huomini di sana dottrina bastin le ragioni, e l'Astronomica autorità, quanto alle stelle del Primomobile; e'l raro, e denso, ritrouarsi nel cielo: oltreche son confermare da grauissimi scrittori. Ma quanto all'esser tal densita nel Cristallino, e che ella cagioni la veduta di tale stella e la stella esser nel Primomobile medesimamente, per che non debbon loro aggradir più le ragioni conuincenti, e ben fondate nella vera filosofia, e astronomia, che il solo fondamento dell'autorita di nobile scrittor, che il dica? Basterebbeu'egli, che Alpestrago Astrologo eccellente dicesse, che nel ciel son tuttauia nuoui moti da conoscere, ilche essendo, vi possono esser ancor nuoue stelle, enuoui corpi, come afferma eziandio. Fauorino filosofo, appo Gellio, nella sua, orazion contra i Genetliaci? Nò, perche non dicon perciò, che vene sia niuna. Leggete adunque il famoso Francesco Vallesio, de Sacra Philosofia, che dice cosi: Censeo stellam illam à mundi principio , ibidem extitisse, [Parlando di quella della Cassiopea, che è il medesimo, che se dicesse di questa] Ac nunc extare exiguam adeo, vt videri, nisi debiliter, non possit: tuncque visam esse increscere usque ad primam magnitudinem ob aliquam medij mutationem: quæ tandiu durauit: cum enim cœli partes non sint æquè crasæ, vt via Lactea, & Lunae maculae, & ipsa astra indicant, fieri potuit, vt ea stella, per proprium stelliferi motum, incideret in partem aliquam proximi cœli, densiorem reliquis per quam densatum lumen, maioris stellæ exhiberet speciem, deinceps vero inde decedens, videretur esse minor, vt nune quidem, aliquando videtur exigua, aliquando nulla, vi aer habet Eccoui tolto ogni speranza di contradire. Direte voi forse, che, ne anche l'autorità di cotale huomo basti? Egli aggiugne eziandio, che quegli, che negasse cotale stella esser di quelle create da principio, sarebbe degno di riprensione, parlando contro la Sacra Scrittura. Imperoche ne seguiterebbe, dic’egli. Quod non esset perfectus omnis ornatus cœlorum E perche è veduta, e poi è sparita cotale stella , Bisognerebbe dir, che Iddio l'hauesse creata, e annichilata contro il detto, nel capo, Dell’Eccles. dicente, Omnia opera Dei perseuerant in perpetuum. Vagliami almeno, per tanto, appo voi, l'autorità di tant'huomo, che io mi possa far lecito con ragioni efficacissime, poi che nol fece egli, per non lo ricercare il concetto, e la materia, di che egli ragionaua; di hauer dichiarato il luogo della densità, e della stella, non potere in maniera veruna esser altroue, che l'vna nel Cristallino, e l'altra nel Primo mobile, come si vede nel discorso, ne voi hauete saputo conuincere in contrario; posciache non v’aggrada concedere à me solo tutta l'iuenzione. E da esso Vallesio si caua, che al Primo mobile haurebbe attribuito tale stella, poiche reputa inconueneuol dir, che quel ciel non habbia luce: e questo dice, poco dopo nel medesimo capo, affermando, che il Sole illumina sino al Cristallino cielo; e soggiugne. Atque qui his superstant, tantò sunt crassiores, quantò sublimiores, constat Solis splendorem non posse sedem Beatorum attingere, aut adeò languidum,vt illa futura esset obscura; quia cum corpus luminus susceptiuum sit, esset in tenebris, si lumine careret. quid magis absurdum? Hora il medesimodee dirsi del Primo mobile, poiche, ò non ui arriua, ò debolmente il raggio solare, secondo questo autore, e altri. Circa quel vostro Gio. Heckio, di cui dite il parere essere opposto al nostro, atteso, che tien, che la maggior rarità, e non densita sia cagion della veduta di tale stella; perche mi vò imaginando, che gli crediate meno, che à mè, non facendo menzione alcuna delle sue ragioni, io non istarò a pigliar briga di vederlo, non mi occorrendo. Ma, per dir qualche cosa, e mostrar, che simile opinione, hà poco del rationeuole, e che, per non cadere in molti errori, egli dourebbe conceder, secondo il nostro parere, cotale stella esser nel Primo mobile, e mediante quella densità apparira; non è egli manifesto, che, se l'apparita stella fosse tra l'altre dell'ottauo cielo, douendosi veder, mediante maggior rarità d'una parte del ciel sotto posto, niuna altra stella veder si potrebbe, per esser ricoperte dal rimaso del cielo, che le occuperebbe con la sua densezza? E se pur volessimo, che la detta rarità, situata fosse nell'ottaua sfera; chi mai direbbe, che la stella apparita facesse dimoranza nel Cristallino cielo, per contraddire a tutti gli scrittor Sacri, e profani? Oltreche voi non concedereste, che vna stella di tanta grandezza potesse a gli occhi nostri occultarsi da quel cielo, se, come hauete dimostrato, per matematica ragione, ella fin dal Primo mobile veduta si sarebbe, quantunque io v'habbia reso vano l'argomento, rispetto al mio concetto per ragion della densita, che maggiori fa apparir le cose, che elle diuero non sono, come appresso vedrete. Cosa, che non proua la rarità. conciossiache la stella si rappresenterebbe per quella gran fenestra senza alterazion della sua stessa grandezza, non altramente, che l'altre si facciano. Non s'è ancor prouato, che le parti dello stellato cielo, doue stelle non sono, son tutte rare, penetrabili, fuor che la Galassia? Sì: adunque sempre si rappresenterebbe tale stella, pur che sopra di altra stella non si ritrouasse, per esser molte, e spesse le parti rare, e senza stelle di quel cielo. Aggiungansi a queste ragion tutte quelle, che dette si son nel discorso, per prouar, che la densità, e la stella, non poteuano essere altroue, che ne’ luoghi detti; attesoche la medesima ragion della densità vale della rarità ancora. C. Adunque per comune soddisfazione, andremo passo passo, di considerazione in considerazione. R. E sì par ben, che ven'andiate in considerazione, poiche non annodate nulla. Eh finitola ormai? C. Discorrendo della nuoua inuenzione di questi occhiali, accioche, ò la bontà, ò l'inconuenettolezza, e falsità loro venga con ragioni manifestissime palesata. R. Io mi marauglio che voi, non approuiate alla libera questa sorte d'occhiali, che fanno trauedere; conciosiache ogni semplice huomo affermerebbe, che gli haueste tenuti attaccati al naso, per tutto quel tempo, che perduto hauete in compor questa leggenda. Discorso. Che per sè medesima, senza quel mezo più denso, che maggior l'oggetto visibile rappresenta, non hauria potuto altramente farsi ueder, mediante la distanza lunghissima, che dalla terra à quel ciel si ritroua. - Considerazione XXXIX. Come si è di già accennato nella considerazione 36. basterebbe, per atterrare alla bella prima il nuouo pensier del nostro Colombo, addurre senza cotanti argomenti l'impenetrabilità al vedere dell'ottauo cielo, come cosa certa, e infallibile. Risposta. Se, nella considerazion, da voi mentouata, io sbarbai quel fatato capello, che vi faceua cosi pertinace; in questa presente auuertite, che la vostra ghia tanza d'arriuar tanto insuso, non vi faccia come l'Aquila alla Testudine, che la porta in grande altezza, per maggior precipizio: perche s'io non son forte ingannato, n'hauete a riportare il medesimo honore. C. Ma perche la quistione cosi sarebbe molto breue, e pur ueggo alcuni, che mostrano di desiderar queste vconsiderazioni, alquanto più lunghe. R. Sig. nò, più sugose, e cosi v'attereste al consiglio di Plinio, di Collumella, e di Virgilio, [minus serore, & melius arare] cioè dir meglio, e manco. C. Dò parola all'autore, che di questa sua opinione disputando, non mi son mai per seruire nel ributtarla di simili strumenti veramente ineuitabili. R. Se, doue gli strumenti, e armi ineuitabili adoperato hauete, non vi è toccato pure à dir galizia, pensi ciascun com'ella vi andra per l'auuenire, stancato di forze, e con armi più deboli. C. Dato adunque, che l’ottauo cielo sia tutto diafano, e trasparente, niego primieramente, che se il Primomobile è adorno di tante stelle, quanto lo stellato, la distanza di quel cielo dalla terra, possa ella esser cagion basteuole à torcele tutte di vista, e in particolare la nostra nuouamente apparita, laquale è annouerata da voi medesimo tra quelle della prima grandeza. R. Sì rappresentata da quegli occhiali, che non istanno bene al vostro naso, e perciò, nel discorso posto sopra la considerazion 53. ancor dissi, [che la spezie luminosa di quelle, assai maggior rappresentando, in sembianza delle prime stelle a gli occhi nostri,] Perche non crediate già, che io tenga, ne è necessario, che le stelle del Primo mobile debbiano esser simili, ò forse maggiori di quelle dell'ottauo cielo; ma reputo ben, che le maggiori veder non si possano in tanta lontananza, senza quel mezo della densità, che maggiori le rappresenta. Volete veder, che non è necessario? Mercurio, che è in vn ciel supremo alla Luna, è minor di quella cent’ottanta volte, e Venere trentaquattro in circa: il Sol contien cento sessanzei volte, e tanto la terra, quantunque sia in un cielo inferiore a Marte, che solamente vna volta, e mezo comprende la medesima grandezza della terra. E acciòche uoi non pensaste, che solamente la Luna, e’l Sol variassero quest'ordine con gli altri pianeti; Gioue, ben che inferiore, vn cielo a Saturno; ad ogni modo nouantacinque uolte, e quegli nouantuna la terra stessa contiene, e un certo che più, che non rileua dir l'appunto. Anziche nel medesimo cielo stellato, non si scorge ordine di grandezza tra l'vna stella, e l'altra, ma confusamente sparte son per tutto quel cielo, non serbando regola da noi conoscibile nella situazion loro, circa la grandezza. C. Conciosiache ogni oggetto visibile, auendo una certa lungheza di distanza, oltre alla quale, come si dimostra nell'Ottica, egli diuiene inusibile, vi domanderò, quanto voi pensate, che sia la grosseza del ciel Christallino. E per conseguenza, quanto sia la nuoua stella lontana da noi più di quelle del firmamento; sò al sicuro, che se voi credeste poterlo dire senza repugnanza di verisimilitudine, volentieri affermereste, che quel cielo fosse grosso, quanto insie- me le sfere dell'aria, del fuoco, e de sette pianeti col firmamento, come quegli, che per ciò vi dareste ad intendere poter dir poi con ragione, per esser quell'ultimo cielo il doppio più lontano dell'ottauo, che un niun modo e credibile, che per mezo di cosi smisurato interuallo, la si potesse da noi vedere senza la’nterposizione di quella spessata parte del Cristallino. R. Signor Alimberto, non ui affaticate più, che a mè non abbisognano queste premesse, perche io rispondo il medesimo, che dissi testè, cioè, che tale è la grossezza del Cristallino, e la lontananga della stella apparita, qual basta a far, che, senza la densità di mezo, noi vederla non potremmo, come di vero accade, poiche prima non si è veduta. Non doueuate metterui già voi a ricercar, se tanta, ò quanta douea esser la distanza, e grossezza de cieli, che fra la stella, e la densità, e gli occhi nostri si ritroua, non sapendo prima la grandezza delle stelle del Primo mobile, massimamente della apparita di nuouo, perche ogni fatica è vana, se non sapete calcular prima ta grandezza. Ne poteuate, per argomentarmi contro supporla dalle mie parole, come vorreste far, dicendo, che io le reputo della grandezza, prima di quelle del Firmamento; imperoche, se ho detto, che elle son della prima grandezza, egli si dee intender di quelle del Primo mobile, doue elle sono, e non d'vn'altro cielo: la qual grandezza e tale, che non può condur la sua spezie visibile a'nostri occhi, senza quel mezo della densita del Cristallino. Ma poi che, per non sapersi, come situata, e quanto grossa sia la densita, e da questa anche inuestigar la grandezza della stella; non fa mestier calculare ancor la grossezza del Cristallino, per trouar, se è vero, che tale stella vedere, o non veder si possa. Pur, se a voi non ne bastasse la vista, e desideraste di saperlo; e del Primomobile altresi, con la sua lontananza, vi dico, che secondo alcuni, potete suppor, che il Primomobile sia lontan da noi nouecento, e nouautanoue milioni, e - nouecento, e nouantanoue mila miglia, e cinquecento : e di grossezza, due migliaia di milioni di miglia. Il Cristallino vogliono esser di grossezza, poiche della lontananza si disse nel discorso; migliaia vno di milioni, e dugento milion di miglia. Ma che rileua questo? Quì non si posson fondare i vostri argomenti, per esser non reale, ma apparente la grandezza di quella stella. C. Ma siaui concesso pure, che non solo vna volta ma quattro volte più ancora (vengo a concederui cose quasi impossibili, per maggiormente manifestare la falsità delle vostre inuenzioni) sia lontana con quel cielo cotale stella, che ad ogni modo, se per ora lo stimeremo grande quanto quelle della prima classe del firmamento, quantunque io sia più abbasso per prouare, che ella dee esser tenuta di quelle molto maggiore, indubitatamente senza tanti occhiali, noi ancora lo vedremmo, si come molte, ne veggiamo di quelle del firmamento. R. Di grazia questa finta cortesia del concedere acciò, che ella ritorni in vostro prò, non vogliate vsarlami contra mia voglia: percioche per mè, non bisogna, e per voi pensate pure ad altro. Il fatto stà, che tutto l'inganno vostro, circa la grandezza di essa stella, nasce da que maladetti occhiali. Chiara cosa è, che molte stelle del Firmamento non si veggono, e nulladimeno è di gran lunga più vicino a noi, che non è'l Primomobile. E quando l'aria è vaporosa, perche fa l'effetto di quegli occhiali, più stelle nel Firmamento, e più scintillanti appaiono, si come, se quelle stelle, che iui non si veggono, fossero nel ciel di Saturno, per la maggior vicinità, si scorgeriano. C. Imperocche, se un’ oggetto, ilguale è maggior del la terra 107. volte, come son le stelle della prima grandezza. R. Perche voi fate profession di buono astronomo, come di filosofo, non posso non ricordarui, che egli comprende 107 volte la la terra, ma non è già maggior tante uolte. - C. Per esser lontano 130715000. di miglia, mi si mostra sotto l'angolo di dieci primi scrupuli, vn'altro visibile oggetto egualmente grande, ma quattro uolte più lontano da noi, cioè 653575000 di miglia mi apparirà, come vogliono le proporzioni, sotto l'angolo di due primi scrupuli: ilquale angolo è proporzionato anch'egli al vedere, poiche non solo le stelle della quinta grandeza, le quali anno due scrupuli di diametro apparente; ma le stelle ancora della sesta, nel firmamento si veggono, quantunque il lor diametro sia solamente d'un primo scrupulo. R. Ma ponete cotali stelle nel Primomobile, elle non si vedranno per non hauer tanto diametro, che possa cagionare angolo proporzionato al vedere; per non istare à riuederui il conto di questi calculi, non facendo di mestiere. C. Se adunque questa nuoua stella si ritrouasse, come affermate nel Primomobile, conciosiache la grandeza della cosa veduta apparisce, come hò prouato nella considerazion ventuna, secondo la grandezza dell'angolo constituito all'occhio, non ostante la sua lontananza vi sarebbe sempre stata vista da noi, eguale almeno à quelle della quinta grandezza del Firmamento. R. E perche almeno della quinta grandezza? Non s'è ella ueduta fin della grandezza di Gioue, che 59 volte più di quelle è maggiore? Ma il peggio è; che bisognera, che ui cerchiate chi s'accordi con esso voi, non solamente a dir, che le stelle del Primomobile, eziandio quelle della maggior grandezza, sian tanti scrupuli larghe, che la piramide lor cagioni angolo atto al uedere; ma conuerra prouarlo ancora, che io per mè lo nego, non si rapresentando, per quel mezo della densita, che maggior le fa apparir, come si uede nell'esemplo, che diedi della candela accesa, dietro posta à vna guastada d'acqua. C. Potendo dir solo per aggiunta (se per fare al vostro ritrouamento buono, qualche cosa in ricompensa della vostra fatica pensassimo gratificarui) R. Crediatemi da huomo da bene, che io mi reputo a maggior honor, che l'opera mia da voi sia biasimata, che se lodata l'haueste, per non esser annouerato tra que’ filosofastri, doue, per vostra testimonianza, siete ancor voi. C. Che ne’ mesi passati alla apparì assai maggiore di quelle, forse mediante la interposizion, di quegli occhiali, i quali dite, che maggior l'oggetto rappresentano. R. E così appoco, appoco, concedendomi finalmente ogni cosa, rimarremo d'accordo, come che da principio ritroso, e gonfio beffeggiator vi mostraste; perche, dicendo come dic’io , cesserà questa burrasca, la qual'io temeua, che douesse insistolire, stando voi fermo in così folli opinioni. In Atene, per quietar certa nimista popolare, montato in ringhiera vn'orator di mostruosa, e quasi smisurata grossezza, e corpolenza, ma di ingegno sottile, e acuto; vedendo tutto il popol rider della sua deformata; tosto, senza punto turbarsi; di che ridete, disse, o Ateniesi? Forse per ch'io sia così grosso, e panciuto? Sappiate, che io hò moglie assai più di me corpulenta: tuttauia, se siamo d'accordo, vn piccol letto da alloggio ad amendue; ma in discordia non ci cape tutta la casa. Così potete dir voi Signor Mauri, a’ vostri derisori d'hauer fatto meco. C. Conchiudiamo adunque, che non la distanza grande di quell’vltimo Cielo dalla superficie della terra doue abitiamo noi, ma si bene la sua mancanza di stelle, habbia cagionato, e cagioni continuamente, che noi nol vediamo stellato. R. Anziche, per esserne state uedute è necessario confessar, che sia stellato il Primomobile, e che la gran lontananza le ci tolga di vista, quando non si interpon qualche parte di ciel più densa, che le rappresenti assai maggior, che elle non sono; e perciò ne veggiamo cosi di rado, massimemente, douendo rappresentarsi solo le maggiori, che poche, e sparte sono in si spazioso cielo. Ma dite, e direte bene, che per non saper voi col vostro non mediocre ingegno ritrouar altro modo, come possa star questo fatto, volete negar con la bocca, quel che l'intelletto vinto concede. C. Poiche non d’vna sola, ma di quindici, delle sue stelle almeno, conciosiacosache voi affermate, che la’ sperienza, e la ragione v’insegna, che di quelle della prima grandeza tante ne contiene il Primomobile, quante ne contiene il firmamento, senza impedimento alcuno lo douremmo lungo tempo auer veduto, e ora altresì vedere variato, e adorno. R. Hormai hauete inteso, perche non lo veggiamo: ma non doureste già testimoniar di me quello, che la mia scrittura altramente dimostra. Rilegge te vn pò le mie parole, poste per fronte alla considerazion 42. le quali, per esser grandi come lettere di scatola, doureste pur hauer vedate senza occhiali. Paruiche io affermi il numero delle stelle della maggior grandezza del Primo mobile, esser di 15. ò d'altro nouero determinato? E che elle debbiano esser grandi, come quelle del Firmamento ? Ho bene esemplificato, quanto, al numero di quelle del Firmamento. Di maniera, che, se molte più fossero quelle del Primo mobile, ad ogni modo, per esser tanto più spazioso quel corpo supremo, non sariano men distanti fra di loro, che si sian quelle poche del Firmamento respettiuamente considerate. C. E in corroborazione; e confermazione di questo aggiungo ancora, che non solo della quinta classe ci sarebbero di continuo apparite, le dette quindici stelle della maggior grandeza del Primomobile, s'elle ui fossero, tra le quali è annorata nel discorso la di nuouo apparita, ma assai maggiori, e assai più, poiche quelle eziandio della seconda, e terza grandeza in quell'ultimo cielo sarebbero visibili. R. Voi dareste ragioneuolmente nel buono, signor Mauri; se leuandone tutto il cattiuo, vi si concedesse, che se stelle del Primo mobile fossero della grandeza, che vi imagnate. C. Ciò cauo da voi medesimo, poiche affermate. che i cieli, che più altamente sono stimati, per posseder maggiore eccellenza più risplendenti, e stellati si ritrouano. Il Primo mobile adunque essendo superiore al firmamento e secondo il parer vostro stellato, contiene, ò più, ò maggiori stelle del firmamento. R. Da me non potete voi cauare altro, se non quel ch'io vi concedo,- cioè, che egli possa contener più stelle, ma non già maggiori di quelle del Firmamento. Anzi è necessario che elle non sian tanto grandi, che elle possan vedersi, senza quel mezo della densita; e questo si caua dall'effetto, che lo ci dimostra, non sene vedendo, se non vna per volta, e molto di rado: e questo è quanto dal mio discorso trar ne potete. C. Imperoche altrimenti a proporzione della sua grandeza, alla grandeza di quello, non sarebbe, come conuiene, e più nobile, ed eccellente dell'ottauo cielo, ma più tosto di gran lunga inferiore. R. Signor Mauri, quella voce [regolarmente] picchia la porta della vostra memoria; però mettetela dentro, e ella vi farà conoscer, che le stelle, non son necessariamente indizio della maggiore, o minore eccellenza de’ cieli; e massimamente la grandezza loro, ne vi douete scordare ancora, che l'eccellenza d’vn ciel superiore non può essere auanzata da qualsiuoglia stella del cielo inferiore, eziandio in quelle parti, doue stelle non sono, poiche son differenti di spezie, come di sopra dimostrai, e, che le stelle non serbano ordine di grandezza in fra di loro, ne anche rispetto all’altezza de’cieli. Voi adunque dalla nobilità maggior di quel ciel non conchiudete di necessità, che maggiori debbano esserle stelle di esso che non son le stelle del Firmamento, se ben dall'effetto si conchiude, che secondo la regola, il Primo mobile sia stellato, e forse, che in numero elle son molte più di quelle dell'ottauo cielo. C. Il perche, cauandosi da uoi, che cotante stelle si contengano nel Primo mobile, quante se ne veggono nel firmamento, ne seguirà che, se pari sono di numero, almeno sien maggiori di corpo: onde se u.g. le stelle della primi classe nell'ottauo cielo, anno il lor diametro apparente dieci primi scrupoli, le stelle altresì della maggior grandezza nel Primo mobile, quantunque da noi più remote, auranno diametro eguale; poiche la maggior grandeza, laqual conuien che sia proporzionato alla distanza, che tra quei due cieli si ritroua, le ricompensa in quello, che è tolto loro dalla maggior lontananza. Il medesimo dico dell'altre stelle di diuersa grandeza. E perciò tornando al mio proposito, in quella guisa appunto, che è l'Ottauo cielo, con stelle eguali, e di numero, e di forma, auremmo di continuo ueduto, e per ancora vedremmo, se veramente fosse il Primo mobile stellato. R. Anzi douete meco conchiuder, che il Primo mobil sia non senza stelle, perche il senso cel'ha dimostrato: e che le sue stelle sian di cotal grandezza, che per vederle abbisogni quella densita sottoposta, che le ci rappresenti, poiche in altra maniera non si veggono. Questo è quanto, si caua di qui, e dal discorso ancora, se già, stando pertinace, uoi non faceste, come Diogene, che si staua in vna meza botte di continuo, e perche i fanciulli hauessero a ridergli dietro maggiormente, badaua pur à dir, che ell'era vna camera, ne si potea persuadere a confessare in contrerio, C. Ma auertisco quì, che io vorrei che desidera intender perfettamente queste mie proue, le quali à prima giunta paranno à chi che sia alquanto difficilette, desse prima vna lettura alla considerazione 21. poiche questa presente in quella hà il suo principal fondamento. R: Ti sò dir’io, che ci vuole una grande attenzione, per capir cosi fatta proua: cosi foss’ella stata a proposito. E ben vero, che a uoi è stata tanto difficile a distender, che, per dubitanza di non esser inteso, vi siete messo a farne stampar sin la figura. Ma per conchiuder mille in vno, e finir la uostra diceria, cotal dimostrazion non può applicarsi, per prouarne il vostro intento, se prima non si sapesse, per quella grandezza apparente, quanta la grandezza real fosse. Hora, perche non si sà quanto dalla stella, e come figurata sia la densità; essendo astrologi: che il Cristallino voglion, in luogo di stelle, hauer certi caratteri diuersi, e imagini di parti più dense, da cui prendano impressione e forza le stelle del firmamento: ne può sapersi, come situata sia, e in che positura con la stella, detta densità rappresentante; di quì è, che la vera grandezza della vera stella non si può, per mezo del Planisferio, o dell'Armilla; ò di tauole, ò altro simile strumento, hauere; ne conseguentemente giudicar poteuate, se ella, per esser d'vna tal grandezza sarebbe stata ueduta da noi senza altro mezo; essendo, che quella non sia la sua real grandezza, ne potendo inuestigarsi altramente. Vadano, per tanto i lettori alla considerazion mentouata, e chiariscansi, che se pur voi ballaste bene, non ballereste già a tempo, ne secondo il suono, per non hauer che far quella grandezza apparente con la real della stella. Discorso. Imperoche, se ben gli astrologi non hanno calculato la sua lontananza, ad ogni modo si può a proporzion del Cristallino giudicare, secondo gli abbachi loro. Essendo che, cinquecento nouantanoue milioni, e nouecento nouantacinque mila miglia, e cinquecento, siano da esso Cristallino alla Terra. Come adunque mai le stelle del Primo mobile, e le maggiori eziandio, per mezo di così smisutato interuallo veder si potrebbono se intraposta quella spessata parte del vicino ciel non le ci mostrassse, rappresentandole maggiori assai, che elle non sono ? E che egli sia vero abbisognar quel mezo denso, per cagionar la vision di tali stelle, assai manifesto appare. Imperoche, altramente essendo io non sò veder ragion, perche sempre non si mostrassero altrui; come quelle dello stellato fanno, senza occultarsi già mai. Ma certamente, in cotanto lungo viaggio, quelle spezie, ancor che luminose, suaniscono: e lo ci fa veder l’esperienza, in quelle piccole stelle del Firmamento Nebule appellate. Considerazione XXXX. Se ne’ cieli, si danno queste proporzioni, per le quali si può saper di tutti la lontananza, dirà chi che sia; e perche non calculo il Signor Colombo, per liberarci di così fatto intrigo, la distanza di questo suo Primo mobile ? E pur particolarmente lo doueua egli fare, poiche nella lontananza di esso è fondato il suo ritrouamento. Risposta. Queste calculazion di lontananze, e grossezze, che di vero, dal più al meno, poco al nostro concetto rileuano, contro il creder vostro, consistendo la veduta, è non veduta di tale stella nelle cose dette di sopra, mi parue a proposito lasciarle fare a uoi, o a chi che altro si fosse desideroso di saperle. Ma hora l'ho notate solo perche ueggiate, che quel che toccaua a uoi, per mostrar maggiormente il uostro ualor matematico, adopera il medesimo, che se allor fatto cotal calculo si fosse, cioè niente in prò del nostro argomentare. C. Ma notate, come egli confessa, che questa lontananza si può giudicare solo secondo gli abbachi degli Astrologi, non adunque secondo i suoi, i quali bisogna, sieno diuerssimi da quelli, posciache l'Astrologia, nel fin di questo discorso è sì fattamente da lui dispregiata. R. La modestia insegna altrui non appellarsi scientifico, perche saria prosunzione annouerarsi tra gli Astrologi, o Filosofi, e simili e cacciarsi in dozina, dicendo u.g. noi altri Astrologi facciamo, ec. Ma se pur tenete altramente, fate vn nuouo Galateo, che io v'assicuro, che non vi sarà impugnato da niuno inuidioso. Non hò io mai dispregiata la vera Astrologia, ne i veri Astrologi, come nel principio, accennai e si dirà nel fine, ma quella turba bugiarda, che i medesimi Astrologi, vituperano. C. Ma se io l'hò à dire com’io la'ntendo, mi persuado più tosto, che l'autore non lasciatosi ingannare da’ Platonici, accorgendosi alla fine, che non in tutti i cieli, ed in particolare nel Cristallino si ritrouano veramente stelle, e proporzioni cotali, per le quali si potesse sapere di tutti la lontananza, e la grossezza, da galant’ huomo si risoluesse di non si voler beccare il ceruello in simili calculazioni, come quegli, che gli pareua di essere mancheuole de’ modi di poterle fare. R. Tal biasina altrui che sè stesso condanna. A voi toccherà questa fiata a esserui lasciato menar per lo naso da i Platonici, poiche, quantunque, secondo il creder vostro, vi fosse di mestier calcular queste lontananze, per mostrar, che elle non potrebbono impedir la veduta di tale stella, non l'hauete fatto ad ogni modo. Ma, perche, il fare altre calculazion non fa di mestier, perancora, aspetteremo di vsar la regola del buon Cirugico, che lega il baccio infermo con la fascia, e poi aspetta a pungerla vena, quando è ben gonfiata: e questo addiuerrà, se mene darete occasion nella replica, dimostrandoui, che non sole sappiam far simili calculazioni; ma gli error delle vostre non rimarranno senza visita. Platone, e Macrobio, che voi citare in postilla, come volete, che parlassero del Cristallino, o d'altro ciel superiore all'ottaua sfera, se non n'nebbero notizia? Ecco Macrobio. Prima illa stellifera sphæra, quæ proprio nomine Cœlum dicitur, & aplanes apud Græcos vocatur arcens, e continens, cæteras. I. Discorso. Le quali, ò non si veggono, ò mal si ueggono, auuenga che a quelle molto più vicine siano a gli occhi nostri. Considerazione XXXXI. Sono molto più vicine, ma molto più piccole ancora il perche, per quel che si dice nella considerazion 21. questa uostra esperienza non proua niente. Risposta. Il douer voleua, che secondo i vostri presuposti, se ben vi hò mostrato, che son vani, voi cacciaste fuora gli strumenti, che hauete saluati dalle mio maladizion, e che che osseruaste per la minuta queste differenze tra quelle del Firmamento, e del Primomobile, e non ven’andaste in parole, determinando alla magistrale, quello di che hauete mosso la quistione. E crediate pur, che, se à me fosse stato di bisogno, non l'hauerei passata cosi di leggier, come voi senza annodar nulla. - Discorso. Hora quella densità, che in detto Cristallino si ritroua, può render visibili le stelle della prima grendezza solamente, che nel Primomobile si ritrouano auuenendosi tal volta in esse; le quali; in poco numero essendo, molto di rado apparir possono, come l'esperienza ne'nsegna, e la ragione ancora, poiche di tante, che nello stellato alloggiano; quindici, e non più della maggior magnitudine da gli Astrologi annouerate ne sono. Considerazione XXXXII. Bisogna bene, che questi sien perfetti occhiali à render visibili nel Primomobile le stelle, che non vi si ritrouano, ma poiche si è prouato questo Primomobile mancheuole in tutto, e per tutto di lumi. Risposta. Si, secondo il creder vostro, che hauete cacciato quel pouero ciel nelle tenebre, come voi, che siete al buio di questa verità. C. E che la sua lontananza non è cagione ella, che non gli perdiam di vista, dato per ora. R. E per sempre con vostra pace, come hauete veduto per le nostre dimostrazioni. C. Che detto cielo ne sia pieno, e che di più, per la sua distanza non si possano senza qualche mezo simile vedere. R. Non vi allargate tanto nel conceder perche vorrete poscia ritirarui, e non passera senza vergogna vostra. C. Andiamo considerando, se questa densità del Cristallino, possa esser stata cagione. R. Non sapete forse, che la fiorentina fauella, non riceue il fin di niuna voce terminante in R, doue a quella seguisti altra parola, che l'S, con altra consonante habbia a canto? C. E proporzionato mezo à cotale apparizione, ilche conosceremo indubitatemente, se per attribuire a quella, come vera cagione, simile effetto, non ne risulti impossibile alcuno, ò qualche strauagante inconueneuoleza. R. Ma, se egli non ne accade veruno inconueniente, voi mi concedete vinta la disputa è? Seguitate adunque, perche tosto si vedrà, che vi siete data la sentenza contro da voi medesimo, e per esser di consentimento delle parti non vi haurete appello. C. Dico adunque. ò voi volete, che questa densità, ò uoglian dire occhiali cominci à poco, à poco, cioè nelle sue prime parti, essendo molto sottile vadia di mano in mano più ingrossando; ò che ella cominci à un tratto nella sua maggior grosseza. R. Pur ci veniste ancor voi: questo dubbio certamente, non è bamberottolo, a cui non venga in mente, ne huomo è d'ingegno così dozinale, che non mel'habbia mosso, parendoli, che, perciò al durata, e accrescimento, e mancanza di tale stella arguirne si possa, ingannati dal suppor, che non sia veramente così adiuenuto, Hora io, che l'antiuidi, tacqui è posta la soluzione, per prouocar chiunque si fosse, accioche io potessi, disputando, apprender qualche cosa più di questa vostra scienza: ma hò troua- to più tosto lite ingiuriosa, chi gara virtuosa. C. Qual si voglia delle due opinioni u’ indurrà à manifesti assurdi. Imperoche, se tenete la prima, la nuoua stella, poiche voi affermate, che per interporsi parte più grossa, e più spaziosa, ella ancora più spaziosa, e più grande apparisce, douea vedersi nel’ principio della sua apparizion molto piccola, poi di giorno in giorno, crescendo continuamente secondo la grandezza di quella densità alquanto maggiore. R. Dissi nel discorso, in quella particella posta d’inanzi alla considerazione 46 che poteua maggiore, e minore apparire, e sparire affatto, e per più, e manco tempo lasciarsi veder, secondo che più, e men grossa, e spaziosa era quella densità, che a tale stella era sottoposta; e perciò è chiaro, che [più è men grossa, e spaziosa] ha rispetto alle sue parti, e non alla stella; ma quanto al fatto, intorno acciò, niente affermai comeche adesso, io sia per prouar, che ciò addiuenuto sia veramente. C. Il che è stato come s’è veduto sensibilmente falsissimo: Poiche afferma il Padouano, e Gio. Eckio, che ella nel principio apparue nella sua maggior grandezza. R. Il Padouano, perche vuoi, che ella sia generata di nuoto, può senza scandol veruno anche dir, lei essere apparita in vn tartto grande nella sua maggiore apparenza ma egli non douette osseruarla, poiche non dice hauer ciò fatto, ò non l'osseruò nel suo principio squisitamente; perche, dicendo egli, che appoco appoco andò scemando nella partenza, par conueneuole ancora, che nella venuta crescer douesse. Onde più si dee credere a Baldassar Capra, il quale afferma hauerla minutissimamente osseruata in Padoua, e più volte, e d'essere stato il primo, come altri matematici di Padoua concedono; dicendo egli, che il giorno dieci d'Ottobre 1604 vide vna stessa nel colore, e grandezza in tutto simile a Marte; e che, per certa stagion piouosa, fino alli 15. del detto mese, non potendo riuederla, trouò, che era cresciuta fino alla grandezza di Gioue, e più; e mutata ancora assai nel gionial colore. Il Signor Dottor Lorenzini afferma anch'egli, che primieramente piccola appari; quindi di giorno in giorno crescendo diuenne in apparenza di figura, e di lume superiore a Gioue, e a qual si voglia delle stelle fisse. E'l Signor Raffael Gualterotti osseruò, che ella cominciò ad apparir circa a’ noue d'Ottobre, e che essa nel principio si mostrò piccoletta; poi grandemente s'accrebbe, e durò fino, che vespertina si mostrò; posca, quando mattutina riappari, si vide diminuita, e impallidita; quindi piccolissima diuenne. Così occorse a quella, che nella sede della Cassiopea apparue. Hora perche in tal materia vi rapportate al creder di pochi, e io all'esperienza di molti, di poca fede, anzi di niuna dee il vostro parere stimarsi. E come che i miei testimoni non vadano così vniti in tutte le cose, basta che non son contrari, poiche alcuni hanno apertamente detto, quel, che gli altri tacciono, ma che più importa niuno è, che non dica essa stella esser cresciuta, e scemata conforme all'opinion nostra. La ragion conuince il parer del Padouano eziandio: perche, se il Cielo non è corruttibile, come si è apertamente dimostrato, e secondo lui cotale stella è andata scemando bisognera dir, che ella si sia nascosa, e non annichilata; e conseguentemente, si come, non in vn tratto è sparita, così non potè subitamente apparire. Conchiudasi per tanto, che, essendo vera stella, & essendo mancata di vedersi appoco, appoco ; ella alttesi apparita sia non a vn tratto, ma di giorno giorno fattasi maggor, mediante quella densità. Che più: non vi basta il testimon di voi medesimo? Non dite voi alla considerazion 39. che ne'mesi passati ella appari assai maggiore ? Adunque è cresciuta. Non dee già apportar marauiglia la diuersità de’ pareri nell'osseruazion di cotale apparenza. conciosiacosache, nuoue stelle apparendo nel cielo, e uerisimile molto, che, fin che elle non son di notabil grandezza, essendoche appariscan fra tante di grandezza diuerse, e spesse, e confusamente sparse, gli astronomi non l'osseruino, e che quegli prima, e questi poi s'accorga, che elle apparite vi siano, come è addiuenuto di questa, che tardi è stata considerata non solo, una in diuersi giorni da diuersi Astronomi. C. Se la seconda, il medesimo ne risulta. poiche certo è, che questa densità non si potette interporre tra la stella, e gli occhi nostri in vn momento, ma con molto tempo, come io prouerrò più di sotto, per lo tardo mouimento del Cristallino: R. Di grazia non perdete questo tempo a prouar, che ella douesse apparire in lungo tempo, percioehe, noi non discordiamo in questo, ma solamente dal voler voi, che ella sia apparita in vn'istante, e io in tempo, come per l'esperienza osseruat, ae per le ragioni vi hò dimostrato. C. Doueua adunque la stella, nel principio, per esser ingolfata in quella densità parte, e non tutta, non apparir rotonda, ma in quella guisa, che si vede la Luna infino, che ella non e arriuata alla pienezza. R. Se la Luna fosse in quel cielo, non solamente ella non apparirebbe tale, ma eziandio punto non si vedrebbe; e quella stella in cosi gran distanza, massimamente per esser corpo lucido, non può mai apparire altramente, che rotonda. Perche, non è, egli vero, che vna fiaccola accesa, rimirata di Firenze, per esemplo, sù’l monte Morello, a qualche hora di notte, apparisce rotonda in sembianza di stella? Pensate hor voi quel che parrà quella densità illuminata, per esser senza comparazion cosi lontana, quantunque grande incomparabilmente sia, rispetto alla detta fiaccola. Il vostro Vitellione, e tutti i perspettivi dicon, che vna cosa quadra, ò d'altra simil figura veduta da lontano, sferica ci sembra. Oltre, che l'esempio, che voi date della Luna, non è à proposito, non solo per la vicinanza maggiore, ma ancor, per che non hà quello splendor, che la stella apparira hauea; la qual, per lo maggior lume, che spaziaua più i suoi raggi, e offendeua maggiormente la vista, maggiormente rotonda ci appariua. C. O, se rotonda per la sua lontananza, almeno molto minore, che quando ell'era poi tutta ricoperta dal denso. R. A questo voi dite bene, e perciò è adiuenuto, come desiderate. C. Le quali cose quanto sieno lontan dal vero, lo può senz'altra testimonianza affermare, chi per alcuna fiata inconsideratamente s’abbatè à rimirarla. R. Voi, che siete di quei tali, che mariuiglia è, che l'abbiate affermato senz'altra testimoaianza? Ecco, che, ò più sottil nel principio, ò grossa per tutto vgualmente, che fosse quella densità niente rileua in prò del vostro argomentare. C. Dica inoltre, che, se i vostri occhiali. R. Oh Oh. Questa occhialata comincia a saper di stucco. C. Ci auessero essi cagionato la veduta di cotale stella, noi non gli auremmo perduti, e perciò auendo al naso simile impaccio. R. Andare a leggerla lettera de nati composta dal Caro, e quiui trouerete a quali nasi stian bene i miei occhiali, e non diano impaccio, come danno al vostro. Per mia fe, che vi bisognerebbe esser nasuto; per que celesti occhiali molto più, che non vi date adintendere; sì che voi potreste, restandone douizioso ad ogni modo, farne carità a quello sgraziato di Pasquin di Roma, che si ritroua senza almeno per qualche affezion, che mostrate d'havere al suo parlar satirico. C. Godremmo al presente, e per molti anni ancora in ricompensa la veduta di stella cosi lucente: conciosiache, quantunque sia verisimile, e voi senz'altro, il concedereste, quella parte più densa del Cristallino essere assai più spaziosa della nuoua stella. R. Anzi vi ingannate di molto, perche, sì come veruna altra cosa, che faccia al uostro proposito non ui habbiamo acconsentita, cosi questa ancora, ui si nega, come falsa. C. Posto nondimeno, che cotal densità fosse eguale al diametro apparente di quella, ilquale, dicendo voi, che quella stella rassembraua Gioue, forse era maggior di dieci primi scrupuli, e secondo il sopradetto Gio. Echio, maggior ancora di venti, dico, che per 44 ò per 32. anni almeno, quantunque ora minore, e ora maggiore doueua esser è noi visibile. R. L'inganno vostro Signor Mauri è tutto qui, che voi fate capital dello splendore, in luogo della stella, a somiglianza di vn certo, assai dolce intingilo, che, hauendo, senza ueruna considerazion, donato vn grande, e frondoso olmo, che piaceuole ombra dauanti vn suo praticel facea, a vn gentilhuomo della nostra città, che vicino a lui villeggiaua; tosto, che vide sendo gittato l'olmo a terra, mancar la grata ombra, che apportar soleua, alzò la voce, benche tardi pentito, così. Messer nò, ch'io non vi dono anche l'ombra: diauol che non vi basti l'olmo? Il valent’huomo, che sapea costui hauer poco sale in zucca, rispose: come? Io non vi chiesi mai altro che l'olmo, e perciò non vi scandalezate, che l'ombra sarà sempre la vostra. Non v'hò io detto, che quella densità rappresenta la stella maggior, che ella non è ? E che non si può proporzionalmente, per quella apparenza, la vera grandezza del diametro inuestigare, non sapendosi, come disposta sia l'una verso l'altra, quanto lontane, come qualificata è figurata la densità, e altre circonstanze, dintorno a ciò necessarie? Può quella densa parte, per le sue varie disposizioni, accidenti diuersi, e incredibili cagionare. La onde vadansi pure i vostri calculi a riporre, che per questa occasione vanamente da voi sono stati messi in opera, e conseguentemente tutte le vostre supposizion vanno in rouina. C. Imperoche, secondo le vostre supposizioni: se la stella diuiene scorgibile, per sottoporsele il denso; il cui mouimento è quello del ciel Cristallino, da Occidente à Oriente, tanto durerà la veduta della stella, quanto per dir così la sotto posizion del denso. R. Ne anche questo è necessario, attesoche tale stella può, secondo le positure, e le uarieta del denso, fare strauaganze grandissime, co'suoi reflessi, come si è detto, e si mostrerà poco appresso, per quello, che la specularia ne'nsegna. C. Se adunque il Cristallino, e per conseguenza quella densità, che è iui incorpata finisce tutto il suo circolo in 49000 anni, di esso, cioe dieci primi scrupuli li finirà in 22. R. Crediate, che ancor noi sapeuam far quest'abbacchi, se ben dite, che i miei son d'altra sorte, che non son quegli, che fanno gli Astrologi, se fosse stato di mestiere. Ma perche bisognauano altre ragioni, gli tralasciammo, come vani, sappiendo, che l'inganneuole apparenza, che quella densata parte produceua, non lasciaua luogo a’ Matematici di ritrouare il vero diametro della grandezza di tale stella, nè da quello, al calcular la lontananza, per ueder, se cotal grandezza poteua, ò nò, mandar, non solamente le spezie sue alla vista de'mortali, senza qualche mezo, che maggior la rappresentasse, ma eziandio, se ella douea durare, ò non durar tanto tempo, a lasciarsi uedere. Il filosofare adunque per ragion naturale intorno acciò, fù necessario, e non gli abbachi vostri Sig. Alimberto, da’ quali hauete cauato il diametro di tale stella, e da questo il tempo, che durar douea a farsi ueder sopra la terra; che, come ui hò fatto, per ragion vedere, vano, e stato il tutto: e l'esperienza, dalla sparita stella il conferma. perche non è durata quanto pensauate, secondo il calculo di tal diametro. Ma perche voi seguitate di far la figura per ficcar meglio nel capo altrui, quel che stimate hauer dimostrato contro di me, io giudico esser ben fatto, ch'io non la rimetta dinanzi a gli occhi de’ lettori, senza bisogno; poiche s'è abbastanza risposto, e abbattuto le prouanze vostre, come non a proposito da voi adoperate in tal materia. C. Onde più di 44 anni ancora, mercè di questi occhiali doueremmo goder la bellezza, e splendor di quella lampeggiante fiammella, se i ritrouamenti vostri, Signor Colombo, fossero veritieri. Il medesimo dico, se al Cristallino voi attribuite il moto di 36000. anni proporzionatamente diminuendo il tempo, si come diminuisce il moto. R. Io non mi posso tener di non copiar quì una dimostrazion sorella della vostra , ma più poueramente vestita, e di panni alieni alla natura sua, fatta di propria man del Pomarance Matematico dello studio Pisano. Si mouea in giro, dic'egli, vn pallone smisurato, per vn uerso in spazio di hore 24 e per l'altro uerso facea il giorno. tanto poco, che appena in cento anni passaua di lui una trocensessantesima parte. Le sue couerte galanti si moueano in 24 hore similmente, come il vestito, e coperto uentre. Ma per l'altro uerso una in più, l'altra in manco tempo faceua il suo proprio mouimento. Che occorse? Vna delle couerte, col suo lentissimo moto, venne appunto col suo rotto sopra l'animella del pallone, e in questa maniera si cominciò a uedere bene l'Animella prima ricoperta. Hora, se questa narrazione è uera; come può stare, che l'animella solamente in uno, ò due anni apparisca, e tanto uariamente, quanto al sito, poiche il rotto di quella couerta cammina adagissimo? Tali, e di sua mano, appo di me son le sue parole. Certamente, che l'esemplo del pallone mi muoue à dir, che il Pomarance, nella bottega del qual se fosse entrato Aristotele, come Socrate in quella di Simon filosofo Ateniese, che prima lauoraua di cuoiami, dice il Fulgoso; lib.8.c.7.egli in tutto li saria simile. Questa dimostrazion senza tanti aggiramenti di lettere alfabetiche, incollate aposta sù le uostre inconsiderazioni, per farui tenere vn solenne matematico da chi apparò l'A, b, c, sul Mellone, rileua il medesimo, che la uostra. Sig Alimberto io sò, che uoi medesimo direste al Pomarance, se il Colombo hà con tanta facilità risposto, e abbattute le mie ragioni, e mostrato, che non fanno al proposito del suo concetto a che fin uolete, che risponda à tal dimostrazion, che più tosto scema la forza, e l'efficacia della mia? E con ragione il direste, poiche niuna parte, benche minima è in questa dimostrazione, a cui non seruano le medesime soluzion fatte alla uostra. Egli dice ben qualche cosa contro di uoi, posciache afferma, che ella non apparirà un tratto; ma in un'anno, ò due, e uoi concedete, che 18. mesi ancor consumò nella partenza, alla considerazion 51, sì che trè anni, ò quattro sarebbe stata, tra'l uenire, e l'andarsene, in quella densità. E questa è la cagion, che mi hà fatto notar qui, il parer di quel ualent'huomo. Ma se pur uoi uoleuate, quanto al tempo, adoperar le calculazioni, e regule ordinarie degli Astronomi; perche non hauete seguitato le calculazion del Magino, da voi riceuute per vere; massimamente, dicendo voi, che io seguo l'Ipotesi Alfonsine, che son superstiziose? Ne potete risponder, che vi accommodauate alla mia opinione, perche non determinai più vera quella, che l'altre, non mi facendo di mestiere. Ma sò perche il faceste: per pigliar più cagion di disputar, che di trouare la verità; essendo, che, se il moto del Cristallino, e compito in 1717. anni, secondo il Magino, veniua manifestamente a esser vero, che l'apparita stella potea , nel tempo da voi assegnatole, esser entrata, e vscita della densità sottopostale. imperoche, se ben mostraste, che al calculo di 49000 anni 22. sarebbono stati quelli, che bisognauano a ricoprir tutta la stella dalla densezza del Cristallino; al calculo di 1717. anni trouerete, che à mesi noue, e mezo incirca ridotti saranno, se vi si concedesse, che dieci scrupuli fossero i diametri della densità, e della stella ancora. Non rimane adunque più luogo al vostro dubitar, che stirpato, e diradicato totalmente non habbia. Discorso. E che mediante quella densità, maggiori appaiano, quelle celesti fiammelle, esempio ne sia il ueder, che, se altri in uaso di Cristallo pien d'acqua rimira, doue moneta d'argento, ò che che altro ui sia, molto maggiore apparir si uede, che ueramente non è. E in somiglianza d'un Sol risplende piccola candela accesa, dinanzi a cui, s'oppon guastada d'acqua, è di simili cosa piena. Fissa, e non errante quella nuoua stella, e l'altre simili ancora affermano gli Astrologi essere. Imperocche mai non hà distanza, ne aspetto uariato con le medesime stelle, che seco nel Sagittario configurauano, ò non è uarianza stata, che sensibile appaia: conciosiache il Primo mobile, in cui cotale stella fa dimoranza, habbia un sol mouimento da Oriente in Occidente, facendo tutto il giro, per lo spazio di uentiquattr'hore, seco riuolgendo qualunque altro cielo inferiore. Ma dissi, che sensibile appaia: imperoche ueramente egli ui è qualche poco di uarietà; attesoche ella si cagiona, ben che menoma sia, da i mouimenti del Cristallino, e dell'ottaua sfera. Considerazione XXXXIII. Si troui altro esempio. perche questo, con sopportazion vostra, di Macrobio, del Sacrobosco con tutti i suoi commentatori, non è vero; Risposta. Dagli, che e' non uede. L'impresa del Duca di Borbone non ci sarà per nulla. Leuò, egli, un pignattello di fuoco lauorato per impresa; il motto dicea, Zara à chi tocca. così uoi, senza rispetto ueruno, tirate alla ritonda. Ah Signor Mauri, così trattate chi ben ui serue? Non fecero già, come uoi gli Ateniesi, deliberando, in quella lor legge, che, chi seruiua altrui sino alla uecchiezza, douesse essere spesato fino alla Morce. Lascio andare un soldato à sua liberta un cauallaccio, già uecchio, il qual, come cittadino, errando per la citta, e morendo di fame si mise a roder'un pezzo di uitalba attaccata in luogo di corda alla campana, che soleua raunare il Magistrato sopra ciò eletto, sì che la campana sonò da lui tirata. Vnitisi uidero il ridicoloso spettacolo, e comandarono al soldato, che osseruasse il priuilegio ancora al cauallo, e lo spesasse. O Macrobio, o Clauio, o Sacrobosco: alle mani del Mauri accadera a uoi peggio, che a quel cauallo? Voi, che fin'ora hauete sparte per lui tante fatiche, e di cui, per impugnar opere altrui, egli si è fatto scudo, farete a torto contanta ingratitudine uilipesi da lui, e dispregiati? C. Anzi vi dico, che io perciò, se voi non vi dichiarate, di che forma vogliate, che sia questa vostra densita, vi sono vniuersalmente per negare, che ella maggiore possa render l'oggetto, al quale ell’e posta dauanti, poiche vna moneta ò altro in vaso pien d'acqua apparisce nella sua vera quantità, come se fuori di esso vaso si ritrouasse: Onde mi vò maraugliando d'alcuni valent'huomini, che, dall'autorità del Sacrobosco, si son senza ragionone alcuna in ciò lasciati ingannare. R. La marauglia vostra nasce dal non saper voi, che questi valent’ huomini, non sono stati presi alle grida dell'autorità di veruno, ma dalla stessa esperienza, che ne dimostra cotal verita, da voi non conosciuta, come io vi prouerò appresso. Come volete ch'io mi dichiari meglio, di che forma la densita del Cristallino sia stimata da me, che con l'esemplo del vaso di cristallo, e della guastada dell'acqua ? E perche dissi di cristallo, se non perche rotondi si fanno simili vasi, e perche, essendo trasparente, si rimirasse per quello l'oggetto, che vi traspare? Io raddoppiai in fin l'esempio, per esser bene inteso; e di più volli propor due oggetti visibili, vn luminoso, e vn colorato, per mostrar, che amendue faceuano tale effetto, se ben l'vno assai più, che l'altro; posciache i raggi del luminoso si spaziano oltre la grandezza del proprio corpo, che gli produce, e reflettendo si in vn corpo sodo, e terso, si fa la multiplicazion di essi, che lo splendore accresce. Ma ditemi di grazia, che pensier capriccioso si v'è egli toccato di negar l'esperienza del Sacrobosco, e di tanti altri famosi? Dirò, che egli v'è paruto di hauer occasion bellissima, per mostrar le vostre profonde osseruazioni; e insiememente le balordagini di quei tali, perche si vede, che l'hauete ricercata col fuscellino, hauendo fatto vista di non intender, se piana, ò rotonda debba esser la superficie della densita, mediante la qual si e dimostrata la stella a gli occhi nostri, per dinegare assolutamente, che vero sia, che, mediante vn’ corpo più denso di superficie piana, se ben trasparente, gli oggetti visibili maggiori appaiano, che di vero non sono. Hora perche, forse, vi siete posto a guardar sopra vn vaso d'acqua, in cui sarà stata moneta, ò altra somigliante cosa, da voi offeruata, per la sua piana superficie; ne parendoui maggior di quello, che fuor dell'acqua si paia, per esser poco sensibile tal differenza, hauete creduto più all'ingannato occhio, che alla persuasa ragione. Imperoche se bene è vero, che, a rimirar per la parte curua, quella moneta, o altro visibile oggetto molto maggior si rappresenta, per la parte piana del vaso pien d'acqua; nulladimeno, ancora per la stessa piana superficie, maggior, che egli non è, si fa vedere. E questo, perche la disgregazion delle spezie, e de'raggi, mediante la refrazion, che in quel corpo denso, e trasparente si cagiona, rassembra maggior gli oggetti visibili. Prouo, che l'occhio in si poca differenza rimane ingannato, e non conosca la maggioranza della apparenza, quantunque ella vi sia. Non dicono i matematici, e perspettiui, che due oggetti di ugual grandezza posti l'un, per esemplo, venti braccia lontano, e l'altro quindici, per la medesima dirittura dauanti a gli occhi, quello oggetto, che più lontan si ritroua, apparisce minore, e maggiore il più vicino? Si. E questo, per cagion dell'angolo, che è più acuto nella piramide dell'oggetto più lontano, che in quella del più vicino all'occhio, dicono adiuenire; e nulla dimeno cotal differenza per esser poco sensibile, non è conosciuta da l'occhio. Tale è la moneta, che nel vaso dell'acqua si ritroua in rispetto alla sua spezie, ò simulacro, che nella superficie dell'acqua si rappresenta. Imperoche, se l'acqua non vi fosse, la moneta si vedrebbe nel fondo del uaso, che è più lontano all'occhio, e non si rappresenterebbe nella superficie dell'acqua, che è più vicina. Onde per conseguenza, maggior si rappresenta, perche sotto maggior angolo, si vede, come l'esperienza insegna, e'l dite voi medcimo ancora. Ma con tutto che questo sia verissimo egli è vero, eziandio, che il senso, in cosi poca differenza rimane ingannato, sì che niente maggior li par la specie più vicina, che la moneta più lontana, quantunque ui s'aggiunga la refrazione. Cosi appunto à voi è accaduto, per esser la differenza in poca distanza, poco sensibile, ma diuero differenza ui è. Sento, che uoi rispondete, che l'esempio non corre; percioche le monete poste in diuerse distanze, fanno quella differenza di maggiore, e minore apparire, ma non già la moneta nel fondo del vaso, e la sua spezie nella superficie dell'acqua , perche nel venire all'occhio và sempre diminuendosi, perche passa in forma di piramide, e cosi nella superficie, dell'acqua sarà più tosto minor, che maggiore. Ma io replico, che questo sarebbe uero, se dalla moneta all'occhio non fosse altro mezo, che aria pura, doue non si potesse far la refrazion, che dilata molto più la spezie della moneta; che perciò uien terminata in quella superficie dell'acqua, prima che uenga a terminarsi, e far piramide nell'occhio. Ne sia chi mi replichi non esser uero, che l'imagine, ò spezie della moneta si rappresenti nella superficie dell'acqua, dicendo, che la moneta si uede propriamente nel fondo del vaso, come se acqua non ui fosse, per esser trasparente imperoche questo sarebbe non solo vn error solenne in filosofia, che uuol, che le cose in potenza non sian sensibili, ma solamente quelle, che sono in atto; poiche la superficie della moneta nel fondo dell'acqua è in potenza, perche in atto è solamente quella dell'acqua, non potendo, rispetto all'occhio, che guarda, uedersi due superficie, l’vna dopo l'altra, sendo solo la prima in atto uisibile, e l'altra in potenza ma sarebbe eziandio pertinacia contro l'esperienza stessa, attesoche, chi non sà, che è metter la moneta in un uaso di rame, ò d'altra simil cosa, e tirarsi in dietro tanto, che l'orlo del naso la tolga altrui di uista; se il uaso si farà empier d'acqua, la spezie della moneta si lascierà ueder nella superficie, ancorche ueramente la stessa moneta nel fondo rimanga ? La spezie adunque si vede, e non la stessa moneta. C. E ben vero (e per questo forse sono scorsi in cotale errore, pensando, che l'esperienza fosse in fauor loro) che vna moneta, o pomo posto in bicchiere, o vaso rotondo di cristallo pien d'acqua, e rimirato, non di sopra, ma da banda del bicchiere, o vaso, sì che sia di mezo, tra quello oggetto, e gli occhi nostri il cristallo, e insieme qualche quantità d'acqua, apparirà molto maggiore, che egli veramente non è, non per la densita semplicemente, o dell'acqua, o del sottilissimo cristallo, ma per la forma conuexa, che riceue quell'acqua dal detto cristallo. Ed è chiaro; imperoche, se sola la densità dell'acqua, o di quel cristallo cosi sottile potesse cagionare cotale effetto, e la moneta messa nel vaso pien d'acqua veduta di sopra; e’l pomo posto nel bicchiere voto, rimirato da banda, apparirebbe maggiore, e non eguale alla sua vera quantità. R. Per ch'io non feci i vasi senz'acqua, egli feci di figura sferica, e di materia trasparente, accioche dalle bande si potesse guardare, io dico, che voi non parlate meco, ma con quei valent'huomini i quali credo, che risponderianò così: che in grande errore incorrerebbe chi credesse, che voi haueste carpati loro in errore; e che l'esser voi auuezo à sensazion molto sensibili v'ha fatto scorrere in questo error di negar quel, che all'occhio dell'intelletto è chiaro, perche non appare all'occhio del corpo; si come, per lo contrario, perche dal ciel sentiuate riscaldarui, affermaste contro le ragioni irrepugnabili, che egli fosse di fuoco, seguitando il senso inganneuole. Ma che anche, per mezo de'corpi piani diafani maggiori appaian le cose visibili, che, elle non sono, oltre a quello, che detto n'habbiano, sentite il sottil Cardano: C. Lapilli in acqua, & pisces maiores videntur quam sint. Ecco, che, senza che il mezo sia curio, o rotondo, maggiori ad ogni modo appaiono. e se bene in simili cosa non è molta apparente la diversita, basta che ella vi è; e questo si conosce ancor maggiormente esser vero, in comparazion delle cose molto sensibili, per esser fra di loro proporzion di più, è di meno maggiori, come manifestamente vede accader nelle stelle, dice Aristotele. Perche quando l'aria è vaporosà molto, e densa, le stelle si rappresentan maggiori in maggior numero, e più scintillanti ancora; e con tanta euidenza, che niuno è che lo neghi. Ma se pure a voi fosse venuto questo humor fisso, che non poteste credere altramente, io non istarò persuaderui, che il lasciate andare, poiche niente più n'auuerrebbe in prò mio. Ma di grazia, state sesto con questi capricci, perche vna volta non vi accada, come a quel pouero astrologo, che per la guasta imaginazione, parendoli sostenere il ciel sù le spalle a guisa d'Atlante, non volle mai partirsi d'una piazza per molte notti alla fila, benche fossero i freddi grandissimi, dicendo, che non gli patiua l'animo di lasciare andar il Cielo in terra; di maniera, che egli lasciò andar se stesso quasi morto per lo freddo. C. Il medesimo affermo, se alcuno volesse, che la densità dell'acqua insieme con la densità del Cristallino, senz'altra condizione semplicemente fosse basteuole a produrre negl'oggetti si fatta maggioranza: poiche vna moneta u.g. in vaso colmo d'acqua, sopra il quale vaso sia contiguo all'acqua vn cristallo diritto, e piano, rimirata per detto cristallo niente cresce, anzi apparisce di continuo egualmente grande. R. Hormai si comincia a non far piu frutto veruno, se voi non riprouate, di quei tali le ragion filosofiche, le dimostrazion matematiche, e l'esperienza del senso stesso, con far trauedere altrui con gli occhiali di Ghiandone, che eran di panno; poiche non vi contentate di traueder co'miei, che son di sostanza celeste. C. Si conchiugga adunque, che la curuità cagionata nell'acqua, mediante il cristallo sia di ciò la vera cagione: e conseguentemente si scorga insieme, che quella candela accesa con la guastada d'acqua messale dauanti, per prouare, che detta parte più densa del Ciel cristallino, senza altra considerazione, possa far parer la stella maggiore, anch'ella come vana, e superflua niente viene à confermare, ò dichiarare la vostra opinione: poiche ella apparisce, come voi dite, in somiglianza d'un Sole, non per la semplice densità, ma per la forma insieme dell'oggetto oppostole: onde da questo più tosto argomento, che’ l Sig. Colombo, non auendo data alla sua densità cristallina, la forma stessa della guastada, ne l'effetto di quella forma doueua altresì in alcun modo attribuire à quel denso. R. Conchiudasi, pur come si è prouato, me voi adesso il neghereste, che non solamente il cristallo, ò altro simil corpo trasparente di figura sferica, ma di figura piana eziandio, può rappresentar gli oggetti visibili, per cagion della refrazion, maggiori, che veramente non sono, se bene, assai più grandi per ragion della curuità, si rappresentano da i corpi diafani di rotonda figura. E di più vi fò saper, che il solo cristallo, se la sola acqua, e i soli vapori posson cotale accidente cagionare, posciache, come si e prouato l'esperienza il dimostra nelle stelle, e ne i Pesci, e nella moneta, ò altro oggetto visibile; come ancora si sperimenta tutto giorno da chi adopera occhiali, che le cose maggiori fanno apparire. Si che non vi affannate per verso veruno a volerci mostrar difettosi nel prouare, perche vana è ogni vostra fatica. Anzi, che, quando non hauessimo dato gli esempi di vasi di figura rotonda, non si poteua credere altramente esser da noi intesa la forma della densità; poiche è nel corpo celeste, che è rotondo, e non di piana figura. C. Ne alla verità di quel che hò detto di sopra, niente importa la proua del Sole addotta per lo contrario, come esempio da Macrobio, e da altri, ilquale apparisce maggiore, dicono essi, situato, e nell'Oriente, e nell'Occidente, che nel mezo cielo; perche i vapori intraposti in quel tempo fra’ l Sole, e noi, ingrossando, e faccendo più densa la strada, per doue la nostra veduta passa, disgregano, à guisa dell'acqua corpo più denso della sottiglieza aerea, i raggi nostri visuali; R. Anzi i raggi del corpo luminoso, secondo la verità, se ben poco importa, poiche l'effetto è lo stesso come dice Aristotele. C Che perciò poi non ci è concesso veder l'oggetto nella sua vera quantità. Imperoche non sempre dalla combinazion di due proposizioni vere ne seguita la verità di quella combinazione. Dò vn’ esemplo. i pianeti son più vicini, e le stelle fisse più lontane. Inoltre: i pianeti non iscintillano, e le stelle fisse scintillano. Queste son due proposizioni verissime, ma l'accoppiamento loro, fatto da filosofi, che le stelle scintillino, per la loro lontananza, come si è prouato, è falso. Cosi dico; venendo al nostro proposito. Che il Sole ne’ detti luoghi appaia alcuna fiata maggiore, e che fra noi, e’l Sole sieno i vapori, è vero: ma vero non è già, se io non sono ingannato, che i vapori semplicemente sieno essi la cagion di quell'effetto. Ne mi dire: Perche nò, disgregando la vista ? Conciosiache io replico, che lo stesso douerrebber fare; quando il Sole è nel mezo del cielo. Forse, che non vi son vapori allora, che’l Sole per esser potentissimo, è conueneuole, che di essi in maggior quantità ancora, rispetto a quell'Emisferio, ne tragga fuor della terra? R. Questa fiata dalla combinazion di queste due proporzion vere, ne resulta di necessità la conseguenza attribuita loro, ciò è, che i vapori tra gli occhi nostri, e'l Sole verso l'orizonte fanno ingrossar di maniera il mezzo diafano, che ne cagiona refrazion di raggi, e da questa l'apparenza maggior del Sole. E vero è, semplicemente i vapori esser cagion della refrazione, se ben la figura rotonda, che pigliano, aggiunger suole augumento alla refrazione, e per conseguenza alla grandezza del rappresentato oggetto. L'esemplo, che voi date, per dimostrar, che non sempr'è vera la conseguenza da due vere combinazion cauata, conchiude contro di voi, perche di necessità da i filosofi quella conseguenza si caua, ciò è, che le stelle fisse scintillano, perche la lontananza loro cagiona difetto alla vista, donde appar, che tremin le stelle, come alla risposta della considerazione 11. si mostrò concludentemente, e si prouò ancora, che i pianeti, per accidenti, che alla lontananza equiuagliono, alcuna siasta scintillano, se ben regolarmente in essi non suol cotale effetto adiuenire. Ne vale il dir, che, se i vapori fossero cagione assolutamente della maggiore apparenza del Sole, che egli apparirebbe, tale anche nel mezo del cielo, per la maggior copia de vapori, che egli attrae dalla terra. Imperocche, se bene attrae molti più vapori, egli per la medesima ragion, che gli attrae in alto, per la stessa gli consuma, e risolue, ciò è perche maggiormente riscalda, più à retta linea reflettendosi i suoi raggi: il che accader non può, quando il Sole è nell'orizonte, non reflettendo con angolo acuto, e per retta linea sopra il nostro Zenit; e perciò, rimanendo i vapori per l'aria in molta quantità, e humidi molto, e grossi cagionan la maggiore apparenza del Sol, per causa della refrazione. Oltre che il mezo tra il Sole, e gli occhi nostri, nell'orizonte guardandosi, è più lontano, che nel mezo del cielo, sopra il capo nostro; e conseguentemente in maggior copia ci si parano dauanti i vapori; ma di gran lunga son più, per amor della superficie della terra, lungo la qual noi guardiamo, da cui i vapori procedono: perciò che, a guardar sopra il nostro capo solo quegli, che occupan lo spazio della terra, doue locati siamo, si paran dauanti agli occhi nostri, si che, il viuo, e possente raggio del Sole, supera quel leue impedimento, come se non ui fosse; e però, refrazion di raggi, non si cagiona, ne per conseguenza apparizion maggior del Sole. Aggiungesi, che a guardar verso l'orizonte, i perspettiui dicon che i raggi visuali, attrauersando il moto retto de’vapori, si produce maggior impedimento al vedere, che guardandosi in alto, secondo il mouimento loro, perche si fa l'intersecazione, o tagliamento di quei vapori dal raggio visiuo. E secondo Aristotele si può dir, che i vapori sono intersecati da i raggi solari. E che queste sien le cagioni, che il Sol nel mezo del ciel, rispetto a noi non appaia maggior, come nell'Orizonte, l'esperienza nelle stelle il dimostra, poiche, per essere il raggio loro meno efficace, per la maggior lontananza, e per esser minori, e simili altre differenze, appaiono alcuna fiata, mediante l'aria vaporosa, assai maggiori, quantunque elle siano sopra il nostro Zenit, e non nell'Orizonte. e questo massimamente accade nel seren del verno doppo notturna pioggia, perciò che molto humida l'aria si ritroua, come nel luogo sopra mentouato afferma Aristotile. C. Ma sien pure, per non istare a contendere, i vapori, come à voi piace, solleuati dalla terra solo, quando’ l Sole, ò si leua, ò tramonta; Imperoche con tutto questo, senza contrasto alcuno cotale opinion si scorgerà falsa. R. Concedete pur’ alla verità, che io per mè non uoglio in dono quel che di ragion mi si viene. Ve lo prouo con altra ragione euidentissima. Non è egli vero, che se il Sole non consumasse molti più vapori nel mezo giorno, che egli non eleua dalla terra, non solamente non consumeria quelli della notte, ma multiplicherebbono in tanta abbondanza, che, se non in continua pioggia, almeno in perpetua nebbia ci ritroueremmo ? Ma questo non adiuiene; adunque è falso, il vostro supposto. Non veggiamo noi, che quanto più il Sole, s'auanza sopra la terra, più si va l'aria purificando, e rischiarando da la caligine; e poi verso la sera comincia a ingrossare, e farsi più humida, e vaporosa ? C. Auuengache, se’l Sole tramontando apparisce maggiore, per eccitare in quel tempo gran quantità di vapori, la Luna, trouandosi nello stesso tempo, che quelle esalazioni vaporose son tirate per l'aria, nel mezo cielo, non ci dourebbe ella per la medesima cagione apparir molto maggiore, che comunemente non fà ? Certo sì. E pure ne crescendo, ne scemando ella resta la medesima. R. Se voi rispondeuate, certo nò, diceuate vero, e io mi sbrigaua. dalla risposta. La ragione è, perche, douendo la Luna cagionar la refrazione in quei vapori per apparir maggiore, non può produr tale effetto, mentreche il Sole illumina questo emisperio, conciosiache, ella non può mandar lume, e raggi, che superino il Sole, da cui essa Luna, il lume riceue; onde, il suo lume impedito, anche per buono spazio, dopoche à noi è tramontato il Sole, perche in quella alteza, doue i vapori sono, arriua di quello il raggio, null'altro adoperar può, che se luminosa non fosse, non potendo i suoi raggi ammortiti, e abbacinati venire alla uolta de’ vapori, per cagionarla refrazione in essi. C. Bisogna adunque, più sottilmente discorrendo, inuestigare altra ragione, che l'addotta per insin quì vniuersalmente dagli scrittori, della maggioranza più in vn luogo, che in un'altro dell'orbe solare, e di qual si voglia altra stella, ò pianeta. R. Io vò pensando, che, se voi foste da tanto, contro questi valent'huomini, di trouar nuoua ragione, e farla conoscer per vera, bisognerebbe, alla vostra ambizione, altra soddisfazion, che quella, che di sua propria man si volle pigliar quel dottor, che leggeua in Padoua; il quale, stimandosi ritrouator di nuoue dottrine, nè vedendo, chi sù le cantonate mettesse il Viua, per honorarlo, si risolue da valent'huomo di notte a pigliare vna scala, e per tutte le piazze seriuea su'l cantone, Viua il Signor tale Lettor Magnifico. Onde, in questa, fu dal bargello scoperto, che egli montaua su per la scala, e perciò creduto vn ladrone il fe da i birri fino alle prigion menare: e se non veniua lor veduto i calamaio della sanopia; che il buon huomo a cinto la hauea, e i pennello in mano, che assai chiaro testimon faceuano della sua innocente pazzia, la facenda gli passata molto male. Hora perche i ritrouator di nuove cose sono stimati come Dei, sarà mestier farui vn ciel nuouo a somiglianza di quello, che si fece il Rè de’ Persi, Sapore appellato, il quale era di Cristallo, poiche non poteua esser da vero. C. Ma auanti ch’io dica soura ciò l'opinion mia, si dee saper prima, che gli umori, e i vapori tirati in alto da forza, e virtù celeste, s'innanzano da qual si voglia parte della superficie della terra non in infinito, ma infino à vn certo prefisso termine, che molti dicono esser l'altezza di 52000. passi. R. Vedete come da voi medesimo contrariandoui da quel, che già conchiudeste, confessate adesso, che i vapori non posson penetrare il cielo, posciache arriuar non è conceduto loro a tanta eleuazion, come ancor'io di sopra vi prouai. C. Perche adunque la terra è sferica, sferica altresì viene à essere la superficie concaua, cagionata tutti quei vapori terminanti. R.Terminanti che? C. Secondo, che rimirando noi vn'oggetto, interposto vn cristallo di forma concaua, quanto più discosteremo detto cristallo da noi, tanto maggiore, come ne insegna la sperienza, ci apparirà l'oggetto proposto, se franoi, e’l cristallo sarà alcuna quantità d'acqua, ò altro vapor di mezo. R. Habbiate per vero, secondo gli occhi di chi non gli hà composti a rouescio, che l'effetto va tutto al contrario. O corpo del mondo, uoi doueuate pur farne prima l'esperienza, e poi dir, che ella uel'insegnaua. Io, che la feci fin da fanciullo, non l'ho però mai dimenticata. Il Cristallo, essendo il mezo, che cagiona cotal diuersità di maggiore, e minore apparenza nell'oggetto, è quello ancora, che accostandosi, ò discostandosi dee la uarietà detta produrre. sì che, se accosterete il cristallo all'occhio, perche egli si discosta dall'oggetto, l'oggetto appar maggiore; e disco standolo, perche si auuicina all'oggetto, l'oggetto appar minore. La ragion di questo è, perche in quel corpo trasparente, la lontananza dell'oggetto visibile, cagiona più spaziosa refrazion, che non fa la uicinità del medesimo, perche meno disgrega le spezie, e i raggi dègli oggetti visibili son più vniti, e il mezo appar men grosso, donde la refrazion si cagiona maggiore, e minor, secondo che è più, ò men denso. Ma uoi dobbiate hauer cambiato da ueder per uetro vna cosa, a vederla in ispecchio, benche della stessa figura concaua, ò rotonda egli sia. Percioche è uero; che nello specchio l'imagini appaion maggiori da presso, che da lontano; ma non fa questo a nostro proposito: Questa sarà l'altra: come uolete mai, che fra noi e'l cristallo sia situata alcuna quantità d'acqua ? Il cristallo sì, bisogna, che sia di mezo tra l'acqua, e gli occhi nostri, se ben l'acqua, e il cristallo insieme non son necessari, come uorreste, se non perche l'apparenza sia molto più sensibile, come che tale apparirebbe l’oggetto ancora, posto dopo vn grosso cristallo, come saria vna palla. C. Ora vengo al nostro proposito. Douendo noi vedere il Sole, sia egli situato in qual si voglia parte del cielo è necessario, che trapassiamo con la vista, per vederlo, la detta concauità, per tutto nascendo dalla terra vapori: e per essere per tutto quella superficie concaua lontana egualmente dal globo della terra. Perche adunque è più distante da noi quella concaua superficie, per laquale passano i nostri raggi visuali, quando noi rimiriamo il Sole posto e nell'Oriente, e nell'Occidente, che quella, per la quale passano, - quando lo rimiriamo nel mezo giorno; non è marauglia, direi io, ci appaia egli maggiore, e nel nascere, e nel tramontare, poiche, per vederlo, in qual si voglia altro luogo, dobbiamo passare con la veduta superficie à noi più vicina, sì come manifestamente si scorge nella presente figura. R. Non nasce altramente, dall'esser più lungi da noi quella concaua superficie, la maggiore apparenza del Sole come si è detto, perche farebbe l'effetto al contrario, sendo più vicina al corpo solare; ma la cagion di ciò sono i molti più vapori, che verso l'Oriente, e verso l'Occidente s'interpongon trà gli occhi nostri, e'l Sole, come dianzi si disse, ne'quali si cagiona la refrazion maggiore. E chi non sà, che la maggior lontananza, nel guardare il Sol dall'Orizonte, a guardarlo dal mezo cielo, non è tanta, che possa cagionar differenza così grande, quando questa fosse la vera cagione, si che nel mezo del cielo, il Sol grande, come veramente è, e nell'Orizonte cotanto maggiore apparisse? Poiche dalle Teoriche si caua, che dalla superfieie al centro della terra non sia differenza sensibile di lontananza, per pigliar le giuste misure degli emisferi; sì che tanto vede mezo il cielo quegli, che è nella superficie della terra, quanto quegli, che nel centro di essa si ritrouasse. Hora perche la vostra figura non solo non dichiara niente più il concetto, che si facciano le figure nelle fauole d'Esopo, ma eziandio suppon fondamenti, ò falsi, ò in prò del nostro parere, non farà mestier il ristamparla, sendo superchie cotali girelle, come dell'altre si è detto. Fra tanto potrete confessar, che, dopo vn lungo aggiramento, sendo fatti al vostro dosso que’ versi del Tasso. Così diceua, e s'auuolgea costui, Con giro di parole obliquo, e incerto. Poiche, in somiglianza d'huom, che sogni, siete caduto nelle medesime ragion di que’ buon Filosofi antichi, non ui essendo auueduto in qual maniera la vostra nuoua ragion, senza uerun fondamento, suanita sia; che non altramente vn ciel vi siate guadagnato, ma vn forno in cui potrete a vostra posta cacciarui. Discorso. Volgendosi il Cristallino, secondo il suo natural corso oppostamente, ma sopra diuersi poli, che tolgon la contrarietà, da Occidente verso Oriente, in 49000. anni il suo circolo finisce, auuengache alcuni dicano in 36000. che nulla al nostro proposito importa: e l'ottano cielo da Mezo giorno verso Settentrione, in settemila anni termina il suo periodo. Ondela positura delle stelle del Firmamento, con quella del Primo mobile, e la porzion della densità del cristallino, à quella sottoposta, fanno differenza da tre minuti l'anno, e meno eziandio. Considerazione XXXXIIII. Sono andato vn pezo frà me stesso considerando, perche'l Sig. Colombo, sù quali ragioni fondato, attribuisca'l moto di 36000, ò 49000 anni al Cristalino, e all'ottauo cielo di 7000. Poiche Astronomi famosissimi, ributtate, come inutili, e vane le Ipotesi Alfonsine, col dare all'ottauo cielo il moto di 25816. al nono di 1717, e al decimo di 3434 anni, apportate anno ferme ragioni, e dell'anticipazione molte volte degli Equinozi, e della maggiore, ò minore declinazion Sole, e di mill’altre curiosissime, e difficilissime apparenze, alle quali, per le inuenzioni del Re Alfonso, quantunque a questo effetto non con dimostrazioni, ma superstiziosamente immaginate, non si può, rispondendo, in alcuna maniera soddisfare: ma finalmente, perche io mi dò ad intender, che’l nostro Autore, per appigliarsi alla miglior di queste due opinioni, non abbia voluto cercar per la minuta delle lor ragioni; per che i Quadrati, Sestanti, Astrolabi, i qua’ soli gliele poteuan somministrare, essendo da lui mal trattati, a ragion di mondo, non gli erano troppo amici, mi son risoluto à credere, che egli, per andar più sul sicuro, senza tanti beccamenti di ceruello, si sia attaccato alla venerabile antichità. Risposta. Habbiate per indubitato, che se egli mi fosse stato mestier ritrouar la verità di cotali calculazioni, che io non haurei fatto come voi, che senza farne riproua, sempre hauete supposto il falso per vero, come poco dianzi vi mostrai, e v'hò dimostrato in molt'altri luoghi. Anziche, io n'hauea tanto poco da curare, che, per render più chiaro il mio pensiero, elegger volli quel calculo, che men fauoreuole esser potesse; per mostrar, che non hauea, che far col mio concetto, nè perciò mi è bastato. Ma facciamo di grazia, che, per lo vostro schiamazzio, io non me ne andassi preso alle grida. Che dite voi d'antichita? Questa opinion del Rè Alfonso è stata fin ora da tutti i posteri suoi riceuuta, saluo, che dal moderno Signor Magino e quegli, che oggidì il seguono. Onde non si può dir, che io mi sia messo a cauar delle tenebre vna opinion non riceuuta da verun famoso; come faceste voi della terra; dicendo, che si volgeua in giro, e che il Sole era nel centro del Mondo.Vi vò dir più, che io il feci ad arte, per mostrar, che qualunque si volesse di questi computi, ò non impediua, ò s'adattaua a mostrar la verità del mio proponimento, come veduto hauete, non che stroppio arrecarse. La doue, sè le calculazion del Magino, seguitato hauessi, non sarebbe rimaso cotal dubbio irresoluto a coloro, che non bene eran capaci del mio concetto, come è adiuenuto al Mauri, che, per la prima fiata, che ha messo alla stampa; ha dato in questa rete, per farsi scorgere. Se volete veder; se gli strumenti matematici mi son nimici; e se chi attende alle filosofiche scienze gli sà maneggiare, a vopo, come si sappia quegli, che è semplice matematico, e massimamente applicando le matematiche a simili concetti, se bene io cedo a molti, e sò che molti, ne san più di mè, da mè conosciuti per tali, replicate pure alle mie risposte, e vedretene la proua (perdonimisi questa iattanzia) che per diruela iò non hò di voi paura veruna. C. Il perche quì ancor’io, se non temesi, è guisa d'vn corbo crocitando con la mia roca voce, muouere a riso, aurei buona occasion di far l’huomo, alzando la voce, sì come’ l nostro Colombo, e fare vn’ Apostofre in rommarichio à questi nostri moderni astronomi, dispregiati solo per quello, perche doueano esser da più reputati, quali perche conosceuano, che l'Astronomia si fonda sù le osseruazioni, e che queste nel mouimento de’ cieli tanto si anno più sicure, e perfette, quanto maggior tempo e trascorso, si affaticarono per innalzare, e aggrandire perfezionando, questa nobilissima scienza: onde poi non per arroganza, ma per auere miglior fondamenti, ch’e’non aueano essi, essendo à loro potesririo, trauiarono dagli antichi, delle loro. I potesi, manifestando la falsità, e lo’nganno, e delle proprie la verità con istabili, e fortissime dimostrazioni. R. Di uero, che molto meglio faceuate a comparar voi al Coruo, che mè, conuenendoui assai più, non solo il suo mantel morello, che a un Colombo, ma eziandio per le sclamazioni insolenti, che fate, e da ogni prudenza lontane. Onde di certisimili cicaloni, Euripide disse, Clamoribus tanquam Corui imperfecta sonant, Iouis aduersus auem diuinam. E tale sembrate voi contro queste salde dottrine. Io non solamente non dispregio, ma honoro, e reuerisco i buoni astronomi, leuandoli delle mani à voi, che non sapendo seruiruene à tempo, gli strapazzate, e vene valete, contro il creder vostro, in mio fauore. Perche si come di età, in età volete, il che è vero, che essi di maggior perfezion diuengano, per le nuoue, e lunghe osseruazioni, sì che a lor sia stato lecito sin di ritrouar nuoui cieli; perche non sarà conueneuole ancora il ritrouar nuoue stelle, come di fatto è adiuenuto? E perche non si potrà ritrouar luogo comodo a quelle, e modo alla apparenza loro, che ragioneuolmente, e senza inconueneuolezza alcuna habbia del probabile, come è l'esser nel Primo mobile, comeche finora non vene siano state da gli Astronomi credute? Discorso. Non sendo il mouimento dello stellato diametralmente opposto à quel del Primo mobile, e perciò non è diuersita d'aspetto considerabile; massimamente, che i medesimi astrologi af- fermano, che non così puntamente, bene spesso, le misure di cotali differeze ritrouar possono. Considerazione XXXXV. L'Autore non ha detto cosa più vera, che questa [Non esser diametralmente opposto; ec.] Poiche ne diametralmente, ne in qual si voglia altro modo è opposto (seperò della Loica nonmi sono affatto dimenticato ( il mouimento del lo stellato da Mezo giorno à Settentrione, à quello del Primo mobile da Oriente à Occidente: ed è appunto, come s'egli auesse detto. La Neue non è nera. Il perche non è pericolo, che in questa parte egli abbia à temer d’alcuna contradizione. Risposta. Se io hò detto bene, à che fine hauete fatta questa inconsiderazion, per aggrauar più voi medesimo? Per certo, mai niuno stimerebbe, che voi vi foste dimenticato della Loica, essendo questo manifesto indizio, che pur non l'habbiate apparata. Che bella comparazion’è questa? Il bianco, e’l nero, Alimberto, son tanto contrari, che l'vno è priuatiuo dell'altro, e non capiscon nel medesimo tempo, nel medesimo subbietto; e perciò non vi e occasion di dubitar, se contrari siano, ò nò: ma i moti di quei cieli ragioneuolmente possono apportar, come hanno fatto ancora a voi, nel principio dell'opera, dubitanza di contrarietà, ed è accaduto ciò eziandio ad altre barbe, che alla vostra. Adunque le uostre proporzioni, e similitudini, non son di buona loica altramente, a dir, che è il medesimo, che se detto hauessi, la Neue non è nera. Orsù io non voglio scappar fuora ancora; e vò ritenere in mè molte cose, aspettando miglior tempo à cauar contro di voi i miei artigli, à somiglianza del Leone, di cui dice Plutarco, che mentre cammina, e passeggia tien l'vnghie raccolte, e nascose, per non le spuntare arrottandole, ma quando è'l tempo della caccia, le caua fuora in graue danno dell'inimico suo. Discorso. Per difetto di strumenti, e di che che altro si sia. Testimonianza certa ne fa, in proposito di quest'vltima stella, il S. Baldassar Capra, il quale scriue, che in Padoua osseruò diligentissimamente le distanze, e latitudini di quella, e'l proprio seggio, per mezo di Quadranti, e sestanti , ben due volte; e nulladimeno egli afferma di alcuni minuti esserui stata da una volta all'altra differenza, ò per causa di refrazion di raggi, ò per difetto di strumenti. Può ancora, dì quella densa parte vscendo, sparir tale stella, e minore, e maggior farsi vedere, e per più, e men tempo, secondo che più, e men grossa, e spaziosa è quella spessata parte, che s'interpone alla stella, e che assai, ò poco la stella, è ingolfata in essa. Considerazione XXXXVI. O poueri Astrologi, se prima non poteuate condurre à fine le vostre operazioni, per difetto di strumenti, che sarà di voi per l'auuenire, che mancherete degli Astrolabi, Sestanti, e Quadranti, i quali fra poco, per sentenza del Sig. Colombo, deono andare à giustizia. Vi moueranno una lite mi par, che rispondano tutti à vna voce: però in tanto preparateui à dar lor sodisfazion con vostri nuoui strumenti. Risposta. Per mia se, che voi non sareste gia l’auuocato, se io hauessi dato lor cagion di lite: anzi che non dourete per hauerli mal trattati, senza querele passarla già voi; Crediate pur, che vi morrete di freddo, se pensate scaldarui con accendere'l fuoco a casa d'altri. I miei strumenti a chi ben intende sono i medesimi degli altri, e solo a voi appaion nuoui. C. Io fra tanto vi prometto, come amico comune, cercar di alleggerire in parte lo sdegno conceputo contra di voi, spesso ricercando loro la cortesia vostra, poiche gli auete co’ vostri occhiali arricchiti del modo di vedere stelle, le quali non si ritrouano, ne ritrouaron giammai. R. Sì di grazia, per questa volta mutate natura poiche questi occhiali, v'hanno cosi sdegnato, con tanto lor beneficio, contro il vostro Colombo. Egli si conosce ben dalle vostre parole, che veramente, voi m'hauete ingiuriato, e spregiato, non per altra ragion, che per quella di quello Spagnuolo, come racconta Pietro Messia. Costui ferì in Barcellona Ferdinando Rè di Spagna, detto il Cattolico; il quale esaminato, perche ciò fatto hauesse, rispose costantemente; perche, se ben non mi hà fatto cosa veruna, con tuttociò il Rè non ha mia grazia, e non lo posso ueder, ne sentire, sì che, quantunque mi fosse perdonata la vita, non la perdonere’ io a lui. Caso certamente singolare, se voi non li haueste fatto compagnia, ferendomi con la lingua, che è peggior della spada; e non per altra cagion, se non perche, auuengache le mie ragion sien vere, elle non hanno vostra grazia, e non piacciono a voi. Vedete pouerello, in che saldi, e pesanti ferri io v'hò stretti i piedi, accioche per lo vostro miglior siate forzato ancor voi à star in camera à studiar, come fo io. Ben'è vero, che potrebbe esser, che faceste, come Egesistrato Eleo, per uscir de’ ferrei legami, di cui referisce Erodoto, che si tagliò il piede; ma io non credo, che'l faceste. Chi dirà, che lo sdegno sia d'altri, e non si conosca solamente, esser in uoi, poiche egli vi ha di maniera affummicati gli occhi dell'intelletto, che ancor che veggiate con gli occhi del corpo la nuoua stella, volete pertinacemente dir, che non si ritroua, ne ritrouerà già mai? C. E di vero, che per questo dourebbero rappacificarsi, e restar di voi sodisfatti in tutto, e per tutto, attesoche, se la perfezion dell'Astronomia consiste nello speculare, e conoscere i corpi celesti, quale obbligo conuiene abbiano gli Astronomi à chi hà cotanto aperto, co’ suoi ritrouamenti, loro l'intelletto, che per arriuare con la veduta a' cieli, i quali altrimenti sono inusibili, anno maggior facultà di potere acquistare con sì fatto mezo, una cognizion più perfetta di cosi nobile scienza. R. Cosi foss'io sicuro, che vi rappacificaste voi, come son certo di non hauer guerra con altri astronomi, non hauend'io parlato, ne contro la uerità delle discipline loro, ne contro niuna persona: ma io ne stò di mal talento, non vi essendo potuto scapriciar, come pensauate. Pur, se uoi siete crucciato a torto vostro danno. Che dite uoi di inuisibile? Non si prouò egli, che, inuisibile, e impenetrabile alla vista non e il medesimo, se ben uoi gli confondeuate, e che quelle parti di ciel, che stelle non hanno, per esser diafane son penetrabili; e uisibili son quelle, che son lucide, come le stelle, pur che la troppa lontananza, non le tolga di vista ? C. Voi Sig. Colombo alla barba di quegli antichi Astronomi, che con tutti i loro arzigogoli nò si seppero immaginar cotali inuenzioni; auete loro additato, e fatto vedere il Primo mobile stellato. R. Al seruigio vostro Sig. Mauri, se ben vi dispiace. Percioche, si come dissi alla Considerazion 44 fù lecito all'Eccellente Sig. Magino, e con molta sua loda ritrouar nuoui cieli, perche non sara lecito a mè ritrouar nuoue stelle ? C. Conciossiache quantunque gli occhiali si ritrouassero la prima volta nel 1208. nulladmeno l'uso loro, essendosi in questa lungheza di tempo annighittito solo in oggetti vili, non è stato mai, se non ora da voi, adoperato, e adattato in fauor’ dell'Astrologia à cose sourane, e celesti. R. State attenti Sig. Lettori, che questo prode huomo, non per altro ha appiccato il discorso de gli occhiali, se non per dire il parer suo d'intorno all'inuenzion di essi la qual consiste nell'autorità, di fra Giordano da lui citato in margine. Signor Mauri fare a mio senno; vn'altra volta nelle prediche di fra Giordano apparate le cose spirituali, quale è quella del non dispregiare il prossimo come fate voi, e nelle secolari, se pur volete qua che cosa apprendere, vna sia la fiorentina fauella, della qual, se voi ne siate bisognoso, dianzi vi feci vedere. E certamente le prediche sue son lodate di lingua purissima dal Saluiati, per esser nate in quel buon secolo, non lontano da quel del Boccaccio, quando fiori il Passauanti della medesima religion Domenicana, scrittor nobile. Ma se pur nell'origine degli occhiali haueste per autoreuole il parer di Fra Giordano; dite, che intende dell'inuerzion più polita, e perfezionata, e non dell'assoluta, di cui fa menzion Plauto antichissimo poeta dicendo; [ Conspicillo vti necesse est. ] Perche, altramente, io dirò, che voi intedete tutti gli autori in quel modo appunto, che non vorrebbono esser intesi. Io vi veggo cotanto inchinato à ritrouar le deriuazioni, e gli inuentor degli strumenti, che mi fò marauiglia, che non habbiate ricercato dell'Astrolabio, per nobilitarlo, a cui sò, che hauete molto più affezion, che agli occhiali; se è reputata per vera, nel Ghetto dagli Ebrei, la sentenza de’ lor Rabini; ciò è che nel Razional del Sommo Sacerdote fossero scolpiti i nomi delle dodici Tribu, e con ciascun nome vna costellazione, donde gli Astrologi habbiano appreso il concetto del fabbricar l'Astrolabio, dice Auenezra. E certamente hauete mancato, perche questa non era men bella, che quella degli occhiali. - Discorso. Esemplo ne siano alcuni specchi con certo artificio lauorati, che l'imagini, hor grandi, hor piccole rappresentano, se per lo dritto, ò capo volti in mano si tengono. E ciò non da altra cagione ad uien, che dall'esser quel vetro pien di alcune inegualità di grosezza, e sottiglieza studiosamente fatte. E io n'ho veduti certi, che il viso altrui cosi disfoggiata grandezza rappresentano, che muoue a riso chiunque rimira in quello. Dimostrazione in vero, che leua ogni dubitanza, come per mezo di quel denso apparir possa così grande quella stella, che Gioue rassomigli. Ma che nel Cristallino cielo il raro, e'l denso ritrouar si possa, la stessa Luna, il fà palese, non solamente con le sue macchie, che altra cosa non sono, che parti più rare, non dal Sole illuminate, cedenti al trapassar de’ raggi di quello; ma eziandio la Galassia, o vero Circol lateo lo ci conferma: conciossiache, quel piazzamento di biancheggianti particelle, altro indizio non mostri, che di molte densita di raro compartite e fatte dal raggio solare del color del latte apparire. Non dico gia, che quella densa parte del Cristallino sia oscura, e spessa a guisa di quelle del corpo lunare; imperoche, sì come la Luna il Sole occupa traponendoglisi, cosi le stelle verrebbon da quella densità nascose, anziche portate a gli occhi de'riguardanti. Onde affermar si dee, che ella sia in somiglianza di cristallo, quale appunto il nome di quel ciel ne significa di manierache, nel modo stesso, che l'aria humida, e vaporosa, nel seren del verno, doppo vicina pioggia, più stelle, maggiori, più chiare, e scintillanti ci fà vedere, così, e non altramente adopera quella spessata parte del Cristallino cielo, per rappresentar le stelle, a cui s'interpone. Hora, se chi che sia domandasse, per qual cagion, tale stella, esser non può nel Cristallino, e quella densità sottoposta nello stellato, ò nel ciel di Saturno, ò di qualunque altro pianeta: io risponderei, che nè la stella, nel Cristallino, nè la densita, sotto di quello può hauer luogo. Primieramente, perche non solo, con l'autorità si proua il Cristallino cielo, esser di stelle spogliato, come tutti i sacri, e profani scrittori affermano, ma la ragione ancora dall'esperienza si prende, attesoche, se stelle nel cielo acqueo si ritrouassero, bisognerebbe dire, ò che, per sè medesime visibili si farebbono a gli occhi nostri, e cosi mai non si perderiano di vista, e veddrebbonsi, oltre acciò, mutar positura, con quelle dello stellato, per la varietà de’ mouimenti dell'vno, e dell'altro cielo; cose, che amendue per tanti secoli trascorsi, false appaiono. O veramente, perche siano apparenti, vi fa mestier di quella parte di ciel più densa, che sottoposta cagioni la veduta di esse stelle. Ne questo eziandio hà di verisimile apparenza: conciosiache, dal Sole verebbe quella densa parte illuminata, come adiuiene alla Galassia; e perciò sempre apparirebbe visibile quella densita, ancorche buia, e spessa, quale il corpo Lunare, ella non fosse. Impercioche le molte parti, e quasi infinite di cielo, che in sì smisurata altezza l'vna dopo l'altra si ritrouano sopra quella densità, e la gran lontananza, che è da essa a gli occhi nostri, officio adoperano equiualente alle molte parti d'un corpo in poca mole ristretto, e oscuro; attesoche, per tali accidenti ne’ corpi diafani, e che traspaiono, l'oscurita si cagiona basteuole per far la reflessione, e refrazzion de'raggi, e diuenir luminosa quella più densa parte. Onde per simil cagione ci sembra colorato il cielo in somigliauza di Zaffiro, quantunque colorato non sia, dice lo Scaligero contra il Cardano, e'l Cardinal - Contareno, con altri famosi autori. Percioche i corpi trasparenti, o diafani, che dir vogliamo, dilungandosi molto, sproporzionato mezo douentano al vedere; e da tale sproporzion le tenebre si generano, terminanti dell'occhio la virtù visiua. Eccone l'esempio in queste cose terrene. I Laghi, Pelaghi, il Mare in somma, per la profondita loro, del color dello smeraldo appaiono, comeche verun colore in quell'acque non sia. e non per altra ragione, se non perche la moltitudine delle parti in tanta altezza d'acqua non cede il passaggio alla debolezza della nostra vista, e quella tenebrosita cagiona, che termina la visual postenza. E a chi uolesse pur creder, che, almeno da l'ottaua sfera in giù, non fosse distanza tale, che alla potenza visiua cotale oscurità rappresentar si potesse; nè conseguentemente illuminate ci apparisiero quelle parti di cielo più dense; ma l'apparenza di quella stella producessero: si risponde, che ad ogni modo non può questa densezza ritrouarsi in alcun degli orbi de’ pianeti. imperoche non vna sola stella per uolta; ne di lunghissimi tempi distante l'una dall'altra, apparita saria, ma molte, e molto souente vedute se ne sarebbono. Conciosiacosache quella densezza allo stellato sottoposta, ad ogni momento nelle stelle di quello s'auuerrebbe. Nè, per tutto ciò, argomentar mi si può egli contro con la medesima ragione, dicendosi, che quella densa parte, ch'io ascriuo al Cristallino, altresì dourebbe esser lustrata da i raggi del Sole, e per tanto nel medesimo inconueniente, ritrouarsi il mio concetto, nel quale hò cercato di porre il prodotto di sopra, circa la densità attribuita a gli altri cieli, cioè, che sempre veder si dourebbe, e nulladimeno perche il contrario appare, falsa debba la mia obbiezione stimarsi. Imperoche, se il Cristallino si ritroua cinquecento nouantanoue milioni, e nouecento nouantacinque mila miglia, e cinquecento lungi dalla terra; come sarà egli credibil mai, che, vn poco d'albore, che i raggi del Sole producessero in quella densezza, come egli si vede nella via Lattea, non si disperda, nel diffonder la sua spezie, per sì lungo mezo, accioche l'occhio la vegga ? Aggiungo, che il Sole non arriua co' suoi raggi tanto insuso, perche il suo lume non vi fa di mestiere, stelle non vi essendo; e la nobiltà, e dignità di quelle, che nel Primo mobile alloggiano, richiede splendor natiuo, e non accattato. Anzi vogliono scrittor famosi, oltre a Macrobio, e Auicenna, che niuna stella, fuor solamente la Luna, riceua luce dal Sole. Ma conceduto, che elle hauessero necessità de'raggi di quello, per farsi luminose, secondo alcuni, egli si dee intender di tutte le stelle conosciute da gli Astrologi, sino allo stellato cielo, se bene il viuace lume, che è in quelle m'induce à creder, che mendicato non sia, come quel del corpo lunare, che ammortito sempre rassembra. Conchiudesi adunque, i raggi del Sole, ò non traualicar l'ottauo cielo, ò cosi debolmente, e fiaccamente illuminar quella densa parte del Cristallino, che apparir non possa all'occhio de'riguardanti, come il senso uede per esperienza. Altra dubitazion sento uenire in campo, ed è tale. Se questa nuoua stella, mediante cotal densita appare, come potrà ella per ogni regione, e luogo vedersi, se tra quella, e la densezza sottopostale è tanto d'interuallo, che quegli, che, alquante miglia di sotto la linea retta perpendicolare alla densità, e alla stella si allontanasse, vedrebbe rimaner la stella allo scoperto, e non più apparire? E nulladimeno, per tutto questo diametrò della terra, s'è fatta questa celeste lampada vedere. Ma a questo si risponde, che, non solamente il Cristallino cielo, e per conseguenza quella sua densa parte ascende sopra la terra, in tanta altezza, che non ci è clima, ò confin si remotto, doue altri allontanar si possa sì, che mutazion sensibile d'aspetto si facesse: ma, che assai più rileua è, l'esser quella densa parte (altramente non produrrebbe tale effetto) di circuito molto maggior, che la terra non è. Testimonio della sua magnitudine fanno le stelle della sesta grandezza, che, quantunque le minori siano sì, che appena si ueggono, elle contengono l'ampieza della terra, dicciotto uolte cotante, e vn decimo incirca. Che adunque si dira egli di quella densista del Cristallino, in proporzione, e tanto più eleuata, che quelle non sono? Considerazione XXXXVII. Se questi vostri specchi, tenuti u.g. per lo dritto, facessero le immagini rappresentate loro dauanti. Risposta. Dauanti a gli specchi si rappresentan gli oggetti visibili, e non l'imagini, ma si ben gli specchi, riceuendo le spezie, in sè degli oggetti, gli oggetti rappresentano. C. Grandi semplicemente, mediante alcune inegualità contenute da essi, di grosseza, e di sottiglieza non sò per qual ragione poi capouolti (come voi dite) tenuti in mano, contenendo pure le medesime inegualità di grosseza, e di sottiglieza, perciò le medesime cagioni, per le quali e’ faceuano per lo diritto apparir maggiore l'oggetto, abbiano del tutto à produrre effetti contrari. Desidero di saperlo: ma di grazia non mutate pensiero, attribuendo à tali accidenti diuersa cagion da quella, che già quì auete arrecata; perche vorrei prima intender ben questa, per non esser fra quelle, che io stimaua perfettissime ragioni à sodisfare à si fatto dubbio; allo’mprouso m'è giunta addosso. R. Io diuero non mi marauiglio, che neghiate queste apparenze, perche, se per vostro difetto ciascuna cosa è da voi giudicata arrouescio, che gran fatto è, che l'arrouesciate vi paion per lo dritto? Chi meglio dourebbe saper, se cotale apparenza nasce da la detta cagione, ò nò, di voi, che vi reputate sì gran perspettiuo della cui disciplina è parte la Catoptrica, ò specularia, che dir vogliamo? E se altra credete, che sia la cagione (che a mè poco importerebbe, pur che l'effetto sia vero, per conseguire il mio intendimento) perche non l'hauete addotta, prouando, la da me assegnata esser falsa? Credete voi ch'io sia per farui vn libro intero di questa materia, doue tanti illustri scrittori ne hanno largamente fauellato, che non è huomo di mezana intelligenza , che non sappia i marauigliosi effetti, e quasi incredibili della specularia? Voi, che siate di quegli Astrologi, che si dilettano arrecar marauiglie, e stupore in certi cotali, che, dalle vostre ciance ingannati, oracoli v'appellano, non posso giudicar, che non sappiate far per via di specchi in apparir nell'aria l'imagine di chi che sia, come anticamente alcune donne maliarde faceuan per dar’ adintendere alle male femine, che per arte del Fistolo il facessessero, acccioche, da loro adoperate, fossero per cauarne buon danari. Dicono gli scrittor di questa facultà, che, per simili specchi, alcuni fanno apparir la faccia lunga, altri storta; schiacciata; tonda; molto larga; co'piedi in sù; con l'effigie fuor dello specchio; d’vna sola cosa diuerse sembianze; in diuersi colori; le cose grandi piccole; e le piccole grandi, le lontane da presso; e le presso lontane; e quelle, che son sotto i piedi di sopra; le soprane in fondo; quelle, che son in vn sito, in vn'altro; alcune cose ancor esser molte, se ben son’ vna sola; la destra parte destra; è la sinistra sinistra. Celio nelle sue antiche lezioni referisce, che un certo chiamato Histio, al tempo d'Augusto, fece specchi, che rappresentauano le cose tanto maggiori , che il dito auanzaua la grandezza, e grossezza del braccio. Il Fiorauanti racconta, che in Napoli un Gaualiere hauea vno specchio, che mostraua le spalle in cambio della faccia. Il qual caualier per gioco, daua ad intender che quegli, che non si uedeua in uso, non era nato legittimo. La Reina d'Inghilterra, si racconta che, essendo uana, fù dalle sue dame ingannata con una spera, che giouane, e bella apparir la facea, ma quindi a poco, accortasi dell'inganno, fece all'inuentrice di quella adulazion leuar la testa. Lo scelerato Agrippa faceua specchi, in cui le cose di quattro, ò cinque miglia lontano si vedeano, se dentro vi daua il Sole illuminandole. Pittagora sapeua farli cotanto lucidi, che diede occasion, per gli effetti che di lontano adoperauano, che si fauoleggiasse, che egli, in essi scriuendo, faceua per via direstesso ueder le stesse lettere nella faccia della Luna, di uarie parti del Mondo. Ma io hò letto in graue autor, che afferma, che questo era un gioco di Pittagora fatto così. pigliaua uno specchio, e uoltate le spalle alla Luna ci scriuea dentro col sangue; onde quegli, che leggeua le parole scritte, le uedeua nella faccia della Luna, mediante quello specchio. E il Cardano di sè medesimo dice, essersi ueduto con quattro orecchi, in uno specchio. Finalmente uolete altro, che questi tali uogliono potersi far apparir con gli specchi fin uolare un'huomo, come, se fosse un'uccello per l'aria. Molti de nominati autori insegnan le cagioni di cotali effetti, e insegnano ancora il modo di far questi specchi, se haueste voglia da'appararlo. Vogliono, che quest'arte habbia per soggetto la linea visuale reflessa, e refratta, ricordandoui però, che niente rileua, in questo proposito, se la visione intramittendo, ò estramittendo si faccia; è perciò si discorre co'termini de’ perspettiui, non ischifando di nominare i raggi visuali, o linee reflesse, e refratte, e somiglianti, perche non variano il concetto. Imperoche, secondo la verità, la refrazione, e reflession si cagiona ne i raggi dell'oggetto visibile, e luminoso dal mezo ingrossato, e denso, e non ne i raggi visiui, come si è detto alla considerazion 19. in risposta, e altroue. Di più dico, che refrazione, e reflessione impropriamente si dicono: imperoche quel che non è corporeo, ne materiale diuisibile, come è il raggio, non patisce simili accidenti; ma quel che appare esser refrazione, e reflessione altro non è, che generazion di nuoui raggi, e splendore come i filosofi vogliono, e in particolare il Zabarella. Tornando a proposito, questa è quella spezie di perspettiua, detta dà i Greci Catopatrica, e distinta dall'Optica, che la prima, le linee reflesse, e refatte; e la seconda, le rette consideria, pur nelle visuali parlando. I fondamenti delle apparenze di questa specularia sono i lumi, l'ombre, i colori, la tersezza, l'aspreza, il luogo, la distanza, la grandezza, la figura, la diuision dell'imagini, il sito, e la vista in vniuersale. Quanto a gli specchi, secondo la figura, se ne fan de’ Colonnari, piramidali, angolari, triangolari, quadrangolari, trombali, gobbi, sferici, torti, concaui, e somiglianti. Alcuni specchi son, che hanno forza di ristringer i raggi del Sole, che abbruceriano ogni gran cosa, che lor dauanti si ponesese; altri le cose ascose riuelano; altri fanno, che l'huomo appaia con due facce, con quattr'occhi, con trè, è monocolo ancora e il viso riuolto, la faccia corta, e larghissima. Hauete voi prouato a guardarui in vno specchio concauo, e ancora in cucchiaio d'argento, ò d'ottone, che non hà altro artificio, che quella concauità, e nulladimeno il viso apparisce volto in giù? La ragione è perche la spezie, o simulacro piegandosi, piramidalmente, per cagion del lume in giù, non trouando nello specchio il piano, doue fermarsi, scorre verso il centro per trouarlo, e così premuta in giù, verso l'estremo orlo, subito si ferma, per che termina quiui anche il lume, e perciò resta capouolta, e la destra si riscontra con la man sinistra, di colui, che nello specchio si rappresenta, ma capouolta: e tutto per ragion dell'aria, ciò operante, in quella figura di specchio, si cagiona. Che marauiglia, adunque vi fate voi, che uno specchio medesime, tenuto in mano, per lo dritto apparir faccia piccola vna cosa è capouolto, grande la stessa cosa rassembri? Che vi pensate, che quelle inegualità, per esser le medesime, mutando sito di già capouolte, e lumi, e ombre, e concauo, quel che era conuesso, e grosso, quel che era sottile nella suprema parte tornando, non facciano diuersita d'apparenza? Voi medesimo il sapreste fare, se quel cristallo rotondo, e grosso, di cui diceuate dianzi inseriste con l'arte solita in vna spera, che di fuora piana apparisse, ma dentro quella inegualita, o altre, diuersamente disposte serbasse. Non è egli vero, che alcuni pittori per uia di certe pieghe situate in guisa, che non appaiono, fanno ueder nel pian d'un quadro stesso, à chi per diuerse positure il riguarda, hora una sfera celeste, hora vna Scimia, hora vna Morte, hora vna bellissima Venere; e tutte queste cose a diuersi huomini nel medesimo tempo diuersamente posti à guardare apparir fanno ? Niuna dubitanza, per tanto dee hauersi, ò Alimberto, che la densita celeste non posta cagionar cotale apparenza, come l'esemplo, verissimo, e proprio totalmente, degli specchi ne dimostra. Discorso. Souuiemmi vn concetto d'un bell'ingegno, che tutte le raccontate opinioni, e, se altre cen’ ha ancora, stima non esser da accettar per vere, dicendo, che è molto più verisimile, questa nuoua stella non esser fissa, ben che nel firmamento, ma che, volgendosi per lo suo Epiciclo, non prima, che hora sia discesa nell'opposito dell'auge di quello; e perciò fatti i ueder nella parte intima, ciò è nella concaua superficie del suo cielo. Ma a dirne il vero, uadansi pur gli Astrologia lambiccare in altro il ceruello, se in tante miglia io d'anni non han saputo per tante osseruazioni conoscer, se le stelle erranti nello stellato ciel dimorino. Considerazione XXXXVIII. Risponderebbe vn'Astronomo, che non è verisimile, che questa nuoua stella, per voltarsi in vn suo Epiciclo, dal girar dell'Apogeo al Perigeo, diuentasse visibile: imperocche, per conseguenza, ella prima sarebbe apparita piccola, e poi di mano in mano, secondo l'auuicinar si al Perigeo, maggiore: ilche, come si è detto di sopra nella Conderazione 42. è falso. In oltre ella dal suo apparire, al suo sparire aurebbe di continuo fatta gran diuersità d'aspetto : le quali cose quanto lontane sien dalla verità, ciascheduno sensibilmente l'hà conosciuto. Ma vadasi pure à riporre l'Astronomia con tutti quanti i seguaci suoi, che le vere risposte son quelle del nostro Colombo, che è Filosofo naturale. Attendete, che elle s'andranno sempre esplicando. Risposta. Anzi che vn’ Astronomo, che hauesse risposto, come voi non poteua esser’ altri, che il Mauri, che per non esser filosofo in veruna maniera, se ben mostra di intender le proposizion in vniuersale, applicando a’ particulari non se ne serue a tempo, e luogo, ne come conuiene. Ma questo può benissimo adoperar quegli, che filosofia intende, sapendo elegger le più efficaci maniere per argomentare, e prouar quello che gli aggrada, lasciando le proporzioni in vtili, per non parlar senza profitto, come voi. Vedete se è vero. Perche uoleuate uoi, che io argomentassi, non poter, per uia d'un'epiciclo, cotale stella, esser apparita; attesoche ne seguitaua lei esser cresciuta appoco appoco, sè questo accidente è ad uenuto in essa, come sopra vi prouai? E perche dalla mutazion dell'aspetto, se in quella altezza non può hauer luogo la paralasse? Certamente ch'io sarei stato vn valente laua ceci. E se pur voleste per aspetto intendere impropriamente la varieta del sito di tale stella con l'altre; questo sarebbe maggior marron del primo. perche non solo quando la stella fosse stata nell'ottauo cielo, non sarebbon bastate le settimane ne i mesi, ne alcune volte gli anni, e i secoli eziandio per osseruar le mutazion de'siti, come gli Astronomi sanno; me che più importa è, che essend'ella in vn ciel superiore, la sua lontananza non potea lasciarla veder, se non quando era vicina al Perigeo del suo epiciclo. Onde, per esser minima parte di quel circolo; non poteua cotal diuersita esser sensibile a gli occhi nostri. E perciò tale argomento sarebbe stato di nulla valore. Di più, l'essere stata osseruata tardi cotale stella, non haurebbe lasciato conoscer questa differenza. Oltre che, per le uarie opinioni, cioè, se'l ciel'ottauo, sia penetrabile, ò nò, come tenete voi, se i raggi del sole illuminan tanto insuso; se le stelle hanno lume proprio, ò accattato, potendosi hauer cagion di si lunga disputa, per negar, ò affermarsi da gli vni, e da gli altri la varianza di tali aspetti, ò siti, in questa apparizione: perche non haurò adunque più lodeuolmente, lasciate queste vie incerte, e fallaci argomentato contro cotal parer nella maniera, che ho fatto di gran lunga più sicura? Discorso. E perche, dimanderò io, abbisognato sia tanto spazio di tempo a quell'Epiciclo, per condur dall'Apogeo al Perigeo suo quella luminosa fiammella, e farlaci vedere? Qual ragion da esso, addur si potera egli, che forse ridicola non sia, per dar luogo in quel cielo a vn'Epiciclo? Considerazione XXXXIX. Per essere cotale Epiciclo di smisurata grandeza. Ne questa ragione può esser ridicolosa, se voi mi concederete come veramente non potete mancare, che l'Epiciclo possa esser grande, quanto la grosseza del cielo, nel quale egli è situato. Risposta. Oh, noi siamo addietro vn pezzo: a dir, che voi vogliate che io non possa nega tal grandezza d'Epiciclo nel ciel Cristallino, se io non concedo eziandio, ne veruno scrittor sacro, ò profano, che epicicli vi siano, poiche non vi sono stelle. Ma ditemi grazia, non vi sarebbe in vano cotale Epiciclo, per nascondere, ò palesar la stella, ben che egli fosse grande, come tutta la grossezza del Cristallino posciache ad ogni modo mai non l'occulterebbe, quantunque fosse nell'Apogeo, se, mediante i vostri calculi, hauete prouato, che vna stella di simil grandezza si vedrebbe fin dal Primomobile? Dunque ui sara questa sola, poiche altre non vi si ueggono? E pur dourebbon uedersi le minori di gran lunga, come uoi medesimo affermate. Forse, che l'altre ancora ci occulta l'epiciclo? Voi stesso dite, ed è vero, che non si debbon conceder gli Epicicli, se non per saluar quell'apparenze, che in altra guisa, difender non si possono. Ma, perche per altra via, molto e più ragioneuole, si salua cotale apparenza; uano adunque sarebbe assegnaar, con tante inconueneuolezze, Epicicli al Cristallino cielo. Discorso. E se quegli replicasse, che, se nello stellato non vogliamo concederli esser l'Epiciclo, non per tanto non ui haura contrasto, che egli nell'Acqueo cielo, è quello immediatamente, supremo esser non possa, doue non sarà d'ammirazion, che tale accidente in quel ciel non sia stato osseruato, come altresì della medesima stella è adiuenuto; noi habbiamo di già, per le ragioni, e autorità, pur dianzi mentouate, chiaramente mostrato niuna stella questo ciel possedere. Considerazione L. Quantunque io non sappia, senza trarne qualche inconueniente, cauar construtto veruno di quelle parole [Doue non sarà d'ammirazione, che, ec.] mi pare nulladimeno, che cosi mostri segno di bello ingegno costui, in sì fatta gusa replicando, poiche ( e ciò si vedrà nella Considerazione, che segue ) mediante detta replica si conferma’ l suo parere. Risposta. Quelle parole mie, che hauete racchiuse, come scandolose, son di buone brigate, e non son comparite quiui per far mal officio, e à sproposito altramente: perche elle argomentano in fauor di quella opinione, mostrando, che, per esser fuor dello stellato cotale Epiciclo, non è da marauigliarsi, che non sia prima stato osseruato da gli astronomi, si come altresi noi reputiamo della stella del Primo mobile essere adiuenuto. Ma, se pur si douesse far rammarichio delle maniere di parlare oscure, di grazia osseruino i lettori, per non cercar altroue, questa considerazioni stessa, e dicanui poi, se meglio per voi era il tacere. perche, oltreche la gramatica è infelicissima, egli non se ne caua sugo veruno. C. Si come di poco valore quegli, che non abbatte i suoi fondamenti di maniera, che egli non possa farne disegno veruno, che vaglia. R. O uoi sì gli hauete rouinati, i fondamenti suoi con quelle risposte, non da filosofo naturale, come dite, che son le mie, ma da astronomo più che mediocre; poiche, come vi ho dimostrato, essi fondamenti appaion più gagliardi, nulla adoperando lor contro, ma giouando, l'obbiezioni, che voi fate dell'accrescimento, e dell'aspetto di essa stella; Discorso. Ma quando costui, qual miscredente, e pertinace creder volesse, il Cristallino, come gli altri cieli, non esser di stelle mancheuole; chi non vede, che il disegnar nuoui Epicichi, niuna cosa proua circa l'apparizion di nuoue stelle ? Imperoche non è egli vero, che quel cerchietto, dentro a cui si volge la stella, non la toglie mai di vista a riguardanti, portandola nella porzion superiore, come nella parte opposta, che la concaua superficie del suo ciel riguarda ? Saturno, per esemplo, ritrouisi nell'Auge, ò nell'opposito dell'Auge del suo Epiciclo, altra differenza non fà, che maggiore, è minore apparire, ma non mai si perde la veduta di quello, per ritrouarsi nell'Apogeo di esso circolo, in cui si gira quel pianeta. Hora, sè la stella nuouamente apparita, non mai più s'è veduta, se non in questi tempi, chiara cosa è, che per altra strada, che per mezo dell'Epiciclo a gli occhi de’ riguardanti s'è dimostrata. Oltreacciò, non tutte le stelle di quei cielo debbono hauere Epiciclo. Onde di quelle, che non si portano da gli Epicicli verso l'Apogeo, ma fisse nella concaua superficie del Cristallino cielo si ritrouano, supposto, che ve ne fosse, perche non si veggono almeno le maggiori? Che forse non v'è altra che quella ? E poi, farebbe di mestier, che il suo Epiciclo fosse maggior di tutto il ciel, nelquale egli si ritrouasse, à voler che vna stella, che grande rassembra esser, come Gioue la sua veduta ne togliesse, girandosi uerso l'Auge di quel circolo. Cosa, che veramente difficile sarebbe a persuadersi da Bruno pittore a quel melenso di Calandrino. Considerazione LI. Costui miscredente, e pertinace è quegli, che ne crede; ne vede per le vostre ragioni, che’ l disegnar nuoui Epicicli à nuoue stelle, non abbia à prouar niente intorno alle loro apparizioni, poiche la proua, ed esemplo dell'Epiciclo di Saturno, ò di qualsiuoglia altro pianata, non gli pare, che sia se non debolissmo. Risposta. Ella non è mica debole, come che voi, stimandola tale, vi siete fittole addosso con tanta voga, che, lasciando tutte l'altre al solito vostro, disperato di poterla con esse, non hauete pur fatto lor motto. C. Posciache, essendo’l diametro di quell'Epiciclo lungo, quanto è solamente grosso l'Eccentrico di Saturno; e piccolo à proporzion di quello, che è da lui assegnato alla nuoua stella. Onde, per allontanarsi poco dal Perigeo all'Apogeo, Saturno non si può perder di vista. R. Il fatto stà, che bisogna prouarlo, che egli sia tanto grande epiciclo, che possa leuarci la stella di vista nel suo Apogeo; il che non farete gia mai, posciache, quando fosse quanto è grosso tutto il suo cielo, ad ogni modo non basterebbe, come si è detto, per esser cosi grande la stella, secondo i vostri calculi, che hauea diametro non meno, che Gioue: e sareste contrario alla considerazion 39. affermando, che Gioue, fin dal Primo mobile, si vedrebbe. Voletene voi più ? C. Per un'altra ragione ancora, cioè perche egli è maggiore in se stesso di qualsivoglia stella della seconda grandeza Se adunque queste di continuo son visibili, e quello altresì, per esser sotto à quelle si dourà vedere, ancorche egli, arriuando’ l suo Epiciclo non solo al termine dell'orbe proprio, ma ancora, per dir così alla conuexità dello stellato, nell'auge di esso si ritrousse. Ma poiche, è Sig. Colombo, voi concedete, che questo Epiciclo sia nel ciel Cristallino. R. Adagio Signor Mauri, perche quegli, che troppo furiosamente corre a ferire il nemico souente accade, che ferisca se stesso. Voi il concedete; che vorreste esser quel miscredente : perche io hò molto ben prouato, che in quel cielo non posson gli Epicicli hauer luogo. C. Dicendo poscia, che egli à guisa di quel di Saturno, e degli altri Epicicli, non può far perdere di vista la stella, che è portata in giro, questo bello ingegno non potrebbe egli à vn tratto replicaruì (tacendo, che per esser il Cristallino di grossezà immensa, l'Epiciclo ancora potrebb'esser di smisurata grandezza) che non peruenendo co’ suoi raggi il Sole se non alla conuexità dello stellato, perche il suo lume più sù, come affermate voi, non vi fa di mestieri. R. Signor nò, che egli non solamente in va tratto replicar non potrebbe questo, ma ne anche, se egli duresse vn'anno a gridare senza vostra contraddizione, e delle demostrazion matematiche, fatte da voi, doue prouaste, che anche dal Primo mobile tale stella si potrebbe da noi vedere, per non istar'a disputar, se da mè sia stato conceduto, che il Sole ascenda co'suoi raggi al Cristallino, è nò [stelle non vi essendo] come io dissi allora, e voi non l'hauete osseruato. imperoche, secondo quegli che voglion, che le stelle riceuan lume dal Sole, è necessario dir, che il suo raggio vi arriui, conceduto, che stelle vi siano. Hor tirate innanzi a vostra posta. C Questa nuoua stella, arriuata che ella fù al Perigeo del suo Epiciclo, contiguo al conuexo dello stellato, venisse allora ad apparire, e risplendere, per essere in quel punto alluminata dal Sole, la qual, non potendosi prima da esso far cotale effetto, era sì, come è ora, discostata dal Perigeo, oscura, tenebrosa, e però come è la Luna inuisibile. Conciosiache, come afferma il Clauio, e voi, eccettuando solamente quelle del Primo mobile, non lo negate, tutte le stelle, e secondo i Filosofi, e secondo gli Astronomi, in quella guisa, che si è detto di sopra, riceuono la chiareza, e splendor dal Sole, come lor Signore, e padrone : e cosi replicando questo vostro auuersario miscredente, non sarebbe finita frà voi la contesa? Se però non voleste à voi stesso contraddire col negare, che più in suso non arriuino i raggi del Sole, e che le stelle, per farsi luminose, non abbiano necessità di quelli, contro alle cose da voi più volte concedute. R. E possibil, che voi pensiate , che sia chi vi creda, che, se stelle fossero nel Cristallino, elle rimanessero mai cotanto oscure, che veder non si potessero, sè però abbisognasse lor la luce del Sole per la perfezion maggiore? Quale stella vedete voi sopra la Luna, che non habbia lume più viuo di essa? Vn ciel tanto più nobile di quel della Luna, che voi stimate simile alla terra, haurà le sue stelle oscure come è il corpo lunare? Ma andate; che si come la Luna si vedrebbe, se il Sole non la illuminasse: perche non sarebbe il medesimo d'vna stella del Cristallino, grande come Gioue senza il lume del Sole, se è più lucida della Luna? E che'l corpo lunare si vegga senza che illuminato sia dal Sole, ciò appar manifesto nella sua ecclisse. Il Padre Clauio al capo primo da voi citato dice il contrario di voi; atteso che tien che le stelle habbiano lume proprio, se ben crede, che elle n'habbiano anche dal Sole, [ Saltem perfectius, ] palando delle stelle note e non di quelle, che fossero sopra l'ottauo cielo, le quali, per esser di sostanza più nobile, non dee credersi, che lucentissime non fossero. Anzi che come di sopra si disse; Macrobio; a cui voi credete, fino il suon celeste, afferma con Auicenna, e altri, che le stelle, fuor solamente la Luna, non riceuon lume dal Sole : e io dissi, che gli Astrologi intendeuan solamente, le stelle conosciute, fino all'ottauo cielo, mendicare il lume dal Sole, se bene il viuace lume di quelle ne persuade incontrario, come ancora afferma il Pererio, dicendo, che è più conforme alla Sacra Scrittura: portando in mezo le parole del Dottor delle genti, che vuole ciascuna stella hauer proprio splendore, e differente frà di loro ancora cosi discendo. Aliam esse claritatem Solis, aliam Lunæ, aliam stellarum, & stellam à stella differre in claritate. Ecco, che la lite è finita; non con esso lui, che non sarebbe entrato in queste contese vane, ma con esso uoi, e diuersamente da quel, che pensauate. Ne mi contraddico per certo in niuna cosa, che nel discorso, ò qui habbia affermata, ò negata, come hauete veduto, se ben non - inteso. Ma voi, buon prò ui faccia, sempre riscontrate cioche andate cercando. imperoche voleuate, che io mi ricordassi di scoprir le vostre contrarietà, poiche affermate adesso, i raggi solari passar fino alla conuessa superficie dello stellato cielo, e nella considerazione 39. 53. 36 e 11, volete, che appena arriuino alle stelle nella concaua superficie, dicendo, che fiaccamente arriuandoui i raggi del Sole, quindi la scintillazion nelle stelle sì cagioni: e mostrate ne’ detti luoghi, che non sia penetrabile il cielo stellato in modo veruno da i raggi eziandio. C. In questa maniera adunque, mediante le stesse uostre conclusioni dichiarata, e accommodata l'opinion di quegli, à cui di bello ingegno, forse per ischerzo, auete dato il nome. R. Non per ischerzo, ma con arte da voi non conosciuta. C. Non potrà esser refutata, e annullata, perche cotale stella nel principio non apparisse piccola, ò non abbia mai cangiato aspetto : poiche l'oposto dell'Auge, doue ell'appari, e quasi, che vn punto. Dalladual cosa si può arguire anche alla ragione, perche mai più ella sia stata veduta: auuegna ch’e' sia chiaro, che se ella à passare quel poco di spazio hà consumato più di dicciotto mesi, gran tempo altresi le è bisognato à girare, ò la metà, ò tutto l'Epiciclo, ilquale molto più grande potrebbe esser del Firmamento, per quanto si è ragionato di sopra della grosseza del Cristallino, per farsi luminosa, e à noi visibile. Mi da solamente noia, per affermar questa opinione, l'esser cotale stella nello sparire diminuita. R. E a mè, per negar quest'opinion danno aiuto, come hauete veduto, tutte quelle cose, che pensauate, che la fauorissero, e quelle, che vi danno vggia per mio creder la confermano, massimamente seguitando i fondamenti vostri. C. Conciosiacosache, se ella si fosse lasciata vedere, e fosse sparita per arriuare, e partirsi dal Perigeo del suo Epiciclo, sì come ella non venne crescendo nella sua apparizione, cosi non sarebbe à poco à poco venuta mancando nella sua dipartenza. R. Anzi che se ella senza scemar dipartita si fosse, come credete, che senza crescere apparita sia (secondo i supposti fondamenti vostri) non poteua in ueruna maniera da voi credersi, che per mezo d'vn'Epiciclo si dimostrasse à gli occhi nostri, ma si bene essendo cresciuta, e scemata, come hà fatto veramente. C. E dico, che ciò solo mi da noia, per affermare e tener per vera inuenzaon così fatta, non perche io per altro non la stimi falsa, ma perche se mi risoluessi alla fine à creder, Sig. Colombo, i uostri pensieri, cioè, e che la nuoua stella si dea situare sopra’l firmamento, e che i raggi del Sole soura quello non trapassino per la qua’pensier soli si e dato a colal ritrouamento qualche someglianza di verità, quella apparenza del diminuire nello sparire, mi farebbe titubare, anzi tenere simile opinion poco veritiera - R. Finalmente crediate pur, Signor Mauri, che, perche vi hò prouato niuna di queste cose à cotale opinione impedimento apportare, ma si ben quelle di cui vanamente fate molto conto; se io stimato hauessi probabile cotal ritrouamento, più che il primo da me riceuuto, io solo riporterei di esso il vanto, che che egli si fosse, per non vi tener più a bada. Discorso. Gli Epicicli, in somma, non furono ad altro fine ritrouati da gli Astronomi, se non per saluar quell'apparenze, e accidenti de’ Pianeti, quali son le retrogradazioni, stazioni, e minori, e maggiori apparenze, e simili affetti di quegli. Ma quando si vide mai la nuoua stella cotali varianze hauer fatto, à cui sia stato di bisogno assegnar l'epiciclo? Considerazione LII. Gli Epicicli furon trovati per saluar qual si voglia apparenza, allaguale non si possa, rispondendo, sodisfare per altro mezo: anzi dico di più per saluare apparenze, delle quali dagli Astronomi, ezandio per altra via, come degli Eccentrici, si rende sufficiente cagione. Onde io non sò perche voi vogliate ristrigner l'uso, e la giuridizione di questi poueri Epicicli. Risposta. La Marchesana di Monferrato, quantunque apprestasse la tauola di saporite viuando, in cento maniere di sapor variate, nel banchetto, che fece al Rè di Francia, seppe cosi bene ordinarle, che ad ogni modo fe conoscere a esso Rè, che tutte erandi gallina. Ma voi, come che di questi Epicicli habbiate, con diuerse parole dalle mie, detto l'vso loro; vero è, che non solo il medesimo inferissono, ma al contrario de’ manicaretti della Marchesana, molestia, e afa, anzi che nò apportano. C. Credo solo, perche sia loro destino d'esser sempre sbattuti, e trauagliati da’ vostri Peripatetici, e pure in fauor loro, come caualier valorosi, anno di continuo messo la vita con tutto’ l suo auere, mantenendo con la lancia sù la coscia la conformità, e regolarità de’ mouimenti celesti. R. Hauete ragion certamente di pigliar la per loro. E che poteuate voi far peggio, che leuarueli dinanzi affatto senza volerli pur sentir ricordare, come inutili, e vani, poiche, se’ il cielo è corruttibile, e penetrabile, secondo voi, non vi fa mestier d'Epicicli? I filosofi, se ben non si fidan di loro interamente, almeno gli vanno comportando, fin che miglior serui non vengan lor per le mani. C. Laquale altrimenti, senza aiuto simili, sarebbe già buona peza stata dall'esperienza medesima fracassata. R. Ormai per vostro conto farebbon’ andati a spasso quegli, e questi, che è peggio. C. Il perche voi, se di quella setta, come mostrate, siate così suiscerato, sappiendo quanto errore è l'essere ingrato in particolare a’ benefattori doureste auuertirgli, acciò non sien con loro ignominia notati di ingratitudine. R. Chi è de Consoli non debbe dir mal dell'arte come fate voi, appuntando gli ingrati, se però fosse vero, che tali si dimostrassero i filosofi. Di sopra non vi mostrai forse l'ingratitudine, che vsaste al Sacrobosco, al Padre Clauio, e a tant'altri valent'huomini, che pur son altra cosa, che vn circolo astronomico? E poi, se la disauuentura di questi Epicicli è da voi, come astrologo eccellente attribuita alla possanza del destino, che colpa ci hanno i filosofi ? Ma pure, se per difetto lor fossero gli Epicicli da i filosofi scacciati, poscia che hauete fatto conoscer loro, che gli eccentrici non son da manco di essi Epicicli, ecco che per grazia vostra non rouinerebbe loro il cielo addosso ad ogni modo, perche farebbon carezze a questi, puntelli adoperando il medesimo. Discorso. Risoluesi adunque la nuoua stella, e l'altre simili apparite in diuersi tempi, e se altre sene uedranno, esser vere, e reali stelle da principio create nel cielo, ma nel Primomobile, e fattesi uisibili mediante alcune parti più dense del Cristallino cielo sottoposte, che la spezie luminosa di quelle assai maggior rappresentando, in sembianza delle prime stelle a gli occhi nostri palesate si sono: e che, per le ragioni, autorità, e esempli mentouati di sopra, non vi habbia dubitanza ueruna potersi le nominate stelle esser uedute non sempre, e per più, e manco tempo, e poter maggiori, e minori dimostrarsi, e sparire affatto, e ritornar senza fallo ueruno: e ciò non essere alla uera Filosofia, e Teologia, e alle demostrazioni astronomiche repugnante; ma con tutte è trè le nominate scienze, la uerità del presente discorso, e parere, e la fallanza dell'altrui manifestamente, secondo il creder nostro fattasi uedere. Considerazione LIII. Risoluasi, adunque S. Colombo, esser falsissimo, che la nuoua stella, e similmente l'altre apparite in diuersi tempi, ò se altre se ne vedranno, sien vere, e reali stelle da principio create nel cielo, e nel Primomobile, poscia fattesi, a noi visibili, mediante certi occhiali, che altro non sono, che parti più dense del Cristallino, le quali sottoposte, la spezie luminosa di quelle assai maggiore rappresentando, in sembianza delle prime stelle, ce le habbiano nella loro apparenza fatte vedere, sì perche nel Primo mobile non sono stelle; si perche quantunque elle vi fossero, non si potrebbero, contuttociò, da noi scorgere, per la impenetrabilità al vedere dell'Ottauo cielo, sì perche, dato è il primo mobile stellato e'l Firmamento diafano, e trasparente, senza tanti occhiali di continuo le douremmo auer viste, e ancora di presente vedere: sì perche finalmente concedendoui, che non sia possibile, che la nostra vista, per la lunga distanza, arriui cotanto lontano, senza aiuto alcuno; se questo vostro denso fosse egli il mezo, e la cagione di quello effetto, che dite apparir nel Primo mobile, 42. anni ancora dourebbe la nuoua stella à noi nascere, e tramontare faccendosi godere (se però ella non fosse di quelle schizinose) con la sua nobilissima veduta, in quella cotanto risplendente, e tremoleggiante apparenza. Onde per fine meritamente si conchiugga, che mercè delle ragioni, autorità ed esempli mentouati di sopra non ci è dubbio veruno, che la vostra openione non è molto conueneuole, anzi al tutto contraria, e alla vera filosofia, e alla vera Teologia, e alle vere demostrazioni Astronomiche. Risposta. Perche, parte per parte habbiamo con efficacissimi argomenti, e dottrine irrepugnabili, non solo apertamente dimostrato la uanità delle uostre impugnazioni, e la sufficienza delle nostre proue fatte nel discorso, circa la sostanza, luogo, e modo della apparita stella; ma perche, eziandio le ragion uostre medesime, ci sono state arme, e scudo per discoprir maggiormente la uerita di cotal parere; di quì è che arrouesciando tutte le uostre conchiusioni, dirittamente haurete conchiuso. Perche hormai son certo, che i lettori conosceranno, che solamente, perche ui aggradano le controuersie par, che siete uscito contra il mio discorso, e non per ricercar la verita, ò perche diuero sentiste altramente, poiche siate cotanto oltra trapassato contro di me, che fino all'irrisioni hauete proceduto. Ma di nulla mi debbo dolere, posciache hauendo voi occultato il dritto nome, mi fate pari in questo fatto al prode Enea, cui mentre duellaua con Turno fù da incognita mano lanciato un dardo: Nec sese Aeneæ iactauit vulnere quisquam. Anzi che io, il medesimo stral ritorcendo in dietro, credo di hauer colto il feritore stesso, se il potessimo sentir gridare. Pur, perche da principio voi dite, che non per questo mi siate nimico, volendol'io più creder, che cercarlo, mi offero al medesimo, con la ragion di chi cantò. Non sentire bonos eadem de rebus iisdem Incolumi licuit semper amicitia. Aggiungendo, che, se paresse, che io non fossi stato molto dolce nel rispondere, ne incolpiate voi medesimo, che sotto finto nome m'hauete con non finte maniere di parlar percosso, e oltraggiato, come che io habbia veramente più tosto scossa, in difendermi, la spada all'aria che nò. Nulladimeno, se haueste scoperto il vostro nome haurei proceduto con quel rispetto, che a gentil'huomo conuiene, lasciando a i vili d'animo la proprietà dell'Anguilla, che è debol di schiena, e forte di denti. Di mia natura io cimo, e non taglio. Finalmente con l'occasion della stella non più veduta, necessaria, e non mendicata esagerazion contro i Genetliaci, o giudiciari Astrologi, volli che fosse fin del mio discorso. La qual non mi è paruto, che ristampar si debba in queste mie risposte, non vi hauendo voi fatto alcuna impugnazione, acciò che io douessi de particulari della astrologia ragionar con più lunga, e ordinata scrittura. Ma, per darui à conoscer quale Astrologia da mè si biasima, e per ritrarne voi, se gli credeste, e vi accontaste in fra gli astrologi, e Mauri; desidero, che vna volta lasciate in questa caccia correr prima l'intelletto, che la volontà, come dee fare ogni capace ingegno; perche son certo, che vi pentirete d'hauer fin ora malamente giudicato. Conchiusi contro i giudicari quel che forse à voi par falso, a molti dubbio, e a mè certo. Non vi richiamo io a nuoue, e non più considerate ragioni impugnanti l'astrologia, ma alle antiche salde, e non mai sciolte di que’gran lumi del Mondo, che le fecero. Difficulta, che diuero han fatto sudar le tempie a Bonato, Pietro Aponense, Lucio Bellanti, e molti altri, ne per ciò vi ha chi sia sfangato a bastanza di alcune più importanti. In due fondamenti principali si regge l'Astrologia Il primo de’ quali comprende la cognizion di tutti i Cieli; delle stelle, de mouimenti, della natura di esse stelle, degli aspetti, e simili. Il secondo Fondamento è la natiuita dell'huomo, di cui si dee fare il giudicio, e senza la cognizion di questa i giudciari sariano totalmente al buio. Hora quanto al primo innumerabili le difficultà appaiono. E perche nel principio delle considerazioni mi scopriste mancheuole d'Astronomia secondo il creder vostro, che rispondereste alle difficultà di coloro, che ne dell'astronomia, ne dell'Ostrologia mancheuoli sono? Le stelle sono innumero infinite, e tutte hanno qualche virtù, e gli astrologi non ne conoscon se non mille uentidue in circa. Come adunque potranno gli astrologi senza error fare i pronostiei loro? Il nouero degli orbi celesti, fu da Platone, Proclo, Aristotele, Auerroe, e quasi tutti auanti il Rè Alfonso stimato arriuare a otto, e non più. Ermete, Azarachel Moro, Thebith Maestro Isaac, Alpetrago, dissero noue cieli ritrouarsi. I moderni Astrologi fino a dieci sfere. Ne mancaneo di quegli, come Alfonso Rè, che mutando parere son tornati a dir, che le sfere celesti non sian più che noue, e altre fiate dieci, e quindi son ritornati à atto, seguendo Albubassem del Moro, e Albategno. Abram Auenezra, e Maestro Leuì, con Maestro Abram Zacuto confermano, che sopra l'ottauo cielo no sia altro corpo mobile. Il moderno Magino trà l’ottaua sfera, e'l Primo mobile pon due cieli per ragion del moto della trepidazione. Ne finisce quì il potersi ritrouar nuoui cieli, poiche secondo Alpetrago, e Fauorino, come dicemmo nella risposta alla considerazion 38. si posson ritrouar sempre nuoui mouimenti, e per conseguenza nuoui corpi, e nuoue sfere. L'intorno a’ moti celesti non son minori le controuersie, poiche i Caldei, gli Egizi con cui s'accorda Alpetrago, e Alessandro Achilino tra i moderni, voglion, che l'ottauo ciel si muoua solamente per vn verso, Gli Astrologi da Hiparco sino a’ tempi nostri assegnano a quel ciel diuersi mouimenti. I Giudei Talmutisti, e Thehith dicono esser due moti in esso; l'un proprio, e l'altro accidentale causato dalla nona sfera. Azarachele, e Gio. Monteregio reputan, che solo il moto della trepidazion sia proprio di quel corpo. I moderni astrologi ascriuono al medesimo ciel tre mouimenti; il primo di settemila anni, e proproprio; il secondo della nona sfera; il terzo del Primomobile, e accidentali ambedue. Il moderno Magino da questi discordando vuol, che in 25816. anni si termini quel periodo. Non conuengon gli scrittori, eziandio nella durata del moto del nono cielo. attesoche, Tolomeo vuol, che ogni cent'anni importino vn grado. Albategno, Maestro Leuì, e'l Zacuto attribuiscono a ciascun grado sessanzei anni egizi. Il Rè Alfonso nella correzion delle sue tauole con Azaracchie afferma, volgersi cotal ciel, per vn grado in sessantacinque anni. Hiparco tien, che in settant’otto anni scorra quel cielo vn grado; Maestro Iosuè, Maestro Mosè , Auenezra, e Berrodam reputan compirsi in anni settanta; il Monte regio in ottanta; Agustin riccio tra i sessanzei, e i settanta. Il Magino vuol, che tutto quel riuolgimento di cielo si termini veramente 1717. anni; Ariel Bicardo in 49000 anni. Purbachio ogni dugent'anni vn grado; e altri compirsi tutto il circolo in cinquemila anni. E che direm noi del decimo cielo, posto dal Magino sotto il Primo mobile, a cui attribuisce 3434. anni per lo suo intero riuolgimento? O che diuersità son queste, non solamente fra gli antichi, ma tra i moderni eziandio? Quando adunque si fece egli mai, ò si faranno pronostici sicuri? Afferma il Monteregio, e qui non è scusa, ò rimedio in fin de’ propri pianeti non esser cosi noto di tutti i mouimenti, poiche egli si duole in vna pistola a Bianchino, che il vero moto di Marte non sia ancora stato conosciuto? E chi non sa altresì, che il vero entrar del Sole ne i punti equinoziali è giudicato impossibile ritrouarsi, dice Maestro Leui, e lo proua ? Lascio di dir, che quasi tutti gli Astrologi moderni non conuengono con Tholomeo, che, il principio, e figura della reuoluzion del Mondo, sia altramente l'entrar del Sol nell'Ariete. Così vari fra di loro, altri dicon che ciò si può ritrouar per altra via, come per le congiunzion magne, ò per le ecclissi, e altre congiunzioni, e opposizion di lumi. Dalle cui diuersità dicono gli stessi Astrologi accader, che i giudici, e pronostici delle stagioni, e uariazion dell'anno non dicon vero. Andrea Summario grauissimo matematico parlando de’ moti delle stelle dice . [ Motus stellarum an sciri possit nescio, nondum essescitum certissime teneo;1 E nasce questo dic'egli, dagli strumenti, perche son pieni di fallacia. Anzi che Henrico Machilinense nel trattato della composizion dell'Astrolabio, afferma niun potersene fare, che imperfetto non sia, così dicono ancora Abram Giudeo, e Leone Ebreo, Il Pico nel 9. lib. contro l'Astrologia, referisce d'vno strumento fatto con ogni perfezion possibile, hauer ad ogni modo, nell'osseruare alcuni pianeti, l'vn variato dall'altro, due gradi per cagion dell'aria, a cui non posson gli strumenti rimediare. Potrei dire ancora che discordano, circa la misura dell'anno descritto per lo moto del Sole. Tolomeo, e Hiparco; si come altresì Albategno Auenezra, e Alfonso, non son diuersi da Maestro Leui ? Aggiugnesi, che non son conformi eziandio quanto all'imagini, e figure celesti, gli Indiani, i Caldei, e gli Ebrei, gli Arabi; tra i quali è Timoteo, Arsatili, Hiparco, e Tolomeo disputasi de gli aspetti, se l'opposizion sia proprio, e improprio aspetto. Onde il Satlero, e altri dicon solamente la congiunzione esser improprio. Non è men controuersia tra gli Astrologi nell'ordine de’ pianeti, poiche alcuni han detto, che il Sole è nel centro del Mondo immobile, come disse Aristarco Samio, e dal Copernico seguitato, e da alcuni moderni, come voi Signor Mauri sapete. Voglion per tanto, che il Sol sia circondato da Mercurio, quindi da Venere; e poscia sopra di essa pongono l'orbe magno abbracciante la terra con tutti gli altri elementi, e la Luna insieme. Archimenide, e i Caldei alluogano il Sol nel quarto luogo. Metrodoro Chio, Anassimandro, e Crate il pongono immediatamente doppo la Luna. Senocrate vuol, che tutti i i pianeti, e le stelle fisse, cauatone il Sole, e la Luna, siano in vn istessa superficie, e in quella si muouano. Paionui adunque, Alimberto, queste innumerabili difficultà, e di si gran momento, che alcune restano insuperabili dall'arte, anche a gli astrologi di questi tempi; atte a render la naturale Astrologia difficile, e la giudiciaria impossibile, almeno, per quello, che nel secondo fondamento si vedrà ? Lascio di ricordarui quanto sia necessario al buono astrologo, esser buon filosofo, e naturale; e morale, e cosmografo, e istoriografo, per conoscer le complessioni, i temporamenti dell'arie, dell'acque, de cibi, i costumi, condizioni, e qualità degli huomini, le regioni. Onde Ioseffo, nel libro primo, capo terzo delle antichità, vuole, che vna delle principali cagioni, perche si lunga vita hauessero quei padri antichi, che molto souente passauano sette cento anni; fosse, perche potessero acquistar gran parte della scienza Astronomica e della geometria, e simili. Crederono ciò, stimando in cotale spazio di tempo, comprendersi l'anno grande, cioè il riuolgimento intero de cieli. Pensate, quel che debbian dir noi, oggidì, che si breue è l'humana vita, e che l'anno grande si reputa da Aristarco, Arato, Draccino, Caclito, Lino, Tullio, Seruio, Andalone, Paol Gineta Fiorentino, e altri, in trentasei mila anni terminarsi, per non dir che alcuni stimano tutto quel periodo compire il riuolgimento in quarantanoue mila anni. Ma quanti de'famosi Astrologi habbiano hauute tutte queste facultà, dicalo il Pico, il quale afferma, che gli Astrologi habbiano molto ben ragione a odiare i filosofi, posciache i principali astrologi, dic’egli, sono stati la maggior parte pedanti, ò almeno senza filosofia son passati da la gramatica a far l'astrologo. Onde che marauiglia, se essendo puri gramatici, non veggon le difficultà, e cotanti inconuenienti affermano? Anzi vi s'imbriacano di maniera, che Celio referisce di Trimegisto astrologo hauer sognato vna volta di vomitar Cieli, Soli, stelle, e Lune. Questi sogni accadono a’ giudiciari, perche si come chi è souerchio crapulatore vomita; così, essi, per voler troppo specular la virtù delle stelle di cui non è capace, chi non è bene scienziato, le vomita tutte, perche il suo stomaco non può ritener tante bugie. E chi è quegli che mai habbia fatto calculi senza difetto? Quali strumenti non sono stati mendaci, come dianzi si disse? Quali Tauole, quali efemeridi son così giuste, che non habbiano hauuto contraddittori? Tolomeo, Alfonso, il Magino, e Ticon Brae, e altri non conuengono già ne’ calculi loro, e sono da altri stati impugnati. Potrei dimandarui di più; quale Astrologo sì può dar vanto d'hauer saputo, ò potuto pigliare il vero punto, e l'oroscopo del natal di chi che sia, per farne sicuro pronostico? Eccoci giunti al secondo fondamento spettante in particolare alla giudiciaria, per accenarne qualche cosa, ed è questo: che non conuengono gli astrologi, ne è determinato qual sia il vero punto di tempo da pigliarsi per fare il giudicio degli huomini. Impercioche alcuni vogliono, che dalla concezione il cielo si osserui; altri dall'instante dell'introdotta forma humana, che è l'anima intellettiua; e altri dall'ora del natale. Chi dirà adunque la giudiciaria non esser vanissima? Giouami per adesso di recar in mezo vn'esemplo illustre d'intorno alla naturale, che pur se ne può saper qual che cosa, e ad ogni modo molte son le sue fallacie. Legganti le istorie, e trouerassi, che intorno all'anno 1524. astrologi di grandissimo nome predissero douer'adiuenire vna delle maggiori inondazion, che mai fosse, e perche procedeuano secondo i termini dell'arte, si diede lor piena fede, e per tutta l'Italia sene sparse nouella, temendosi per ogn'vno. Onde Agostin Nifo suessano compose vn trattatello, essendo filosofo di molta memoranza, è l'indirizzò all'Imperador Carlo primo, acciò che si quietasse il romor del popolo, mostrando con possenti ragioni, quegli astrologi non sapere in quant'acqua si pescassero di presente, non che in futuro. Egli finalmente s'appose, e essi bugiardi, e beffati rimasero. Mà chi sa, dice il Suesiano, forse si apposero; potendosi dire, che quella inondazion si verificasse del mal francese, che in que’ tempi, per la congiunzion di Saturno, e Marte dell'anno 1496. alli sei di Gennaio nel 3. de' Pesci, dilatandosi quel morbo acqueo l'habbia sparso più, che non fece il diluuio al tempo di Noè, per tutto il Mondo. O se nelle pioggie si trauede, che si dirà egli di ciò che pende dal libero voler dell'huomo? Questa astrologia giudiciaria è quella, o Mauri, che biasima, e vitupera il Colombo con tutti i filosofi, e astrologi ecceilenti. Percioche del rimaso io fo profession, che la vera astrologia habbia più obbligo a mè, che a voi di gran lunga; conciosiache, io la fò corteggiar da’ filosofi, e uoi confondendola con la giudiciaria, e superstiziosa la vituperate, ponendola nelle man degli zingari, che d'ogni cosa fanno la ventura, per cambiar ciance à moneta co’ Principi, che gli credono. Giouanni Zonora racconta, che Augusto Imperadore si faceua condurre spesso in camera quelle donne belle, che egli volea, copertamente in lettiga. Antenodoro filosofo v'entrò egli, vna volta, in luogo d'vna femina trauestito, e fè condursi in camera. Lo'mperadore, scoperta la lettiga, vide scappar fuora il filosofo con la spada ignuda, gridante, Ah Imperadore, che senno è il tuo? A che pericol pon tù la tua vita? Non poteua cosi fare vn tuo nimico? Emendossi Augusto. Conducon questi indouinatorelli dinanzi a i Principi falsissima giudiciaria, trauestita delle verita della reale, amata, e bella astrologia naturale; la quale non a somiglianza d'amico si scopre, ma di nemico vano, bugiardo, trauiato dalle furie, e dall'auarizia d'alcuni, che per non hauer filosofia, ne teologia, son condotti, e conducono altrui in graui errori, purche ne cauino opinion popolare, e danar da’ Principi. Fuggangli i Principi, apran gli occhi, per veder che dentro la lettiga non v'è la vera Astrologia, ma la superstiziosa, e nemica con la spada in mano, perche nuoce, e non gioua. O Dio, che bugie non dicono gli astrologi? Anzi cosi ben sanno coprir le lor fellonie, che le doppiezze de’ sensi infino adoperano, accioche veri tieri appariscano, à somiglianza degli oracoli de’gentili, in quella maniera appunto, che auuenne al tempo di Giustiniano Imperadore. Sì cauò fuor romore, che il Mondo con tutta la sua prole douea perire, come se fosse per venire il giudizio, mossi da non sò che oracolo, ò astrologo. Ecco comparire vn capitano chiamato Mondo per liberar l'Italia da i Goti; ma infelicemente fù vcciso con tutta la sua famiglia, e cosi verificossi l'oracolo, con le risa nel fine, che diede cagion di molto pianto nel principio. Certamente queste impossibilità con questi difetti, di strumenti, e mancanze di cognizione, apertamente manifestano la giudiciaria, e massimamente per quello che dalla libera volonta depende, esser salsissima, superstiziosa, e da abborrirsi da ogni buon filosofo. Io per me son di parer, che più difficile sia all'Astrologo il far ben la natiuità d'vn huomo col suo giudicio, che non è il fare il Lapis Phylosophorum degli Alchimisti, di cui si dice essere auuenuto à sì pochi, che per non vero si reputa, è per virtù di qualche spirito esser accaduto. Aragione adunque si dee dir, come molti graui autor, che scriuon contro l'Astrologia Astrologiam esse damnatam a phylosophis, a prophetis, a Cesaribus, a Pontificibus atq, Conciliis. E diuero, che la giudiciaria è simile alla superstiziosa Cabala. In vltimo Sisto V. l'ha proibita totalmente, ed è fatto con molta ragione, come dimostrano le parole di Agustino sopra la causa 26. capo, sors, dicendo. Astronomia apud Catholicos in desuetudinem abiit, quia dum propria curiositate ei nimis erant intenti, minus vacabant his, quæ saluti animarum erant accommodata. E parla solo dell'Astronomia, che dell'Astrologia harebbe detto come San Tommaso, che quantunque fosse grande astrologo, e mostrasse ne' suoi opuscoli di intendere tanto bene i particulari dell'astrologia, ad ogni modo disse, e conchiuse, con giudicio di piombo, quella sentenza d'oro. Et ideo pro certò tenendam est graue peccatum esse, circa ea quæ a voluntate hominis dependent, iudiciis astrorum vti. Perche sapeua, come dottissimo, che non le prossime cause, ma le remote, e vniuersali si posson conoscer da gli Astrologi. E con tutto ciò di lui disse il Pico, Verum, ut AstrologiS demus quantum illis Aquinas Thomas; O pensate, se poco hauesse attribuito alli astrologi, quel chehaurebbe detto. Douea, quando non fosse peccato assolutamente, almeno proibirsi, per gli scandoli infiniti, e prossimi pericoli, che son in quella, con poca, ò niuna vtilità, per l'incertezza sua. perche quegli che semplici sono, ò, che sanamente non intendono, ò che troppo alle stelle attribuiscono, douentan superstiziosi, e tanta fede al valor delle stelle prestano, che ogni cosa per necessità di quelle accader credono, senza dar contingenza ne gli effetti antiueduti, e che nel ciel si conoscan tutte le particolari differenze da gli astrologi, e che non soggiacciano le cose da loro annunziate alla diuina prouidenza, e che niuna cosa fuor dell'ordine de'cieli adiuenga per voler diuino. Hanno bene in bocca; sara quelche Dio vuole, ma nel cuore sarà quelche vuol la stella. Dicon bene; non presto fede certa, ma se l'astrologato mostra di non credere; giurano, e spergiurano, che la cosa è pur vera. E che è peggio, e per cui dourebbe , detestarsi, vogliono i Genetliaci, che al male inchinin le stelle, facendo Iddio autor del male, essendo, che egli è autor della natura, e delle cause naturali, da cui gli effetti si producono; e gli effetti seguitan le cause loro. Il cielo assolutamente inchina al bene, e respettiuamente al male, ciò è in rispetto all'inchinazione al bene, perche, inchinando l'huomo a non rattenere, douenta facilmente prodigo in cambio di liberale: e inchinandolo a esser tenace, da nell’auaro. Quando adunque l'inchinazion s'accostan più all'esser motiuo al vizio, che alla virtù, elle si domandan male inchinazioni, perche, per lo più, il senso predomina, e fa l'huomo malo. Ma, quando l'inchinazion son più simili alla virtù, buone s'appellano. Sì che u.g. non inchinano alla gola sotto ragion formale di vizio, ma di gusto squisito, e di mangiare assai; onde si dà poscia nel goloso. Assolutamente, poi son buone l'inchinazioni perche, come naturali non possono esser male, essendo, Propter finem conseruationis indiutdui, & istius particularis indiuidui. Il cielo adunque , non hauendo imperfezione alcuna non può hauer cattiue influenze, ma tutto nasce dalla materia quaggiù mal disposta, e dall'agente quaggiù imperfetto. Sono i cieli causa vniuersale, perfetta; e la volontà causa i particolare indeterminata. Non da i cieli per tanto, ma dalla volontà mal disposta procedono i mali effetti. È a chi dicesse, che se fosse vero, che la giudiciaria si intendesse proibita assolutamente per cagion dello scandolo, e pericoli, ne seguirebbe, che anche il trattar della predestinazione, e simili, douessero proibirsi, per molti scandoli, che possono accader tra i semplici nella cristiana fede: si risponde, che l'esempio non conchiude. perche il trattar della predestinazione, ec. son cose ordinate alla salute, e il trattar dell'astrologia è impedimento, come dicemmo, che afferma Agustino. Il trattar di quelle è di edificazione, e perfezione: e il seruirsi di questa è peccato, come vuol San Tommaso. La predestinazione, solo i dotti l'intendono, e per ciò non si proibisce, i quali sanno, che non si può capire appieno, e di primo lancio sanno l'immobilità d'Iddio potere star con la mobilità del nostro libero arbitrio, e questo insegnano, come indubitato al popolo, ma il modo, confessan non sapersi a bastanza. La doue l'astrologo balza di posta a leuare il libero arbitrio, con dir, che sarà quel, che mostran le stelle. La predestinazion concede la contingenza, e la accomoda alla necessità della scienza diuina. L'Astrologia non accomoda nulla, ma attende a dire, che vincon le stelle. La predestinazione è in mano del Teologo, che si regge dalle scritture; L'astrologia è nelle man dell'ignorante matematico, che dalle superstizion si gouerna. Nella predestinazion l'indotto dice, habbiamo da’ teologi, che non ben s'intende; nell'astrologia i semplici dicon, l'astrologo afferma, che ciò si tocca con le mani. Nulla rileua per ciò l'elemplo, e rettamente e proibita la astrologia, ma non così dir si potrebbe delle teologiche cose mentouate. Vn esemplo di perpetua memoria sia, circa gli scandoli, e false opinion, che gli astrologi metton ne troppo creduli, che da vno astrologo nacque il principio della rouina del Regno, d'Inghilterra. Odiaua la Reina Caterina moglie d'Arrigo ottauo, l'ambizion d'vn cortigiano. Costui vedendosi non gradito da lei, cominciò a machinarle contro. In tanto vn'astrologuzzo gli disse, che vna donna saria cagion della sua morte: ond'egli più insospettito persuase ingiustamente il Rè a repudiar Caterina, il che fatto, hauendo inchinazione ad Anna Bolena, la sposò; dendo poi son nate tante calamità, e suenture di quel Regno fioritissimo. Osseruate Alimberto, che due errori fece il mal cortigiano. Credette primieramente, la giudiciaria Astrologia arriuare a quelle cose, che dalla spontanea volontà dependono; e secondariamente stimò, la Reina Caterina esser quella donna, da cui douea venir la sua morte. Chi non crede agli astrologi, è libero da due cose: da ignoranza, e da giudicio temerario, fonti d'infiniti mali. Questi ingannatori furon cacciati di Roma al tempo di Diocleziano, di Costantino, di Teodosio, di Valentiniano, e di Giustiniano. E se furon cacciati i Medici ancora, questi sono stati rimessi, ma gli astrologi non già, che, oggidì maggiormente, si precipitan, perche tutto il torrente de letterati è certissimo della lor vanita superstiziosa, poiche anche Platone, Aristotele, Pittagora, Democrito, nulla stima ne fecero. La ragion si caua da Tolomeo stesso, che dice nel centiloquio, che l'astrologo dee guardarsi da pronunziar le cose particolari, e singolari, perche il filosofo dice, che non sene può hauere scienza. E negli Apotelesmi, Astrologia magis vniuersalia captat (dic’ egli) quam quicquam pro vero decernat. E se questi non vi bastano, Signor Mauri, perche haueuano solo il lume naturale, andiamo al nouero di coloro, che dal diurno illustrati la vituperano, e scherniscono, come Agustino, Ambro io, Crisostomo, Tommaso, e cent'altri. Ne si risponda, che i Teologi non intendon l'astrologia, ne sanno metterla in pratica, perche essi ancora san farle natiuità, se ben fosse la vostra, che è tra le più difficili. Non la fece il Sepulueda da Corduba Teologo, e mi nentissimo a Martin Lutero demonio in carne, e carne in ispirito? Natus est enim Martinus, astris tam incommodis & importunis, vt ex ipsius genitura, natalitijsque sideribus, si quid veri ratio habet mathematicarum, facile appareat, ipsum ad talia perpetranda scelera maximè fore propensum, & accommodatum. Habuit enim Horoscopum Capricornum, quì , nisi aliorum astrorum benigniore aspectu temperatur, falsa religione solet nascentium animos imbuere, & ommes facit simulatores, mendaces, inconstantes, loquaces, infidos, libinosos. Oppositio Martis, & Mercurij vanitatem rursus & mendacitatem Martini confirmat; quatuor planetæ in nona cæli regione, magnas eum turbas falsa specie religionis concitaturum esse portendebant. Quam vittosissimam proclutatem ratione corrigere usque adeo nunquam tentauit, vi omni studio, & opera alere, & augere contenderit, & cuntis animi virtutibus fouere perseueret. Ma egli la fece dopo il fatto, che rende più facile il negozio, e puossi più particolarizare, e sì impacciò più di confermar la riuscita, che di pronosticarla, e perciò aggiunse [ siquid veri ] perche sapeua anch'egli il valor di essa Astrologia. Veggasi perciò quanto ben ragionare, e disputar ne possono i Teologi. Ma chi pur volesse duellare, e combatter con le squadre d'Isdraelle a guisa dell'empio Golia, prouueggasi prima a sepoltura, per che n 'haurebbe poi carestsa. Hora se voi Signor Mauri non foste chiaro, e desideraste saper da mè, se replicando, io tornerò in arme alla tenzone, per adesso vi rispondo, quel che risposero i Cartaginesi a i Romani, che, hauendo lor mandato la Lancia, e'l Caduceo, significando l'vna la guerra, e l'altro la pace, acciòche eleggessero quel che piaceua a lor. Non chieggiamo ne l’ vna, ne l'altro, risposero i Cartaginesi ma quel che lascerete, quel piglieremo. Auuertendoui, che, se tornerete mascherato, noi ve la caueremo sul buon della giostra, e quì vi lascio. IL FINE. In Fiorenza, Per Gio. Antonio Caneo, e Raffaello Grossi compagni. 1607. Con licenza de' superiori.

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Lodovico delle Colombe's Risposte piacevoli (1608): A Basic TEI Edition Galileo’s Library Digitization Project Galileo’s Library Digitization Project Ingrid Horton OCR Cleaning Bram Hollis XML Creation the TEI Archiving, Publishing, and Access Service (TAPAS)
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Risposte piacevoli e curiose di Lodovico delle Colombe alle considerazioni di certa maschera saccente nominata Alimberto Mauri fatte sopra alcuni luoghi del discorso del medesimo Lodovico intorno alla stella apparita l'anno 1604. Nelle quali risposte si trattaro controversie d'Astrologia, Perspettiva, Filosofia, Teologia, e altre materie, non meno utili, che diletteuoli. Con tre tauole copiose, la prima delle quali contien le quistioni, la seconda le materie, la terza tutte le sentenze, motti, arguzie, similitudini istorie, e fauole, che sono in questa Opera. In Fiorenza, Per Gio. Antonio Caneo, e Raffaello Grossi compagni, 1608. Con licenza de' Superiori. delle Colombe, Lodovico Florence Caneo, Giovanni Antonio; Grossi, Raffaello 1608.

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RISPOSTE PIACEVOLI, E CVRIOSE DI LODOVICO DELLE COLOMBE ALLE CONSIDERAZIONI DI certa Maschera saccente nominata Alimberto Mauri fatte sopra alcuni luoghi del discorso del medesimo Lodovico dintorno alla stella apparita l'anno 1604. Nelle quali risposte si trattaro controversie d'Astrologia, Perspettiva, Filosofia, Teologia, e altre materie, non meno utili, che diletteuoli. Con tre tauole copiose, la prima delle quali contien le quistioni, la seconda le materie, la terza tutte le sentenze, motti, arguzie, similitudini istorie, e fauole, che sono in questa Opera. IN FIORENZA, Per Gio. Antonio Caneo, e Raffaello Grossi compagni, 1608. Con licenza de' Superiori. Atteso il sopradetto referto concediamo, che la presente Opera si possa stampare in Firenze, osseruati prima gli ordini soliti: il di 4. d'Agosto 1607. Piero Nicc. Vic. di Firenze. F. Arcangel. Placent. Vic. San. Off. Stampisi Paolo Vinta primo Aud. & Sec. di S. Alt. AL SERENISSIMO DON COSIMO MEDICI PRINCIPE DI TOSCANA . CHI haurebbe mai creduto S. P. che si ritrouassero huomini così peruersi, che ardissero di calunniare il sole? Il Sole occhio del Mondo, bellezza del Cielo, grazia della Natura, e perfezion di tutte le cose; di cui Anassagora addomandato, perche fosse venuto al mondo, rispose; per vedere, e contemplare il Sole. E Seneca, ricercando, perche la Natura habbia prodotto alcuni metalli cotanto chiari, e trasparenti; adduce fra molte ragioni, che il supremo Artefice volle, che, il Sole, auanzando ogni corporea creatura di bellezza, potesse da noi rimirarsi in quegli, come in terso specchio, poscia che gli occhi nostri in lui stesso abbagliano. E pure è vero, che gli Atlanti da Erodoto detti Nasamoni come Pomponio afferma, con fuggeuole sguardo il maladicono, e quando nasce, e quando tramonta. Il vero sole Iddio, la cui somiglianza, i Principi quasi specchi lucidissimi, rappresentano; ha messo in terra il Sol dell'humana sapienza, Aristotele, di cui Platon disse, nol vedendo comparire a scuola, ab est veritatis philosophus: e volle, che fosse vn gentile, perche si conoscessero le sole forze della Natura. Io adunque, poiche sono alcuni pochi raggi, del le verità filosofiche di questo Sole, sparti perentro queste mie risposte fatte, alle Considerazioni d'Alimberto Mauri, dintorno al Discorso ch'io posi in luce non hà molto tempo, sopra la stella, che fù di nuouo osseruata nel Cielo; hò voluto dedicarle a V.A.S. ben che à me più conueueuol fosse opera di seruo, che di deuoto, accioche possano i Nasamoni che odiano quel Sole, con diritto occhio sostener di mirarlo nello specchio dell'autoreuol protezion di V.A.S. sì che lasciato il dispregio, e conosciuta la verità, s'acquietino in quella, che i saui, e i Principi col sapere, e col potere abbracciano, e difendono, dell' humana parlando, imperoche, sì come per lo contrasto dell'oscuro dello specchio, e del chiaro del Sole, vna temperata sembianza si cagiona, accioche veder si possa; così non è possibile, che nel mondo si vegga tutto il puro lume del vero, ma un’ imagine di quello tra l'ombre dell'intelletto humano. Io fra tanto humilismamente a quella m'inchino, e dal dator dello splendore le prego ogni gloriosa corona.  Di V.A.S. Deuotissimo vassallo. Lodouico delle Colombe.  RISPOSTE PIACEVOLI, E CVRIOSE di Lodouico delle Colombe alle considerazioni di certa maschera saccente nominata Alimberto Mauri, fatte sopra alcuni luoghi del discorso del medesimo Lodouico d'intorno alla stella apparita l'anno 1604. Nelle quali risposte si trattano controuersie d'Astrologia, Perspettiua, Filosofia,Teologia, e altre materie, non meno vtili, che diletteuoli. QVANTVNQVE inconueneuole molto si reputi appo gli intelligenti, e saui huomini, che alcuni, per lor principale impresa bene spesso, si mettano a impugnar l'opere altrui; non è perciò, che quegli, che valorosamente sostiene, e ribatte le calunnie, non debba, in vece di stimarsi vilipeso (purche non habbian gl'auuertari trapassato oltre i confini della soggetta materia) hauerne lor grado assai più, che se taciuto hauessero. Conciosiacosa che persone cotali sien negli affetti spine, ma rose negli effetti. O più tosto, contro la propria voglia, perche trafiggere intendono con gli scritti loro, fanno a guisa dell'api, leguali pungono sì, ma producono il mele ancora. Imperoche le controuersie, come che mal'ageuolmente si sopportino, suegliano l'intelletto, assottiglian l'ingegno, rendon più prudente, e nelle discipline maggiormente esercitato fanno. Onde finalmente honorata loda, applauso più chiaro, fama più certa, e diuulgata si suol riportarne. Perloche il dottissimo Pico dimostrò anch'egli, dopò, che fù combattuto, che aggrado gli fosse stata la tenzone, nell'orazion, che scrisse dauanti alla sua apologia, dicendo, che per suo credere altro non vollero significare i Poeti, fingendo Pallade armata; e gli Ebrei per lo ferro, simbolo della sapienza, che la disputa, per imparar necessaria. E i Caldei, nella natiuità di colui che dee esser filosofo, voglion, che Marte risguardi Mercurio di trino aspetto, perche coloro, che da simili guerreggiamenti perturbati non sono; più prestamente, per lo più, s'addormentano. La onde non sia chi pensi, che queste considerazioni, fatte contro il mio discorso della nuoua stella, mi siano discare, sì come ne anche l'amicizia dell'autor di esse, poiche m'hà per tal mezo procacciata si bella occasione. E se ben l'essersi egli mascherato d'un finto nome, e le amare parole, senza cagione,verso di mè, e verso famosi scrittori vsate, potrebbon forse, mettere in cuore à chi che sia, che in alcuni luoghi delle mie risposte io hauessi le punture con animosità ritorte nella persona di lui, nulladimeno, la proprietà della Cappa marina imitando, crederò più tosto esser degno di commendazione, che di emenda giudicato. E chi è quegli, che non lodi questa spezie di conchiglia, che mentre si stà, per goder la serenità del cielo, aperta come natura le insegna, sendo alcuna fiata, da qualche pesce importuno, per mangiarlasi assalita, non hauendo ella sentito il muouer dell'acque, per la venuta di quello, acciòche dentro riserrar si potesse nella sua conca senza offesa veruna del nimico, sì che, messo dentro il capo vien da essa conchiglia stretto, e vcciso? Io, che cerco godermi il cielo, filosofando de’ suoi bei lumi, e fuggo legare, se, affrontato, stringo il nimico, perche scusa meritar non debbo ? anzi potrò io ben dir col Veniero il medesimo che nella sua Idalba Tragedia egli disse. Mie difese sforzate, han lor colpe punite. Hora, perche noi, signora Maschera, ò vero Alimberto Mauri, desideriamo, che quegli, à cui aggradirà la lettura di queste risposte, e difese dintorno alle considerazioni da voi fatte sopra il discorso nostro, non siano aggrauati di doppia fatica nel douer prender più libri nelle mani, per tale occasione, ma possano in questo solo per facilità, e chiarezza maggiore agiatamente vedere ogni cosa à questa materia appartenente , con ischiettezza, e sincerita di scrittura trasportata; cominceremo dal principio delle considerazioni vostre, sin dal proemial ragionamento, quindi le risposte à quello seguiteranno, poscia la prima delle parti del discorso, sotto di cui saranno le considerazioni parte per parte, e immediatamente à ciascuna seguirà la risposta, traponendomi ancora entro di quelle douunque parrà di mestiere, per non far come voi, che, solamente le prime parole delle particelle da voi fatte del discorso, notaste, accioche per la mala intelligenza di quelle, e per non l'hauer voi secondo il sentimento loro volute pigliare, e per molte parti di esso tralasciate, haueta cagionato lunghezza, e noia a’ Lettori, senza profitto di veruno. Voi adunque, voltato a i lettori dite cosi. Considerazione prima. Perche dell'huomo è proprio desiderio il saper le cose principalmente per la stessa loro nobiltà, utilita, e necessità al genere umano in tutti i secoli celebrate, quindi e, che egli cotanto in brama simile inferuorato, non sente per quelle conoscere fatica veruna. Passa solingo i di, veglia, trauaglia. Strugge la vita sua, ne nulla cura. Anzi se pure una fiata aduien, che egli, schifate, come dice Cebete, i mostruosi scogli delle vane opinioni, peruenga alla vera scienza, senza pentimento del passato tempo: stima felici quei giorni, auuenturose quell'ore, quando un vece di lusingheuoli trattenimenti prouo gli stenti amarissimi, ò per dir meglio, il dolcissimo patir negli studi . Il perche poco amoreuole, e più tosto ingrato, e non meriteuole della grazia degli studiosi mi stimerei, se io nel solcare, che- fanno di questo mare delle scienze, non gli ammonissi auanti, e quasi vedendo il pericolo dell'ultima lor rouina . Risposta. O buono; sè gli effetti saguitan le parole, vadasi pure à riporre il gran Palinuro rettor della naue d'Enea. Ma chisa, che di quì à poco non ui fuggiate sopra vna feluca, e ben presto? C. Non additassi loro quelle Sirene delle quali la natura, e'l sito. R.Che sito ; l'odore ? la positura: il luogo? C. Trauagliando io per alcun tempo sotto intendentissimo Nocchiero, hò, per quanto comporta la capacità del mio debole ingegno, apparato: accioche sicuri dal tema de’ cattivi passaggi non trattenuti da uani pensieri, tengano continuamente veloce il corso del desiderio al vero sapere. R. Bisognera procacciarsi d’altra scuola. E possibile, che vogliate far l'Aio addosso à gli studiosi; e alla magistrale ammonidi di quelle cose delle quali voi siete ancor sotto la sferza del pedante? Certamente, che chi apprender i volesse arte retorica, per acquistar con essa la beneuolenza de’ littori ne suoi componimenti: venga alla volta del Mauri. C.Vn discorso adunque di Lodouico delle Colombe soura la nuoua stella alle settimane passate. R. Non due, o tre, ma otto mesi sono, ò più. C.Venutomi per le mani, mi ha dato la prima occasione di palesarmi, impiegandomi in cotale vficio. R. Veramente, che l'hauete intesa à correr la prima laneta da caualiere incognito; percioche, essendo voi non mediocre Astrologo, antiuedeste, che doueuate al primo arringo leuar le gambe all'aria; che perciò non hauete stampato primieramente le mie verità, e poicia sotto di quelle le vostre ciance . Oltre, che il fallire ascoso apporta men vergogna, non si vergognando d’esser veduto se non da se stesso: ma voglio ad ogni modo esser più cortese di voi, atteso che il fatto passerà al contrario del vostro. C. Imperche non poche in quel trattatello, per non le chiamare inconueneuolezze, vane opinioni, à guisa di piacevoli, ma inuidiose damigelle, si fanno innanzi per troncare il viaggio, à chi aspiraua di peruenire in cognitione di quella Signora antichissima, nobilissima, e vtilissima Astronomia. R. Io tengo per certo, che se Torquato Tasso hauesse potuto vsurpar cosi bella descrizione, egli la cacciaua nel suo poema, per dipinger più al viuo quelle vaghe notatrici lusingheuoli, che aspirauano co’ loro allettamenti ad arrestare i passi di que due guerrieri, acciòche non richiamassero al campo il valoroso Rinaldo, che nelle delizie del giardin d'Armida se ne staua con essa tra le lasciue innolto. C. Ciò vegga chi leggendo queste mie considerazioni di vero fatte per ispasso, quando non sapeua in che altro impiegarmi, non vorrà le manifestissime demostrazioni, el senso ostinatamente negare. R. Voi siete ben montato in gruccia, ò su la merlina, per farti far dietro le fischiate à tutto ilpopolo; a dir che, per ispasso, l'habbitate fatte, e quando altro tempo non haueuate da gittar via. Parui però, che Aristotile, cioè le sue dottrine da me addotte siano da essere studiate per diporto? E chi volete, che vel creda? Se voi foste figliuolo delle Amazoni non portereste pericolo, che elle viazzopassero, come gli altri maschi, accioche voi non faceste opere virili, e da prudente, non volendo restar superate da gli huomini in valore; atteso che queste son debolezze, che danno indizio di troppa mentecatagine. Ma, qual grande occupazione, per vostra fè, vi suole ingombrar la mente, quando non vi mettete attorno à queste bagattelle d'Aristotile? Forse vi ritirate solitario sopra di eccelsa torre, per osseruar qualora i vaporo sorgono dal mare, uolandosene al cielo per imboccar le stelle, accioche elle non muoiano della fame? Forse per veder qual di essi in celeste materia si conuerte, come teneuan gli Stoici, e vorreste io lo veggo nell'aria; tener voi ancora si vi diletta il rinnouelar l'antiche melensaggini, omai, sprofondate dal mio Aristotile? Con chi hauete voi disputa, che habbia tolto l'armi per impugnar l'Astronomia? A che fine citar tanti autori, e farnesi grande spampanata, per confermar l'antichita, e nobiltà di quella contro chi mai non pensò di negarla? Voi mi fate souuenire il prouerbio. Sambuci flores sambuco sunt melores, Percioche i fiori gittano odore, e il pedal fetore. Son buoni gli autori ma non son gia portati in mezo per conueneuole occasione, ne à proposito. C Ne io facendomi perciò grato li amatori delle cose astronomiche, penso (perche altrimenti in niuna maniera il farei) fare ingiuria, ò dispiacere alcuno al Sig. Colombo. Imperoche non (hauendo io mai conosciuto, ne anco sentitone fare alcuna menzione, si può benissimo giudicare, che ne per odio, ne per inuidia, ma per una certa libertà stata sempre comune à ogni secolo, di dire il parer suo in qual si voglia, quantunque autoreuole scrittura , mi sia messo a scriuere. - R. Il non conoscer mè nasce da questo, che non conoscete voi; ma io, che mè, e voi conosco, sò perche dite mè non conoscere. Anche la gatta non porta odio a’ colombi, ma per amore ella chiude gli occhi, fingendo non vederli s'appiata in terra, fa vista non curante di essi, che le son vicini, per ciuffarli poi meglio: ma ella si riman con le beffe bene spesso, perche il colombo ha l'ale se la gatta ha le branche. C. Oltre che per non esser concesso à vn’ huomo il diuenir signolare, & eccellente in diuerse professioni, non li dourà parere strano, se egli essendo in altro affare molto esercitato, e perfetto viene nell'Astronomia da chi che sia, è ripreso, ò ricorretto. R. Non vedete, che questa puntura inzuccherata si ritorce contro di voi, posciache non bastandomi far l'arte dell'indouinare, volete spacciar ancor del filosofo, e del Teologo, si che di uoi si può dir garbatamente quel verso del Tasso. Confonde le due leggi à se mal note? C. Conciosiache chi non sà, che M. Catone è cotanto celebrato per le istorie, perche egli solo si legge, che in tre nobilissime facultà hà ottenuto il primo grado di perfezione? Quantunque, se ancora noi vogliamo credere à chi nel medesimo, ò dopo poco tempo fù di lui G. Aquilio nelle legge, M. Tullio nell'eloquenza, e C. Cesare negli affari di guerra gli fosse di gran lunga preposto. - R. Manco male, che se voi ritrouate le costure i tanti barbassori, mi posso contentar, che non la perdoniate ancora a me, che niente vaglio à petto di loro, ma dico ben, che l'esempio non conchiude nulla: imperoche, se quei tali auanzarono Catone in una disciplina, egli non è però, che fino a quel tempo, per quel che se ne sapeua tra gli huomini, egli non fosse stato eccellente; oltre, che eccedaua ad ogni modo in due altre, discipline, che il rendeuano sopra di essi ammirabile . Ne anche è uero, che non possa dirsi eccellente quegli, che, hauendo il primo luogo nel saper qualche scienza, sia scoperto in essa da chi che sia d'alcune cose hauer conosciuto l'vltima perfezione, perche questa sapienza non è conceduta alle humane forze. Hora come huomo parlando, se possa, ò nò diuenire alcuno in tutte, o in gran parte delle scienze singolare, la lite per ancora sotto il giudice pende. Pure se tal materia fra voi e mè disputar si douesse, credo, che alla fine il piato della ciuetta fatto haureste, che si rimase con molte penne, e poea carne. Egli è uero che alcuni vogliono, che non si possa peruenire in più discipline eccellente, perche vi si richiede gran memoria, e ingegno sublime, che non istanno insieme, dicono essi. Ma altri nulladimeno, il contrario affermano. Conciosiache le scienze, e la verità habbiano certa concatenazione insieme à simiglianza d'anello d'oro, sì che l'una si tira dietro l'altra, di maniera, che quegli, che ha difetto di memoria è dalla riminiscenza efficacemente per cotal cagione aiutato; aggiuntoui di più la forza dell'arte Ramondina, e somiglianti, acciò gioueuoli artifici. E coloro, che ingegno non hanno vsano la memoria, che gli habilita, e rende suegliati, per le molte, e varie cose, che ella riserba; onde i tanti motiui adoperano si, che ogni mezano ingegno arriua al termine de’ sublimi. Anzi dirò più; che, per esser l'organo della memoria distinto dall'organo della cogitatiua, possono molto bene eleuato ingegno, e felice memoria altresi in vn medesimo huomo ritrouarsi. Atteso che, se l'organo della cogitatiua inchina più uerlo l'humido, e quello della memoria verso il secco, (cosa, che alcune fiate accade) il medesimo huomo sara di tenace memoria, e di acuto ingegno. L'esperienza (acciò ch'io taccia mille antichi) il dimostra nella persona del famoso Pico, Torquato Tasso, Iac. Mazzoni stati nell'uno, e nell'altra mostri di natura veramente. C. Onde io diuero, non perche egli si dimostri poco pratico nella cognizione de Cieli, percioche questo può à qual si voglia forse accadere per la fieuoleza, e incapacità della natura humana, ma sì bene per vna certa arroganza, che per entro gli suoi scritti si scorge, son forzato e à raffrenare alquanto cotale orgoglio, e per la stessa verità delle cose trattate à rifiutare molti suoi vani capricci, ne quali in leggendo mi sono abbattuto. R. Se la mia modestia è arroganza reputata da voi, perche io difendo Aristotele, pensate, che cosa doura stimari quella di chi l’impugna, attorto. Io m'auueggo, che vorreste poter dire à mè, come quel cortigiano al principe suo, il quale essendo in pericolo d'affogare con esse lui, per certa fortuna di mare, disse; noi berem pur questa volta alla medesima coppa, poiche la barca ormai è piena d'acqua. ma io dubito non forse, auuenga a voi come a chi bene al fonte, che è solo a bere, e paion due. C. In quella guisa adunque, che Filopono, Simplicio, e Auerroe, sono chiamati, e tenuti fedelissimi ad Aristotele, ancorche alcune conclusioni sue sien da essi acerbamente rifiutate, non dubito punto, che io ancora quantunque in molte cose discordi; del Sig. Colombo, non habbia è esser per la stessa ragione chiamato, e tenuto amicissimo. R. Dirò, che vi date à credere, ch'io sia come la moglie di Giordan Tedesco, che dicena di voler megliò al marito, quando le daua delle busse, e che sempre l'amor cresceua per quelle verso di lui. perche alla fine il buon Giordano le disse, moglie mia io t'ho dato tante volte, che se l'amore è cresciuto à proporzione, sarà troppo disordinato: però è ben finirla quì, e le segò la gola. Voi Sig. Mauri me n'hauete date da ritto, e da rouescio, e di male mazzate. qualche balordo ve ne vorrebbe bene: basta ben che, se voi la faceste finita quì senza più, che forse non ve ne vorrei peggio, ma io vi veggo sempre le man per l'aria, sì ch'io terno, che di quì a poco non tentiate anche tagliarmi le gambe, el collo. C. E tanto (nobilissimi lettori) ha potuto in me questa verità, che io ne anche mi son guardato à riprouare, e dimostrar false alcune sentenze di scrittori antichi. R. Che marauiglia, se fino ad Aristotele l'hauete barbata? C. E alcune ragioni hauute fino à ora per vere di molti effetti. R. Di vero il male è stato assai, che huomo imperito ardisca por la bocca nelle dottrine di sì graui autori lacerandole, ma il peggio è, che di veruna cosa hauete pur detto ragione, che apparente sia non che reale, e vera, e ben tosto il ui farò vedere. Disse bene il vero Tucidide; Imperitia audaces, res autem cogitata, atque considerata timidos facit. Ma chi volesse veder doue sta à casa, e à bottegha l'Arroganza, e l'Orgoglio, vadasene pure a trouar la tauola, che fatta hauete à questa vostra leggenduzza; e quiui trouerà scritto senza riguardo alcuno. Filosofi non si sanno seruir degli Epicicli, Eccentrici, e Equanti; Ipotesi Alfonsine senza dimostrazioni, superstiziose; esemplo di Macrobio, del Sacrobosco, e d'altri autori seguiti dal Colombo, dimostrato falso, &c. Hora, in che gli condanna? in vna esperienza tanto manifesta al senso, che quegli, che la nega, si può dir, che sia più cieco della serua di Seneca, di cui scriue Plutarco, che hauendo di notte repentinamente perduta la vista, sendo chiamata a giorno alto, attendeua a dir, che riposar la lasciassero, perche non era ancor di : ne volle mai creder che venisse da' suoi occhi il difetto, finche non le affermò Seneca esser giorno alto, e spalancate le finestre. C. Il perche forse molti pensieri, e molte opinioni, e perche men’ hà dato occasion l'autore, e perche la conformità de’ presi ragionamenti pareua il richiedesse, inserite in queste mie considerazioni, parranno per esser nuoue. R. Messer nò, questo difetto non hann'elleno. C. A chi che sia, ò strauaganti, ò troppo ardite; R. Cosi è veramente, e l'vno, e l'altro à chiunque le legge; anzi, che per dir meglio elle non parranno, perche elle sono. C. Ma qual'altro rimedio poteua io adoperarci, che ò tacere. R. E questo era il vostro megliore. C. Io che facendo in questa maniera i Lettori d'Astronomici. R. O là, qui manca vn puntello a questi Astronomici. C. Filosofi dubbiosi, e Pirroni, non mi pareua conuenisse, ò apportarne quelle inuenzioni, che io da per me m'era andato sopra ciò considerando? R. Anzi, che voi in cambio di schifar cotesta setta, nella cui accademia facilmente trouate da impancarui per esser sempre vota, e poco men, che confitto l'vscio, vi mostrate quanto alle dubbiezze esser veramente pyronio nelle parole, ne'concetti, e nella persona. Imperoche il parlare oscuro, senza cercarne per hora altro esemplo, veggasi questo periodo precedente, lungo, e laconico dimaniera, che nulla più. I concetti, e le dottrine son tali per tutta l'opera, che, se bene vi siete quasi intifichito dentro, per lo stento, son piene di contradizioni, e dubbiezze nel principio, nel mezo, e nel fine, e di autori mal citati peggio intesi, e pessimamente oltraggiati; e fatto dire al mio testo quel che è piaciuto a voi, ma non già quelche dic'io lasciando stare, che per darci il resto delle vostre inuenzioni, per compimento dell'opera non hauete pur detto qual sia il creder vostro circa la nuoua stella per la qual vi siete messo a scriuere, e impugnar l'opinione altrui; ne hauete eziandio fatto parola in difesa della vostra diletta Astrologia giudiciaria. Quanto alla persona incerta, bastera dir, che, non si ritrouando Alimberto Mauri In rerum natura , ella sia vna maschera sorella di Cecco di Ronchitti, suo suiscerato, come si vede per entro queste considerazioni ; di maniera , che appò lei toglie ad Aristotele il primo luogo. Vogliono i Pirroni i quali non son differenti da i Settici, ò in pochissime cose, che di niuna cosa si dia scienza e come che à far parole di costoro, i saui si vergognino, o facciano solo quelle del nostro Poeta, Non ragioniam di lor ma guarda, e passa; con tutto ciò, per esercizio di ingegno, sendo prouocato, mi vien capriccio di non rifuggir la zuffa, più per hauer occasione di fondar salde dottrine, che di rouinar le debboli; conciosiache la vanità di esse, per se medesima le rouini, e il recitarle solo le condanni. Se voi adunque Signor Mauri, oltre all'esser dubbioso, voleste con questa brigata creder, che scienza non si trouasse, io vi domando se sapete, o non sapete, che non si dia scienza: se lo sapete; adunque si da scienza; se nol sapete; alle vostre parole non si dee prestar fede. E per dir come il dotto Agustino, chi dubita se si possa hauere scienza di nulla, non dubita di dubitare. E io direi, che voi siete simili alla Fata di Plutario, che in casa sua si cauaua gli occhi riponendoli nel bossoletto, e quando era in casa d'altri se li poneua in testa per conoscere ogn'altra cosa che se stessa. Voi affermate di conoscer, che noi non habbiamo scienza delle cose, e non conoscete voi medesimi, che scienza hauete di non hauere scienza. C. Le quali, che, che elle si siano non posso negare, che se le piaceranno mi sia per esse sommamente grato. R. Sapete a cui elle piaceranno? a vostri ma non già a’ dotti. Io hauea da giouanetto composte alcune poesie ; e perche assai belle pareuano ad altri miei compagni della medesima età, credendomi che di molta stima fossero saltai in cimbali di farle publicamente vedere, ma non per tanto non volli lasciar di chieder consiglio a vn letrerato huomo in cui molta confidenza hauer mi pareua, di cui la risposta fu cotale. Accadde a vn personaggio, che per esser reputato assai dotto nella sua patria, non vi essendo chi sapesse couelle; partitosi per farsi conoscere ancora a Padoua, gli venne fatto acconciamente, ma troppo più, che voluto non haurebbe. poscia, che essendo scorto da vno ingegnoso poeta il mandò a presentare alla scoperta di vna artificiosa ruota, credo io di zucchero, nella cui superficie dall'vna delle bande molte teste d'asino eran figurate attorno, e vna testa d'huomo il centro di quella occupaua: dall'altra parte humane teste la ruota circondauano, nel cui mezo dipinta vna testa asinina appariua. Daua la prima indizio, costui esser dotto a casa sua, perche in terra di ciechi vede assai que gli che hà solamente vn'occhio. La seconda il fè conoscere, che era ignorante fra i dotti di Padoua; e cosi con sua uergogna apparò più in un'ora à Padoua, che in molt'anni alla patria sua. Sig. mio (dissi) voi m'hauete messo in pensiero, che, se ben quella testa d'asino era di zucchero, bisogna, che molto amara fosse ad ogni modo à masticare; e perciò sara ben, che io non cerchi di questi regali. C. Si come per lo contrario, se non saranno riceuute con quello affetto, che le hò scritte à voi, à me basterà solo, parendomi pure assai, auerle riuestite, e con ragioni, e con esempli naturali di sì fatta verità, ò almeno verisimilitudine, che perciò non apparendo in esse fuora parte alcuna vergognosa, ò inconueniente, come ben alleuate donzelle abbiamo arrossire per comparir nell'altrui cospetto. R. Guardate, che l'amor non u'inganni, e faccia parer come disse il Petrarca. Donne, e donzelle, e sono abeti, e faggi; Percioche elle appaiano come disse il Tasso, Figlie delle saluatiche cortecce. Orsù uolete ch'io ue la dica? a mè elle paiono honeste, appunto, qual fù la figliuola del Soldano di Babilonia, che per noue siate fù contaminata, e ad ogni modo si uendè per pulzella. Ma uoi non hauete cosi ben saputo ricoprirle, che donzelle violate non si dimostrino: e come che uoi uogliate far testimono della purità di esse, alle uostre parole non si dee prestar fede, che padre ui appellate di quelle, e ne siate l'adultero. C. Resterebbe, che io apportassi la cagione: perche hauendo io auuertite, e notate molte cose nel primo discorso del Sig. Colombo, che in particolare s’ appartiene alla Astronomia, non sia entrato ancora nell'altra parte à dirne il mio parere nell'Astrologia, laquale egli à guisa di Licurgo, che vedendo alcuna fiata imbriacato gran parte del contado, fece con danno vniuersale de’ più nobili, e generosi spiriti estirpare tutte le viti, nel fin del trattato; per lo suo uso cattiuo, come, se qual si voglia scienza, ancorche in se stessa vtile, e perfettissima, non si possa dalla maluagità degli huomini contaminare, dispregia, e vitupera cotanto. R. Oime, non posso più; s'a cosi lunga tirata di parole, io non ripiglio il fiato. Certamente se il menar del capo, e delle mani haueste potuto rappresentare ancora, io hauerei creduto ueder ragionare un'altro Grazian delle Codighe. Se Licurgo proibì uniuersalmente il uino, che di sua natura è buono, egli non fece forse il maggior mal del mondo, perche pochissimi sono quegli, che ben se ne seruano, e senza quello, non sarebbe di peggio la natura humana. Nulladimeno si come il uino beuuto come, e quando conuiene è buono; cosi è non altramente dell'Astrologia adiuiene. Il uino souerchiamente usato, fa l'huomo rimbambito, ciancione, e pargli posseder tutto il mondo, e nulla possiede. Quegli, che disordinatamente crede, e si immerge nella giudiciaria Astrologia douenta bambino, perche dice, e tien per uera ogni astrologica menzogna, è reputato baione, e bagattelliero, perche à chiunque gli da innanzi uuol far ueder marauiglie in credibili ; predice tutte le future cose, e non preuede nulla. Vn contadino, che il trouò buono all'Oste, e tracanando senza discrezione; ciò che poscia rincontraua gli pareua l'un due, comepoco dianzi à uoi addiuienne, stimando, che il mio discorso, che è uno fossero due, ò più, dicendo. Nel primo discorso del Sig. Colombo. Giunto adunque il buon’ huomo à casa, in due suoi figliuoli, s’abbatte, che ben quattro gli pareuano, e’ uerso la moglie n’andò, adirato per darle , femina di mondo chiamandola : ella pur sue scuse, e difese faccendo diceua, se esser onesta donna, mentre che egli, che la paletta messa nel fuoco hauea, quando rouente la uide, disse, se tù se senza colpa piglia quel ferro, che non ti nocerà. La moglie, uedendo lui esser briaco, soggionse, dallo quà? egli presa la paletta, scottatosi la mano, e sbucciata, e ritornato in se fu tutt'una; percioche il fuoco del ferro asciugo'l uin del ceruello. Il medesimo accade a gli Astrologi, che dell'Astrologia ebri diuenuti credendosi ueder quel che non era, scottati alla fine rimasi ne sono. C. Alche quantunque io potesi dire: che per risposta d'altri ageuolmente leuandosi tutti quei vituperi, ciò stato sarebbe al tutto superfluo, solo rispondo, che ragioneuolmente non mi son messo à questa impresa. Imperoche essendo l'Astrologia fondata tutta nell'Astronomia, il dispregiatore di essa, per essere stato scoperto da me dotato di fallace, e mancheuole Astronomia, douerebbe esser per la’ gnoranza del merito della causa. R. Che ui dissi, destemela alle gambe, e al capo? Di uero Mauri, che se leuate di queste fette, uoi non sarete una Maschera, ma una Machera, che uuol dire un coltellaccio. Domine, se cosi son fatti gli amicissimi, sarà ben hauerne manco, che uno. C. Come giudice incompetente, meriteuolmente refiutato, e ributtato da qual si voglia intenden- te, e discreto lettore, al cui giudicio (si come io liberamente sottopongo ogni mia opera, e fatica) non dubito, che altresì non sia per acquietarsi, chi non essendo delle cose proprie souerchio amatore, ha per iscopo principale, in qualunque sorte di professione, di ritrouar solo la verità. R. Il fatto sta conoscerla, massimamente voi che disputando volete esser giudice e parte, pensando dar retto ad ogni modo il giudicio. A uoi conueniua scappar fuora con le vostre ragioni, e argomenti per difesa dell'Astrologia, se ve ne bastaua la vista in quella parte doue io la vitupero insieme con tutti i più famosi non dico Filosofi, e Teologi, ma Astrologi eziandio, come si uedrà alla come si vedrà nel fin dell'Opera, doue l'insolente turba degli Astrolagastri, e la superstiziosa Astrologia si condanna. Ma voi non ne farete altro hauendo veduto che il [censored] Lucio Bellanti, che in fauore de vostri concetti citato hauete, non seppe scappar d'alcune difficultà, e obbiezioni fatte dal Pico. I famosi si seruon di cotesta sorte d'astrologia tanto, quanto ella basta loro per ischernire, e beffare i semplici. Onde Catone si marauigliaua, quando s'incontrauano due astrologi, che non crepassero, per le risa. Ma veramente non hauete il torto a non entrare in mar senza biscotto, per che hauendo io di gia fracassati, come dite voi, e gittati al fuoco tutti i libri, e gli strumenti astronomici, che son fondamenti di quella, senza i quali sareste come mosca senza capo, da pratico mi hauete data contro la sentenza nell'Astronomia per fuggire il ranno caldo dell'Astrologia. Cosi fece non ha molto vn'arrogante procuratore, che dinanzi al giudice disputando vna causa in vece di fermare il fatto con l'auuersario, e disputar de meriti, si rinfuocolaua gridando a sproposito, dicendo la uerità è, che noi habbiamo ragione, e uoi senza dire più hauete il torto. Onde l'auuersario dolcemente sorridendo, al giudice riuolto, disse, io debbo hauere a disputar la causa con uostra eccellenza, poi che il giudice è costui. Anzi Sig.Mauri à noi tocca solamente a disputare, ma il giudicare ad altri s'aspetta. Io adunque à discorrer cominciai cosi. Discorso. Perche dell'huomo, e proprio talento desiderar di sapere, e massimamente la ragion delle cose di cui l'nuestigazione, se non impossibile, almeno difficilissima sembra all'humana capacità; di quì è, che dietro a simil cose, come che la verità sia vna, molti variamente pronunziano la sentenza loro, e tale adoperano l'acume dell'ingegno, che, tutto che vno sia, che dica vero, ò forse niuno appena si troua, chi discerner sappia qual di tanti pareri d'intorno a vn soggetto solo, per più probabile da riceuer sia. E tale appunto mi si rappresenta la’ materia di quelle nuoue stelle, che nel Cielo si dicono essere apparite, di cui fanno menzione gli Astrologi esserne stata veduta vna trentatre anni sono nella sede della Cassiopea, acciò ch'io taccia le più lontane, come fu quella, che vide Hiparco; e l'Ottobre passato 1604. alli 12. ò quiui intorno vn'altra nel sagittario s'è fatta a gli occhi nostri vedere. Quella per lo corso di due anni, e questa di uno incirca s'è mantenuta, auuenga che alcuni dicano l'ultima per ancora non essere sparita, ò ritornata di nuouo. La onde molti eleuati intelletti, diuersi fra di loro, ne hanno diuersamente fauellato, e posto in luce la loro opinione, di maniera che l'autorità di quei tali separatamente, e le uigorose ragioni addotte in prò del proprio parere fin quì non hanno per mio auuiso altro, che nuoua dubitanza cagionato, e lasciati i lettori nelle medesime difficultà, anzi maggiori; tra i quali io mi son uno. Onde cosi fieramente s'e adescato in me il desiderio di ricercar la uerità di cotale apparenza, che nulla più. Ne crederò io mai biasimo riportarne, quantunque egli non mi uenisse fatto di persuader per uera la mia sentenza, dintorno alla sostanza, e al modo nel quale possano tali stelle di nuouo nel cielo essersi dimostrate, a gli occhi nostri. Considerazione seconda. In quanto à questa parte d'addur la sua sentenza circa la sostanza di questa nuoua stella, cioè se ella è composta della materia del corpo del Cielo, doue ella si ritroua, come tiene Aristotele, ò se ella è vn fiore della terra, come dice Protagora, non si dee dire, che l'autore, per non l'hauer fatto apertamente, sia dotato di poca memoria, perciocche prouando poco di sotto, che ella non è esalazione, ha pensato forse con la negatiua auer posto in essere la sua quidità, o vero si è creduto, per auer giurato in verba Magistri, superfluo addurne la sua opinione, dandosi ad intendere, che quindi, seguendo egli Aristotile, ogni discreto lettore, se la potesse immaginare. Risposta. La più fracassata ruota del carro, è sempre quella, che cigola. Voi vorreste (se ben non ne trouate buona via) cacciarmi addosso menda di smemorato, ma e' v'auuerrà come al vento Cecia, che soffiando trae a sè le nugole, in vece di mandarle altroue. Hauui però di sì fatta maniera velati gli occhi la passione, che non veggiate, ò pure sdegnate di veder la luce come i barbagianni? Non s'è prouato il tutto nella particella posta dauanti alla considerazion sesta, settima, ottaua, nona, decima, vndecima, duodecima. diciottesima, e trent'esimaterza ? Paru'egli Signor Mauri, che la mia memoria habbia rintracciato, doue era memoria delle proue della natura di tale stella? Voletela più smaltita. Eccouela in quattro parole. Il Cielo è vna sostanza diuersa di natura dalla natura degli Elementi perche non è corruttibile, ne generabile, ne capace di nuoue forme. Ma gli Astrologi tutti hanno dimostrato, e voi lo concedete, la nuoua stella esser nel Cielo; adunque tale stella è della natura, e sostanza celeste, e una di quelle, che vi furono da principio, non sendo il cielo capace di nuoue forme, ne di mutation corruttiua. Che ne dite adesso qual di noi due ha mandato la memoria a zonzo? fate à mio senno confessatela alla libera per che non istando ostinato almanco darete indizio, che l'habbiate ritrouata ricordandoui d'hauerla perduta. Anzi vi varrete di quel bel detto di Seneca in Agamennone; - Quem penitet peccasse penè est innocens. Per mia fè, se mi fate di queste troppo spesso, che marauiglia sia ch'habbiate spacciatamente snocciolatomi contro 53. considerazioni? Sò ben che, se queste considerazioni fossero mie, come son vostre non l'haureste guardata a cacciar dauantila C, vn'S, calzandoui per l'appunto, non volendo lasciar quella parola senza compimento. E quasi quasi, che elle son più che le righe dell'opera stessa. Sig.lettori, sò che il Sig. Mauri mi tien tanto parziale di Aristotele, che io non istimi Platone, ma in questo egli come in altre cose s'inganna; e sò che’ e non attenterebbe di contrastare, percioche con realissimi, e irrepugnabili dimostramenti vedrà, che si come questo suo parere io non lo seguo cosi egli nol consegue. peroche io son di opinione, che per esser questi due splendentissimi lumi, l'vno non ceda all'altro, e nel suo genere amendue son sommi, e in ciascuno di essi è qualche particolar'eccellenza, che à niuno il fa secondo. Ma Aristotele ha seguitato vn genere Ascoltatorio continouato, che è atititimo alle discipline. Platone, s'è compiaciuto del Dialogico interrogando, e rispondendo, per eccitar gli ingegni a speculare. Aristotele perche voleua insegnar le cose materiali, e sensibili offeruò il metodo diffinitiuo, e ordinatiuo delle scienze. Platone, perche voleua insegnar le diurne non ordinò le scienze, e sminuiua il concetto delle cose sensibili per aggrandir le immateriali. Arist. aspirando a formare interamente le scienze, seguitando la via compositiua dalle cose essentialmente concatenate, con voci proprie, e strette, e non metaforiche, e ampliate a scruer si mise. Platone con fiume d'oro di eloquenza procedette, perche bramando solamente destar gli animi si, che gia fecondi si preparassero al parto, si serui delle ragion Dialettiche, e Retoriche delle arguzie, e metafore, e dissimulazioni, e Socratiche Ironie accomodatissime a suegliar gli intelletti altrui. Si che chi l'vno senza l'altro studia, e chi si priua di Aristotele per Platone, ò di Platone per Aristotele mi par, che si priui d'vn'occhio. Adunque delle cose materiali per al presente trattando sara mia scorta Aristotele, ma nello stile eleggo Platone, volendo adoperar l'ironie, le metafore, le arguzie, e piaceuolezze, e simiglianti lumi, e colori retorici, a fin che io sdormenti a cuni, e a miglior filolofia risorgano, e in particulare delle sfere celesti; e se ben non si può conseguire interamente la notizia loro, nulladimeno vna menoma particella; che altri ne capisca vale assai più la giocondita, che all'intelletto apporta, che se con le proprie mani, per dir cosi, si toccassero suelatamente tutti gli effetti terreni, e le cause loro insieme. Lo dice Aristotile ancora con una bellissima similitudine. Celestia, et si leuiter attingere possumus tamen ob eius generis cognoscendi excellentiam, amplius oblectamur, quan cum hæc nobis iuncta tenemus, ut quamlibet partem minimamque corporis puellæ diligenter vidisse gratius, & iucundus est, quam cæterorum membra hominum tota perspexisse, & contrectasse. Discorso. Conciosiache, almeno questo haura meritato lode in me, cioè l'essermi virtuosamente adoperato dietro a materia celeste, la qual non solamente è proporzionato oggetto più che qualunque altro di questo sensibil mondo all'intelletto, ma doue ancora cotanti celebri huomini hanno sparsi gloriosi sudori; ne pare a mè per tanto, che habbiano fin'hora detto, a bastanza per quietare gli studiosi ingegni. C. terza. Quantunque di quì si caui, che chi attende all'Astronomia meriti somma lode, come l’Autore spera di fare egli, e nel fine del discorso douendosi abbrucciare gli Almagesti, fracassare le Sfere, e rompere, e spezare quanti Astrolabi, e sestanti si trouano al mondo, s'argumenti allo sbeffamento douuto a’ seguaci di quella, come gente disutile, e vana, nondimeno non c'è contradizione alcuna. Perche la'ntenzion dell'Autore è tale, che si fatte ciancie, e chiappolerie sieno leuate via, acciò gli Astronomi non vi perdano più tempo, e consumino il ceruello. Onde dalla condennazione di quei libracci non se ne può cauare il dispregio dell'Astrologia , ma il zelo più tosto dell'autore, che l'huomo si risolua à imparare vna volta cotale scienza senza tanti interrompimenti di capo, e beccamenti di ceruello. Risposta. Di vero, se reputate quì essercontraddizione, habbiate per fermo, che ella nasce solo dalla credenza vostra, e per vostro difetto. Impercioche, se haueste fatto differenza tra Astronomia, e Astrologia non hauereste fatto questa chiosa; e tanto, è più graue l'errore quanto vi reputate de baccalari maggiori, che habbiano le matematiche discipline, e che vi vantereste di diuidere, squartare, e sminuzzare il zero, e di trouar, come si dice il pel nell'vouo. Mà qual voi siate riuscito negli zeri si uedra ben tosto nel calcular, che haurete fatto di quelle altezze, grandezze, e riuolgimenti del ciel cristallino, del primo Mobile, e di tutti gli altri, e del numero di essi ancora, poi che ne imputate me d'alcuni per non gli hauer calculati non abbisognando; a i quali computi vedrem se arriueranno i vostri occhiali, poscia che dite, che non vi arriuano i miei. Hora tornando al proposito, se lodai l'adoperar l'intelletto nello specular la materia celeste, e l'Astronomia, non perciò in quel luogo hò fatto menzione alcuna d'Astrologia. Ma quando pur uoleste, che di essa eziandio hauessi inteso, non per tanto non mi son contrariato. Conciosiache ho lodato, e biasimato quella parte d'Astrologia, e quegli Astrologi, come si uede nel fin del mio discorso, che di loda, e di biasimo meriteuoli sono. Discorso. Posciache altri per non discostarsi dalla comune, e vera dottrina Aristotelica affermante il Cielo essere incorruttibile, ingenerabile, e di peregrine qualità incapace, si son posti in cuore di voler credere, che le astronomiche demostrazioni siano state da i lor posseditori in cosi lontane misure male adoperate, e che essi nel senso fortemente si siano abbagliati. Altri per lo contrario sappiendo quanto vere siano lo Matematiche misure, che si toccano per dir cosi con le proprie mani, hanno detto, e cercato eziandio di prouare, che il Cielo e alterabile, e di corruzione, e generazione, e straniere impression soggetto, come i corpi elementari sono. Altri finalmente credendo nauicar sicuri fra Scilla, e Cariddi, non si opponendo alla verità dell'vna, e dell'altra scienza, affaticatì si sono per ritrouar modo, che quadri l'apparenza di tali stelle esser nel Cielo, e il Cielo ad ogni modo non dar luogo a veruna alterazione. Ma perche difficile è stato oltre modo a ciascuno il trouar mezo basteuole per conchiudere il suo intento, di qui è, che nelle primiere tenebre per ancora rimasi sono. Ne reputo io perciò, che il medesimo altresì addiuenire a me non possa auuenga che io mi creda la cagion di cotal mostruosità nel Cielo apparita far palese, diuersamente pure da quello, che insino addesso n'ho veduto andare attorno per le stampe, e scritto a mano. C. quarta. Di sì fatta progenie n'è scapato nouellamente un fuora, ilquale, non contentatosi farsi conoscere in un suo trattato scritto in lingua natia, ora m'ha mandato alle stampe vn’ altro intitolato Anthonij Laurentini Politiani de numero, ordine, & motu cœlorum aduersus recentiores, doue facendo anche egli del filosofo naturale, il cui oggetto proprio è lo speculare la materia celeste, gli basta aprir’ inconsideratamente la bocca contra’l Magino, il Clauio, il Copernico, e tant'altri saui del secolo antico, e mettersi, con modestia non più vdita, à biasimar semplicemente, e non refiutar, come egli dice (poich’e' non adduce alcuna ragion, che vaglia) l'altrui mestiero, cioè il numero, l'ordine, e’ l moto de’ Cieli, oggetto particulare dell'Astronomia; come se troppo modesto, e saputo non dea esser giudicato quegli, che di continuo auendo atteso all'arte u.g. del tagliare, e cucir panni, ardisse in pittura per altro eccellente riprender’ oltre all'attitudine delle vesti, ò la chiarezza de'colori, o’l troppo oscuro dell'ombre, per lequali il saggio pittore venisse à dare à simil ritratto tutto'l viuo, e tutto’ l bello, che in quello si nascondesse. Risposta. Quegli, che è chiamato non risponda, perche hò torto io a volerla con questo prode huomo. E forse che egli non vuol metter in aia col Lorenzini, ilquale fin da fanciulletto diede publicamente più uolte semi del suo valore, e con quello si hà guadagnato la cattreda della filosofia nel dignissimo studio di Padoua, e non trae manco honor la cattreda da lui, che egli da lei: ma che è peggio Sig. Mauri di posta gli date vn solenne saggio della arcifilosofia vostra, affermando, che il proprio oggetto della natural filosofia à la materia celeste; che Dio vel perdoni. Il volersi difender non ci haurà luogo nelle repliche: perche vol non volete, che il filosofo naturale consideri il moto del Cielo, e pure se è corpo naturale non può senza il moto esser suggetto della natural filosofia, poiche Natura Est principium motus, & quietis, Si che non potrete ritirarui con dire, che intendete della materia celeste, come parte del suo obbietto adeguato, acciò ch'io parli col proprio termine, perche ò parte, ò tutto il filosofo considera sempre l'ente, il corpo, o la sostanza, come mobile. Oltre che Arist. nel 2. della Phy.t. 17.18. dice che l'Astrologia è parte della Fisica. Ne è buono Astrologo, chi non è buon filosofo. Voi cercate con guadagnarui nome di cattiuo filosofo, di perder quello di buono Astrologo, e siete per la buona via, ne vi giouera, che i defensori d'Astrologia giudiciaria sian l'armi del Diauolo; perche hormai gli sono state tolte da troppo possenti auuersari senza speranza di mai più riauerle; perche non è per riuscirli con questi il medesimo, che con quel ladro. Fece patto vna volta il Diauolo con vn ladroncello di aiutarlo in iutti i suoi furti; li succedeuan bene; vn dì entrato in casa d'vna bella donna, e toltole vn uago abito monachino da state di taffettà scarnato, che la faceua apparire assai più lasciua, e allettatrice; il diauolo subitamente gli diede vi sorgozzone, e glie lo fe por quiui. O che modo di fare è questo (disse il ladro) mancar di parola? Io hò promesso d'aiutarti rubar l'altrui, e non quel che è mio, rispose il diauolo; non sai tù, che queste sono armi mie? Discorso. Hora perche da coloro, che il Cielo stimato hanno esser corruttibile, non si è prouato se non con alcune ragioni appartenenti al proprio concetto loro in quanto alla sostanza, e al modo circa la nuoua Stella comparita nel Cielo, senza, che habbiano distrutti, e reprouati gli Aristotelici fondamenti, e conchiusioni, come fare ad ogni buon Filosofo si richiede: perciò crediamo esser basteuole distruggere i principi, e ragioni di quegli nel medesimo tempo, che si tratteranno le sentenze de’ medesimi per breuità maggiore. Impercioche, hauendo questo adempito non ui haurà dubitanza veruna, che la di già inuecchiata, e comunemente, riceuuta opinione d'Aristotile restera nella sua candidezza primiera. Ma perche non faccia mestiere di lungo discorso contro coloro, che la sostanza celeste mancheuole, e caduca dimostrare intendono, sara ben fatto, accioche si prendano di quì le soluzioni alle prouanze loro, mostrar per via di conchiusioni discorrendo, che al Cielo non corruttibile, non generabile, non ricetto di qualità contrarie, non della natura, e materia sia de’ corpi elementari. C.quinta. Cecco di Ronchitti, altrimenti detto il Padouano, proua con alcune ragioni generali il Cielo essere corruttibile, mà ò per essere il suo linguaggio forestiero, ò per essere egli di quegli Astronomi lambiccantisi il ceruello in quei pazi libri, meritamente viene à essere, ò non inteso, è dispreggiato dall'Autore, alle quali ragioni potrebbe chi che sia soggiugnere le infrascritte. Risposta. Cecco, per quanto hò saputo è vn bello ingegno, che sà molto bene la vera Filosofia; ma egli si compiace di far vna burla à i troppo corriui, e far vista di parlar da vero; e perciò finge il nome e la fauella, e si chiama contadino, perche i saui conoscano, che sa di dir cose da villano. Io dunque mi goderò il priuilegio che mi concede, trattandolo da tale; che però anche si traueste alcuna fiata nobil caualiero da zanni, ò altra ridiculosa persona, esponendosi alle percosse dell'voua, e della neue sapendo, che ne vergogna, ne danno gli si apporta; anzi ne gode, e ride con quegli che l'infestano. Del rimanente Cecco spogliato, io il reuerisco, e honoro, ne hò mai, ne haurò intenzion d'offenderlo. Ma uoi compar, se vi siete creduto, che dica da verò, quanto habbiate fatto male a credergli, e imitarlo, non ci andra guari, che il vi farò conoscere. Io di vero assai vi ringrazio, che habbiate preso la maschera d'immaginata persona; accioche io mi possa difender non offendendo, ne diguastando à niuno, ragionando io contro l'aria solamente. Vn certo, perche in maschera passò a posta dinanzi all'uscio d'vn suo nimico, il quale, come che conosciuto l'hauesse, fingendo non saper chi fosse valutosi dell'occasione, con arguto motteggiar lo beffò, dicendo, chi è costui, che porta il viso sopra la maschera? volendo inferir, lui esser brutto di viso, per si fatta maniera, che egli si cambiaua da la maschera. Le uane opinioni Sig. Mauri, e gli strauaganti capricci, e le roze parole vi fanno vn brutto viso, che non piace, ricoperto dalla maschera di finto nome ; anzi guardate, che peggio non ui auuanza. Douete sapere, che Carlo sesto Re di Francia, per occasion di certo sposalizio, dopo i balli del festino, con alcuni caualieri si trauestì, ponendosi al viso maschera di Leone, o d'altro saluatico animale, e con certa materia viscosa sù le nude carni, egli e' compani suoi s'attaccaron del lin pettinato, fingendosi pelosi, intantoche orribili, e mostruose fiere pareuano. Giunti nella sala, e fra le brigate saltando, il Duca d'Orliens, per ueder meglio s'accostò con vn torchio acceso, che nella mano tenea; e andò cosi la bisogna, che vna fauilla, schizzando su i velli del lino, tosto leuò fiamma, non solo sopra quegli del Re, ma degli altri mascherati ancora, i quali tutti vi morirono, e'l Re vi moriua eziandio se vna femina con vn suo manto nol copriua prestamente, quella fiamma affogando. Voi adunque, sendo comparito, per ischernire altrui con le saluatichezze, e fantasticherie, ven’ andrete in fumo, e fiamma co’ seguaci insieme; percioche non potrà ricoprirui il manto dell'autorità non sendo voi huomo grande. Io non voglio già pagar le villanie del medesimo conio; perche io, con vostra pace, leuo per impresa vna maschera di bella, e leggiadra Ninfa con dolce color di rose sparto per le sue guance, con biondi, anzi dorati, crespi, & ondeggianti capelli dintorno alla fronte, posta in campo nero, accioche meglio appaia ; e il motto Cum hac nihil, perche non mai voglio esser finto in niuna operazione. Fatti in quà Cecco; che di tù? Sig.Mauri con vostra buona grazia io mi farò lecito di riferire nella fauella nostra gli stessi concetti suoi, perche io vi dò parola di portarli in mezo fedelmente come stanno, ne per questa volta vi muoua a sospetto il difetto vostro, cioe, che io sia per far de’ vostri, come hauete fatto de’ miei rendendoui pan per focaccia, che nol farei per l'oro del mondo. Oltre che ad ogni modo veggo, che ui uestite della sua gabbana aggiungendoui sopra, perche paia alla cittadinesca, certa fornitura assai uecchia, e rigattata tante uolte, che a chi non guarda ella par nuoua. Il Padouano M. lo Cecco vostro dice. Il voler affermar, che il Cielo sia ingenerabile, e incorruttibile, e che perciò non vi si possan generar nuoue stelle, non ui essendo contrari, e parer d'Aristotile, e di sua brigata, che non sanno se son uiui, ne quel che si dicano uolendo parlar del Cielo. R. O Cecco sa’tù quel ch'io ti vuò dire; uà pian con que’ buoi; non uedi che tù esci del seminato? C. Oltre a ciò io mi credo in Cielo esser cosi ben caldo, freddo, humido, secco come si sia qui. R. Sta allegro, che il Mauri tuo figlioccio ui seminare di qui à poco un gran campo di faue, beffando mè, che non credo in quei celesti monti fare i baccelli, ma solamente quà giù, ne' nostri piani: e sai se e ‘ci fanno rigogliosi; egli tel dica. C. Perche, si uede, che u'è il denso, il raro, il lucente, e l'oscuro, e tutti l'un all'altro contrari. Aggiungesi à questo, che gli elementi sono in Cielo, ma che non son della fatta de’ nostri, ma più perfetti, e questo dice Platone, e perciò è trasparente il Cielo R. Pian, piano; che tù mandi i barberi per palazzuolo in cambio di tenerli per la diritta. Percioche tu scambi le parole di Platone C. Di più anche gli Elementi hanno il moto circulare alloro proprio, come della terra afferma il Copernico. Dico ancora, che il Cielo, e medesimamente lo dice il Copernico, non il muoue; e cosi male dice Aristotele, che vuole, che se vn minimo corpicciuolo si aggiugnesse al corpo celeste, egli cesserebbe dal suo moto. R. Per certo S. Mauri, che uoi siete entrato in un laberinto, che per uscirne ci uorrà altro che baie; O andate à impiacarui con Cecco: e v'ha fatto ben cader della padella nella brace, e forse ui cuocera in modo, che non sara più ben del fatto uostro. Chi harebbe mai creduto, che ui foste accordato seco a dir contro Aristotele, e con ischerno ? Di cui dice Dante. Vidi’l maestro di color che sanno; e Auerroe il secondo Aristotele piglia la sua difesa cosi dicendo; Aristoteles sapientossimus inuenit scientiam Naturalem, Diuinam, & Logicam easque compleuit, & in vno indiuiduo inuentri tantam virtutem miraculum est. Del quale Auerroe Dante disse. Auerrois che'l gran comento feo, Hora, uedete bel caso ch'è il uostro; uoi m'hauete dato un rabbuffo de'buoni, dicendo, che io poteua lasciar d'apportar le medesime ragioni, che dal Lorenzini sono state dette, e non u'accorgete , che questa pina scossa cadrà sul uostro capo. Impercioche essendo di peggior condizion dell'Ebreo rificcate à mostra un mantel uecchio, senza qualche nuoua manifattura, acciò che non si riconosca, che e rubato. Le uostre proue fieuoli, e magre inuenzioni, e logore si rimarranno in bottega di cui le uolle uendere auanti a uoi, se non douentate miglior rigattiere. Ma gli argomenti, e ragioni mie , perche non son mie, ne del Lorenzini, mad'Aristotele, e di tutti i famosi, sono state messe in campo perche son le uere, fondate, sufficienti. E che dico più ? Per esser del Grande Aristotele, sono, e saranno sempre nuoue, e massimamente à chi non l’intende: ne si deuono, ne posson mutare, ne tampoco sciogliere: e per prouar la verità de Cieli incorruttibili contro a chi l’opposto afferma, senza hauer pur tentato di riprouare, o rispondere a gli argomenti peripatetici, come se di niun momento fossero, non doueua io altre ragioni addurre, che quelle, che le sicure sono, e le inuitte. Ma voi per acquissarui nome di eleuato ingegno, con certi concetti antichi, e tralasciati in derisione, de’ loro inuentori hauete suscitate certe opinioni, non dirò filosofiche, ma più tosto fauolose, affermando, che il ciel non si muoua, che egli quieti di quiete propriamente detta, che habbia moto retto, che la terra secondo sè tutta si muoua circolarmente, che il circolar mouimento sia proprio di tutti gli elementi, che i Cieli siano armoniaci, cioe, facciano suono, che nel Cielo siano contrari corruttiui, che sia tangibile, che la Luna habbia monti, oltre alle contrarietà, che da questi concetti appaiono nel vostro ragionamento; ne lascio di dire, che sotto l'orbe lunare haureste voglia di metterui il uacuo, come che voi habbiate voluto con certi falsi argomenti cacciar nel mio conto questo tarantello, ma non la correte, anzi vi farò tosto veder, che i viluppi della tela vanno al pettine. Io mi marauiglio, che il ghiribizo non u'habbia tocco di destar l'opinion di Philolao, che diceua, che il Sole era vn gran piatto di uetro; o di coloro menzionati da Plutarco, dicenti il Sole esser feccia dell'aria. Signori lettori, io per questo non mi sbigottisco, che costui arrouesci il Cielo, la terra, gli elementi, e quasi tutta, la natura; perche vn saggio Rè dauanti a cui dolendosi vn uecchio, che gli Spartani voleuano far nuoue leggi, e lasciar le antiche, e buone, conchiudendo, che ogni cosa andaua al contrario. Rispose il Rè state di buona volgia, perche fin quando era fanciulletto mio padre diceua cosi, e perciò se di nuouo vanno à rouescio ella s’ addrizzeranno. Cosi dico io a i peripatetici, presto s'adrizzeranno queste arrouesciate filosofie, e i mali filofosi resteranno beffatti, come è accaduto al Telesio, e simili strauaganti ceruelli. Se voi credeste Signor Mauri occupar la fama, e la gloria d'Aristotele, e di tutti gli antichi uoi siete fortemente ingannato, e vi succedera lo stesso, che auuenne a quel Tiranno, che uolendo oscurare il nome, e la memoria de’ Principi antecessori comando à un pittor, che leuate, e ricoperte l'arme de gli altri, che poste erano al palazzo vi dipingesse la sua. Il valent'huomo conoscendo l'insolenza, non si pote ritener, che sotto quelle, che rifaceua non dicesie. Durabit tempore curta. Il Tiranno, domandando perche hauesse scritto cosi: egli, temendo, rispose, perche i miei colori son di poca stima, uolendo intender ueramente della pazia di lui. Ma noi intendete dell'vna e degli altri, poiche hauete cancellate le memorie degli antichi occultando il mio testo in cui elle eran figurate co'vani colori de' vostri concetti, e con la dottrina male autorizata, vi siete pregiudicato; per non s'intender ciò, che vi diciate, non si uedendo quel che dic’io, per torre ancora a me quel che non è in vostro potere il renderlo quando uoleste. Ma io vi vuò dar vna nuoua da calze: per quel ch'io ueggouoi siete a mal partito; percioche essendo Aristotele dalla mia, io tengo la spada per lo manico, e voi per la punta; ne ci ha scampo ueruno al fatto uostro, perche, uegnendo innanzi vi infilzate, e ritirarsi è uerogna. Hora cred'io, che non uorreste hauer conosciuto Cecco, se non quanto dice hauer conosciuto mè; vi stà il douere; doueuate lasciarlo ragionar dell'aratro, e non della filosofia. Venghiamo a’ ferri sù; che hà egli conchiuso contro Aristotele? non ha riprouato le ragion dell'incorruttibilità del Cielo; non ha prouato la corruttibilità, se non con ragioni alle quali è statto mille uolte efficacissimamente risposto da tutto’l torrente de’ filosofi, e teologi, e da gli astrologi eziandio, se non sono stati puri astrologi, e della feccia. Non sentite voi rossore d'hauermi con tanta audacià rimesso per dottrina di tanta importanza à ueder lui, che osa cotanto contro le scuole comuni? L'argomento suo più solenne è hauer detto d'Aristotele, e di tutti, che basta aprir la bocca, e che non sanno se son viui volendo parlar del Cielo. Il caldo adunque, il freddo, l'humido, il secco doureste ormai hauere inteso, che son qualità attribuite al Cielo uirtualmente, e non formalmente, si come anche nel Sole diciamo, e nella Luna, e’n tutte l’altre stelle esser tutte le cose, che la terra genera, e produce, percioche vi sono in virtù, ma formalmente, e in atto sono in terra, e a’ propri luoghi loro fuor del Cielo. Quanto al raro, e denso del Cielo da cui uorrebbono con troppa fastidiosaggine argomentare i filosofastri ritrouarsi la sù il caldo, e’l freddo & c. Si risponde, che non da altro nascono cotali accidenti nel corpo celeste, che dalla diuersita della - situazion delle parti di esso Cielo; imperoche nel denso le parti son più uicine, e spesse; e nel raro più sparte, e lontane fra di loro. Oltre à ciò il raro, e’l denso in due maniere considerar si possono, cioè, è per generazione non sendo la densità altro, che vna mutazion di maggior mole, in minore, e la rarita in maggior di minor mole: e in cotal modo son contrari corruttiui, perche son capaci di alterazione, e mutazione i corpi in cui si ritrouano tali qualità ò per creazione, e in questa maniera si ritrouano sempre a vn modo inuariabili, e inalterabili per sempre i corpi loro, per che non hanno contrario; e in questa guisa appunto sono i celesti globi incorruttibili. E se bene qualche contrario si ritroua nel Cielo, come pari, dispari, ec. Nulladimeno simili contrarietà non son corruttiue, come dice S. Tommaso. Non cominciando adunque il Cielo per generazione, il raro non è rarefattibile, ne il denso condensabile, ne per lo contrario il denso rarefattibile, e il raro condensabile. L'esperienza lo dimostra apertamente nella Luna il cui raro, e denso stanno sempre nel medesimo luogo, e immutabilmente, come nella via Lattea ancora, e nell'altre stelle, che son parte più densa del lor cielo, senza hauer fatto giamai niuna varieta. Ma io vi fò sapere vna cosa di più, accioche ueggiate, che non sono sdegnato contro di uoi, se ben m'hauete ferito, come si suol dire, con la lancia da Monterappoli, che pugne per tutti i uersi; anzi al contrario di uoi, uoglio adoperar la lancia d'Achille, che feriua, e sanaua nel medesimo tratto; ne douete hauer per male alcune piccole punture del senso, sè cagionan la sanità dell'intelletto. Onde potrete dir poi col Petrarca. Vna man sola mi risana, e punge. Sentite,e tenetene conto. Quando le qualità del raro, e denso del Cielo, e degli elementi fossero della medesima spezie, non per tanto non si argomenterebbe efficacemente per conchiudere, che il Cielo, e gli Elementi fossero della medesima natura sostanziale specifica. Alla altra obbiezion della contrarietà del lume, e delle tenebre la resoluzione è questa. O noi consideriamo il lume come congenito, e proprio; o come alieno, e accidentale. Se nel primo modo, la risposta va di pari passo con le precedenti del raro, e denso: se nel secondo; si risponde, che se bene il Cielo si può alterare, come la Luna, ciò è vero, d'alterazion perfettiua, quando riceue il lume del Sole, ma di alterazion corruttiua non gia. Ma perche nel Cielo non è, assolutamente parlando, oscurità, non si può di uero affermar, che ui siano semplicemiente contrari di chiaro, e di oscuro, se non impropriamente. onde non essendo veri, e propri contrari non possono altramente cagionar corruzion nel corpo celeste. E che in quel corpo trasparente non solo, ma eziandio nelle parti opache della Luna, non sia veramente oscurita se non in rispetto al Sole, alle Stelle, e all'altre parti del Cielo più, ò manco luminose, lo dice Auerroe, affermando la diafamita del Cielo, non mai ritrovarsi in potenza. ma sempre esser la natura sua in atto luminosa. E poco dopo vuol, che il Cielo non riceua mai oscurita, auuenga che ciò appaia nella Luna adiuenire per causa dell'eclissi, e per la diuersità de’ siti di quella col Sole, Impercioche non son propriamente tenebre, etiam che si concedesse la Luna esser fatta di natura trasparente, e non luminosa, e forse è d'amendue queste nature composta. Resta adunque, che il chiaro , e l'oscuro del Cielo non sian contrari, e massimamente contrari corruttiui, come vorreste di compagnia col uostro Cecco. Sentite di grazia, nel secondo del Cielo Auerroe, come egli si dichiara; ecco le proprie parole. Lunæ macula retius est, quod sit aliqua pars in superficie Lunæ, quæ non recipiat lumen à Sole secundum modum recipiendi aliarum partum , & hoc non est prohibitum in corporibus celestibus, quoniam, sicut in eis inuenitur illuminosum aliquo modo, ita oscurum, vt Luna. Vedete come apertamente inferisce, che sì come nel Cielo non è assolutamente il non luminoso, cosi impropriamente vi è l’oscuro. Se voi a dispetto del Mondo volete pur sostener, che la machina celeste sia composta de’ quattro elementi, e verificar fin l'iperbole de 'poeti. Cælum fretumque miscet. Non dite almeno, che non sian della fatta de'nostri, e, se pur volete cauarui questa voglia, non ci mettete Platone a parte, senza sua licenza: perciò, che egli non fu mai si tordo, che volesse fare a guisa del tordo. Che sibi mortem cacat, Come fate voi, che à somiglianza di quest'vccello vi producete il visco, e la pania contro per restarui preso. Ogni semplice huomo argomentera controui così. Se gli elementi di cui risulta il Cielo non son della fatta de nostri; adunque il Cielo non è corruttibile. percoche, le questi son corruttibili, quegli, che compongono il Cielo saranno incorruttibili, non essendo della natura di questi. Oh voi haurete ragione a dare il vacuo tra i nostri elementi, e’l Cielo, perche quegli altri elementi si son logori a fabbricarne così gran corpo, e vi e rimaso quel vano. Sig. Alimberto a voi tocca a far questa concordanza, e non al pedante; per che a sgrammaticar ben questa grammatica altro ci vuol che vn semplice grammatico; poiche, come vedete, se la celeste materia non è capace di corruzione, per non esser della medesima elementare corruttibile, voi haurete contrariato a le vostre conclusioni, mediante le quali sostente il Cielo posseder le medesime qualità, e passioni corruttiue de’ corpi elementari, e sullunari. Se voi seguitate cosi le cose passeranno appunto com'io dissi poco fà cioè, l'arrouesciate s'addirizzeranno di vostra mano senza ch'io mi c'affanni sopra. Platone sta di mal talento con esso voi, e non la può inghiottire: per che disse tutto il contrario di quel che gli attribuite. Egli vuol che il Cielo resulti del fiore, e delle delizie di questi elementi da noi conosciuti, e non d'altra sorte: ne perciò si credette, che per esser fatto di materia corruttibile egli non fosse altresi caduco, e mancheuole. Ma perche è stanza d'Iddio, e de beati, dice, Dio hauer detto. Natura vestra ( à i Cieli parlando ) estis dissolubilia, voluntate autem mea indissolubilia. Se voi haueste letto Platone, e non vi foste rapportato a Cecco, il qual voi dite, che io per disprezzarlo, o non intendere, non hò veduto, non rimaneuate gabbato. Che pensate, che i buon filosofi vadano per apparar le buone dottrine all'Aia, e al campo a ritrouare i pantaloni, e gli zanni per le piazze, per legger, e sentir le cicalare loro ? Questi modernuzzi non si leggon, se non quanto basta per attutir la loquacità di essi, e moderare il souerchio ardire. A quella purità, e eccellenza di mistione di elementi, di cui pur vorreste, che il Cielo fosse composto abbastanza haueua io nel mio discorso soluta ogni difficultà, senza, che da parte dell'autoreuole, arcicanonizato, e in vtroque, anzi c'e chi dice in quattroque addottorato Cecco di Ronchitti, mi steste a infastidir della replica, senza che v'habbiate aggiunto qualche nuoua manifattura. Ma di bel nuouo per leuarmi da gli orecchi questo fracidume di lui, e voi insieme, replico, gli elementi a patto veruno mai non poter mutar natura purifichinsi, e assottiglinsi quanto si vogliano, per che non lasceranno mai d'esser corruttibili (secondo le parti s'intende) e riterranno sempre le medesime qualità contrarie, e prima mancherebbon d'esser, che d'esser tali. A la Ah io la'ntendo voi non vedeuate il bandolo da suiluppar questa matassa di tante vostre contradizzioni, e per ciò vi risolueste a non ci dar di naso, pensando, che il gabban di Cecco vi ricoprisse, se la guerra, non s'attaccaua; perciò che altro non si sarebbe ricercato, e vi siete ingannato d'assai: anzi vi dò vn ricordo, che è in potestà di qualunque huomo il cominciar le risse, ma non già il finirle. Hor vedete quant'era meglio non andare innanzi alla cieca, e auuertire a quel passatoio, che non toccauate questa stincata. Mi ricorda in proposito, che vn giouane assai auuentato camminando di notte alla balorda, diede del capo vn buon colpo nella colonna (da cui prende nome la stessa via dou'ella è ritta) e stornato alquanto indietro, Ohi, diss'egli, perdonatemi, ch'io non vi haueua veduto (pensando, che la colonna fosse vn huomo) e non sendogli risposto, ne ricordandosi della colonna, come quegli, che temeua di peggio, riuolto al compagno, che seco haueua, disse, ch'ha egli risposto, ha’ tu sentito? Cosi hauestu sentito la percossa, soggions'egli, com'I ho sentito, la risposta: perdona più tosto tù alla tua scempiataggine; non vedi, che hai dato nella colonna ? Cecco, il padouano vostro cioè, non argomenta a sufficienza, perche supposto, che il Cielo fosse composto, di quattro elementi d'altra fatta, non perciò dir si debbe che per tal cagione e’ sia trasparente, conciòsiache il medesimo eziandio adiuerrebbe quando cotali elementi fossero della fatta de'nostri, come l'esperienza dimostra nelle gioie, che traspaiono, come che generate, e composte siano di tutti e quattro questi elementi. Ma altramente argomenta Platone. Impercioche vuole, il Cielo esser della natura elementare, perche è visibile, e tangibile; proprieta, che diuero son delli elementi, e delle cose resultanti di quegli. Bene, e vero, che principalmente di fuoco, e di terra afferma esser prodotto il Cielo, e secondariamente per ragion della vnità, e consolidazion delle parti ci aggiugne la mution dell'aria, e dell'acqua. Hora, che tali ragioni certamente non conchiudano di necessità, chiaramente si conosce: perche il semplice elemento della terra nel suo stato natiuo, lontano dalla miltione, si potra vedere, e toccare. Imperoche, diffondendosi in essa terra; lo splendor del Sole, verra per la sua opacita a terminarla vista; e per l'interuento del freddo, e del sacco sarà tangibile; e nulladimeno gli altri elementi saranno separati da quelli. Anzi che il cielo veramente, non è tangibile , per le ragioni, che si diranno a suo luogo. Nondimeno e da auuertire, che cessando il mouimento celeste le qualità tangibili saranno nelli elementi, e ne corpi gloriosi, quanto alla sostanza, ma non già quanto all'azione, perche saranno contenute per la forma della gloria, si come per la forma naturale, accioche non si dissoluano. Quanto a quel concetto, che attribuite al Copernico, se ben non è suo, ma di Heraclide Pontico, Niceta Siracusano, e Aristarcho, che voleuano solamente la Terra secondo sè, tutta muouersi velocemente in giro, e che voi con Cecco insieme hauete da sì lunghe tenebre cauato fuora per isciorinarlo in poco, acciò che non intigni affatto; prima, che io risponda fa mestier, ch'io sappia da voi se siete carne, ò pesce? Sò che mi risponderete, non potendo altro, con quelle parole che cita Varrone. Quid multa? factus suam vespertilio, negue in muribus plane, neque in volucribus sum: Conciosiache anche affermate il Cielo muouersi circularmente: e che è più strauanganza, volete che questo moto sia proprio del Cielo Empireo, e accidentale a gli altri Cieli, e cosi state in fra due, e non date ne'n Cielo, ne'nTerra. E che si, che queste, contrarietà vi mettono in briga trà uoi, e Cecco? Forse hauete discordato apposta per non esser due a far male, e hauete fatto peggio. A lo Scatenato da Perugia sù per la piaggia di sant'Ercolano, via molto repente, essendo ghiacciato, cadde precipitosamente vn mulo di molti, che ne guidaua, eroppe il collo; veduto questo gridaua lo Scatenato, discordia, discordia. Perche di tù così, gli fu domandato? Perche gli altri non s'accordin con quello, rispos egli. Ma voi vi siete accordati ambedue a far male, benche habbiate discordato. Pure perche vorreste in fatti conchiudere (come che habbiate la faccia di Proteo di mille sembianze) che mouendosi circolarmente la Terra, gli altri elementi, e’l Cielo; il Cielo conseguentemente fosse della stessa natura degli elementi, e che sì come quegli hanno il mouimentto retto, e’l circolare, cosi fossero i medesimi moti, e riuolgimenti nel corpo celeste, senza, che nascer ne potesse inconueniente veruno; io stimerei, che le efficacissime ragioni dell'eccellentissimo Astrologo, e filosofo Padre Clauio, poi che non vi acquietano quegli, che son solamente filosofi; vi bastassero senza più. Dimostrando egli la Terra per niuna maniera ne per sè, ne per accidente, secondo sè tutta muouersi. Oltre acciò l'esperienza il dimostra per molte guise euidentissimamente. Imperciocche non è egli uero, che per lo uelocissimo corso della Terra sempre apparirebbe, che soffiasse impetuoso vento opposto al mouimento di quella? Quegli, che di mira tirar uolesiero con archibuso, o balestra giamai non colpirebbono il segno, è à caso colpirebbono. Colui, che muouesse il passo dirittamente contro al rapidissimo volgimento della Terra; ò cadrebbe boccone, o farebbe i passi innanzi sciancatamente; si come qualunque huomo, che andasse il corso di quella secondando cadrebbe rouescio, ò vero andrebbe all'indietro caminando. Ma che stò io à dir più? Certamente non può esser se non sospetto di erronea dottrina, dicono autor grauissimi, quegli che contro la comune peripatetica, e Teologica scuola osa temerariamente stampare. E voi, che è peggio, vi arrischiate, a quel che molti, anzi tutti i famosi Astrologi hanno temuto d'affermare, cioe, che il Cielo sia corruttibile, i quali per non cadere (e voi medesimo il confessate) in cotanto graue errore si son per lungo tempo, e con assidue contemplazioni stillati il ceruello per ritrouar Epicicli, Eccentrici, Concentrici, e quanti deferenti, e somiglianti figure, e partizioni in quei globi celesti, per non esser astretti dalle varie apparenze a creder contro la verità, che la sù siano contrarietà, e alterazioni corruttiue repugnanti all'esperienza, poi che per tanti secoli sempre immutabile si è veduta la forma de corpi celesti, si che alle ragioni irrepugnabili dell'aristotelica dottrina omai inuecchiata, e comunemente riceuta, temerità sarebbe il contrastare. E forse, che, per aggrauarui più nell'errore, non hauete dato vna buona sbarbazzalata al Sig. Lorenzini, perche habbia messo mano contro il Padre Clauio, il Copernico, e'l Magino, per che sono autor famosi. E chi è più famoso d'Aristotele, per non parlar di tanti teologi da eui è seguitato, e pur non glie l'hauete perdonata? Voi vedete ben'il bruscol negli occhi altrui, ma non già la traue, che è ne vostri. Anzi, voi medesimo hauete contro gli stessi autori, come che tanto gli stimiate, audacemente parlato come dissi poco dianzi, è si mostrera non ci andrà molto quanto senza ragione habbiate ciò fatto. Per vostra fè, chiv'ha fatto non solamente il priuilegio di poter censurare, e scriuer contro cui vi piace, ma che possiate a vostro talento anche negarlo a gli altri? Le vostre aggiunte, che hauete attaccate a queste proue della corruttibilita; fatte dall'onnipotente intelletto Ronchittico, in cotale inconsiderazion quinta; di vero assai peggiori della mala derrata, che ne ha fatta Cecco, son queste. C. Prima, doue son contrari atti nati à farsi nel medesimo subbietto, e nel medesimo tempo incompatibili insieme, quiui di necessità si ritroua generazione, e corruzione. Ma nel Cielo vi sono il raro, e'l denso. Lo dice oltre all'autore Alberto Magno, non senza l'autorità di Aristotile, poich’e’ vuole, che le stelle sieno vna parte più densa de’ Cieli. Vi sono il chiaro, e lo scuro, il chiaro e manifesto, perciocchè si veggono le stelle, e i pianetti risplendenti. L'oscuro poi non si vede egli palesemente negli ecclissi della Luna ? Questi son contrari atti nati, ec. adunque. R. Delle contrarietà del raro, e del denso, che nel ciel si ritrouano si è detto quanto fa di mestiere; ma per integnarui questo di più, si aggiugne, che Auerroe dice, la rarità, e densità celeste conuenir con queste sullunari equiuocamente, cioè in nome; come per esemplo il Sole dipinto, e il Sole del Cielo, ò uero il can celeste, e'l can terreno, che non hanno commune altro, che il nome. e per ciò tali qualità nel Cielo non son contrari corruttiui. C. Si conferma la minore, poiche nel Cielo vi è moto, vi è ancora la quiete, laquale semplicemente secondo Aristotile è contraria al moto. Il moto è chiaro; ma che la quiete vi sia, l'affermano tutti gl'Astronomi con Aristotile, quando dicono i poli della machina celeste essere immobili. E’ quantunque Auerroe conoscendo ciò essere contro à suoi assiomi, cercasse accordar Aristotile, e prouare'l contrario, con tutto questo per essere state le sue ragioni sottilmente rifiutate da Gio. Battista Capuano à lui in cotal fatto per breuità mi rimetto. In oltre lo confesesa il nostro Colombo con tutti i Teologi, dando il Cielo Empireo senza moto alcuno. R. Io vi fo saper da parte d'Aristotele tutto il contrario, se bene il vorreste far dir come uoi, ma egli non è Pasquin di Roma. Imperoche, ò uoi parlate di quiete impropriamente presa, e questa non fa approposito, ò intendete di propria quiete, e questa non è nel Cielo; conciosiacosa che dica Aristotele. Tunc enim dicimus quiescere, quando, & in quo Aptum natum est moueri non mouetur, quod aptum natum est. Ma i poli della celeste machina sono immobili, e non atti a muouersi, e'l Cielo empireo altresi; adunque non si può dir che propriamente sia quiete nel Cielo, poiche non si dicon quietare quelle cose, che non son mai state mobili. Oltre a ciò il corpo celeste non è capace di contrarietà di moto, e di quiete; impercioche la sua forma, si come non inchina, effettiuamente al moto, cosi ne anche alla quiete; onde non gli può esser violenta, ne contraria. E Aristotele dice. Non esse pertimescendum ne celestia corpora stent: e soggiugne, Quia non inest eis potentia contradictionis,vt moueantur, et non moneantur. E perciò quando nel luogo da voi citato dice, che il moto, e la quiete son contrari non parla del Cielo. Ma come al Ciel conuenga la quiete, ecco il medesimo Aristotele: con queste parole. Vnde, & sphera quodammodo mouetur, & quiescit, cum eundem occupet locum. Sì che basta, che egli si muoua circa il luogo, cioè d'intorno al centro, e quieti nel medesimo luogo, poi che mai non si parte secondo se tutto dello stesso luogo. Onde impropriamente si quieta il Cielo. In questo sentimento fece l'impresa sua il Cardinale Don Luigi da Este, lagual'era vna Sfera, ò Orbe celeste, il motto , In motu immotus. E ben veramente l'impresa, egli s'impresse nell'animo, poiche, come dice Torquato Tasso, nel dialogo dell'Imprese tra i mouimenti della fortuna, e delle guerre, stette sempre immobile, e costante appunto come sta la mia dottrina al combatter della vostra. Bisogna pesar ben le parole d'Aristotele, quando volete citarlo, accio- che non ui diate della scure sul piè, facendo col citarlo contrario officio, come vi è accaduto spesso. Hauete guadagnato ben assai ad ogni modo, posciache non ui abbisognerà per tal conto leggere il Capuano. imperciòche la guerra tra lui, e Auerroe non ha che far col fatto nostro. Oltre a ciò, se nel Cielo Empireo fosse propria quiete, farebbe di mestier, che nel medesimo corpo si ritrouasse anche il moto, e non in corpo alieno, a uoler che fossero in esso Empireo contrari il moto, e la quiete. C. Anzi che per questa via ancora si scorge, che Aristotile non stimaua assurdo il dar al Cielo sì fatta quiete, conciosiache è chiaro, che egli necessariamente douea presupporre un simil corpo immobile; poiche egli attribuisce il destro, e'l sinistro al Cielo dicendo il destro di esso esser l'Oriente, e’l sinistro l'Occidente, non solo rispetto à noi, ma anche per sua natura, la qual differenza di posizioni in niun modo si può saluare, essendo tutte le sfere mobili, auuegnache inesse la parte, che ora è destra, fra poco è sinistra. Argomentando adunque bisogna, che egli s'imaginasse vna sfera, e un cielo quieto fermo, e stabile. R. Sapete, come è chiaro come l'acqua d'Arno quando vien grosso. Aristotele pone il destro, e sinistro senza fallo veruno nel corpo celeste fermo, e immobile, se voi sapeste conoscerlo, come che queste condizioni non facciano lassù quella quiete, che voi andate cercando, e perciò trouate miglior via, che questa non è la buona per quietare la vostra inquietudine. Sentite. Est orbi procul dubio virtus diuersa scilicet dextra, & sinistra quoniam sunt ei loca inceptionis, et status ex opere factionis sua. Adunque bisogna dire, che auuenga che’ il destro, e sinistro significhino gli estremi della latitudine, nondimeno non disegnisi solamente quei termini, ma che habbiano relazione ancora al moto: Onde niun corpo propriamente potrà dirsi hauer destra parte, e sinistra se non quegli, che hanno diuersità di influenza dal motor suo, ciò è prima, e più efficacemente da vna parte, che dall'altra. Imperoche non la pietra, non la pianta, ne la statua propriamente si può dir che habbiano la destra, e la sinistra, se non metaforicamente, e per similitudine; e questo perche non hanno il motore intrinseco, o congiunto da potersi muouer da luogo à luogo; ma gli animali, che riceuono l'influenza del motore più in vna parte, che nell'altra, e che di luogo à luogo si muouano; veramente si dicono hauer la dritta, e la manca parte, perche la virtù del cuore, sendo più potente nella banda destra, che nella sinistra, cagiona intrinsicamente questa diuersità, che non si varia per mutar di luogo; e perciò è propriamente, e non per similitudine attribuita la manca, e la destra parte a gli animali: Onde Auerroe dice, che il piè sinistro dell'animale si muoue per accidente, e il dritto come principale; e che quando il destro piede si muoue il sinistro ha per suo proprio officio sostenere la mole del corpo. Hora anche nel Cielo si ritroua la destra, e la sinistra propriamente, ma non già vniuersalmente, poscia che non tutti gli orbi celesti muouono, come il Cielo Empireo. La qual destra, e sinistra nasce dalla virtù del mottor congiunto; e perciò disse Aristotele Virtus diuersa, Perche donde è il principio del moto si piglia per la destra parte; conciosiache il motore influisca secondo la sua disposizion principalmente dall'Oriente, nella qual parte di Cielo sempre vniformemente, e in qualunque parte di Cielo volgendosi giunga, quiui più immediatamente, e più prestamente riceue l'influenza, che l'altre parti non fanno. Onde soggiunge Aristotele. Quoniam sunt ei loca inceptionis, & status ex opere factionis suæ. Bene è vero, che questa differenza è tra’ l Cielo, e l'animale, che questo ha il motore intrinseco, e unito à sè; e quegli l'ha estrinseco, e non vnito; sì che il destro negli animali, e il sinistro pone distinzion nelle parti di essi animali di maniera, che quella che è destra, e sinistra vna siata sempremai tale si conserua perche opera vniformemente secondo l'influenza del suo motore: ma nel cielo la destra non si muta con le parti mobili di esso corpo, impercioche quella disposizion non è assoluta, non sendo animato il Cielo, ma hà relazione all'influenza del motore, che riman sempre quiui in quella parte fissa. E auuertasi, che se bene ho detto la destra esser l'Oriente secondo Aristotele, e gli altri filosofi fondati in questa ragion, che il moto, incominciando , hauria principio da leuante, come destra del Cielo, posciacne il Polo Artico è quelgli à cui dobbiamo uolger la faccia, perche è palesato à cotal fine al nostro emispero; non mi è nascoso, quantunque poco al nostro proposito rileui, che i Teologi prendan per destra parte l'Austro per voltar la faccia all'Oriente, come le nostre Chiese imitano, rizzando a quella parte l'altar maggiore: e che gli Astrologi tengan per la dritta banda l'Occidente, atteso che risguardano il Sole a mezo giorno: e che finalmente i Geografi affermino la parte destra essere il Settentrione, allegando, per ragion, che il più alto polo è il dritto, volgendo la fronte col Sole all'Occidente. Sì che pigliate per destra parte qual vi piace più, che tra noi non ne sarà contesa, come accadde a quel segretario, che sendo sopra vn ponte stretto, che non haueua appoggio dalla dritta mano, uolle dar la destra da galant'huomo al Principe con cui era. ma'l buon Principe disse, io ui baccio la mano del fauore, per questa volta noi uogliam riconoscer la vostra serui tù, però andateci uoi. Ma torniamo a bomba. C. Secondo, Doue è violenza, none durabilità, ma nel Cielo è violenza; poiche il primo Mobile rapisce le sfere inferiori al moto diurno Preter naturam, e quello che è preter naturam, è violento, trouandosi la violenza secondo Aristotile douunque la cagione e origine u.g. del moto è esterna. Se adunque vi si ritroua il violento, vi sarà l'instabile, se questo l'alterabile, adunque il corruttibile. R. Questo argomento è della medesima stampa del passato. Quando considero l'arrischiate sentenze, e parole, che vi lasciate scappar di bocca, non posso non mi ricordar d'vn faceto huomo, che vedendosi correr dauanti vn giouane di gambe sottilissime, facendo marauiglie disse per certo costui fa miracoli. Io dimandando perche? Rispose, perche egli corre su due cannucce, e non teme di romper si il collo. Cosi voi andando sopra fragili cannucce di sofistiche argomentazioni, che gran fatto è che elle si siano sgretolate sottoui, senza che habbiate conchiuso nulla? Chi non sa che doue, e violenza non è durabililità? ma che nel Cielo sia violenza, questo si nega; e la ragion della negazione è perche non hauendo il corpo celeste inchinazione, e attitudine al moto, ne alla qui te; ne repugnanza all'vno, e all'altro, si che quieti, o muouasi, ne l’vno ne l'altra gli sien contrari; ne seguita chiaramente, che lassù non sia violenza, come disopra si mostrò, per le parole d'Aristotile. E hauete così presto leuato la credenza, e l'opinion dal Clauio, che hauete riuolto mantello, e non seguitate il suo parere? Egli è pure Astrologo eccellente; e nulladimeno non vuole, che il moto del primo mobile sia violento (si come il nouero di tutti i famosi affermano) in niuna maniera a gli altri Cieli sottoposti. Auuertite, che Aristotele citato da voi non intese mai nella fisica, o altroue, del moto del Cielo, parlando di moti contrari. E chi v'ha insegnato interpretar queste parole Præter naturam? il proprio significato loro è sopra, e fuora di natura, ma non già contra natura, se bene alcune fiate si prendono per contra natura come ha fatto lo stesso Aristotele, e poco appresso il dimostrerò. ma perchè, se non si caua dalla necessità del concetto, non si debbono mai intender tali parole, per significanza di contrarietà in Arist. Guardate a non esser tanto ardito nella interpretazion delle voci, che vi accada come a quel saccente medico, che leggendo nella cattreda di Padoua quelle parole Iugulare febrem usque ad animi deliquium, Che i Medici uoglion, che in alcuni febricitanti sia efficace rimedio, ciò è farsi tanta, estrazion di sangue, che l'infermo voglia cominciare à venir meno, e vulgarmente si chiama scannar la febbre; interpretaua altramente, cio è inclusiue, e non exclusiue; e con parole gonfie, e gloriose inuitò i suoi vditori a veder l'esperienza, che voleua senza fallo lasciar l'infermo netto dalla febbre alla presenza loro. Andarono; egli incisa la vena lasciò vscire il sangue, e l'anima; e quando si pensò che fosse suenuto (il che non douea fare) lo trouon morto. E cosi in cambio di scannar la febbre, scannò il frebbicitante, per voler dar senso storto a quelle parole bene intese da gli altri. Così a voi, vengan pur (se n’hauete niuno) i vostri studiosi scolari; rizzinsi in punta di piedi, e faccian calca allegramente per vederui medicar la filofofia d'Aristotele, che scorgeranno da i termini male intesi suenata, suenuta, e morta per voi la verità della aristotelica dottrina. Mauri habbiate questo ricordo da me per verissimo: che quando volete per detto d'Aristotele affermar qualche cosa secondo il vostro parere, mai non darete in nulla, se non lo citate ne’propri luoghi doue tratta quelle materie prinicpalmen- te, o vero che parlandone altroue si dichiari in guisa tale, che non vi habbia più vero sentimento di quello; e dico ciò perche Aristotele è stato mirabile in questo particulare di hauer trattato di tutte le materie a’ propri luoghi con ordine, e metodo squisitissimo, non confondendo mai la natura d'vna cosa con l'altra. C. E questi con sì fatti argomenti, che a’ lor luoghi in altre considerazioni si proporranno haurebbe mi penso l'Autor nostro pagate à peso d'oro per palesare col risoluerli la sottigliezza del suo ingegno, e la profonda dottrina nella vera filosofia. R.La sottigliezza del mio ingegno ci ha bisognato pur troppo più, che sè haueste adoperato argtue, e dotte impugnazioni; perciò che à rimettere ingangheri vna scrittura, che hauete cotanto mal trattata, e scompigliata, e stròppiata nelle parole, nell'ordine e nella materia ci vorrebbono appunto quegli anni di Nestore, che dite voi alla 14. Considerazione; e ad ogni modo per l'incapacità dell'opera stessa si sarebbe fatto la meta di nonnulla. Dite vero son questi quei concetti, quelle gioie da pagar a peso d'oro? Accadde non ha molto tempo, che fu ueduto vn’auaro murar in certo luogo segreto vn tesoro, e poscia vi lasciò scritto per ritrouarlo Est hic, ma subito che fu partito quegli che vide il cauò, e rimurata la rottura, scrisse Non est hic, perche l'haueua rubato; ma io lascio scritto Non est hic, perche non l'ho trouato. Pigliate questo tesoro da me, che non è falso, e vale assai, se lo conoscerete, e farà ualer voi. Leggete non Cecco, mai buoni filosofi, che ui trouerete sciolti tutti i dubbi, che vengono, ò possono uenire à quegli che fanno del capriccioso. Discorso. Dico adunque, che conciosiache la materia delle cose inferiori sia cosi dalle forme informata, che elle, come continuamente si vede, si possono da quella separare, posciache, se vna forma si corrompe, altra forma immediatamente soprauuiene; cosa che veramente alla meteria celeste accader non si vede: Quindi è che il Cielo, e gli Elementi della medesima materia non sono. Considerazione sesta. Ecco vn'argomento per la incorruttibilità de Cieli, cauato dalla diuersità della materia elementale, e celeste in questa guisa. In terra si veggono seccar baccelli, fiorir cetriuoli, nascer cauoli, e insieme corrompersi tanti animali. Di questi effetti niuno se ne scorge in Cielo, adunque la materia del Cielo è diuersa da quella di questo mondo inferiore; Onde, se questa è corruttibile, e alterabile, ne seguita, che la celestiale sia al tutto aliena da queste passioni. Risposta. Quantunque in tutto il mio discorso non habbia mai fatto menzion di baccelli, come voi, chi dirà, che lassù facciano queste cose, altri che Alimberto Mauri? Signori lettori stiamo allegramente, che, se in Cielo fanno i baccelli e in terra faranno le stelle; poiche gli elementi, e'l Cielo son d'vna medesima natura. Questa considerazione e piena, come dice lo Spagnuolo, di parablas, & plumas; O forse più veramente si può dir, che uoi fate, come le piante saluatiche, le quali, ò non fanno frutti, ò gli fanno cattiui. Egli faceua mestieri, che rispondeste prima alle ragioni artistoteliche dimostranti la diuersità della celeste materia dalla sullunare; quindi doueuate gittare i vostri fondamenti, e prouar, che il Cielo fosse della stessa natura elementare, e conseguentemente vi si generassero nuoue stelle, e nuoue forme. Il Bannes sopra la prima parte di San Tommaso afferma, che, e secondo l'autorità, e secondo le ragioni dell'vna, e dell'altra scuola filosofica, e Teologica, e per gli esempli manifesti; si debba tener per certissimo la materia celeste non esser della natura della materia elementare, e che in maniera veruna credersi dee, il Cielo esser corruttibile, e che le proue, e argomenti fatti d'intorno a ciò sono indissolubili, se gia chi che sia temerariamente non si mettesse a negar la comune, e da ogn'vno riceuuta filosofia. E Alessandro de Ales dice, che questa materia inferiore non può esser comune con la superiore, percioche l'vna non si risolue nell'altra, ne ambedue costituiscono vna terza cosa. Che più ? l'antichissimo lamblico per testimonio di Proclo da diuine spirazioni illustrato cosi scriue. Quomodo ergo vapor quispiam terrestris, qui ne ad quinque quidem stadia à terris tollitur, quin defluat rursus in terram, poterit appropinquare Cœlo, aut alere orbiculare, & immateriale corpus, aut afficere ipsam omnino ulla , vel macula, vel passione ? Quotus quisque enim confertur corpus ætereum esse extra aleam omnium contrarietatum alienumque ab omni permutatione alterationis, & purum ab omni potentia trasmutationis inquid vis, imò esse etiam absolutum penitus ab inclinatione ad medium, & à medio. O queste sole parole dourebbeno leuare ogni vostra ostinazione, e renderui soddisfatto. Oltre acciò proua Aristotele benissimo, che il Cielo sia contento sotto la prima forma. Imperoche nel primo del Cielo uuole, che quel corpo non possa acquistare accrescimento, ne per via di nutrizione, ne per semplice aggiunta conuertendo la cosa nella sua natuta, come fa il fuoco, o trasmutandosi come fa il cibo nella sostanza dell'animale, perche in qualunque di queste due maniere è necessaria l'alterazione; e cosi adiuerebbe ancor se al Cielo si leuasse, e diminuisse qualche particella. Hora l'alterazione è moto, che tende alle qualità contrarie, e corruttiue mouendosi l'alterato da vna qualità in vn'altra contraria, ma nel Cielo non son queste contrarietà corruttiue, come si è prouato; adunque non riceue nuoue forme, ne muta mai la sua forma primiera. E dice di più, che eziandio fino i barbari fanno testimonio antico, il Cielo essere incorruttibile, mossi da l’esperienza, che non habbia mai mutato forma per detto ancora delli Astrologi. Aggiunge, che i mouimenti semplici non sendo più che due retti, e vn circulare; e ogni corpo semplice, hauendo vn solo mouimento proprio; e il circulare essendo in Cielo, e non hauendo moto à se contrario; ne seguita che ne anche il Cielo habbia contrario, e che non sia corruttibile, e quieti sotto vna medesima forma, e il medesimo proua con sottili, e belle ragioni Alberto Magno, mostrando,che è necessario darsi vn corpo semplice, à cui sia proprio , e naturale il moto circolare, e questo proua essere il Cielo. E al capo quinto proua, che il Cielo mediante il moto circulare è necessariamente corpo innanzi a i corpi elementali: onde non può altramente esser della natura di quegli. Il diuin Tommaso ancora vuole, che la celeste materia sia inalterabile, ne a patto veruno alla priuazion delle forine soggetta ritrouarsi. conciosiacosache la sua prima forma habbia resa perfetta la potentialita, dic'egli, della materia. Onde in quei corpi celesti, non sendo mutabili, secondo l'esser sostanziale, non ui si posson generarnuoue forme. Oltre acciò si proua, perche quelche riduce le cose diuerse alla concordia è di natura diuersa da qualunque di esse cose. Ma il celeste influsso cagiona la conuenienza degli elementi (come che contrari siano fra di loro) à generare i corpi misti ; adunque il Cielo non è della natura di quegli. C. Ma sento da non sò che bisbigliarmi nell'orecchio. Oh se l'Autore non vuole, che le stelle della prima grandeza, le quali sono maggiori della terra più di 107. volte, si possano vedere senza occhiali, come saprà egli mai se lassù lontano anco da noi 100. miglia cose tanto piccole vi nascano, ò vi si corrompano; poiche la lontananza di venti miglia ancora ci fà perdere di vista le montagne, non che le quercie, e i faggi. Risposta Voi cominciate molto a buon hora a dar buon conto de vostri zeri, e abachi straordinari, e tale è la strauaganza, che non trouate pur minimo autor da citare in confermazion di quegli. Che, non si vogliono forse impacciar col fatto vostro ? Non vi dau'egli il cuor di trouar qualche scioperato, che non hauesse ricapito da altri? Il Tinca, che s'era vna volta accordato per vn paio di calzoni di velluto a confermar per vero, ciò che d'istorie hauesse detto il dottore Strafalcia; alla presenza di buona brigata, vn dì quando senti dirli; nel paese di Malacca le zanzare vi son cosi fatte, che forano in fin l'armadure; senza indugio mise mano a dilacciarsi le stringhe, gridando to quì, to qui i tuoi calzoni, e rendimi la mia liberta, che questa è troppo solenne a confermarla. Così addiuerebbe a voi; chi mai farebbe testimonio, quantunque hauene taciuto, quando diceste, che le stelle della prima grandezza son maggiori della terra, 107. volte, se bene non son più, che cento sei incirca; che dalla terra all'orbe Lunare fossero cento miglia. Per mia fè, che l'error non è d'vn zero: quest'e vno strafalcion, che val degli zeri, e delle miglia più di millanta, che tutta notte canta; disse Maso a Calandrino. Non è astrologo, che non dica esserci più di cento mila miglia di quì alla Luna, ben che discordino d'alcune migliaia, e centinaia. Impercioche altri vogliono, che ci habbia cento sessanta mila quattrocento venti sette miglia; altri cento trentacinque mila trecento cinquanta. Ma forse haurò il torto io, perche al paese del Mauro, doue è chi fà veder vn morto andar vn cieco, le cose debbono per lui andare a rouescio di qui. Vostro danno, non hauesse spregiati i miei occhiali: bisogna, che i vostri fossero occhiali da fumo più tosto, che da veder lontano. C. Opposizione di vero, per la quale appreso gli intendenti l'autore perderebbe qualche poco di reputazione. R. Oh Oh, voi fate appunto come chi tosa il porco, assai romore; e poca lana. C. Se io non ricordassi loro, che egli è Astrologo sopranaturale, onde egli ha potuto benissimo indouinare, se lassù si facciano, ò nò queste bagattelle di corruzione. -R. Mi par vederui in viso ; e che per vergogna habbiate le guance rosse come di fuoco; Di grazia fate anche voi come la pina, che posta nel fuoco s'apre. apriteui alla libera, e dite; certamente, io sì, ho perduto quel che il Colombo non hà, se non per mio creder, posto in pericolo già mai. Discorso. Oltre acciò il mouimento celeste diuerso da quel de gli inferiori corpi essendo ; imperoche egli è circulare, e quello è retto; diuersa altresì deue credersi la natura loro. Anziche, se il Cielo fosse della medesima natura di quegli alcune volte sarebbe dal moto dell'elemento predominante alterato. Aggiugnesi, che, hauendo luogo il Cielo sopra tutti gli elementi, verisimile è, che la sua natura sia di gran lunga diuersa da quella. La stessa operazione distinte nature eziandio tra il Cielo, e gli elementi manifesta. Impercioche egli è uniuersale agente, e regolatore di tutti gli altri mouimenti; e la uirtù sua in ogni cosa inferiore influisce, e moderanza, e temperamento nella mistione, e nell'alterazione induce, e uiuifica, e conserue qualunque cosa con la sua azione. Cose tutte , che l'eccellenza del Cielo acconciamente ne dimostra auanzar di gran lunga la natura del mondo elementare. Considerazione settima. Ecco un'altro argomento per la stessa incorruttibilità, cauato dalla diuersità de mouimenti celesti, e sullunari: Ma io non mi posso tenere di non addurre à questo proposito alcuni schiamazij fatti da certi moderni filosofastri, che con questi principij, ciò è prouando i moti de corpi superiori, e inferiori essere i medesimi conchiuggono tutto il contrario & c. Risposta. E pur li. Aristotele con tutta la scuola della filosofia, e Teologia, prouano questa diuersita di mouimenti, e da questi la diuersità della natura di tali corpi celesti, e elementari: e hanno con dimostramenti efficacissimi, a tutte le obiezioni risposto, e soluto gli argomenti contrari, che non ce ne resta pur uno da far di nuouo, che ridiculoso non fosse. E uoi ad ogni modo facendo come dice lo spagnuolo, de trippes corazzon, hauete senza riprouar le ragioni d'Aristotele, o prouar con nuoui argomenti il contrario, uanamente co'uostri filosofastri atteso a brauare assai, ma non conchiuder nulla. C. Primo i poli del decimo Cielo si muovono per vna linea retta, o voglian dire un certo arco grande 24 primi scrupuli, essendo tutto il circolo parti 360. vengono di nuouo a ritornare - per la medesima linea: e per questo effetto da gli Astronomi cotal mouimento s'appella, oltre all'usato nome, Accessus, & Recessus, ancora Motus in Diametrum. Il medesimo dico della nona sfera. Se adunque dalla diuersità de mouimenti si dee arguire alla diuersità de i corpi mossi , in vero, che il nono e’ l decimo Cielo auranno la natura stessa de gli elemeti, poiche il moto retto à tutti è comune. Onde se questi corruttibili, e alterabili, quegli altresì corruttibili, e alterabili. R. Io m'accorgo, che hauete bisogno del Leone. Il Lupo rimprouerò vna volta la codardia della Lepre: ella lo sfidò a battaglia: comparirono in campo: il Luppo arrotaua i denti; la Lepre si nettaua le zampe, e veduto il tempo si mise la via fra gambe à più potere, e ancor corre; il Lupo ancor s'arrota i denti. Volet'altro, che il compar Leone, che sedeua pro tribunali, diede la sentenza in fauore alla Lepre, dicendo, che il suo modo di guerreggiare, era il fuggire ? O eccellente Matematico, che direte adesso: non ci fate più del brano a dosso, e dell'astronomo; per certo, che egli non vi giouera il fuggire. Voi dite pure alla considerazione octaua. Imperiocche essendo falsissimo, che al moto circolare, come dice Aristotele, si ritroui contrario alcuno. E cosi rifuggite dal sostener la pugna interpresà . Ben son'io chiaro, che voi gustate in pelle, in pelle questa faculta astronomica, posciache non conosciate ne uoi, ne i uostri filosofastri, che quei mouimenti obliqui, e retti cotali appaiono per causa della diuersità de poli, supra i quali si girano le diuerse sfere per vari mouimenti, e per lo rispetto, che hanno i diuersi Climi col Cielo, donde i riguardanti veggono, chi retto, e chi obliquo il moto del Sole, e dell'altre stelle, e sfere celesti. si che la verita è, che qualunque mouimento di cielo, secondo se tutto, a cui guardan le parti, è circolare, continuo, uniforme, e inuariabile. Alimberto appoggiateui al parer d'Aristotele, e crediate, che quelle apparenze di rettitudini, e di contrarieta, d'obliquita, e di moto in diametro, son ciascuna da per se vere circulazioni senza contrarietà veruna; e non tenete più il ceruello a girar fra quei giri. Ecco Aristotele, che proua, niun moto esser contrario al circular, e voi, contradicendoui ancora, come dissi test è, affermate lo stesso alla considerazione ottaua. Primieramente, adunque, dimostra il moto retto non esser contrario al circolare, dicendo. Il moto retto, solo al retto, è contrario, perche, se fosse contrario anche, al circolare, due mouimenti sarebbon contrari a vn solo. Che i moti fatti sopra linee rette sien contrari, è manifesto, perche i termini loro son contrari, a quali essi tendono, come è il centro, el Cielo, che son grandemente distanti qual si ricerca a’ ueri moti contrari. Di piu dice, che ne anche i moti circolari son contrari fra di loro. Imperoche tal contrarietà si può giudicare, che in vno di questi quattro modi accada. Il primo. Se si dicesse, che il mouimento, che si fa sopra vna linea circolare fosse contrario al moto, che si farebbe opposto a quello, tra i medesimi punti sopra, ò sotto la detta linea. Secondo. Se contrario si stimasse il moto su per vn mezo circolo a quello, che per lo contrario andasse sopra il medesimo semicircolo. Terzo. Se contrariar si reputasse il moto per lo semicircolo d'vn circolo intero al contrario d'altro moto, che si facesse su per l'altra parte del circolo. Vltimamente; Se chi che sia ponesse, che il moto fatto per l'intero circolo da vna parte fosse contrario al moto fatto per tutto lo stesso circolo dall'altra parte. Ma in veruno di questi modi può nascer la contrarietà; adunque non può moto circulare ad altro circolare esser contrario. Proua cosi la prima parte del suo proposito; perche, essendo che in fra due punti si possan disegnare infinite linee circulari, ne seguiterebbe, che a vn solo moto infiniti i moti contrari fossero, conferma la seconda parte; impercioche, a voler, che i moti sian contrari è necessario, che i termini sian grandemente distanti, fra di loro; e questo non può esser, se non nelle rette linee non già nelle piegate, e curue, perche ogni misura debbe esser certa, e finita, e minima. Hora in fra due punti la misura della retta linea è certa, e determinata, perche non può esser, se non una ; è la minore de tutte le linee, che tirar fra due punti si possano, conciosiache, potendosi disegnare infinite linee curue fra due medesimi punti, delle quali ciascuna saria maggior della linea retta, ne segue, che, ricercandosi alla contrarietà grandissima distanza, e la distanza si misuri secondo la retta, e non secondo la curua linea; i moti, che si fanno per i semicircoli, non si dicano hauer vera contrarietà. E con questa ragione stessa rimane ancor prouata la terza parte. Sì ancora perche le porzioni delle quali si fa l'intera circulazione, potendo farsi continue, non possono uicendeuolmente contrariarsi. Aggiugne, che, auuenga che le dette parti di moti fossero contrarie, nulladimeno non si dee per questo concedere ne' moti circolari ritrouarsi contrarietà. Impercioche, cotal contrarietà di parti non è bastante a far, che i semplici mouimenti contrari s'appellino. Persuade la quarta parte, primieramente, perche il moto, che hà contrario ricerca i termini fra di loro contrari, ne tali son quegli che si fanno per tutto il circolo, cominciando dal medesimo punto doue ritornano. Di più conferma lo stesso, dicendo che, se a’ detti moti fosse contrarieta, bisognerebbe, che nel circulo si disegnassero luoghi contrari. Hora nella retta linea si disegnano solamente due luoghi contrari, che son grandemente distanti; ma in qual si uoglia punto del circolo si può pigliar grandissima distanza, tirando da vn punto del circolo vna retta linea a vn'altro punto diametrale, che sarà delle rette linee la maggiore delle cadenti nel circolo. Adunque, conciosiache quelle cose, che per contrari moti si muouono debbano acquistare i luoghi opposti, Sara necessario, se il moto circulare si contraria al circulare, che l'vno, e l'altro corpo in giro volgendosi, da qual si uoglia parte, che a mouersi cominci, egli peruenga a tutti i punti del circolo, che son tutti come è detto contrari. Ma da queste cose ne seguita quell'inconteniente, che disutile sarebbe stata in ciò la Natura, e Dio. Imperocche ò quei corpi haurebbon forze uguali, ò nò. Se uguali; adunque l'uno, non superando l'altro, ambedue resterebbono immobili. Se l'uno uincesse l'altro; quello solo si muouerebbe; e cosi non otterrebbe qualunque corpo suo il moto, e la sua operazione, come fine di quello. Ne è contro à questa dottrina quel, che dice lo stesso Artistoele, ciò e, che i moti, che si fanno nel circolo sien contrari, facendosi alle parti opposte : ne anche dicendo nello stesso libro, che il mouimento fatto per semicircolo da A, in B, non si possa continouare col moto opposto da B, in A, contrariandosi cotali moti fra di loro. Impercioche Aristotele, non solamente s'intende de mouimenti, che nello stesso corpo circolare contrari si fanno; conciosiache repugni, che due moti diuersi nel medesimo tempo, e nel medesimo corpo li facciano senza quiete; ma egli medesimo si dichiara dicendo, Non enim idem est circulo ferrie, & secundum circulum. Doue tutti gli interpreti, e in paricular San Tommaso espongono, che uuol inferire Aristotele, ch'il muouersi circularmente si fa con moto continuo, e per ciò non ha contrario. E che il muouersi secondo il circolo, il moto, non sendo continouato, ma reflesso, perche ritorna per la stessa uia, eziandio, che egli sia secondo il circolo, è contrario come quel che si fa sopra retta linea, quando i moti si fanno a i termini opposti: Oltre acciò il Collegio Conimbricense, e altri affermano, che quella uoce [contrarium] e presa da Aristotele, in quel luogo largamente, comprendendo qualunque maniera di contrarieta, e repugnanza. perche non son quegli propri luoghi doue de’ moti celesti si dee propriamente, e co’ propri termini strettamente disputare. E l'Angelico S. Thommaso risponde a tutti gli argomenti, che fà Gio. Grammatico, altrimenti detto Filopono, nobilissimamente, e leua ogni difficulta; anzi che Auerroe dice, che Aristotele sia di parere, che i moti contrari nel Cielo si diano solamente in astratto, e imaginariamente, sendo impossibile, che tali moti contrari nello stesso corpo veramente si trouino. Si che, non hauendo contrari la materia del Cielo, si risolue, che in veruna maniera non è corruttibile il corpo celeste, ne della natura elementare, ne generar vi si possono nuoue forme. Anzi vogliono i Teologi, che non solamente niuna possanza, e virtù naturale sia basteuole a far della superior materia, e dell'inferiore vna cosa stessa; ma ne eziandio si possa per virtù diuina ciò fare. Conciosiacosache l'inchinazion dell'vna, e dell'altra materia, essendo la stessa natura della forma di ciascuna, e l'inchinazioni siano diuerse; diuerse altresì debbano essere le nature de i corpi loro; e prima mancherebbon d'essere, che vnir si potessero le nature di essi. Hora, perche i vostri argomenti non rileuan cosa veruna, come uedete , quegli scrupuli, che diceuate vi haranno lasciato più scrupuloso, che mai. C. Ma à questo l'autor potrebbe forse rispondere con l'autorità d'Auerroe, ilqual proua non ritrouarsi nel Cielo moto retto, perche ne seguirebbe (dic’egli) la corruttibilità di esso. R. Douereste dire adunque con la ragione, che vale assai più, e non con l'autorità, poiche egli il proua. C. Ne s’auuede, che col fuggire vn solo inconueniente. R. A voi che siete auuezzo a darne molti, vn'inconueniente pare vna fronda di porro, non sapendo, che quegli, che ben non affibia il primo bottone gli affibbia mal tutti. C. Cade in mill’altri assurdi. R. Assurdi son i uostri, che, non solamente adoperate questa uoce scomunicata da i buon autori della nostra fauella, ma che e peggio, hauete osato senza vn minimo fondamento contrariare alle ragioni di cosi graue autore. Almeno, se non volete creder nè a Filosofi , ne a Teologi, credete à gli Astrologi , e essi v'acquieteranno. Impercioche in particulare il Padre Clauio, accioch'io taccia molt'altri famosi, uuole, che questi moti opposti l'vno verso Oriente, e l'altro verso Occidente non sian contrari, perche non si muouono semplicemente a’ termini contrari, non andando a terminare al medesimo punto fisso, cioè, che vi moto vada a vn punto, e dal medesimo punto l'altro moto si parta oppostamente: cosa che ne i moti circolari addiuenir non può gia mai. Le sfere semplicemente si volgono all'Occidente di proprio mouimento ; e per accidente, e [ secundum quid ] all'Oriente, cioè alle parti Orientali. Anzi che il vostro diletto Copernico per leuare ogni contrarietà, e alterazione al corpo celeste hà creduto, che la terra habbia trè diuersi mouimenti in se stessa. Ma, ò non li hauete ueduti, ò non intesi, percioche vi sareste appagato, ò nuoue maniere d'argomenti haureste recate in campo. C. Perche ancor egli, cioè Auerroe, doueua filosofare riserato in camera. R. Finalmente voi gliel'hauete pur carica al vostro Auerroe, che non vi siete vergognato a cacciarlo meco a camera locanda. ma perche io reputo, a diruela, che egli sia alquanto miglior filosofo di voi, con vostra pace, non gli vuò far pagar la pigione. Beato uoi che siate, come quel filosofo, che si vantaua di hauer apparato più alla foresta, che alla scuola, Plus in siluis, quam in libris; Se già non istate alla campanga, e per le piazze, come i Ciurmadori, spacciando la vostra giudiciaria Astrologia biscugina della Negromanzia, che fa trauedere i balordi. C. Onde non lo noiauano le apparenze dell’obliquità maggiore in vn’ anno, che in un'altro, del zodiaco, e dell anticipazione molte volte degli equinozi medij à gli equinozi veri. R. Cotali apparenze non solo noia non apportauano a Auerroe, ma ne anche a tutti i buoni Astrologi poi che il parere, e l'essere, non corron lancia del pari. Onde Auerroe afferma, che i moti circolari sopra i medesimi poli, e circa il medesimo centro, quantunque diversi siano; nondimeno mai non saranno contrari; percioche non posson dirsi contrari se non imaginariamente, come di sopra si disse. Attesoche impossibile è che queste contrarietà si ritrouino ne i corpi celesti; e così si debbe intender sempre intorno acciò Aristotele. C. E pur doueua pigliarne qualche pensiero per istabilir per rispondere à cotali fenomeni quel suo assioma della regolarità con gli altri poco auanti ricitati. R. Crediate, che se haueste dato regola, e fermeza cosi a’ vostri fenomeni, come Auerroe alla regolarita de moti celesti, senza fallo veruno, conuenendo seco, non gli haureste mosso guerra contro per andarne a capo rotto. perche io reputo più facile arrouesciare vn pozzo, che addirizzar questi fenomeni pazzi. C. Ma che dico io rispondere con l'autorità d'Auerroe, anzi penso, che egli à vn tratto si sbrigherebbe in quella guisa, che in simili difficultà egli è solito fare. Il capriccio de’ mouimenti di questi Cieli veramente è bello non vero per tanto dee stimarsi. R. Io hauea posto dauanti alla parola [non] vn [mà] voi l'hauete come disutile mandato a spasso. Non vi doura parer poi duro ch'io faccia, come l'Ariosto à quel pentolato, che, sentendolo stroppiare i suoi versi, roppe quante stouiglie hauea su l'asino; perche vi stara'l douere s'io gitto al fuoco i vostri male adoperati astronomici strumenti, de’ quali mi fate querimonia. E a dirne il vero più tosto mi persuado, che doueuate leggere’l mio discorso correndo la posta, che passeggiando per diporto; perche v'è accaduto lo stesso, che adiuenne a vn certo carrozziere, che verso Parigi, affrettando il corso, perche era tardi, domandò a San Martino, se quella sera entrerebbe nella città: a cui rispose il Santo; se vai adagio sì. Il fantastico carrozziere parendoli esser beffato s'affannaua, sferzzando i caualli fieramente; perche, non veduto vn mal passo, precipitarono i caualli e roppesi la carrozza, ne altramente giunse a Parigi. Il frettolosamente adoperardi giugner a fine di vedere esaltar se stesso, e deprimer'altrui v'ha fatto rouinar tutta l'opera, che non v'è cosa, che non sia mal'andata; e per far peggio hauete lasciato del mio discorso fino i concetti, e periodi interi senza vederli per la fretta; se già non l'haueste fatto a studio per meglio compire il desiderio vostro, o forse per non poter attaccarui oncini, non gli intendendo. Questo, è vuo de lasciati concetti, che è qui sopra doue dico. Anzi che se il Cielo fosse della medesima natura di quegli & c. Che dite, perche l'hauete tralasciato ? Direte forse, che è stato per errore? E io vi rispondo, che quest'è il male, imperoche l’errore, è gabella della ignoranza, se nasce dall'intelletto, e il frodo della malizia, se procede dalla volontà. A cotale argomento non crediate che basteuole fosse il risponder, che la buona temperie del componimento, e purita de gli elementi, e l'eccellenza, e virtù della forma impedisse la pugna delle contrarietà, e il predominio quanto all'azione. perciò che, lasciando i molti argomenti, che il contrario dimostrano, a me basta replicare, che se cosi è, la verità sarà adunque, che non sendo soggetto quel corpo all'alterazione, e corruzione, nuoue stelle altramente generar non vi si potranno. Non vi fate più straziare; concedetemi senza replica l'apparenza dell'obliquità maggiore, e minore vn'anno, che l'altro del Zodiaco, ec. esser veramente imaginarie, e apparenti. Lo dice anche il da voi celebrato Copernico, che persaluar cotali apparizioni, oltre i tre mouimenti attribuiti alla terra, come dissi dianzi, pone il Sole nel centro del mondo, quindi Mercurio, poi Venere sopra la terra, con la Luna, come in vn'epiciclo, lasciando gli altri pianeti secondo l'ordine dell'antiche opinioni. Quegli di cui fate menzion, che m'habbia dato occasion di scriuere, il concede anch'egli, ilquale, se ben s'è compiaciuto mostrar l'acutezza dello'ngegno suo, con alienarsi dalla comune per far proua studiosamente del suo valore, ma non già che ui sia ostinato dentro; afferma, che Venere ouatamente si muoue solo in apparenza. Ma che più ? Voi medesimo, per vostra grazia mi date facultà di sbrigarmi di tale impaccio, più presto, che non feci l'altra uolta, come uoi dite; affermando essere imaginarie queste apparizioni, ancor voi, e ne fate la dimostrazion nella Luna con la figura garbatamente alla considerazion 23. Hora, se tanti famosi astrologi hanno sparso mille sudori, per ritrouare Epicicli, Eccentrici, Concentrici, Equanti, Deferenti, e simili differenze d'Orbi, e di Pianeti, à finche rimanga intatta la celeste incorruttibilità; credete forse, che due scalzacani habbiano, lontani da ogni ragione, e senza necessità, che acciò fare gli spinga, con buona grazia de’ sapienti, licenza di cauar fuora cosi vani capricci, e non esserne agramente ripresi, come che gloria riportarne stimassero? Credonsi questi tali per rouinare il Cielo, a guisa di colui, che abbruciò il Tempio di Diana Efesia, diuentar più famosi di coloro, che da saui, e e virtuosamente la lode si guadagnarono? C. Secondo, sì come noi veggiamo, che gli Elementi si muouono naturalmente solo, quando sono fuor de’ lor luoghi, cosi douiamo, verisimilmente credere de’ corpi celesti. E che questo argomentare per similitudine in cotale affare si dea tenere per più fermo, e sicuro, lo afferma San Tommaso , attesoche la cognizione si fà per mezo di quello, che il conoscente conosce in qual si voglia maniera, cioè per la similitudine, dice egli. Ora noi intendiamo perfettamente per via de’ sensi questa aria questa, acqua, e questa terra: per sì fatti mezi adunque douiamo cercare di peruenire alla cognizione delle cose lontane, e celesti, il che non si può fare, se non mediante vna certa conuenienza, e similitudine. Lagual cognizione , quantunque come scriue Aristotile, non possa essere perfetta, nulladmeno, quanto alla nostra capacità può acquietar lo'ntelletto. R. Voi hauete ben preso questa volta altro, che vn granchio a secco; perche diuero ell'è vna Balena, è ben grande, à dir che San Tommaso in cotal luogo dica tal cosa; per che egli ragiona quiui d'ogn'altro concetto, che di questo. Imperciò che dichiarando Aristotele d'intorno all'ordin del modo dell'intendere fa comparazzion tra’ l senso, e l'intelletto, gli vniuersali, e i particulari; e poi dice, che la cosa intesa è simile all'intelletto, e la sentita simile al senso; cosi dice il mio San Tommaso ; producete il vostro, se però l'hauete; perche non temo, che riesca fatto a voi, come à Solone, il qual mise un verso di suo nel libro d'Homero per hauer da l'autorità di quello la giurisdizion di Salamina parlo di quella, che è nel mare Euboico, non di quella di Cipro, oggi detta Famagosta. Ma io vi dico, che l'argomentare per similitudine, oltre, che non è da gazzerotti, è fallacissimo. Impercioche Aristotele vuole, che tre condizioni necessariamente si ricerchino tra le cose, che veramente si posson comparar l'una con l’altra Sic ergo (dice egli Non solum oportet comparabilia , non æquiuoca esse, sed non habere differentiam , neque quod, neque in quo. Hora uoi non hauete osseruato straccio di questo precetto. Primieramente, perche il subbietto nel quale alloggian le qualità comparate, non è della medesima spezie del soggetto in cui son le qualità comparabili, poi che la celeste machina è diuersa di natura dall'elementare. Secondo; le qualità assomigliate non son della medesima spezie, percioche il motocirculare, e il retto son differenti di spezie. E il raro, e’l denso del Cielo con quello de gli elementi conuengono equiuocamente, che è la terza delle tre condizioni non osseruate da voi, come si è largamente dimostrato a suoi luoghi. Ecco che hauete argomentato, non da i simili, moda i dissimili. Non ha molto tempo che in vn villaggio occorse e non mica da motteggio, che si leuò romore, esseri in vaa macchia appiattato fra certe macie vn Basilisco: furon subito presenti i più animosi con gli archibusi carichi, e risguardato il luogo, videro la forma, i colori verdi, gialli, e rossi, che molte volte veduti dipinti hauete. Il primo, che tirò l'inuesti, e ueduto in aria salire il fumo da quello, tennero per fermo, che per l'ira dell'esser colpito fiatasse veleno. raddoppiarono l'archibusate, e alla fine tenendolo morto, accorsero al luogo, e trouaron, che era la brachetta d'vn Lanzi, le risa furon poscia assai più, che le palle tirate. Io non so se dirò poco; quella proporzion, che era tra via brachetta, e vn Basilisco, la stessa è dalla cosa rastomigliata alla vostra similitudine. Ma io, che per negazione di similitudine ho argomentate, infallibilmente, contro il vostro intendimento, ho conchiuso, il Cielo essere incorruttibile, poiche è di natura diuerso da questi inferiori corpi. C. I Cieli adunque ò sono ne’ propri luoghi, ò fuora. Non fuor; perche altrimenti, desiderando ciascheduna cosa il proprio sito, violentemente altroue sarebbero ritenuti, contro alla dottrina d'Aristotile, che non vuole in Cielo niente di violento. Saranno adunque ne’ propri luoghi: e perciò vedendosi chiaro, che si muouono circolarmente, per consequenza diremo, il moto circolare non essere il moto loro vero, e proprio, in quella guisa, che noi sappiamo, che non è ancora dell'elemento del fuoco. Sarà adunque il retto: e se questo è altresì di questi corpi inferiori, e se dal mouimento douiamo, come fa il nostro Autore, argomentare alla natura, conchiuderemo la materia celeste essere la medesima di questa inferiore, quantunque, come dice Platone, più sottile, e purgata. R. Nel proemio ancora l'vso di questa voce [sito] vi mostrai, che noi conosceuate, per non intender voi il significato suo: ne ui scusate, che, pigliandosi ella in sentimento di luogo, di odore, e di positura secondo la vulgar fauella, qui si debba intender nel primo modo: percioche, doue si tratta di materie filosofiche, non si debbono adoperar parole equiuoche, massimamente disputando: e doue si posson pigliar nell'vno, e nell'altro sentimento. ne dee perdonarsi a voi, che, per mostrarui huomo di quei non dozzinali, hauete cercato guadagnar brighe per lodi: se già non meritaste loda, per che hauete ritrouato vna spezie nuoua di filosofia stroppiata, in quella guisa, che fra i pittori addiuiene dintorno à quella spezie di pittura a grottesche, licenziosa, e ridicola senza regola alcuna. Impercciochè allora, che dipingono, per esemplo, vn grandissimo pero attaccato a vn debol filo; ò fanno le gambe a vn cauallo di tralci di vite; figurano vna debol capra caualcata da vn Bacco; vn viso humano sopra il collo, e busto di vna Grù; vno struzzo con braccia di scimia; vna bella faccia di donna con le parti estreme di ramarro, e le braccia, e le mani zampe, e branche di Leone; gli orecchi d'vn cane fingono esser di foglie di canna; e a chi pongono gli occhi sopra le corna, come hanno le chiocciole; ad altri in luogo di bocca, vn becco di Cicogna, e le braccia fanno in sembianza di racchette, ò mestole da fare alla, palla; a questo formano il ventre di bue, e le gambe di grillo, con le ali fronzate, e simiglianti scerpelloni, da fare smascellar le brigate per le risa. Quegli, che finalmente gli imagina più strani in cotali professione più valent'huomo è reputato. Cosi tra i filosofi non si defraudi à voi la meritata lode negli strauaganti capricci in aria, poscia che con ogni licenzia, e libertà non filosofica, ne poetica, ma più tosto frenetica, hauete nuoui modi di filosofar ritrouati. Anzi Sig. Mauri, che degli vni, e degl'altri anche in esecuzione il fine è stato il medesimo, come che sia diuerso in intenzione; poi che questi filosofi, come quei pittori, fanno rider la gente. Vero è che si muovono gli elementi fuora de’ propri luoghi per ritornare à quegli, e quietarsi, amando la conseruazioni di se medesimi. Ma si come gli elementi, per lo continuo combattimento fra di loro, per causa della generazione, mediante la mistion de’ moti, fanno, secondo le parti il mouimento fuor de’ propri luoghi. Cosi il cielo per lo contrario nel suo luogo quietando, non proprio, ma accidentale, perche è solo in luogo, rispetto al centro; nel medesimo tempo si muoue d'intorno à quello, non violentato ma naturalmente secondo il suo principio passiuo non repugnante; e volontariamente quanto al principio attiuo; conciosiacosache il motor suo, vna sostanza separata, essendo il muoua volontariamente a fin della generazione, e conseruazion delle cose inferiori, come agente, e causa vniuersale d'ogni mutazion naturale, e sullunare. Che il retto mouimento non conuenga al corpo celeste, alla considerazione ottaua, si proua; e dimostrato si è poco dianzi, nella soluzion di quei uostri scrupuli, si come altresì nel discorso fauellato n'habbiamo, se ben non l'intendeste, per amor di quelle imbrogliate contrarietà, che dite, quantunque non fosse intenzion nostra prouare in quel luogo, se non che il Cielo non era composto degli elementi, ne di alcuno di quegli esser fatto. Conchiudesi adunque esser falsa la uostra maniera d'argomentare; impercioche non è la medesima ragione del moto de gli elemeti fuori de luoghi loro, e del moto de’ Cieli, circa il centro. Oltre, che se il moto retto fosse proprio de Cieli, cotal mouimento non si ridurrebbe mai all'atto, ne potrebbe ridursi, non hauendo luogo naturale i Cieli, che sia lo proprio dove possano appetir di muoversi da vn luogo a vn'altro; e cosi vana sarebbe la potenza del moto retto in quegli; e perciò ridicoloso il crederlo. Sono adunque i corpi superiori di natura diuersa da gli inferiori corpi. C. Ma prima che più auanti si uada ditemi ò messer filosofastri. - R. Ben diceste: in fatti io m'auueggo, che siete assai innanzi con l'indouinare, e che farete qualche bella riuscita nella giudiciaria astrolog. C. Che volete con queste vostre conclusioni mandare in rouina la filosofia del S. Colombo, in che modo senza cadere in qualche assurdo possiate affermare, che il moto circolare non sia proprio ne di queste parti inferiori, ne di quelle superiori, e celesti, atteso, che egli (essendo il moto secondo Aristotile il quale non è proprio à vn corpo proprio à vn'altro, ne ritrouandosi altri corpi, che questi, ò inferiori, ò superiori, à quali lo negate) verrebbe à mancar di proprio Padrone. Mi risponderete forse, che è ben conueniente, che per essere egli il più nobile di tutti gli altri mouimenti, e per ciò attribuito da Aristotile a’ cieli, come corpi nobilissimi se ne stia libero, e di se medesimo assoluto padrone. Ma se così fatta fosse la risposta datami, à fondamenti deboli stimerei le vostre conclusioni appoggiate, le quali quasi quasi, per diruela in secreto, andaua forte dubitando, non dessero qualche notabile storpio al discorso del nostro autore. Ma nondimeno, solo perche all'arguire con potenti ragioni auete parlato, mi voglio da per me stesso andare imaginando, che voi in questo altresì più fondatamente discorrendo, attribuiate questi moti circolari per propri al Cielo Empireo, quantunque, come uogliono i Teologi, lo mantegniate stabile, e immobile. Impercchè, sì come non è attribuito per inconueniente à Aristotile, e Auerroe l'affermare, che le stelle, non essendo in se stesse ne calde, ne fredde, riscaldino, e raffreddino, per una certa virtù, che è in lor cagionatiua del caldo, e del freddo, così non si dee giudicare assurdo, che essendo detto Cielo immobile, e fermo, possa concedere altrui mouimenti anche contrari per vna cotal virtù atta à ciò fare, la qual sia in quello nascosamente inserita. Nè oltre à questo manca ragione, per la quale anzi che nò, paia necessario, che per essere egli immobile, mobilità debba ad altri apportare. R. Se vi pensasse hauer trouato il proprio padron del moto circolare, attribuendolo all'Empireo, per la sua eccellenza, di uero che gli hauereste fatto vn fauor singolare a dar’ vn [ius patronatus] cosi nobile, e conueneuole a quel corpo tanto perfetto. Ma, se non mostrate altro priuilegio più autorizzato, che il uostro, assicurateui pur, che egli non sarà ammesso al beneficio da niuno. Padron del moto in atto e il corpo, che’l possiede, e quiui è formalmente, e non nella causa, dice Aristotele. perche i mouimenti seguitano la natura della forma del corpo in cui si trouano; e perciò è proprio di essi cieli, che'l posseggono, e non accidentale il circolar mouimento; cosi come il moto del flusso, e reflusso del mare è nello stesso mare, e non nella Luna, che lo cagiona. Il pesce appellato torpedine, dicono i naturali, che intormentisce la mano del pescatore, per certa virtù occulta, e nulladimeno il pesce, e la canna con cui si pesca, non hanno cotale stupefazione in loro. Ne solo vi è formalmente il moto circolar nell'Empireo; ma ne anche virtualmente per consenso comune de' Teologi, e filosofi, i quali affermano quel Cielo influire stabilita, e fermezza. Strabone, e Beda, che ne furono i primi ritrouatori, ancora essi il fecero assolutamente immobile. Il Pico della Mirandola afferma, che due Ebrei, l'vno Abramo Ispano grandissimo Astrologo, e l'altro Isacche filosofo appellato, voleuano, che ci fosse vn Cielo immobile sopra gli altri mobili, che è l'Empireo, e Aristotele, ò vero Teofrasto [In libris de Mundo, ait] Deum in supremo cœlo habitare, quod est totum lucidum. E il Ciel, doue habita Dio, e i beati, è immobile; e pur, secondo voi, dourebbe esser mobile in atto per se, poi che gli altri son per accidente, del moto circolar parlando: e cosi fareste girare i Beati nel Cielo. Ma Aristotele dice pure; Si alicui inest vnius motus accidentaliter, alteri inest naturaliter. Non sono à proposito, adunque gli esempli, che adducete d'Auerroe, e d'Aristotele, che le stelle, quantunque non siano calde - ne fredde, adogni modo producano effetti di calore, e di frigidita: imperò che virtualmente, e non formalmente sono queste condizioni nel Cielo. Tal sentimento cauate voi da la dottrina de buoni autori, qual sangue le coppette degli stufaiuoli, cioè il fracido, e non buono, se ben la loro intenzion si consegue, ma la uostra si persegue. Voi potreste vsurparui allegramente l'impresa di quel franzese, in cui erano dipinte in campo bianco alcune coppette; e’l motto DE MAL ME PAISTS, perche voi ancora vi pascete l'intelletto di mala intelligenza delle dottrine. C. Conciosiache dica Artistotele. Quando vna cosa è questo, e questo, se vn di quelli si ritroua senza l'altro, l'altro ancora si ritroua senza quello. Ora ne’ corpi superiori, si ritroua il Mobile mouente, che si può dire il primo Mobile, e l'ottauo Cielo con quei di mezo; si ritroua il Mobile non mouente, che sono le sette sfere de’ pianeti, adunque si ritroua ancora il Mouente non mobile, che altro non diremo essere, che l'Empireo. R. La ragione, che voi appoggiate alla dottrina d'Aristotele per prouar, che il moto virtualmente conuenga all'Empireo, è della medesima bontà dell'altre. Impercioche, lasciando star, che habbiate ridotta la sua sentenza in vn Geroglifico, leuandone troppo gran pezzi à guisa di quel mal pratico scultore, che ridusse al maneggiar, dello scarpello vn gigante in vn mortaio; Aristotele, vuole, che trè cose siano al moto necessarie, cioè il mobile, il motore, e lo strumento: e tra di loro, afferma, non esser necessario, che il mobile sia anche mouente, ma si bene lo strumento debba muouere, e esser mosso; e il motore non esser necessario, che si muoua: e però non conchiude nulla per uoi atteso, che il mouente non mobile non potrà esser l'Empireo, douendo si fare il moto fisico percontatto del motore col mobile; il qual moto non può cagionari da vn corpo nell'altro senza muouersi anch'egli. Onde fa mestiere, che il motore sia vn'agente incorporeo, e uolontario a uoler, che sia immobile; e questi è l'Angelo, o la sostanza separata , che dir vogliamo, come vuole anche Aristotele: e l'afferma col testimonio d'Anassagora, che vuol, che muoua, e sia lungi dal, moto, e da la mistione. Primus motor omnino est immobilis, Perche muoue per contactum virtutis, et imperium voluntatis dice S. Tommaso. Hor se tutti gli interpreti cosi l'espongono, e massimamente S.Tommaso, che da quelli che sono stati famosissimi filosofi è stato cosi reputato, che fino il Pomponazio, per altro desideroso di impugnarlo, dice di lui. Opinio recitata D. Thomæ, omnium mea sententia maximi, imò fortassis non minoris aliquo Aristotelis expositore, siue sit grecus, siue Arabs, siue cuiuscunque sit, omnibus est præferenda. Il Sueffano. Pace expositorum grecorum di xerim curiosior, aut vberior, aut quod rarum est clarior inuentus nemo D. Thoma. Il Zimara: Vbi est discordia in Philosophia inter Auerroem, et D. Thomam difficile est videre veritatem, Il Pico: Tacente Thoma mutus fit Aristoteles. Voi adunque intenderete Aristotele diuersamente da S. Tommaso, e da tutti gli altri interpreti? Ma io vi dico vn'altra cosa di piu, che l'argomento, se si intendesse, come voi, saria sofistico, e imperfetto, conciòsiache, volendo argomentar dal mezo agli estremi, doueuate far l'argomento in maniera, che il mezo participasse di quegli. La onde, estremi saranno il mobile mouente, che è il primo mobile; e l'immobile non mouente, che è l'Empireo, per che son veramente estremi, hauendo opposizion di priuazione, e d'habito: il mezo verrà a essere il mobile non mouente per ciò che participa d'ambedue gli estremi, ma non gli comprende, si come il color verde, per esemplo, tien del bianco, e del nero suoi estremi, ma non è tutto bianco, ne tutto nero, per che altramente non sarebbe color di mezo, ne quegli colori estremi, che sono opposti priuatiui. Puossi argomentare anche in questa maniera, dal mezo a gli estremi. In natura si da vn corpo mobile secondo l'essere, e secondo il luogo, che son questi corpi inferiori; e dassi vn corpo mobile secondo il luogo, e non secondo l'essere, che sono i Cieli fuor l'Empireo; adunque è necessario dare vn corpo immobile secondo l'essere, e secondo il luogo, e questo sarà l'Empireo. Non hanno adunque i Cieli per proprio il moto retto, e per accidentale il circulare come afferma il Mauri. C. Soggiugne il Colombo. Aggiugnesi, che auendo luogo il Cielo, ec. C. 5. V. 11: e i medesimi Filosofastri rispondono, che essendo’ l moto circolare proprio solo all'Empireo, e per ciò essendo egli solo inalterabile, e perpetuo, soggiacendo l'altre sfere alla corruttibilità, le sfere celesti non altrimenti anno luogo sopra tutti gli elementi per essere ancora esse elementi, quantunque più purificati, e semplici; ma sì bene che l'Empireo sottentrando nel luogo de’ Cieli, cioè essendo date all'Empireo le qualità, e preminenze attribuite da Aristotile, e gli altri alle Sfere superiori, egli solo hà luogo sopra tutti gli Elementi, e perciò, come argomenta il Sig. Colombo, la sua natura è di gran lunga diuersa da quella. R. I filosofastri direi, che fossero somiglianti allo Struzzo, che ha sembiante d'animal volatile, ma non vola altramente. Cosi essi paion filosofi, ma veramente non sono altro, che filologi, che uale il medesimo, che sofisti, dice Seneca, ambiziosi, e inganneuoli; e perciò non rispondono cosa, che vera sia, come per cento maniere si è prouato. C. Ma io, se volessi interporre l'opinion mia in cose di Filosofia, ò di Loica. R. Fate à mio senno, e farete bene; tacete, come hauete fatto nell'astrolegia giudiciaria, che pure è la vostra scienza particulare. Non vorrete esser modesto in quelle scienze, di cui non possedete - straccio? C. Direi quì assolutamente, che molto debole fosse questa maniera di arguire . I Cieli sono sopra gli elementi, adunque se questi corruttibili, quegli incorruttibili, per dimostrare la corruttibilità, ò incorruttibilità de’ Cieli. Imperciocche il fuoco ancora , secondo Aristotele è posto sopra gli altri elementi, e di più è chiaro, che e da quegli diuersissimo di natura, e con tutto ciò non ne segue che quello sia inalterabile, e questi alterabili, e corruttibili. - R. Auuertite, che Aristotile non la uende per sicura, ma per ragioneuole molto. Se bene voi, che non hauete Loica lo accettate per argomento dimostratiuo, e assoluto; ma, sè spendeste la moneta del nostro conio, e non la falsaste, non verrebbono in campo i vostri difetti. Non è egli ragioneuole molto, che a quel corpo, che è causa vniuersale col suo moto, lume, e influsso di tutti i mouimenti, e operazioni naturali, come primo agente, inuariabile, viniforme, e di qualità peregrine incapace; si dia vn luogo eccellente, proporzionato non solamente alla dignità della natura del locato, ma eziandio alla virtù, e operazion di quello? Sì, Il Cielo adunque è tale; e come si è dimostrato efficacissimamente essere incorruttibile quanto a sè, dee tale stimarsi ancora quanto al luogo, e diuerso di natura dagli elementi. Onde lo stesso Aristotele nel 12. della Metafisica c. 8. t. 44 dice, che l'ordine dell'intelligenze è secondo l'ordine de'moti: ma l'intelligenze son distinte di spezie; ad unque i moti ancora, e i corpi per conseguenza saranno tali. e per ciò non si dee dal buon filosofo negare, che quanto più alto, e locato vn corpo non habbia ancora l'esser suo tanto più nobile: così afferma anche San Tommaso nel luogo detto. È se bene è vero, che tra gli elementi l'uno auanza l'altro di luogo, e di purità, ma non già trà di loro è distinzion di natura, quanto alla corruttibilità; nulla dimeno è da considerare, che non è si proprio a ciascuno elemento il suo luogo, che almeno secondo le parti di qualunque di essi non siano ancora comuni tutti i luoghi a tutti gli elementi, ben che per accidente: cosa che del Cielo adiuenir non può per niuna maniera. E che non possa ciò accader fra gli elementi, e'l Cielo, si argomenta ancora dal veder, che muouendosi così regolatamente quel corpo, è necessario dir, che sodo, e impenetrabile sia in guisa, che corpo men nobile, e alieno giugnere, e penetrar non vi possa. Anzi che la nobiltà, e sublimità del luogo è tale, che, se il cielo fosse penetrabile, l'elemento del fuoco nonvi ascenderebbe, per non esser proprio suo luogo, erepugnanza farebbe à se stesso, come la pietra a salire in aria. Oltre a ciò sè si danno i corpi, che hanno contrario è necessario dare vn corpo, che non habbia contrario come più nobile. Ma i corpi contrari hanno luoghi distinti atti per riceuerli; adunque il corpo, che non ha contrario haurà luogo separato, e tanto più nobile del - luogo di quegli, che in capaci di ascenderui saranno, per che fra il luogo, e il locato sia proporzione. E posto il Cielo per tanto, essendo incorruttibile, in più conueneuole, e sublime luogo, che gli elementi non sono, per che possa comprendere, e abbracciar come causa vniuersale tutte l'altre cause naturali de corpi inferiori. ne poteua meglio locarlo, ne più proporzionatamente la natura, che per ciò lo fece sferico, e grandissimo oltre à tutti i corpi; acciò che validamente diffondesse in ogni cosa la virtù sua. Hora guidicate da per voi stesso, se il vostro parere contrapponendosi a quel d'Astristotele, e della comune in tutta questa opera vi fa annouerar tra coloro , che per molto souente errare in fifosofia, habitan sotto il palco dell'errore in Teologia. Aristotele ancora in molti luoghi dice quanto sia male partirsi dalla comun sentenza. - Discorso. Ma in particolare, perche alcuni di natura di fuoco stimato hanno le celesti sfere, chiaramente si vede, non mai douersi cotali condizioni ascriuere a quei globi superni. Conciosia che, sè di tanta attiuità è il fuoco a cui nulla resiste per l'ingordigia, e voracita sua, haurebbono quegli tutto questo mondo sullunare consumato in breuissimo tempo. E nulladimeno l'esperienza per tanti secoli trascorsi il contrario ne dimostra. E a dirne il vero a cui non è egli palese, che, se il Cielo dell'elemento igneo, e di qualunque altro resultasse, egli haurebbe contro la natura de’ semplici corpi due contrari mouimenti al natiuo moto suo? Diciam per esemplo del fuoco al mouimento delquale, perche è retto, ad alto tendendo, contrari sariano il circulare, che in esso Cielo si ritrouerebbe, e'l moto al centro discendente delle graui cose. E cosi la natura de’ corpi semplici, non potendo hauer più d'vn moto naturale, ne più d'un contrario quegli, che nuoue forme riceuono; necessariamente ne seguiterebbe, che il Cielo non con lungo tempo, ma incontanente si fosse distrutto, e annullato. Considerazione ottaua. Vn certo Lorenzini da Montepulciano: Risposta. Queste maniere sprezzanti di parlare non merita il Sig. Lorenzini: e chi non rende altrui i douuti honori non fa honore à se stesso. C. Scriuendo soura cotale stella, si è ingegnato anch'egli di dare ad intendere, che le celesti sfere non sieno altrimenti di fuoco. Onde il nostro autore, per non essere da manco di lui, in competenza, per proua dello stesso, oltre à una sua ragione di certe imbrogliate contrarietà, ne adduce vn'altra dell'ingordigia , e voracità del fuoco, della quale, forse per parergli molto gagliarda, non ha voluto, imitando il detto Lorenzini defraudare il suo trattato. Ma dura alcuno, se tale argomento era stato già annullato per lo discorso di Cecco di Ronchitti, non doueua il S. Colombo, ò replicando fortificarlo, ò per non allungare à sproposito i suoi ragionamenti, lasciarlo libero al sito inuentore? Certamente che sì: anzi io aggiungo di più, che non auendo egli per le mani altre ragioni, che le due apportate, doueua col tacer del tutto tralasciar si fatta questione, poiche l’altro suo argomento ancora è fallace, e non proua. Imperocche essendo falsissimo, che al moto circolare, come dice Aristotile, si ritroui contrario alcuno, e chiaro, che il fuoco, essendo i cieli di fuoco, non aurebbe contro la natura de’ corpi semplici al suo proprio moto due moti contrari, posciache il circolare non gli sarebbe giammai contrario. R. Sig. Lorenzini stiamo lesti, che questo, Antropofago si vuol manicare, non solamente vn Colombo, ma che è peggio, voi, Aristotile con tutti i leguaci suoi, e buona parte degli altri letterati. Gli Antropofagi, referisce il Ramus, che, perche mangiano carne humana, nell’Isola Estotilanda usciti fuora si mangiarono alcuni nauiganti, e voleuan far del resto, se non che, vedendo alcune reti con il quali pescauano, spauentati da tal cosa non mai più da lor ueduta, si misero subitamente in fuga. Lasciamlo pur venir via, imperocche, se quei pescatori auanzati al macello di quegli animalacci gli cacciarono, per lo spauento delle reti da pesci, che mostraron loro, in rotta; pensate quel che auuenirà a questo, che e solo, quando vedra l'artificio a rete composta de’ tenaci nodi delle conclusioni Aristoteliche, con cui si fa preda degli huomini senza speranza di poterne mai scappare. bisognera ben rimanerui colto. Io uorrei Mauri, che mi diceste qual sarebbe reputato, che volesie dare ad intendere , che le lucciole fossero lanterne; ò voi con voler persuadere insieme con quei filosofastri, che il Cielo sia di fuoco senza ragione addurne, che da mentouar fia; ò il prouar con le ragioni efficacissime accompagnate dall’autorita d'Aristotele, e di tutti a buon filosofanti, e Teologi, e con l'esperienza stessa, che egli sia vna quinta essenza diuersa di natuta da qualunque di questi elementi? Oh fermate; uolete voi dar contro al vostro intendentissimo nocchiero Cecco di Ronchitti? In somma a uoi aggrada attaccarla con l'amico, e col nimico, ditela; ditela, credete voi come io, che egli sappia più tosto guidare il timon del carro, che quel delle naui? Si vede ben che voi non hauete giurato in verba magistri, come dite, che hò giurato io. Cecco garbatamente risponde [io non dico cosi] a quell'altro villano, da cui è domandato, se crede, che il Ciel sia di fuoco; poi che, secondo il creder suo, e uostro, hebbe annullato l'argomento del Lorenzini. Riproua egli l'argomento in questa maniera. Vna fauilla di fuoco e bastante per accender vn pagliaio, e poi abbrucerebbe anche quanto legname si troua. Ma quante fornaci sono al Mondo non potrebbono abbruciar vn Zecchin d'oro, perche l'oro non si può abbruciare; e cosi se gli altri elementi potessero abbruciare, ogni poco di fuoco basterebbe per far l'effetto. Voi di vero vi siete ricourato sotto vn cattiuo gabbano per fuggir dà tempesta sì rouuinosa dell'Aristoteliche percosse, Signora Maschera. non vedete, che il mantel di Cecco non ha straccio, che buon sia, per difender lui solo, non che poteruene seruire ancor voi? Non è il suo mantel da ogni acqua, se già non seruisse per giacchio da pescare. Parui peroche Cecco habbia risposto a bastanza al Lorenzini, e prouato, che gli elementi non siano materia conueneuole, e atta al fuoco? Non è cosa, che sia esca del fuoco, che non sia composta degli elementi; e l'aria stessa si trasmuta nel fuoco; ne starebbe acceso in legne, ò un altro, sè non ui fosse la parte humida, e aerea, come si vede nella cenere, che sendo abbrucciato l'humido, non arde più. L'oro, le gemme infino, si alterano, e consumano, mediante il fuoco, se ben assai meno, e con maggior fuoco, più tempo, e con mescolanza d'altre materie: perciòche doue è la contrarietà, finalmente vi è la corruttibilità. Et nulla res potest diu conseruari in igne, Dice San Tommaso. Testimonio, ne facciano gli Alchimisti delle cui mani, l oro posto nel fuoco, se ne va in fumo, più che non fanno le legne verdi. Ma che il Cielo non sia di fuoco, oltre a quel che s'è detto, aggiugne San Bonauentura, che, sè quel corpo fosse di natura ignea infiammerebbe tutti i corpi sottoposti, e con la sua grandissima attiuita, e quantità subito inghiottirebbe tutta l'aria. E perciò Hereodoto, dell’ elemento del fuoco, disse. Ignem belluam avidissimam inexplebilemque esse. O pensate, se fosse di fuoco il corpo celeste; in vn batter d'occhio, come fosse arida stoppia ridurrebbe ogni cosa in cenere. E dice lo stesso Santo, che non sarebbe ragion buona, il dir, che il Mondo non abbrucia, perche cosi ha disposto l'autor della natura, perche, se cosi fosse, il Mondo sussisterebbe miracolosemente, e non naturalmente. Et miracula non debent admitti in prima rerum conditione, quoniam hæc ponuntur ad confirmationem fidei, Dice il Bannes, con tutta la scuola. Se volete dir, come stà il fatto, l'argomento della voracità del fuoco è riuscito più efficace, che non vi pensauate, ne direste hora, che bisognasse rinforzar l'argomentazioni. Ecco, che non il Colombo, ma il Mauri allunga, e da occasion d'allungare il ragionamento a sproposito, seruendosi delle ragion di Cecco, senza aggiungerui nulla di suo, ò dire cosa, che buona sia; credendosi, che, il citare, e lodar questo suo villano interessato, basti per rimaner vincitor della guerra. Si conosce ben, che chi loda per interesso vorrebbe esser fratel del lodato. In questo proposito, vn fauorito di Vespesiano, il pregò, a fare vna grazia, dicendo, che il raccomandato era suo fratello. L'Imperadore sapendo ciò esser falso, e scorta la malizia, lasciò per allora in dubbio la resoluzione. Chiamato poscia il finto fratello, gli cassò delle mani quella somma di danari, che dar voleua in premio all'amico, e gli fè la gratia. Di nuouo comparì il fauorito, e raddoppio le raccomandazioni, a cui Vespesiano rispose, procacciati pur d'vn'altro fratello, perche quel, che tu stimaui tuo, hauendo pagato mè, è stato fratel mio. Cecco vostro lodato è stato per questa fiata nostro fratello, non hauendo pagato voi della lode, ma noi per che ha detto, che il Cielo non è di fuoco. sì che prouedeteui d'altro fratello a vostra posta perche non vuol dir come voi. Mauri da quì innanzi, quando hauete voglia di bere, corretea i fonti, e non a’ ruscelli, e a le pozzanghere; per chè, oltre che mai non vi trarrete la sete, sempre gusterete acqua torbida. Sapete voi quanto sono imbrogliate quelle contrarietà; appunto quanto elle paiono al vostro ceruello, che, non - le capendo, non le sà sbrogliare, per esser d'Aristotele; e perciò da galant’huomo, hauete fatto capital dell'argomento del fuoco; che si sente più che non s'intende. Aristotele, accioch'io vi smaltisca meglio cotali contrarietà, quando afferma il moto circolar non hauer contrario, vuol dir, che il corpo celeste non può esser capace di moto contrario, ciò è diretto concosiacosa che vn corpo semplice non possa hauer più d'vn moto proprio, e naturale. Onde il Cielo, hauendo per proprio moto il circolare, impossibile è, che nel cielo vi sia anche il retto. Se il Cielo adunque fosse di fuoco, come dite voi, quel corpo haurebbe due mouimenti propri, e cosi sarebbon contrari; atteso che il medesimo corpo semplice, se hauesse due moti, l'vno repugnerebbe all'altro. E perciò resterebbe di muouersi, se i moti fossero di vguali forze; e se l'uno superasse l'altro, il superato resterebbe mobile in potenza: onde, mai non potendo ridursi all'atto, vana sarebbe, e in vtile cotal potestà. Anzi che, per esser nello stesso corpo, sarebbon maggiormente contrari, che se fossero in diuersi, come negli elementi, perche repugna, che il medesimo corpo si muoua di proprio moto rettamente, e circularmente. Ma che il circolare sia proprio del Cielo si è prouato a pieno. Oltre acciò, se non è quel corpo graue, ne leggieri; come dicono tutti i filosofanti, come potrà egli mai hauer moto retto ? Benissimo adunque dice Aristotele. Quare si ignis sit id quod versatur, vt quidam inquiunt, non minus hæc motio præter naturam est ipsi, quam ea, qui infera loca petuntur. Vero è per tanto, che se il Cielo fosse di fuoco, o di qualunque altro Elemento, a cui è proprio, e naturale il moto retto, che quel corpo haurebbe due contrari mouimenti. Ma questo è impossibile, impossibile è ancora, che la celeste machida sia di fuoco, o della natura elementale. Ricordatemi, che sopra dicemmo, le parole [preter naturam] in suo proprio, e vero significato non importare il medesimo, che [contra naturam] ma sopra natura; se non doue il concetto ne costringe a riceuerla per tale come potete conoscer, che adiuuiene in questo luogo. Imperciòche, sè non importasse contrarietà, nulla haurebbe conchiuso Aristotele, con ciosiache suo intento è di ponderate in questo luogo, solo i semplici mouimenti, che altri non possono esser, che i naturali; o contrari alla natura e perciò disse Non minus ipsi præter naturam iste motus est, quam qui deorsum. Così interpreta Auerroe nel medesimo luogo. San Tommaso; e il Zabarella. E lo stesso Aristotele nel secondo del Cielo dice; Nullum præter naturam esse perpetuum. Nel qual luogo Auerroe interpreta contra natura e violento. Hora per questa notizia, che hauete di più, credo, che muterete concetto di mè, affermando, e hauer meritato cotanto di lode a non defraudar, non dirò il Lorenzini, ma Aristotele imitandolo; quanto doureste esser degno voi di biasimo a non hauer defraudato Cecco. Hauete ormai inteso, crederò io, che il Cielo, come che non habbia contrarietà di termini nel moto circolare, da i quali nascono ancora i moti contrari; ad ogni modo, se il Cielo fosse di fuoco haurebbe due contrari mouimenti nel modo, che si è detto. Doue sono le mie fallacie adesso? Nel fallace giudicio di chi mi giudica. C. Dico in oltre, che, se il fuoco, per muouersi circolarmente, auesse al suo moto due moti contrari, ò almeno, se l'auere due moti contrari fosse semplicemente assurdo, Aristotele, ilqual diede al fuoco, e à una parte dell'aria il mouimento circolare, per potere quindi affermare, che le comete si generano, e ritrouano nella regione elementale, aurebbe senza fallo dato in grande, e pericoloso scoglio. Ne si replichi, che per essere improprio all'elemento igneo il moto circolare, attribuitogli da Aristotile, inconueniente alcuno non è, che auendone solo un proprio, ne abbia ancora vn'altro accidentale. Imperocche il medesimo appunto ne seguita, se faccendo il Cielo di fuoco, glie ne assegneremo un per accidentale, e l'altro per proprio contrario al suo mouimento. Per laqual cosa io vengo à conchiudere con vostra licenza, Sig. Solombo, che questi filosofastri, ò qual si voglia altro, se per auuentura piacesse loro lo stimare, che i Cieli fossero generati di fuoco, per essere annullati i silogismi da voi, come fondamenti principali, per la contraria parte addotti, non sarebbero fuor de' termini, ne da biasimare cosi alla libera, come vi pensauate. Risposta. Se voi come cortese degli studiosi l'additauate ancora a Aristotele, di uero, che egli non vi inciampaua dentro. E che vi pensate, che egli sia smemorato come voi, che a ogni piè sospinto vi contraddite? State a veder Signori lettori, che costui vorrà passare innanzi ad Aristotele? Il Gambero anch'egli entrato in frenesia ardi sfidare al corso la Volpe; e per farla doppia di figure, le diede vantaggio il principio del corso stabilito. Hora, e conoscendo la sua pazzia, la necessità il fece accorto, e cosi pian piano s'appiccò, fra tanto, che ella si mosse, alla coda di essa. Giunta, che fù al segno presisso, voltandosi adietro, per veder doue era il Gambero; egli subito, lasciata la coda rimase doue la Volpe hauea il capo, e appari, che le fosse innanzi, ben che egli ingannata l'hauesse. Ma voi a che v'attaccherete per dare a credere questa vanità a niuno? Forse che non haureste voluto, per non allungare il ragionamento, ch'io hauessi lasciato queste ragioni, come di niun momento fossero. Voi non sapete; che le ragioni d'Aristotele son la mazza d'Ercole contro cui la vuol seco? Anzi che si come una fiaccola accesa dauanti a gli occhi del Leone il rende placido, e vinto, dicono i naturali; così il lume dell'Aristotelica dottrina vince gli humani intelletti. Ma elle non faceuan per voi è? Perche egli habbia detto, che l'elemento del fuoco, e l'aria habbiano per accidente moto circulare cagionato dal rapido mouimento del Cielo, questo non è contro il suo intendimento; perche, il moto circulare a gli elementi, basta, che non sia proprio, e intrinseco. Anzi, che per cagion di tal moto egli addiuien che l'elemento del fuoco si conserua quiui, nel concauo della Luna come in suo proprio luogo. Onde non segue però, che, se fosse proprio al Cielo il moto del fuoco, e il moto circulare, non fossero contrari a quel corpo, sendo impossibile, che, habbia due monimenti naturali, vn semplice corpo. Se poi volete co' vostri filosofastri dire a dispetto della filosofia, che il Cielo sia generato di fuoco, trouate chi vel creda. E qual filosofo, e di ceruel così sgangherato, che non affermi la generazion delle cose resultar della mistion degli elementi, e che quel che è composto di essi non può esser senza contrari, supponendo la generazione il subbietto, e i contrari i quali non possono in vn semplice corpo ritrouarsi? Onde, per che vna cosa non può resultar d'vn solo elemento, si disputa tra i filosofi, se vn'animale, ciò è la Salamandra di fuoco, il Camaleonte d’aria. La Cicala di rugiada sola nutrirsi possano. Atteso che Ex his nutrimur, ex quibus sumus. E per ciò vogliono, che ci sia necessaria la mistion degli elementi per far la nutrizione, quantunque in qualungue elemento si ritroui alquanto di mistione, perche Non reperitur elementum purum. Hor pensate voi se il Cielo lodo, e impenetrabile sara generato d’ vn solo elemento, e del più tenue, come e il fuoco. Discorso. Non soggiace il Mondo superiore alla corruzione, come l'inferior Mondo fa, attesoche non è la materia comune in fra di loro. E che ciò sia vero la materia degli elementi, nuove forme di continuo mutando, la priuazione, e'l desiderio di quelle hauer ne dimostra, donde la corruttibilità si cagiona. Ma la celeste materia, che della primiera forma s'appaga solamente, non è alterabile in veruna guisa, ne eziandio si potrà per tanto della materia degli inferiori corpi stimare. - Considerazione nona. Per quello, che si è prouato nella Considerazione quinta, e settima, e si prouerà nella 10. & nella 34. si nega, che la materia ce’este sia incorruttibile, apportandosi nella Considerazion sesta, la ragione perche paia, che ella della primiera forma s’appaghi. Risposta. Perche i è ampliamente risposto, e siamo per rispondere a qualunque obiezione di ciascuno de'mentouati luoghi, e si sono di nuouo rinforzate le ragioni spettanti a dimostrar perche si quieti la materia celeste sotto vna forma sola senza più appetirne, si risolue, che è verissimo, e non pare altramente, che il Cielo non soggiaccia alla mutazion delle forme, se non se in quanto paresse a voi, che siete come gli infermi di torto sentimento, perche egli veramente non vi soggiace, Di vero, che se bene il tratenersi tanto senza frutto, in queste proue cosi vane, e graue fallo, io vi scuso, perche mi penso, che vogliate imitare Alcibiade Ateniese, che tagliò tutta la coda a vn cane, che hauea di prezzo, e lasciollo andare, per dar materia piccola da dir di sè, acciò che si tacessero le cose di momento. Discorso Nasce la corruzione, e la varietà delle forme della contrarietà de’ moumenti, principi d'ogni contrario, come non quelli de’ corpi sullunari l'vn verso il centro, e l'altro verso il Cielo. Hora non hauendo il Cielo contrario moto, sendo, che circularmente, continuo, vniforme, e inuariabile sia il suo riuolgimento, quindi è, che necessariamente dir si dee inalterabile il Cielo, e di generazione incapace, e che, non rendo comune la materia sua con la materia elementare, alle tante passioni, che dalle forme di quella resultanno, non soggiacere in niuna maniera il Cielo. E perciò non è egli caldo , freddo, humido, secco, ne di spessazione, rarefazione, grauita leggerezza arredato, ne di ruuido morbido, e altre simili qualità. Ma con tutto, che ciò verissimo sia, noi pur veggiamo, che nuoue stelle apparite nel Cielo in diuersi tempi sono; come adunque stà il fatto. Prouano gli Astrologi primieramente, che tali apparizioni nello stellato, ò in quel torno vedute si sono, perche scintillavano; proprietà che è dell'ultime, e supreme stelle, cagionata dalla gran lontananza, nella quale si vanno perdendo, e suaniscono quelle spezie, ben che luminose: onde l'occhio nostro si rende astaticato a riceuerle, e cosi titubando par che scintillino. Considerazione decima. Si è dimostrato nella Considerazion settima, che i Cieli anno moti contrari, anzi i medesimi de’ corpi sullunari. il perche, se i mouimenti, e la materia, come si dice nel medesimo luogo, sono gli stessi tanto à corpi superiori, quanto à gl’inferiori, le qualiità, le quali dal nostro Autore sono attribuite a questi, a quelli ancora in niun modo si douranno negare, e perciò caldi, freddi, vmidi, secchi, leggieri, e graui saranno i Cieli: anzi di più si proua, che e’ sieno condensabili, e rarefattibili, argomentando in cotal guisa. Risposta. Non ha dubbio, che in quanto al creder vostro, non ci occorreuano più dimostrazioni, anzi meno di quelle, che hauete fatte, per istabilire i cieli hauer contrari mouimenti: ma quanto alle ragioni in soddisfacimento d'altrui, hauete più tosto persuaso a credere il contrario cui era dalla vostra, che indebolito, ò adombrato gli argomenti d'Aristotile. E, se in ciò meritate lode veruna, è l'hauer fatto con le false dottrine da voi poste in campo, maggiormente risplender la verità. Almanco haueste voi preso alcune argomentazioni, che hauessero dell'apparente, e a prima fronte ingannassero l'intelletto con l'artificio loro, come fece quell'Alchimista, che, sendo menato per ingannatore dauanti a l'Imperadore Anastasio, cauò fuora vn bellissimo freno da caualli d'oro massiccio, tutto contesto di ricchissime gemme; e'l donò all'Imperadore per menar per lo naso ancor lui co’ suoi inganni, percioche era finto, e non reale quel freno. Onde l'Imperadore accorto il prese, dicendo, se tù hai gabbati tutti gli altri, mè, non gabbera'tù; e'l fè cacciar in prigione, ne mai più si riuide. Ma voi certamente non gabbarete se non voi medesimo co' vostri sofismi, perche sono scoperti d'ogni artificio. Voi pur l'hauete con le contrarie qualità, e non vi bastano, che eziandio fino dall'armonia celeste vi pensate prouar corruttibile il Cielo, ne vergogna niuna vi ritrae da cosi fiacche, e melense argomentazioni? Ma perche si è risposto di sopra, e conchiuso’l contrario, basterà dir solamente, che Aristotele dice; Corpus igitur id, quod versatur, impossibile est grauitatem, aut leuitatem habere. Voglio prouarlo ancora con le ragioni, se ben non dourei, posciache non hauete atterrato, ne argomentato niente, circa le dimostrazioni d'Aristotele, come, sè egli mai non n'hauesse fauellato. Pure, perche m'hauete fatto conoscer fino al Mauro, non voglio, che mi vinciate di cortesia. Diciamo adunque, il Cielo non hauer cotali condizioni, perche non si muoue al centro, ne ascende più sù di doue egli si ritroua, come fanno i corpi, che leggieri, ò graui sono. Oltre acciò, questi mouimenti retti, ò conuengono per natura al corpo celeste, ò contra natura. Non nel primo modo; perche è corpo semplice, à cui vn semplice moto conuiene eziandio, che è il circulare. Non nel secondo modo; atteso che de’ mouimenti retti, sè l'vno gli conuenisse contra natura, l'altro di necessita gli conuerebbe per natura, contro quello che si è conchiuso: onde non è graue, ne leue quel corpo altramente. La medesima conseguenza si dee far delle parti ancora; essendo che la stessa ragione habbiano le parti, che il tutto; sì che, se fosse possibile separare vna parte di Cielo, quella da niuna parte haurebbe inchinazione al moto, non sendo ne graue, ne leggiera. La sua figura rotonda è argomento ancora, che solamente habbia attitudine al moto circolare, che non inchina più à vna parte, che a vna'altra; perche, sè appetisse qualche particolar luogo, non andrebbe regolatamente, e vniforme; ma hor più veloce, e hor più tardo. finalmente io dico, per conchiudere in poche parole, che il corpo celeste con le sue stelle è vna sostanza soda senza craffizzie, di forma lucida, d'atto mobile, di figura rotonda, di superficie piana, di natura purissima, di materia senza potenza, di luogo altissimo, di moto velocissimo, di quantita grandissimo, di virtù efficacissimo, di mouimento immobile, di rarita non densabile, di densita non rarefattibile, d'opacità non tenebrosa, di mole non graue, non leggiero, non ruuido, non morbido, di resistenza non tangibile, densissimo senza oscurita, diafano senza pori, di potesta, che riscalda, raffredda, inhumidisce, e disecca; senza, che habbia siccità, freddezza, humidita, caldezza; e in somma è vna quinta essenza tutta diversa da’ corpi elementali. C. Se, come tien Prisciano Lidio in Teofrasto i con tutti i più saui, il suono procede, essendo l'oggetto, che è di mezo fra quello, che suona, e quello che ode, mosso, e per dir cosi trambustato; onde dice Aristotile, che la voce non può essere se non in corpo rarefattibile, e condensabile, e per consequenza propriamente variabile : e se dal vicendeuole girar delle sfere, e dal moto contrario de Cieli, ne nasce vna certa armonia, e come scriue Macrobio, vn soauissimo suono, il quale da noi non si può vdire, dice il Dalciato con altri autori, sì per lo imperfetto nostro udire, come per la perfezione ancora di quell'armonia, i cieli, per tacer degli elementi, come cosa manifesta, i quali sono quell'oggetto di mezo, che si ricerca per generar cotal suono, abbisognerà, che nelle parti loro sieno mobili, e transmutabili, e perciò necessariamente rarefattibili, e condensabili. Risposta. Pigliate il vostro Astrolabio, che, per hauerlo voi ben difeso dale mie persecuzioni, ancor si conserua intero; e ricercate tutto questo vostro periodo, che è più lungo, che la buca delle Fate, che dicono, che và dalla piazza di Fiesole fino a San Giouanni di Firenze; e trouerete, che egli pizzica di monco. Voi dite. [Il Suono procede, essendo l'oggetto di mezo mosso, e tram bustato] Quest'è il concetto, leuatone le parole interposte. Hor giudicate voi, che dolce maniera di costruir sia questa. Ma che più importa è, che io non veggo la causa efficiente, donde procede il suono: La quale è, come vogliono i filosofanti, il percotimento di due corpi sodi; e l'aria, o l'acqua sono il mezo in cui tal suono si riceue, e quindi passa all'orecchie altrui. Doueuate dire adunque. [Il suono procede, sendo l'aria, ò il mezo mosso dal percotimento di due corpi sodi;] che cosi vuole Aristotele Stateui pur da voi con Prisciano, e con tutti quei più saui, che affermano il Cielo far vero suono; perche io mi vuò rimaner con Aristotele. San Tommaso. San Bonauentura. Auuerroe. Alberto. e con tutta la comune dell'vna, e dell'altra scuola, per non mi recar la muffa a buon sapore. E anche vi dò parola, che s'io fossi della vostra Accademia vorrei frodarla ogni giorno, per disimparare cotali dottrine lontane da ogni ragion di vera filosofia. Ma queste stroppiate filosofie, Alimberto, fanno a punto come fece vn piaceuolissimo zoppo. Ritrouandosi vna volta sei amici a vna cena, ogn'vn si pose a tauola senza considerarà precedenza niuna: ma per che tra loro era vn zoppo litterato, il qual, per essere alquanto più modesto, si pose nell'vltimo seggio.Vollero honorarlo del primo, tardi auuedutisi del l'errore: ma egli non l'accetò, dicendo, il sesto luogo si conuiene al trocheo. Volendo inferir, che si come il trocheo piede ne' versi esametri, non può star, se non nella sesta, e vltima sede, percheua senza regola; cosi egli perche era imperfetto; hauendo una gamba lunga, e vna corta, douea fuor di regola tener l'vltimo luogo. Le zoppe, e monche filosofie, adunque, fanno il medesimo, che si pigliano l'infimo luogo da loro stesse. L'armonia celeste è uera; ma non già con quel sentimento, che ne cauate da Pittagora; perche non consiste altramente in numero sonoro, ma si bene in certa proporzione aritmetica, e graziosa bellezza diletteuole a i riguardanti. Trè sono i generi della musica, e armonia, dice Boezio: Vocale, strumentale, e Mondana; e questa sola è quella, che nel Ciel si ritroua, consistendo in certo componimento di parti col tutto; e in vn diuisamento di lumi, di colori di figure, e altri simiglianti proporzioni secondo la natura delle cose, ben che nel Cielo più, che in qual si voglia luogo di questo vniuerso, risplenda. E di questa intese Platone nel suo Fedone; Tolommeo; Plinio nella Istoria naturale. Ne operano contro a ciò le parole di Iobbe al cap. 38. Et concentum Cœli quis dormire fecit? Attesoche metaforicamente si deono intendere, cosi afferma Santo Agostino, San Tommaso, San Hieronimo, Beda, e tutti gli Scolastici; essendo, che ogni cosa consista in certa proporzione di numero peso, e misura. Persuade il medesimo la ragione eziandio: imperoche, non sendo aria nel Cielo, non posson quei corpi cagionare il suono, mancandoui il mezo, che le riceue, e lo porta, come si è di sopra prouato. Ne anche le Stelle posson produrlo, mouendosi per lo Cielo, essendo, che il Cielo e sodo, e quelle son fisse in lui non altramente, che i nodi nel legno, e perciò si muouono al moto dello stesso corpo celeste, e non da loro, fendendo, o violentando quel corpo, da cui possa il suono generarsi. Aggiugnesi, che le stesse sfere, come che l'vna si giri nell'altra, e di mouimento diuerso, nulladimeno, suono gia mai far non possono: conciòsiache per esser corpi semplicissimi, e puri, non può la resistenza fra quegli ritrouarsi, per cagion di ruuidezza, è scabrosità, sì che da quel fregamento nascer ne possa il suono. Quindi è, che non ui si ritroua corpo tenue di mezo, per abilitar quelle sfere al velocissimo corso loro, non vi facendo mestiere. E veramente, se il Cielo fosse corpo arrendeuole, e cedente non per tanto non farebbono suono mouendosi in quello le stelle; perche si muouono vnitamente, e non più ueloci, ò più tarde; donde resultarne possa da quello strisciamento, sibilo, ò armonia veruna. Esemplo ne siano le naui, che mouendosi con lo stesso corso dell’acque non producon suono, ò romore. Ma chi direbbe, quando pur si concedesse i Cieli fare armonia, che, non solamente, ella non si sentisse di quaggiù, ma’ che anche, da quel suono eccessiuo, non fossero stupefatti i sensi, e corrotte eziandio le cose insensate ? Non cagiona il medesimo effetto il tuono , e il tremoto? E che sono cotali romori in comparazion del tuono, e strepito incredibile, che farrebbon cosi gran machine di tanta velocità, douendo proporzionarsi il suono alla grandezza, e velocità del suo producente? Vano per certo sarebbe se chi che sia dicesse, non esser la medesima ragione, ne poter compararsi il tuono elementale all'armonia celeste; conciosiache quello distrugga, e alteri i sensi, e le cose; e questa gioui, e conserui; si come il moto da cui procede il suono genera, e mantiene altresi. Ne aggiungasi ancora, che il sommo artefice, cosi disponente, habbia posto in quella, soauita, e giocondezza sì che molestia non apporti. Perche non è egli vero, che anche la Luce del Sole, quantunque habbia virtù generatiua, conseruatiua, e viuifichi, e illumini; ad ogni modo a chi fissamente il riguarda nocumento a gli occhi cagiona, perche è sensibile di troppa eccellenza? Non patiscono, si distruggono, ò si seccano i corpi lungamente alla spera del Sole esposti nella stagione ardente? Così appunto l'eccessiuo romor delle sfere, da cui fuggir non si potrebbe ne temperamento alcuno ritrouarui, corromperebbe il senso non pur dell'vdito, ma stupidi renderebbe tutti gli animali, e in poco tempo ogni cosa inferiore alla distruzione, e al fine condurrebbe. Ne in difesa di ciò rileuerebbe il dire, che tale armonia, per non esser proporzionato oggetto alle nostre orecchie, non si sente, in quella guisa, che i cani, ò altri animali sentono certi odori, che non sentiamo noi; e noi per lo contrario odoriamo alcune cose non sentite da loro, come per esemplo le rose, che alcuni dicono non esser da loro odorate. conciosia cosa che, oltre al non esser uero, che i cani non sentano olire anche le rose; si risponde, che la differenza consiste solo nell'eccellenza del senso, circa il più, e’l meno apprendere, ò più presto , ò più tardi i sensibili difficili a sentirsi. Ma perche il fuono celeste non sarebbe sensibile, difficile per la sua estrema eccellenza, quindi è, che sè tale armonia fosse nel Cielo, ella si sentirebbe. Ma, che il senso dell'vdito sia proporzionata potenza a sentire ogni suono, lo dice Aristotele, uolendo, che l'anima, secondo l'intelletto, e’l senso sia in potesta, in certo modo ogni cosa. Dicasi, per tanto, che non ui essendo suono, l'udito del Ceruo, eziandio si affaticherebbe in uano, per sentire armonia, doue non è armonia, ne ancora la priuazion di quella. A quella ragione, che si suole addurre, dicendosi, che non si sente tal suono, per l'assuefazion, che habbiamo fin dal nascimento di riceuer nellorecchie, quel suono senza cessar cotale strepito mai; e perciò non possa partorirsi la cognizion della priuazione, e della quiete di quello, posciache vn contrario fa conoscer l'altro: si risponde, che non solamente de' contrari si conoscono i contrari, ma ancora dal più, e dal meno si discernon le cose della medesima spezie essere in natura. si che, sentendo i quaggiù altri suoni, e romori non di pari tuono, si uerrebbe per questi a conoscer quello esserci ancora. Ne è uero, che l'assuefazion non lasci sentire, adducendosi l'esemplo di quegli, che habitanò lungo il mare, e simili, di cui si dice, che non senton quel mormorio dell’onde per la lunga consuetudine, che leua la molestia, perciò che ad ogni modo sentono, ma non senton tanto; e si conosce questo esser vero, massimamente, quando vogliono auuertirui, perche lo sentono appunto, come il primo giorno. Oltre acciò tale armonia, ò non si sente assolutamente, ò respettivamente. Non nel primo modo, perche altramente io domanderò, che testimonio n'habbiano quei tali, che ella vi sia, se ella non si sente: adunque nel secondo modo: adunque si sentirà qualche poco: ma ella non si sente punto; bisognerà pertanto conchiudere, che nel Cielo non sia armonia in veruna maniera. Potrebbe esser bene, che voi l'haueste negli orecchi, e pensaste, che ella fosse anche nel Cielo, come accadde a vn semplice soldato contadino, che per certo accidente, gli parue, vn giorno intero, e la notte dipoi sentir sonare il tamburo. Perche, leuatosi la mattina per tempo, s’armò tutto com'vn'Istrice. La moglie, veduto questo, il domandò doue andar volesse. Rispose; a Firenze à pigliar danari per andare alla guerra che si tocca tamburo a distesa. La pouera moglie co' parenti, e con gli amici non potè mai cauarglielo del capo, che in quel tempo si fossero mai sentiti tamburi, finche egli non venne à Firenze, e chiarissi, che solo ne suoi orecchi sonauano i tamburi. Hora voi, non potendo farne la proua, vi rimarrete con cotesta armonia nell'imaginazione, che buon pro vi faccia. Giorgio Veneto nella sua Armonia del Mondo, non fece come voi, ma scherzò molto leggiadramente. Conciosiache egli ritrouasse nel Cielo tutte le proporzion musicali risultanti da sei numeri, cioè da l'Epitrito, Hemiolio, Duplare, Triplare, Quadruplare, & Epogodo. Dalle varie proporzion di questi si generan, poscia le Simphonie, come il Tono, il Semitono, il Diatesseron, il Diapente, il Diafason, & Disdiafason: onde ne risulta soauissima melodia; ma intellettuale è la celesti, perche ciò sono quei tanti lucidissimi splendori (o Mauri) finalmente, che la uera armonia del Cielo è quell'ordine mirabile, onde Tibullo; Ludite, iam nox iungit equos, currumque sequuntur matris lasciuo sydera fulua Choro. Ne vi crediate, che le parole d'Homero. Multis erus Cœlum, Facciano al vostro proposito; perche volle, come Iobbe significar la creazion del Cielo, essendo, che le cose di simil metallo si gittano in vn tempo, e fannosi d’vn pezzo; Tu forsitam cum eo fabricatus es Cœlos, qui solidissimi quasi ære fusi sunt? Dimostrando, che è incorruttibile, con la somiglianza del bronzo, che è metallo di lunghissima durata. Il medesimo accennar volle Torquato Tasso in vn suo Sonetto con queste parole; Ad eterna memoria altera incide, Là ne’ bronzi del Cielo il sacro nome: della Fama parlando. Non suona adunque il Cielo, e perciò non si rarefa, ne condensa. Onde non è alterabile, ne coruttibile, come ui credeuate; perche non son quei bronzi, come se fossero le campane della celeste Gierusalemme, ma metaforicamente intender si debbono. C. Il rispondere, che sì fatto suono, e concento essendo intenzionale, non occorre, che l'oggetto di mezo sia sottoposto alla possibilità dell'esser mosso, e tramutato, saria del tutto ridicoloso; conciosiache, se questo fosse, la ragion, che s'adduce, perche noi non vdiamo tale armomia, cioè la perfezione dell'vdito, sarebbe apertamente friuola, e vana, auuegnache cotal senso niente si adoperi nello'ntendere detto suono intenzionale. R. Se il suono è intenzionale; adunque il suono non si ode ? Antecedente male inteso, e conseguenza falsa. Male inteso, perche l'essere intenzionale è vna di quelle cose, che non si imparan fuor di camera: però non è marauiglia, che il vostro esperto Nocchiero nòn vel'insegnasse nauigando. Volete voi ch'io vel dica alla libera? i vostri concetti mostruosi mi paiono i Sileni, a cui Socrate fu assimigliato da Platone. Erano i Sileni certe figure di legno strauaganti, e roze, che rappresentauano saluatichi animali; ma aprendosi per lo mezo, dentro vi appariua vn Dio maesteuole, e pomposo: onde il Tasso. Già nell'aprir d’vn rustico Sileno, Merauiglia vedea l'antica etade. Questa differenza veramente è tra i vostri Sileni, e quegli, che i vostri riescon uoti d'ogni bene; se non vogliam dir, che di dentro, come di fuora appaion Sileni. Chi vuol disputar dell'intenzionale, fa mestier, che sappia, che differenza sia tra intenziole, e reale; ma per quel ch'io veggo voi ne siate più innocente, che non è l'agnello della morte del lupo. Bisogna, che dell'intenzionale habbiate qualche nuoua intelligenza cauata da i sogni di Democrito. Ma andate, che, accioche voi guadagnate perdendo, mostrandoui, l'argomento dell'intenzionale non valer nulla, come che ne facciate tanta stima; io vi voglio far grazia, che ne sentiate il parer della vera, e non sognata filosofia, accioche non ne parliate a sproposito da qui innanzi. Diciamo adunque, questo termine intenzionale non significare altro, che vn esser di mezo trà puro intellettuale, e materiale reale, ò ver materiale naturale, che dir vogliamo, perche participa dell'vno, e dell'altro. Non è semplicemente spiritale, perche rappresenta l'esser coporeo, cioè gli accidenti corporali, le quantita, e diuision del corpo di cui manca l'essere spiritale. Non è assolutamente materiale, perche non hà quella corpolenza della cosa materiale reale, se ben la rappresenta: sì che l'imagine, per esemplo, nello specchio, perche rappresenta le dimensioni della mia faccia, le quantità, gli accidenti, e ogni minuzia, per insino i peli, le margini, e somiglianti, dell'esser materiale, non si può chiamare spirituale. Ma dall'altra parte, perche non hà quelle dimensioni, e corpolenza, che mostra quella imagine spiritualizata, non sendo palpabile; però non è materiale reale, ne intellettuale; ma si dice hauere vn’ esser mezano, e questo, intenzionale, s'appella. Chiamasi ragioneuolmente cosi, perche hà vn esser deficiente dal reale in certa guisa, che pare vn ente di ragione, e intellettuale, per dir cosi, non hauendo esser fermo, e stabile, ma per modo di passaggio; come per esemplo il color verde, per le sue spezie manda nell'aria l'esser suo, ma non vi hà quella realità, che hà nel proprio soggetto, cioè nella sostanza dell'herba. Dicesi il medesimo anche della luce; ma con questa differenza, che l'esser naturale reale di essa consiste in questo essere intenzionale; ma l'esser de’ colori, e somiglianti, non consiste nell'esser, che hanno nella spezie intenzionale, ma nell'oggetto, parlando dell'esser reale, e naturale. Esemplo ne fia l'esser naturale della mia faccia, che non è quell'essere intenzionale, che è nello specchio. In somma qualità reale si chiama quella, che à questo fine è fatta, cioè, perche ella sia, benche secondariamente rappresenti altra cosa. Qualita intenzionale s'appella qualunque qualità, che è primieramente instituita, accioche rappresenti altra cosa, come che ancor’ella habbia il suo essere. Che ve ne pare adesso; la risposta dell'intenzionale sarebbe ridicolosa? Se voi non volete errore nel parlare, pigliate da me questo consiglio, Signor Mauri: parlate come la statua di Mennone. Racconta Filostrato nella vita d'Apollonio. che quell'Idolo, essendo posto in luogo, oue era dal Sole illustrato, giunto il raggio solare, al piede; non perciò faceua la sua Maestà senso veruno; ma quando il raggio entraua in bocca, allora tale statua parlaua, dando fuora il suo oracolo. Ma à voi il grande Aristotele appena ha dato lume de primi principi, che hauete voluto dar l'oracolo: e però se aspettauate il Sole alla lingua più, che al piede voi parlauate bene, e non correlate male. Anzi quegli, che così a discorrer si mettono son simili alla testa di bronzo fabricata con tale artificio da Alberto Magno, che parlaua; ma senza sale, perche la zucca era vota. Ditemi per vostra fè, qual filosofo è stato il maestro, da cui hauete apparato, che il suono, se fosse intenzionale, non sarebbe oggetto dell'vdito? Bisognaua prima, che replicaste alle risposte de'buon filosofi, e non faceste veduto di dormire, per metterui in pericolo, che vi fosse fatto vn di quei soffioni, che dite alla considerazion quindici. Anzi che i sensi non riceuono il sensibile mai, se non intenzionale, quantunque alcuni, come il gusto, l'odorato,e'l tatto, lo riceuano anche realmente, se ben la spezie intentionale passa più auanti, che la materiale. Esemplo chiaro ne siano le spezie delle cose visibili, che all'occhio nostro non altramente, che intenzionali trapassano. Chi sarebbe mai si priuo di giudicio, che dicesse, che la stessa pietra, ò monte, che io veggo, mi venisse nell'occhio? Aristotele dice pur, che il senso riceue le forme senza materia, intenzionali. altramente ne seguirebbe, dic'egli, che il senso riceuesse la forma stessa, e la medesimi di numero, che è nell'obietto sensibile, il che è falso per la ragion detta. Ma può ben riceuer a spiritalmente perche tal riceuimento non è altro, che l'imagine di quella forma che ella rappresenta; che per ciò si dice esser la medesima, cioè per rappresentazione; Auerroe, dichiarando il detto luogo ottimamente, afferma, che se il senso riceuesse le forme sensibili con la materia, ne seguiterebbe, che le cose sensibili hauessero il medesimo essere nell'anima, che fuor dell'anima, perche in qualunque luogo di questi sariano materiali. onde, è necessario confessar, che intenzionali si trasportino al senso le spezie delle cose sensibili. Il medesimo Aristotele dice di più; la scienza, e la cosa scibile sono vna cosa stessa; non la cosa materiale scibile, che è fuori dell'anima; una la spiritale che è dentro l'anima: e il medesimo si intende del senso, e del sensibile. Sara adunque, il suono intenzionale oggetto conuencuole dell'vdito. E chi non vede, che non ha del verisimile, che il tuono, che fa vn'Artiglieria sempre si trasporti per lo mezo dell'aria realmente per la distanza di quindici, e venti miglia fino alla miringa dell'orecchie? E perciò, parte realmente, e parte intenzionalmente facendo quel Passaggio, bisogna confessar, che alla potenza vditiva è conueniente, e proprio oggetto il suono intenzionale. Vero è per tanto, che se il Cielo facesse intenzionale armonia, ella si sentirebbe, perche anche le spezie intenzionali hanno vn corpo, che le riceue mediante il quale alla potenza sensitiua si rappresentano. Hor non direte più che, se nel Cielo fosse armonia intenzionale, friuola sia la ragion della perfezion dell'vdito, per rispetto del suono. Sapete voi quel che è friuolo, è vano? Il dir che i Cieli suonino, e non si possan sentir per le ragioni da voi addotte. Almeno haueste voi detto, come Filone nel libro de Somniis; Cœlum perpetuo concentu suorum motuum reddit harmoniam suauissimam, quæ si poset ad nostras aures peruenire excitaret impotentes amores; & insanum desiderium, quo stimulati rerum ad victum necessarium obliuisceremur. Doue par, che al miracolo ascriua, che il suon celeste non giunga alle nostre orecchie, se ben da tutti è ributtato, stimandosi ragion volontaria, e senza autorità sufficiente. A me par, che andiate imitando, con queste fantastiche chimere, Pier di Cosimo pittore, che era tanto strano ceruello, che egli (per quanto si caua dalle vite de Pittori di Giorgio Aretino) si fermaua talora a considerar vn muro, doue lungamente hauessero sputato persone malate, e ne cauaua animali, huomini, città, paesi, e piante strauagantissime, e bizzarie le più nuoue del mondo. Cosi voi certamente non da gli sputi, ma da i sogni degl'infermi ceruelli ch'habbiano i febriconi, par, che facciate nascer tutta quest'opera. Piero almeno, di non nulla faceua qualche cosa; ma voi per lo contrario, di qualche cosa hauete fatto non nulla, cioè della verità la bugia. Discorso. Aggiugnesi per cagione di questo ancora il mouimento della trepidazion di quel Cielo, sè però è vero. E se alcuni dicono Mercurio certe fiate hauere scintillato, egli può essere stato per accidente cagionatosi da certa caligine, e moltitudine di vapori, che spargenti quella luminosa specie, e disunendola habbiano cagionato quello scintillamento, si come souente fanno le stelle non lungi all'orizonte dalla parte Orientale, vicino al nascer del Sole, per la gran copia de’ vapori, che allora si eleuan per l'aria, e la scintillazion maggiore a gl'occhi de’ riguardanti apportano. Onde secondo alcuni anche le Comete scintillano, ma per accidente simile, come si e detto; e perciò non sempre come alle stelle del firmamento cotale effetto accader vedrassi. Anzi direi, che nelle Comete fosse più tosto alzamento, e piegamento di quella fiamma, che producesse la scintillazione, come che non manchino di quegli, che vogliono le Comete non essere accese altramente, ma solo quel vapore, o esalazione, che si sia essere illuminata dal Sole in quella guisa, che alcune fiate s'è veduto qualche nugoletta cosi illustratasi per lo raggio solare, che vn'altro Sole è stata creduta veramente. Dicono alcuni esser ragioneuole il creder, che non siano le Comete ardenti, e accese: imperoche la durata di tali esalazioni appena sarebbe di giorni, non che d'anni interi. Esemplo ne siano, dicono essi, quelle accese esalazioni, che passano scorrendo per l'aria in vn batter d'occhio, e subito suaniscono; le quali stelle cadenti s'appellano. Secondariamente affermano i matematici cotali stelle esser nel Cielo. impercioche al moto di quello si muouono vniformi, facendo tutto il circolar uiaggio per lo spazio di ventiquattro hore. Considerazione XI. Auuertite, che il nostro autore seguita in questa parte l'opinion de’ semplici, i quali sentendo, che e' c'è un moto chiamato della Trepidazione, e insieme vedendo, che le stelle in un certo modo tremano. Risposta. Farò ben io tremare, e rouuinare i vostri deboli argomenti, se non treman le stelle. C. Si son creduti, che cotal moto si sia da gli astronomi imaginato per poter render ragion di questo tremamento, ò scintillamento, che vogliam dire, e che, essendo trouato per questo, sia stato nominato cosi, per conformare il nome suo al suo effetto. R. Io seguo, e seguirò sempre i semplici, quanto alla schiettezza de' sensi, e delle parole in ogni mio affare; ma non già nella abbiettezze, e credulita delle vane opinioni. Al mio proponimento non si ricercaua il disputar, se tale sia il moto di trepidazione, circa la verità della causa, ò dell'effetto, ò del nome, ò se in vn Cielo più, che nell'altro, come che io sappia, il Clauio, il Collegio Conimbricense, e altri infiniti, come voi stesso Confessate, hauere in ciò seguito i semplici essi ancora. Impercioche io domando Alimberto, che di inconuentente; che di contrarietà ne seguirà egli al mio proponimento, ò siano vere, è nò cotali cose? Non hò io prouato per detto degli Astrologi, e Matematici la stella apparita esser nel Cielo con le ragioni loro, trà le quali è questa della trepidazione? Hora, se la trepidazione è nel Cielo e se aggiugne tremamento ò nò, ò se questo scintillamento accada più da vna cagione, che da vn'altra, sì che non ne sia cagione l'accesso, e recesso, che io non l'hò affermato: anzi dissi [se però è vero]; accennando, che à me non caleua il disputarlo; solo mi basta, che l'effetto sia tale, per conchiusion del mio concetto, sì come tutti gli Astrologi, ancor vogliono, che la scintillazione sia propria passion del Cielo stellato. Ho bene affermato, che la scintillazion si cagiona per difetto della potenza visiua, come - afferma Aristotele nel luogo da voi citato, e impugnato a torto. C. Vorrei particolarmente in questo esser bene inteso; acciò non si seguitino in simili affari più tosto gli ignoranti, che gl'intendeti. R. Disse Platone a Socrate [Gratis liba] perche egli non hauea nel conuersare, se non rozezze: ma io dico a voi, che non doureste guardarla in danari, per torre vna casa à linea, ò a vita nel Garbo; perche, si come io non fù mai quel che voi siete; cosi non farete per niun tempo quel ch'io sono. C. I quali dal sentire il nome Trepidazione, non conchiuggono adunque tal mouimento è cagione della Trepidazione, come quegli, che sanno molto bene, che questo è lo stesso moto, menzionato da noi nella Considerazion settima, attribuito al nono, e decimo Cielo, e chiamato latinamente, e nell'Astronomia Motus accessus, & Recessus, ò vero motus in diametrum. Se adunque il moto di quei due cieli, che volgarmente, sì come in latino ancora, quantunque più di rado, si dice per le ragioni addotte dal P.Clauio, il moto della Trepidatione è vero, e certo, si per tanti fenomeni, sì per lo discorso dello stesso nostro Colombo, ilquale per seguire l'Ipotesi Alfonsine, tenute da alcuni per buone, quando non era ancora trouato quell'altro Cielo detto Secunda Libratio, attribuisce tal sorte di mouimento all'ottauo Cielo, in che modo si potrà giammai, come pare, che faccia il nostro autore, non senza qualche contrarietà alle sue conclusioni, mettere in dubbio il moto della Trepidatione ? e chi sarà poi quegli di ceruello cotanto ottuso, che considerando la lungheza, e tardanza di sì fatto moumento, si lasci scappar di bocca, che egli della scintillazion delle stelle, che si vede fare in un momento possa essere in alcuna maniera la cagione ? Ma poiche noi siamo ne’ ragionamenti di questo scintillare, penso sia bene l'andar cercando se si potesse (ilche per infino à quì, se io non sono ingannato non è adiuenuto ) addurne cagione almen verisimile. Aristotele fù d'opinione, che ciò aduenisse, per essere elleno assai lontane, dallo’ndebolir si la vista nostra in mirarle. R. Guardate, che il troppo ardir contro Aristotele, non dipenda più tosto da imprudenza, che da scienza. Ma, se da questo procedesse, non ci hà dubbio alcuno, che le parrebbero più à uno, che a vn'altro, e à vn medesimo più in vn'età, che in un'altra scintillare, secondo l'acutezza, ò deboleza della vista, lagual cosa, per esser manifestamente falsa, pare, che cotale opinione rimanga senza niun fondamento. Credette vn'altro valent'huomo, che lo scintillar fosse cagionato da i corpi mobili, i quali son fra noi, e l'ottauo cielo. Perche (diceua egli ) sì come guardando noi per un gran fuoco l'oggetto, che gl è dietro, per essere detto fuoco mobile, e tremolante, ci pare anche tale oggetto vacillante, e mobile, cosi passando la nostra vista per questa varietà di moti, molto bene ci posson parer le stelle ancora del firmamento tremolare, e scintillare. Sottilissimo pensiero di vero, e che in prima apparenza ha molto del verisimile: ma considerisi, che, se questo è, accadra necesssariamente, ò per lo mouimento diurno, ò pe’ moti propri de’ Pianeti. Per lo diurno non si dee dire: atteso che, oltre all'auere l'ottauo Cielo anch'egli cotal mouimento, le stelle, che si ritrouano nel polo, ò vicine ad esso, come quelle, che anno auanti à separte del cielo quasi ferma, e stabile, ci dourebbono niente, ò almeno manco assai scintillanti apparire. I moti propri ancora de’ pianeti, non mi pare possan cagionar vn cotale effetto. Prima, perche essendo i loro mouimenti tardissimi, molto tardo ancora dourebbe essere il tremolare. E poi detti moti auendo ancor’essi i lor poli, intorno à questi niente, ò poco si aurebbe à veder nelle stelle lo scintillamento, ilquale, come ogn'vn può scorgere, è in tutte il medesmo, cioè tanto in quelle, che son lontane da essi, come in quelle, che son lor vicine: onde ne anche questa openione si dee ammettere per sincera, e sicura. R. E chi mai negherà, che le stelle non appaiano scintillar più a vno, che a vn'altro, e più questa fiata, che quella, e maggiormente in vna parte, che in altra, e altra stella meno eziandio, e altra più ? Sentite vn sottil auttore. Paiono scintillar le stelle, perche mouendosi l'aria, i raggi che vengono a noi perpendicularmente; si frangono; onde par che le stelle tremino, come appunto la ghiaia, e i sassuoli, che nel fondò di qualche limpido fonte appaion tremolare, mediante il corpo di quell'onde correnti. I pianeti non sembrano scintillare; perciò che mandano i raggi loro a’ nostri occhi più viuamente, e con maggiore efficaccia. Alcuna volta le stelle fisse dimostrano di tremar molto più; e paion fare scintillamento anche i Pianeti, che scintillar non sogliono: è questo, perche l'aria è assai più agitata dal vento, che ella non suole: segno manifesto, che indi a poco per lo più si sentira spirare il vento quà giù ancora. Marte perche è alquanto oscuro, rosseggiando scintilla, e massimamente appò coloro, che di vista debole essendo, giudicano più stelle tremolar, che gli altri, non hauendo il vedere acuto. Per la stessa ragione le stelle, che di la dall'Equinozial si ritrouano, maggior trepidazione appar, che facciano, essendo a gli occhi de'riguardanti viè più lontane. Il Can maggiore, eziandio, che molto luminoso, e grande si mostri ad ogni modo, perche e lungi assai tremare il direste; si come in altra parte del Cielo scintillar più, e in altra meno, molte stelle si veggono, come per esemplo quelle, che nel vertice sono, e quelle, che molto splendono, e che grandi sono, e le vicine al Polo ancora; posciache l'aria è quiui meno agitata, e mossa, e il moto delle stelle più tardo. Ma quelle più tremolanti appaiono, che locate sono vicino all'Equinoziale, e che sono più lontane, e piccole; imperoche il corso loro in quella parte è velocissimo, e'l vento assai alto vi spira; onde paiono per tali ragioni più alte, e minori, che elle non sono. I. Ma che la lontananza, e la debolezza della vista, e il mezo diafano alterato possano cagionar tale apparenza di scintillazione, esemplo chiaro ne sia il veder, che, vn lume posto lontano a chi è di vista debole, e corta, gli sembra pieno di raggi non solo, ma scintillante ancora. E quegli, che di possente vista si ritrouano, che di tale sperimento hauessero desiderio in loro stessi, pongansi alquanto lungi a fiaccola, ò candela accesa; quindi serrin gli occhi in guisa, che appena riceuan fra le palpebre quello splendore, e vedranno indubitatamente scintillar quella luce, raggiando intorno, intorno. Del mezo alterato infallibile sperienza n'adduce San Tommaso, affermando che, il Sole, nell'Oriente, e nell'Occaso, per li humidi vapori, che ascendono sopra l'orizonte, diffondendosi dentro i raggi, apparisce tremare, come che il medesimo faccia nel mezò giorno, per l'eccessiuo suo lume, che offende la visiua potenza. Per difettto della vista adunque nasce l'apparenza dello scintillamento, ò trepidazione, come vuole Aristotele, e non altramente, si come è seguitato dalla comune de’ filosofanti. C. A me adunque e sempre paruto incoueniente il dire, che ciò auuenga alle stelle, per cagion lor propria, e interna. Conciosiachè per qual ra-gione loro esser tutte scintilla- nti, quantunque sieno di diuersa materia una lucida, e risplendente, una ignea, un'altra plumbea, e i pianeti esser lontanissimi da simili proprieta? ne meno penso, che la ragion di questo si possa attribuire à noi, ma da noi sia lontanissima, e del tutto aliena. R. Hauete adesso, per le ragioni dette, occasion di conoscer di quanto vi ingannate. C. Poiche à tutti, e nel medesimo modo, e sempre appariscono scintillare. R. Ancora questo, per quanto vi hò mostrato, par solamente a uoi; e perciò non hauete pieno il margine d'allegazioni. Ma forse l'hauete fatto a posta, perche io non mi serua del testimonio loro contro di voi, poiche sempre scelto hauete le dottrine in testificazion de vostri errori, e in mia difesa, per darui da voi medesimo a conoscer per filosofo, e astrologo d'altra qualita, che non è il Colombo. C. Ma si bene son di parere, che tutto l'effetto di ciò al Sole si debba attribuire, il quale lontanissimo, arriuando col suo lume fiacco, e debole alle stelle, lequali non altrimenti, che la Luna, da esso, si come dice Vitellione, riceuono lo splendore, à quelle contribuisca i suoi raggi, per cosi dire à folate: onde se ne cagiona poscia quell'affiebolimento, quasi spirazione, ò anelazione affaticata. R. Io credo, che voi farete, come quei caualieri antichi, di poca stima, che portauano, secondo il costume, in battaglia lo scudo bianco, e talè il manteneuano, si che si moriuan finalmente con esso bianco, per la dappocaggine, senza mai poterlo fregiar di qual che segnalata vittoria. imperoche voi siete venuto per la prima volta in proua con troppo gran campione, a giostrar contr'Aristotele, che non lasciò mai il campo voto a niuno per la seconda lancia. A chi parrà egli mai, che habbia del verisimile tal concetto? E pur osate metterlo in battaglia contro il parer di tant'huomo, che è il vero, per certo, vanamente abusando la sua modestia, poi che egli disse per non affermare [Quæ causa fortè. Voi adunque volete leuargli senza ragione il uanto della cagion di cotale effetto? Tutto il vostro fondamento debole, e fiacco, si appoggia alla fiacchezza de raggi del Sole, perche stimate, che debolmente arriuino alle stelle fisse: Ma donde voi cauiate questa dottrina, per adesso, non v'è piaciuto allegarne autori, ne ragioni eziandio, che più importano. Hora, che dalla mancanza del raggio solare il tremolar delle stelle non adiuenga, si proua; perche non solamente illuminano i suoi raggi fino alle stelle fisse, ma più oltre trapassano: e ci ha chi reputa, che giungano fino al Cristallino, e forse più sù, come afferma il Vallesio tanto eccellente, cosi dicendo. Sol non illustrat totum hunc orbem, sed eam solum partem, quæ motui subiecta est, nam quandoquidem in quarto orbe situs substantque illi tres tantum, superstant verò plures: siguidem planetarum alij tres, insuperque stellatus, & nona sphera, atque qui his superstant, tanto sunt crassiores , quanto sublimiores, constat solis splendorem non pose sedem Beatorum attingere. Di più, Aristotele vuole, che nell'azion fisiche si ricerchi il contatto scambieuole tra l'agente, e'l paziente, acciò che la natura possa validamente produrre i suoi effetti operando, e non patiscano difficulta le cause naturali nell'esercitar la virtù loro. Onde, che dir si dourà egli de’ raggi del Sole agente vniuersalissimo? E tanto più circa l'illuminazione, che è la principale operazion sua, per necessità della Natura? Le stelle di vero se scarsamente riceuessero il lume del Sole, chi direbbe mai, che per mostrarsi così luminose, e risplendenti, ciò basteuole fosse? Altra adunque è la cagion della scintillazione, e più vniuersale; poiche il Sole ancora patisce di tale accidente alcuna fiata, ne però hà mancamento di raggi da cui possa la trepidazione in quello cagionarsi. E che direm noi de’ Pianeti, come per esemplo Mercurio, a cui il medesimo accidente auuiene, e nulladimeno il raggio del Sole in esso, e negli altri abondeuolmente percuote ? E auuertasi, che, se ben lo scintillare è attribuito solamente alle stelle fisse, questo si dee intender, come dice S. Tommaso allegando Simplicio [vt in pluribus.] Aggiungesi, che quantunque i raggi del Sole si distendessero solamente fino all'ottaua sfera, ad ogni modo non si cagionerebbe nelle stelle, per difetto de raggi, il tremamento di esse. Imperòche, ò potrebbe cio accadere per debolezza, e mancanza de' i raggi stessi; o per l'impedimento del corpo diafano mezano tra le stelle, e'l Sole. Non si puo dire il primo; perche non sono i raggi vna qualita corporea, che successiuamente proceda dal suo corpo; non sendo materiali, diuisibili, ne alterabili i raggi, o mancheuoli, si che a somiglianza della fiamma, poiano a solate scemare, e crescere, mancare, e soprabbondare, secondo che la materia al fuoco è somministrata. Nè anche il secondo è da affermare; attesoche non e il diafano del Cielo corpo alterabile, come l'aria, che da mille accidenti perturbata può impedir la vista, e il passaggio della luce; e per tanto, diuerie apparenze, cagionare. Nulla sembianza di vero adunque ha il dir, che per difetto de'raggi solari, si produca la scintillazion delle stelle; ma verissima per lo contrarlo è la ragione Aristotelica, cioè, che, per difetto della potenza uisiua cotal tremamento appaia nelle stelle ritrouarsi; si come ancora per difficultà cagionata dalla mancanza della visual virtù, doue illumina il Sole, appare, che tra i confini del lume, e dell'ombra sia vn certo tremolare, come, se il corpo del Sole volgesse per lo Cielo ascosse, e non vniformemente. La ragion di questo è, dice il Cardano, perche tanto inuisibilmente il Sole si muoue, che stiamo con l'occhio sempre ambiguo, quantunque fissamente osseruramo, ne discernendosi bene il mezo fra il termine della luce, e dell'ombra, perche non è veramente ombra, certa, ne certo lume, ci par che tremi non potendo distinguer quel mouimento l'acutezza del nostro sguardo. Bene è vero, che Aristotele adduce vn'altra ragione, laqual però si può aggiugner per doppia causa di tale effetto; ed è, che, quel corpicciuoli, ò bruscoli, che son per l'aria, mouendo i continuamente, hor nell'ombra, hor nel lume del Sole, fanno parer, che il termine della luce, ò dell'ombra, per quella commozione si muoua tremando. Quella filosofia nuoua pur della medesima stampa di tutte l'altre vostre, donde domin la cauate voi; affermando, che le stelle, perche paion di color diuersi, siano diuerse anche di materia ? Non sapete voi, che gli accidenti non mutan la sostanza ? Noi siamo bianchi, e neri gli Etiopi; e nulladimeno, ne la materia, nè la forma tra noi, e loro è niente diuersa. Oltre che, è falso, che siano le stelle veramente di color diuersi, ma appaion tali, perche il maggiore, e minore splendore, e la distanza fra loro, e'l Sole, e la rarita minore, e maggiore, che in quelle si ritroua produce quella varianza di apparenti colori. Onde per tali cagioni i pianeti non risplendono a noi tutti ugualmente. Le varie disposizion dell'aria, che è mezana tra i Pianeti, e gli occhi nostri, eziandio cagionano cotal varietà di colori, perche non sempre appaiono a vn modo, ma quando più oscure, o più, ò meno lucenti simili stelle. La veduta di essi Pianeti ritrouantisi in maggiore, ò minore alteza di Cielo, e la mutazion della positura ancora fanno varianza di colori, come si vede adiuenire nel collo delle collombe. Ne rileua, che alcuni Astrologi ascriuano i colori diuersia i Pianeti; attesoche è vero apparentemente onde, tra essi Astrologi, molti gli negano esser reali, come vogliono l'uno, e l'altro Mirandolano; il primo contro gli Astrologi; Il secondo nell'Esamina delle vanità, Leggasi intorno a ciò anche Egidio, che benissimo ne parla. Ma finalmente, quando fossero colorate, e vi fosse differenza di colore, perche è si minima, e sono tutte le stelle luminose; io domando, perche non potrebbono scintillare? L'esperienza non mostra il contrario? Vostro danno, se stauate a filosofare in camera serrato, come dite, che fò io con Auerroe, e non vsciuate la notte al sereno a osseruare i colori, e gli scintillamenti delle stelle, non faceuate, come quel pouero Astrologo, che guardando più le stelle, che i passi si fiaccò giù per vna balza il collo. Chi volete, che vi solleui adesso dal precipizio in cui siete caduto, senza che vergogna, e danno ne riportiate? Il Clauio, Vittellione, da voi citati, non posson darui aiuto veruno, poiche nulla dicono circa il vostro concetto della cagion della scintillazione, ne altro autore, che sia degno di lode, ò d'esser letto. Discorso. Cosa che adiuenir non potrebbe, sè elle fossero sotto l’orbe lunare : conciosiache l'aria non si muoua in giro con la medesima velocità del Cielo quantunque suprema, perche l'aria è corpo tenue, e arrendeuole, di maniera, che la region prossimana a quella di cotal violenza non sente; ma è da i venti alterata solamente, al moto de’ quali ella si muoue. Segno euidente ne sia il vedere, che bene spesso per buona pezza le nugole altissime stanno ferme. Terzo aggiungono, che se elle non hauessero hauuto la sede loro sopra l'orbe della Luna, haurebbono con l'altre stelle cangiato aspetto, secondo la varieta de’luoghi, donde sono state riguardate. Si che in Fiorenza, per esemplo, non sarebbono apparite nel medesimo sito di Cielo, che in Padoua. E nulladimeno in questo comuue è stato il parer degli osseruatori, affermando le due sopra mentouate stelle non hauer mutato aspetto, come che non sia mancato chi in Padoua, credo io perigioco, habbia stampato, affermando l'astronomiche misure essere state mancheuoli, e mal conosciute da i matematici in osseruare di cotali stelle la paralasse, a cui da eccellentissimo professore è stato nel medesimo luogo riposto, e stampato altresì, e dimostrato, che la paralasse, ò varietà d'aspetto è infallibil teorema. Ma che tali stelle non habbiano variato aspetto tutti gli Astrologi osseruarono in particolare, che la stella veduta nella Cassiopea per vn'anno intero non cangiò mai distanza, ma sempre fece con tre stelle di detta imagine vna figura, che i matematici rombo appellano, cioè, quasi quadrata. E quest'vltima in Padoua scriuono gli Astrologi il medesimo hauer fatto. Vere per tanto sono le Astronomiche demostrazioni, cioè, che nel Cielo tali apparenze state siano. Ma vero altresì indubitamente è, che il Cielo inalterabile, lontano da ongi straniera impression sia, e non capeuole di nuoue forme, come la vera Filosofia ne'nsegna. - Considerazione XII. Vn che fa professione d'intender d'Astronomia tanto, quanto di Teologia e Filosofia il Colombo. - Risposta. Io m'accorgo, che voi vorreste farmi douentar d'vn Colombo vn'Oca, e ben grossa, ma voi state fresco; non crediate, che io faccia profession d'Astronomia, quanto voi d'Astrologia, che per poco affermareste per uera (cotanto stimate il valor delle stelle) quella bella fauola da Eusebio raccontata, di quello scrittor, che tiene, l’obbe Paiarca non hauer profetato, ma astrologato i futuri gesti de’ suoi figliuoli, allegando quelle parole di libro apocrifo. Legi in tabulis cœli, quæcunque ventura sunt vobis, & filijs vestris. C.Và dicendo, che vna delle ragioni, per le quali i Matematici mettono le nuoue stelle nell'ottauo Cielo, e non nella regione elementale, non è, perche il fuoco, e l'aria si muoua, ò non si muoua con la medesima velocità del Cielo, ma sì bene, perche'l fuoco, e l'aria, per esser rapiti, come tiene Aristotile, dalla sfera della Luna giran per appunto in quella guisa, che gira ella stessa. Onde le stelle, che in quelle parti fossero collocate , dourebbero auere il medesimo corso della Luna. Questi adunque conchiude, che i Matematici non per altro, che per essere stato osseruato, che le stelle nuouamente apparite, non haueuano ne il moto lunare, me anche niun'altro planetale, furon costretti à stimare, che perche elleno manteneuano il medesimo sito con le stelle dell'ottauo Cielo, nell'ottauo Cielo altresì auessero il proprio seggio. R. Nelle scienze, in cui dite nel principio ancora, che molto sono esercitato, beffeggiandomi, si come hauete ueduto, e uedrete per l'auuentre, non v'è toccato mai a porui bocca per assagiarle; e doue hauete per l'improntitudine pur messo identi, non potendole finalmente masticare, ne siate rimaso digiuno più, che prima. Ma a quel ch'io veggo forse non volete Filosofi, ne Teologi in corte di quel buon vecchione Tolomeo, per la ragion, che di lui dice Celio Rodiotto, cioè, perche [ Theologiam, & physicen spreuit. E perciò fece degli errori, come nota il P Clauio. E auuertite, che il peggio e, che sè delle Matematiche, le quali stimate essere vostro cibo, io vi leuo i bocconi mal cotti per li denti vostri, come fin'hora ho fatto, voi non ne gusterete lisca; ed eccoui morto di fame, e finita la guerra. Oh può fare il mondo; almeno replicaste voi bene il mio argomento? Pensa tù qual sara la risposta. Le mie parole, se ben non hanno bisogno di eposizione, sendo chiare, e grandi, come quelle delle scatole da speziali, inferiscon questo, cioè: che, non si mouendo l'aria uniformemente con la medesima velocita del Cielo, non poteua l'apparita stella esser nell'aria; posciache sempre si è mossa col medesimo moto celeste, e ha mantenuto la medesima dutanza, senza mai far varieta. Hora Sig. Mauri, che hauete in contrario ? nulla. O di che sclamate adunque? Perdonatemi, che hauete ragione a dolerui, perche voi fate apunto, come quel pouer huomo, a cui, mancando ogni bene si staua mesto, è piangente; mosso vn vecchio a compassione il domandò, che aueste : nulla rispos'egli. O perche piangi, replicò colui? Di nuouo riposte il pouero, perch'io non hò nulla. Cosi voi, perche nulla hauete, che dire, perciò sclamate. Discorso. Onde per mio intendimento la difficultà tutta nasce da non si essere ben saputo filosofare, quanto alla sostanza di esse stelle, e circa la maniera nella quale elle si siano nel Ciel fatte vedere. Impercioche alcuni sono stati di parere, che tali apparizioni fossero certe esalazioni, o vapori, i quali appoco, appoco assottigliandosi, e salendo, e purificandosi diuenuti siano al Cielo simiglieuoli, e quasi vna cosa stessa. Onde cosi leggieri habbiano penetrato il Cielo, e siano fino all'ottaua sfera ascesi, e quiui spiritosissimi, e risplendenti fattisi, come quegli, che di là sù prima in terra discesi sono, hauendo (perche son della natura del Cielo, dicono essi) attidudine a rilucer per se medesimi, e aiutati ancora dal Sole, e dalla virtù de’ suoi raggi, lambiccati, stelle veramente poscia diuentati sieno. Ma che questi vapori siano della natura medesima del Cielo, prouanlo cosi. Questo Vniuerso è vn corpo solo di cui la terra, e gli elementi son parti; e le parti mai non discordano dal tutto, ne il tutto dalle parti sue, quanto alla natura. Esemplificano col mezo delle varie forme resultanti della materia degli elementi dicendo, che, quantunque varie siano le spezie delle cose per cagion delle forme diuerse, di maniera che, noi veggiamo, per esempio, l'acqua del diamante, ò altra simil gemma esser più pura, e più fissa, che quella del pomo, o d'altra cosa tale; nulladimeno la gemma, e’l pomo costano della medesima materia degli elementi. E cosi vanno di grado, in grado, per le spezie delle cose scorrendo, e la purita della mistione assottigliando fin che alla composition celeste arriuano, credendo, che si nobil corpo delle delizie degli elementi sia prodotto, e di cosi fatta maniera, ridotto in vna quinta essenza tanto semplice, che egli rimanga incorruttibile, auuenga che della natura sia di questi corpi inferiori, e corruttibili. Oltre acciò vogliono con altra ragione affermar che il superior mondo sia per natura caduco, e alterabile, perche non è eterno. L'eternità, dicono, è vna sostanza semplice, sempre eguale à sè stessa, che non si muta, o si muove, o si altera mai; ne ha alcun rispetto di più di meno, d'alto, e basso, d'innanzi, e d'indietro: e'l Cielo è pieno di questi rispetti, e perciò di corruzion capace, ma di lunga durata. E perciò credono, che le celesti sfere siano penetrabili; e con l'esemplo della vista il prouano, quella affermando penetrar fino alle stelle nella guisa che’l Sole co’ suoi raggi l'acqua, e'l vetro penetra eziandio, che siano più grossi, e men puri che’ l Cielo. E si come le gioie non appaiono alterate, ne che patiscono detrimento veruno, ben che elle di continuo euaporino, cosi del Cielo adiuerra, e non altramente quando i vapori cosi puri penetreranno. Conchiudono vltimamente, che quando il corpo celeste durissimo fosse a penetrare nulladimeno resistenza niuna a quei vapori sì spiritosi non farebbe; in quel modo appunto, che le durissime pietre preziose danno luogo al riceuimento delle qualita prime senza restarne offese, o maculate. Considerazione XIII. Attendasi bene adunque à questo discorso, e imparsi il vero modo di filosofare, non quanto alla sostanza, perche di questa, come si è detto nella Considerazion seconda non se ne parla mai, ma quanto alla maniera, nella quale cotali stelle si sien potute vedere, acciò impariamo nuou’uso d'occhiali, de' quali c è data più a basso vna marauigliosa, e rarissima cognizione. Risposta. Se haueste hauuto i miei occhiali non vi sareste abbagliato nel cerear le proue della sostanza ancora; ma, perche non se ne uende sotto la loggia degli offici, e costan troppo, il uostro mobile non ci arriua. Discorso. Hora noi dobbiamo ricordarci, che poco dianzi si stabili la machina celestiale esser di materia, e di natura diuersa da questa de’ sullunari corpi. La onde siano pur l'esalazioni spiritualizate, quanto si vogliano, che mai non muteranno la natura loro per esser più, o meno purificate. Anzi che, tal mutazione, se l'essere specifico importera della cosa tanto più indizio manifesto dara della diuersita di natura trà la materia sua, e quella del Cielo. Impercioche dimostreranne d'essere in potenza a nuoue forme. Qualità che veramente nella celeste materia non alloggia, non sendo ella in potenza ad altro che [ad vbi ] dicono i filosofi. E perciò la materia, che a quella mutation soggiace, sempre la medesima essendo, mestier sara, che sempre sia in potenza a nuoue forme, e conseguentemente, quel vapore assotiglisi quanto può mai, sempre sara corruttibile, appettendo la sua materia altre forme, e ritterra tuttauia le qualità prime degli elementi di cui non è, come di sopra dicemmo, capeuole il Cielo. Ne rileua niente il dir, che tutta questa macchina mundiale sia vn solo corpo, e conseguentemente le sue parti resultino di quella, ne da quella diuerse siano, si come quella eziandio dalle sue parti diuersa non è. Imperoche vn corpo è solamente in genere logico, dicono i filosofanti, cioè per ragion della corporeità, ma non in genere fisico, poi che diuerse maniere di potenza fra la materia celeste, e la materia degli elementi si ritrouano; questa in potenza ad altre forme, e perciò corruttibili gli elementi; e quella in potenza al doue solamente, onde in alterabile è il Cielo. Non è vna adunque la materia di tutte le cose, ma altra è la celeste, altra la elementare. Alla conchiusion poi, che il Cielo sia, per certo modo, corruttibile; perche egli non è eterno, io non sò veder, che buona conseguenza sia questa, per inserirne l'intento loro. Ma, per intelligenza di ciò, è da considerare, che in quattro modi può l'incorruttibilita ritrouarsi, Primo, quando la cosa ha per sua natura necessità d'essere di maniera, che per niuna possanza mai può venir meno; e quest' è IDDIO in cui la vera eternità fa dimoranza. Secondo modo è, quando la cosa niuna comunicanza ha con la materia, chente appunto sono gli Angeli. La terza maniera è quella, che, quantunque la cosa sia alla materia congiunta, auuenga che corruttibil sia, ad ogni modo vien d'altroue dotata di certa qualità, che leua, e non concede il passaggio a niuna alterazione. E tali sono i corpi beati, mediante vn'efficace virtù infusa nell'anima dalla diuina onnipotenza. L'ultimo modo è, quando la cosa, ancorche materiale, talmente della sua primiera forma s'appaga, che altra non ne desidera, quale appunto la materia celeste esser si vede. Onde non corruttibile per natura è assolutamente considerato, ne dilunga durazione, ma per tempo infinito durerà il Cielo, quantunque habbia hauuto principio, riguardando quella parte di durazione, che Euo s'appella. Ma rispetto all'eterno suo fattore da cui l'esistenza, e'l bene essere di tutte le cose depende, caduco, e mancheuole potrà dirsi il Cielo, gli Angeli, e qualunque altra creatura. Percioche solamente quegli è, che esiste per se medesimo, & è. Onde veruna cosa prouano aspettante al proposito loro, dicendo, che eterni quei globi celesti non siano, cioè senza principio, e senza fine, bastando il non hauer fine, accioche il Cielo incorruttibil sia. Ma ritorniamo la onde ci dipartimmo. Dico di più, che i vapori, quando si conducessero fino al cielo, supposto, che deuorati dall'igneo elemento non fossero; eglino, che leggieri fossero stati fino allora, da indi in sù graui sariano, rispetto al luogo non naturale à loro; e per sè medesimi inabili a più alto ascendere si ritrouerebbono; si come l'aria, che assolutamente considerata è leggiera, per giugnere al suo luogo, ma graue rispetto all'elemento del fuoco di maniera, che nel luogo di quello non potrebbe, come graue passare. Considerazione XIIII. A considerare à pieno queste Alchimie d'oro, e queste elementali spiritualizazioni non seruirebbe l'età di Nestore, ne’l ceruello di Platone. Onde io, che non hò l'intelletto cosi spiritualizato, e lambiccato da penetrar queste quinte essenze, me la passerò di leggieri. Risposta. Cosi haueste voi fatto del rimaso dell'opera, per maggior lode vostra. C. A suo luogo, toccando solo di queste materie qualche cosetta, che non habbia bisogno di sottiglieza più, che dozinale. - R. Buon per voi, se vi stauate dentro è cotesti termini. C. E tanto più, che io tengo per certo, che questi luoghi à bastanza abbiano à esser considerati, dichiarati, e corretti da chi oltre allo’ntendersene più di mè, dourebbe auer maggior desiderio, che e' fossero bene’ tesi, e capiti, per hauer dato egli, per quanto posso conoscere, al nostro Sig Colombo occasion di scriuere. R. Douete saper, che, gli attizatori di risse, io gli assimiglio a quei testi rotti, che a niun'altra cosa son buoni, che a portare il fuoco di questa casa in quella: ma perche tale strumento non passa per le case nobili, uoi haurete, per mio auuiso, perduto il tempo. Non ha bisogno di vostre fiancate quegli di cui fate menzione, ne riccucrebbe il mal consiglio del pedante, come è accaduto a voi; e'l conoscerebbe Cimabue, che hauea gli occhi di panno. Io non hebbi mai l'occhio di parlar contro veruna particolar persona; ma solo di dire il parer mio, e attendere a’ concetti come conuiene, e come è stato sempre lecito a ciascuno scrittore, honorando tuttauia coloro, che virtuosamente s'adoperano, come che io discordi da essi in alcuni pareri. Anzi non concorrero mai nell'opinion vostra, che mi sgridate, che io gli habbia lodati infino di ingegnosi, per non mi dimostrar litigioso: e non dimeno per molti rispetti doueuate lodarmene. Mauri voi fate passo con queste carte troppo spesso: elle vi debbon dir molto cattiuo. Può frà, che, lasciate passare i concetti a quattro per volta? Io non vidi mai far l'Alchimie, e tramutar l'oro in piombo, meglio, che a voi, riducendo le buone dottrine in sofisticherie. Ma vi consiglio a fuggire più, che gli Alchimisti l'alchimie; perche, quantunque l'arte sia vera, egli è anche verissimo, che tutti gli Alchimisti alla fine ripieni di fumo, e di fame, tengono vn'occhio al Crociolo lutato, e l'altro alla borsa vota; ne si veggon mai per le strade, che non sian neri, come demoni, e che non paia, che ogni pel chiega vn pane; e ad ogni modo, tale è la lor pazzia, che speran, tra pochi giorni, trouar più oro, che non porta la Flotta al Re di Spagna. Discorso. Oltre acciò non possono i vapori toccare il Cielo, non che per entro a quello penetrare, non sendo egli tangibile. Impercioche egli non è ruuido, morbido, caldo, freddo, humido, ne secco: tutte qualità sottoposte al senso del tatto, delle quali è spogliato quel semplice, e incorruttibil corpo. E che egli toccar non si possa è pur troppo chiaro. Considerazione XV. Ecco vna nuoua dottrina - cauata dal profondo della vera filosofia, che datur vacuum in natura. Perche chi che sia argomenterebbe cosi. Sotto alle sfere celesti vi è il fuoco, e gli altri elementi; ma fra il fuoco, e’l Cielo non vi è niente; adunque frà il fuoco, e'l Cielo v'è vacuo. Si proua la minore, perche il Cielo secondo la filosofia del nostro autore non è tangibile. Risposta. Tutto questo manico si lungo, che voi fate, per diruela, voleua esser di materia assai più loda, che lunga, se voleuate finalmente poterlo attaccare a quei gran mestolini della nuoua stella, e della densità celeste: perche chi non vede, che egli si piega, e rompe nel fabricarlo? Niuna marauiglia è, ch'io tragga la mia dottrina dal profondo della vera filosofia; ma sarebbe da marauigliarsi ben, se voi la sprofondaste con la falsa. Chi v'ha'nsegnato si bella conseguenza, che, se il fuoco non tocca il Cielo, di necessità ne segua il vacuo tra’ l Cielo, el fuoco ? E vero, che tra l'elemento, e'l corpo celeste non è niente, perche il Cielo tocca l'elemento; ma non già l'elemento il Cielo. Aristotele, non dic'egli, disputando contro gli antichi, che non è buon modo d'argomentare Extra Cælum nihil est; ergo vacuum; Ma che bisogna dire, ergo nihil? La ragion, perche il fuoco non tocca il corpo celeste ò, perche non è altro il tatto fisico, propriamente parlando, che quel, che si fa tra diuerse quantità corporee occupanti luogo, di cui l'estreme superficie congiungendosi fanno vicendeuolmente l'azione, e la passion fra di loro. Hora, perche l'elemento del fuoco non comunica in materia col Cielo, non si produce da lui azione in quel corpo, ma si bene la riceue. Onde metaforicamente, e per similitudine si dirà, che l'igneo elemento faccia contatto col Cielo, ma non proprio, ne fisicamente; così dice Egidio Romano. Cum Cœlestia corpora mouent hace inferiora est ibi tactus metaphoricus, ex altera parte tantum: nam ex parte horum inferiorum bene est aptus natus reperiri tacius proprie, sed non ex parte Cœlestium, quia tangunt impassibibiliter. Ecco, che il vacuo si và riempiendo. Cosi si riempiesse quel, che si ritroua, nella borsa, nella scienza, e nel ceruello d'alcuni; perche fuor di questi tre luoghi il vacuo veramente non si dà. C. Ma quì sono di ma passi, perche Aristotele vuole tutto’ l contrario, e se il Colombo non fosse nel resto tutto suo, temerei forte, che non cedendo l'uno all'altro, la lite non infistolisse. E la cagione di questo scompiglio sarebbe stata l'arguire di quel tale, cauandone da quel vostro intangibile necessariamente il vacuo. Onde egli, come huomo da bene, aueua più tosto deliberato di stimare contro’l discorso il Ciel tangibile, che mettere fra simili persone sì gran zizania, fondato in questa sua ragione. R. Haueuate ragione di additar questo mal passatoio, poiche c'hauete dato sì gran colpo, che ve ne ricordarete per lungo - tempo, perche non apriste ben gli occhi a leggere quel tale, cioè il Clauio. Egli dice nel luogo da voi citato. Cælestes orbes sese tangunt mutuo. Ma non dice degli elementi, che tocchino il Cielo; e de'Cieli ancora si intende di contatto quantitatiuo solamente, e non qualitatiuo, come si dice più sotto. Eh non fate questi marroni Alimberto? Forse, che il Clauio si parla fra i denti, da non essere inteso, ò consenso ambiguo da poter dire io l'intendo così. Io credo pur, che il uostro testo, e il mio sian figliuoli del medesimo padre, se già il vostro non fosse scambiato a balia. Toccato adunque è il fuoco dal Cielo per modo di resistenza, se voi desiderate saperlo, la qual non è altro, che vn certo impedimento dell'azion senza contrasto, o repugnanza contro l'impediente: ne hà cotal repugnanza altro esser, che priuatiuo, non sendo altro, che quel non riceuer, ne ammetter l'azione. E se ben questo modo priuatiuo non è da per sè in predicamento; nulladimeno si riduce al predicamento dell'azione, e passione. Onde cotal resistenza non debbe dirsi, che sia nel Cielo, ma nello stesso elemento, che non può toccare il Cielo, quantunque sia toccato da esso. Dicono graui dottori, che, se chi che sia fosse vicino alla Luna, e distendesse la mano, conoscerebbe per intelletto, e col senso interiore di non poter penetrar nel Cielo, ne toccarlo, per qualche ostacolo, ma non di qualità sensibile, non hauendo tali accidenti il corpo celeste. E come che i sensibili comuni non possan sentirsi, se non mediante i sensibili propri; nientedimeno si farebbe tale imperfetta sensazione adogni modo: imperoche, essendo di due maniere tangibili; l'uno matematico, e l'altro fisico; e toccando nel primo modo, che solo tatto quantitatiuo si appella; e non nel secondo, che è quantitatiuo, e qualitatiuo insieme; si sentirebbe, per priuatione, e mancanza de sensibili propri: conciosiacosache il senso interno, essendo in atto per sentire, e non sentendo, si dice che egli sente di non sentire il sensibile proprio. E questo basta per far la sensazion del sensibile comune quantitauo. Perciò Aristotele nel secondo dell'Anima, al capo settimo, e i seguenti vuole, che Eodem sensu percipiamus obiectum proprium, & etiam priuationem illius; Si come il medesimo occhio conosce la luce, e le tenebre. C. Quelche rapito, e girato è dalla sfera Lunare, è toccato dal Cielo: Ma il fuoco è rapito, e girato, secondo Aristotele dalla sfera della Luna; adunque il fuoco tocca il Cielo: adunque il Cielo è tangibile. R.Oltre che non è vero, che ciò che è girato, e rapito dalla sfera lunare, sia toccato dal Cielo; si negano queste due conseguenze, non solo perche non son di buona Loica, per le ragion dette, ma etiandio, perche, della prima in buona conseguenza, doueuate dire; adunque il fuoco è toccato dal Cielo: e cosi non seguiua, che il Cielo fosse tangibile altramente. C. Ma teme non ve ne ridiate, Sig. Colombo, rispondendo voi, secondo, che egli si persuade per i vostri sottili ritrouamenti, prontissimamente, che ò madonna Luna hà certi spaghetti, per i quali, senza imbrattarsi le mani, si tira dietro quella parte d'elementi, ò vero che ella si serue di certi strumenti à guisa di soffioni, per lo cui alito, e vento sò dir’io, che gli fa trottare. Potrebbe di vero replicare, che'l vento non essendo altro che aria commossa, almeno da questa aria perturbata è toccato'l Cielo: ma non ne vuol far’ altro, perche subito lo fareste forse, tacere, dicendo: che questo non è di quei venti nostrali, ma d'una sorte non conosciuta , e straniera. R. Hor cred'io, che uoi sareste il caso suo per soffione; e che habbiate gonfie le nari, e inquieto soffiate, ruggendo com'vn Leone accanito, posciache, questi sbeffamenti ritornano in capo à voi. E vero ch'io rido; non gia di questa melensagine degli spaghetti, che niente friza; ma che ella mi fa ricordar d'vn certo huomo, che, hauendo dato nelle girelle, si mise vn giorno alla finestra con la bocca piena d'acqua a far con vn fil di paglia vn bel zampillo nella via, ma perche vide la moglie, che tornaua di fuora, subito si leuò. Ella, giunta in casa, il domandò, perche si fosse fuggito, pensando, che fosse stato effetto di vergogna quel, che era segno di maggior pazzia; posciache egli rispose. Perche io hauea paura, che tù mi tirassi giù, attaccandoti a quell'acqua. e ciò disse parendogli, che fosse vno spaghetto. Torniamo a noi. Siate voi capace adesso, che il Cielo non è tangibile, e che, se ben non è toccato dal fuoco, non per tanto non vi è il vacuo? Anzi, che se lassù fosse il vacuo, il Sole, la Luna, e l'altre stelle, non solamente non ci manderebbono il lume, ma ne eziandio vedremmo i corpi loro, perche, non vi essendo il diafano di mezo, per cui le spezie si diffondono, e i raggi, che son portati a noi; come si potrebbon mai da gli occhi nostri vedere? Il lume, che è forma corporale ha mestier d'vn corpo, che lo riceua, e trasporti, cosa che nel vacuo non può accader senza fallo veruno. Ecco il testimonio d'Aristotele nel secondo dell'Anima; [per vacuum] dic'egli [non est videre. ] Non che sia impotente la cosa visibile, ò l'occhio, che dee vedere, ma nasce dal mancamento del mezo, si come colui, che hà fame, e non può mangiare, perche non hà cibo; onde non è impedito, ma non è aiutato, e però non mangia. Discorso. Posciache, se il contiguo elemento suo il toccasse, conseguentemente le sue qualità gli comunicherebbe. Si che ormai l'attiuo suo calore, eccitato dal rapido mouimento di esso Cielo, haurebbe per tante migliaia d'anni la fabrica celeste alterata tutta di maniera, che, se bene ella per lungo spazio di tempo, secondo que'tali combustibile non fosse, come si vede all'oro adiuenire, ad ogni modo si rarefarebbe liquefacendosi, e rossa del color del lo stesso fuoco douenterebbe, e consumeriasene alquanto , in quella guisa che all'oro medesimo accade. Anziche l'oro per la mistion d'altri metalli, e minierali si muta di natura eziandio, come gli Alchimisti sanno. Non possono adunque giugnere i vapori al Cielo, toccare, e penetrar quello. Ma quando pur si volesse conceder, che passar vi potessero, e di natura celeste douentare, chi crederà gia mai, che, se quei vapori cotanto esanimati, e cosi spiritosi ridotti, e meno che l'aria visibili, giungessero là doue le stelle assai maggiori della terra si perdono d'occhio in tanta altezza; quegli veder si potessero in sembianza delle maggiori fiammelle, che nello stellato alloggiano? Considerazione XVI. Se adunque il fuoco come efficacemente mi penso, si proua nella Considerazion passata, tocca il Cielo, il Cielo per vostra conseguenza, Sig. Colombo, aurà le qualità del fuoco: adunque calidità, contro à quello, che auete affermato più volte. Risposta. Voi hauete la bocca tanto gentile, el gusto così alterato che ancor ch'io v'habbia ridiguazzato, e ripesto nel mortaio ben bene ogni cosa non c'è stato verso a farui inghiottir questo boccon salutifero. Orsù andate io hò anche masticato, e inzuccherato, che è più, questa medicina di modo, che la virtù ritenitrice, se bene è fiacca, non la doura sdegnare. Altramente io vi prometto, che vi morrete per mio conto, nella vostra infirmità: perche a dirlaui, questa cortesia vsataui, non è la carita di Don Tubero, che masticaua il zucchero a'malati; e per ciò la faceua volentieri, C. Il perche la cosa v’andrà molto male, se per risposta non si arreca a quella ragione altro, che ò spaghetti, ò soffioni. E quanto sia debole, e uano il vostro argomento dell'attiuità del fuoco, ilqual dite , se toccasse il Cielo aurebbe già liquefatta la celeste machina, lo dimostra, come s’è accennato nella Considerazione VIII. nel suo trattato il Padouano. R. La Filosofia è molto mal condotta, se ella debbe stare a sindica- to di Cecco di Ronchitti. ma, gli habbiano risposto, per non mandare sconsolato [se ben era meglio il tacere. C. Ma di più si potrebbe far palese la sua falsità; imperocche, sì come è cosa notissima, gli elementi ne’ lor luoghi non anno inclinazione al nuocere, ma più tosto maggior naturalità al giouare: onde argomentano, e dicono gli Astrologi, che i pianeti ne’ propri luoghi son sempre di miglior condizione. Il fuoco adunque ritrouandosi nel proprio sito, per sua natura, giouerà sommamente, ne per quell'arrotamento, cagionato dal moto del Cielo, essendo eccitata, secondo’l vostro parere, l’attiuità del suo calore, potrà apportar nocumento alcuno all'vniuerso: anzi cotal mouimento, per esser naturale, sarà conseruatiuo delle primiere qualità, e nature d'amendue que’ corpi. R. Di tanto mi dolgo circa questa mia fatica, ch'io non potrò mostrar la sottigliezza dell'ingegno mio, di cui diceste dianzi, alle persone letterate in rispondere a gli argomenti vostri; perche non son nuoui, ne ingegnosi da suegliar l'intelletto, ma più tosto nausa, e fastidio apportano. Sapete come son le vostre saluatiche dottrine ? simili alle Ficaie, che nascon nelle rupi, di cui solamente i Corui, e Nibbi, e altri somiglianti vccellacci si pascono. Gli elementi ne luoghi loro, e anche fuor di quelli non sò, che habbiano inchinazione a nuocere per alcun modo, ne per alcun tempo; e, se di fatto alcuna fiata nuocono, ciò accade per accidente; e questo basterebbe per risposta alle vostre argomentazioni insolite. Ma per ch'io veggo, che l'intenzion vostra è di arguire, che il fuoco nella sua sfera non arda; si risponde così: che egli è vero, che il fuoco nella sua sfera non arde, perche, essendo nel suo luogo conseruante, non hà bisogno di cibo; ma che ad ogni modo le sue forze si rinuigoriscono, e son più robuste, che fuori del suo luogo, mediante il moto velocissimo del Cielo, che e sodo, e l'arruota, e trita, oltre al lume del Sole, e delle stelle, che aggiungono calore, e dal calor nasce rarefazione, e dalla rarefazion si cagiona, che, volendo ampliarsi, e occupar più luogo, l'aria cerca farli resistenza, e così egli la diuora, e consuma, in se stesso mutandola. e perciò, secondo le parti sue estreme sempre è in operazione il fuoco, e non cessa mai di abbrucciare necessitato dalla mistion de’ moti, dal corso celeste, per bisogno della natura. E se egli non si auanza, e non si dilata, se non fino a certo termine, che non altera l'ordine della scambieuolezza: ciò adiuiene, perche riman, secondo le parti, da gli altri elementi superato, conciòsiache, nel far la sua azione in quelli, sente la reazion molto più efficace. e s'infieuolisce, perche la virtù de corpi naturali, agguagliandosi alla quantita della mole, non può minima parte dell'igneo elemento, fuor del suo luogo, superare il gran corpo dell'aria nella sua sfera. E questo per beneficio della natura, accioche durino lungamente, e l'vno non distrugga l'altro. Hora, se quel calore infocasse'l corpo celeste, perche è di grandezza incomparabile, di velocità inestimabile, di sostanza sodissima; non solo non contrasterebbono gli elementi con l'attiuità voracissima corrispondente a quel corpo; ma incontanente ridurrebbe in cenere ogni cosa, massimamente, che le forme elementali, e in particular quella del fuoco sempre stanno in continua operazione. C. Aggiugnesi, che non è vero, che l'attiuo calor del fuoco possa niente di più esser’eccitato, ò accresciuto dal rapido mouimento del Cielo, attesochè girando amenduni il Cielo, el fuoco di compagnia, con la medesima velocità, viene à mancare quell'arrotamento, dal quale, con questa condizione però, se violento fosse, e non naturale, potrebbe forse nascere qualche accrescimento di caldeza. R. La violenza, che fa il Cielo all'Elemento igneo non è violenza di contrarieta corruttiua, ma conseruatiua, e gioueuole, perche accresce il suo calore, e lo conserua, come per esemplo il soffio del mantice, che augumenta, e vigore accresce allo stesso fuoco, benche gli sia violento. Che tal violenza si faccia dal Cielo all'elemento del fuoco, per cagion della difformità de mouimenti s'è mostrato à bastanza accader dalla difformità de mobili, essendo quel denso, questo raro, quel sodo, questo arrendeuole, e alterabile. Se teste vi pigliate gusto, e gioco di schernir le mie dottrine, e quelle d'Aristotele, e di più graui autori ridendoui de'fatti miei, col dirmi, che mi andra nolto male: io dirò auoi, come disse la Volpe al Lupo. Diede vn pastore vna solenne bastonata al Lupo sù la schiena, sì che egli per la pena, ritirando le labra, digrignaua, e mostraua tutti i denti. Ilche veduto la Volpe, e pensando, che egli se ne ridesse; ridi quanto tu vuoi, diss'ella, cotesta e stata vna mala bastonata. Cosi dico a voi, che burlate, e ridete, quando vi è stato riueduto il pelo da ritto, e da rouescio. Discorso. La ragione a non crederlo ne persuade. Impercioche, i vapori non son tutta la terra, ma vna parte menomissima di quella, e cotal parte in guisa lambiccata, e assottigliata, che quasi al niente ridotta, menzogna sarebbe il voler pur dire, che fin dall'ottaua sfera si lasciasse quel vapor vedere. E perche, se quei vapori per virtù propria, e per virtù delle attraenti stelle, stelle douentano, il Sol non potra da se solo fare il medesimo effetto? Onde continuamente accaso sparse appariranno nel Ciel nuoue stelle: Cosa che falsa appare per l'osseruanza di molti secoli trascorsi il contrario dimostrante. Considerazione XVII. Questa ragion non vale vn zero: perche vna menoma parte di tutta la terra andatasene in vapori, e in aria, come dice Aristotile, può diuenir molto maggior, che non è la terra, in quella guisa, che fa la poluere d'archibuso, la quale accesa, e suaporizata, cresce le decine di centinaia più del corpo suo primiero, e di quì aduiene, perche non capendo ella più in quello strumento, ne esce con quella furia, e forza, onde ne proceda incontanente sì fatto scoppio. Risposta. Sapete quel ch'io v'hò da dire? quanto più sangue vi fate trar da questa uostra piaga, tanto più l'incrudelite. Arist. da voi citato fa comparazion tra le quantità de’ corpi elementali; e vuol, che, per esemplo dieci parti d'aria sieno in quantità vna parte d'acqua, per esser quella tanto più densa; ma non afferma già come voi, che l'aria multiplichi le decine delle centinaia di parti sopra una d'acqua. Considerate adunque, i vapori quanto potranno accrescersi, quand'escon dalla terra, quasi ridotti in aria, tanto sottili sono. Onde, chi crederà mai, che possano, rarefacendosi quei pochi vapori, cotanto spaziarsi, che auanzino di latitudine mille volte lo spazio, che occupa il corpo della terra, che è quasi come, se si ampliassero, per dir cosi, in infinito? Cosa, che veramente è impossibile, dice San Tommaso con tali parole. Quod etiam dicunt de rarefatione corporis in infinitum, propter hoc, quod corpus est diuisibile in infinitum: vanum est: non enim corpus naturale in infinitum diuiditur, aut rarefit, sed vsque ad certum terminum. Ma, quando tal rarefazion potesse farsi, indubitatamente benche non più di cento braccia si eleuassero cotali uapori, dai nostri occhi veder non si potrebbono. Onde, che menzogna sarebbe il creder ciò, quando fossero ascesi fino allo stellato Cielo? Le stelle si veggon non solamente perche son magggiori della terra tante uolte, ma eziandio, perche son dense, e luminose, che altramente visibili non sarebbono all'occhio humano. Oltre acciò non passano i uapori la seconda region dell'aria, come uoi medesimo affermate alla Considerazion 43. E che più importa, il vogliono tutti i filosofi, e in particular San Tommaso. Dicere enim quod aquæ vaporabiliter resolutæ eleuentur supra cœlum sydereum, ut quidam dixerunt est omnino impossibile, tum propter soliditatem cœli , tum propter regionem ignis mediam, quæ huiusmodi vapore consumeret, tum quia locus quo feruntur leuia, & rara est infra concauum orbis Lunæ, tum etiam, quia sensibiliter apparent vapores non eleuari usque ad cacumina quorundam montium. Che più ? il uostro Vitellione, e Alhacen, dicono l'esalazioni non ascender più alto, che tredici leuci, cioè 52. miglia. Al meno haueste uoi degnato il dubbio seguente, circa la uirtù del Sole, per cui si farrebbe la generazion di tante stelle generandosi di uapori. Crediate pur, che non si può far peggio nelle dispute, che finger di non ueder gli argomenti, e lasciarli in asso: perche è manifesto segno d'arrenamento, e di debolezza di schiena irreparabile. Quanta al uostro esemplo della poluere d'archibuso, perche non proua a bastanza, faceste bene a seruirui della figura dell'amplificazione; poiche il Cardano afferma, che solamente occupa vna parte di poluere, cento uolte più luogo a darle fuoco, che non fa spenta. e nulladimeno, per esser corpo denso, e ristretto in quel poco luogo, bisogna dir, che molto più de vapori spaziare, e ampliar si possa. Ne anche è uero, che, la causa efficiente dello scoppio, che fa la poluere sia quell'impeto, e forza della poluere solamente: imperò che tre sono le cagioni di cotale accidente, dice lo stesso autore nel medesimo luogo. La prima è il fuoco, che, attiuissimo essendo, per lo suo calore, subito s'appiglia a quella materia ben disposta, e la rarefa, sforzandosi dilatarla in quella stretta canna dell'archibuso: onde con gran uiolenza la scuote per ogni parte; ne trouando altra via più facile per vfcir fuora, che donde entrò la palla, di quiui con gran forza scappa molta violenza facendo, per lungo spazio, anche alla stessa aria, che le si oppone, cagion di strepito maggiore. La seconda è la stessa palla, che per l'impeto stride nel fender l'aria. Finalmente, ed è la terza cagione, il salnitro anch'egli scoppia, come si vede, che fà da se stesso nel fuoco, benche non racchiuso, come ogn'altro sale. Quindi soggiugne; His tribus causis, sed prima præcipue dum exoneratur machina fragor tantus, ac tonitru non absimilis excitatur. Hora vedete, che il fuoco è vera, e principal cagion di cotale accidente; e l'altre cose son cause strumentali, e materiali, come la poluere, la palla, l'archibuso, e simili. Discorso. Aggiungo, che se pur nelle celesti sfere nuoue stelle si generassero il mouimento loro cesserebbe, secondo, che Aristotele ne'nsegna; affermando egli, che la natura del Motore è cosi adequata al mobile, che aggiuntoui vn minimo corpicciuolo farebbe sproporzion tra il mobile, e'l motor suo. Ma si dee intender sanamente Aristotele, cioè , che di qualunque corpo la virtù, e la dignità sendo finita, finita altresì, e adeguata à quello è la virtù del mouente suo: sì che il mobile non perciò è graue, ne il motor si stanca; ma la sfera dell'attiua di quell'Angelo, che a quell'orbe assiste più oltre non si estende. All'altre ragioni, e esempli, che dintorno a tali esalazioni, e vapori adducono questi valent'huomini, non par, che mestier faccia di risposta. Impercioche (e auuertasi hora per sempre ) quando i principali fondamenti doue tutta la machina si regge rouinati saranno, secondo il creder nostro, vano sarebbe il prender noia di far cader le mura, che precipitan per se medesime. Vengo all'esempio, che apportano in mezo, dicendo, che si come la vista passa tutti i Cielo, e arriua alle stelle senza alterazion di quei corpi; cosi è non altramente penetrar possono il Cielo quelli spiritualizati vapori. Considerazione XVIII. Leggasi per cortesia quel trattatello del Padouano, e veggasi quanto si dea stimare simile argomento. Rispesta. O fatemi di queste, ch'io vi prometto, che spacciatamente ci spediremo. Perch'io leui la briga altrui di legger Cecco, poi che vi siete uergognato a mentouar le sue dottrine, quantunque egli sia tutto vostro, per esser elle più tosto da zanni, che da filosofo; non voglio restar di apportarle in mezo. Egli, beffeggiando Aristotele, risponde, al Signor Lorenzini, che vsa le sue ragioni, e dice, che non mancano i letterati, che tengono, che il Ciel non si muoua: alludendo a quella opinion ch'io citai nella risposta della quinta considerazione, rinnouata dal Copernico, e seguitata da lui solo, o pochi più, senza ragion veruna, che verisimile appaia. Ma voi perche non rispondete alle mie ragioni, fuor di quella della mancanza del moto, addotte? E a quella parui, che tal risposta sia degna di filosofo ? Se volete imitar gli Areopagiti , che hauean precetto di giudicare al buio, almeno imitategli interamente. Essi hauean cotal costume, per fuggire il pericolo di destar l'affetto dell'amore, o dell'odio : ma voi sentenziate a chius'occhi, per non destar l'appetito ragioneuole a conoscer la verita. Discorso. E primieramente si nega, che i raggi visuali vadano à trouar gli oggetti visibili, e massimamente le stelle. Considerazione XIX. Non occorreua veramente entrate in queste contese, atteso che (dato ancora, che la vista si faccia intromittendo) per questo non s’annulla l'esemplo, anzi si mantiene in quanto à questa parte nello stesso vigore, dicendosi in cotal maniera. - Si come la spezie delle stelle passa tutti i Cieli, e arriua a gli occhi nostri senza alterazion di que’ corpi, cosi, e non altrimenti, penetrar possono il Cielo quegli spiritualizati vapori. Risposta. Certamente, che egli si può far comparazione conueneuole tra i vapori, e le spezie delle stelle; queste intenzionali, e spirituali essendo, e quegli corporei, e materiali, si che, se quelle penetrano i Cieli, la conseguenza sia, che anche i vapori penetrar gli possano. Ricordateui in buon'ora, che tra intenzionale, e reale è molta differenza, come prouammo di sopra; e perciò conoscerete, che tanto conuengono i uapori materiali, con le spezie delle stelle spirituali intenzionali, quanto le scrofe con le Scimie. Finalmente la differenza è tale, che sè i uapori penetrassero il Cielo, cagionerebbon reale, e materiale immutazione, che alteratiua, e corruttiua s'appella: ma le spezie luminose producono in quei corpi celesti immutazione intenzionale, e spiritale. Onde non corruttiua, ma perfettiua immutazion dee chiamarsi, perche introduce la farma di qualche cosa, senza scacciamento di contrari; come per esemplo la bianchezza, che nell'occhio, ò nello specchio, ò nell'aria cagiona la sua spezie, niuna altra forma cacciandone. Signor Mauri a’ vostri esempi, e accaduto in quella stessa maniera, che alle penne degli altri vccelli, quando s'accostano a quelle dell'Aquila, perche subito rimangon rose, e annullate da certa qualità di esse penne dicono i naturali. Penne d'Aquila son le ragion de famosi autori, da cui suanir si fanno simili esemplivani, e leggieri, a somiglianza di penne d'vccelletti, quali son certi filosofastri suo lazzanti. C. E tanto più mi pareua pur si douesse lasciare andar si fatta quistione, perche io mi vò imaginando, che ella sia stata messa in campo, forse per mostrare di mantener sempre in qual si voglia cosa la sentenza d'Aristotile. R. Io veramente in questo particulare seguo Aristotele, per non errar come hauete fatto voi. C. Conciosache non è chiaro ancora qual delle due opinioni si tenga quel filosofo. - R. Si appo voi, che ancor siate irresoluto di qual vogliate riceuer per vera; e pur vorreste seguitar la falsa, o per lo manco far’ vn mescuglio d'amendue insieme: e cosi, stando fra due , non pascete l'intelletto di cibo veruno. Onde quadrano al proposito vostro quei versi di Dante. In fra due cibi distanti, e mouenti D'un modo prima si morria di fame, Che liber’huom l'vn si reccasse a’ denti. C. Alquale non come se fosse interprete della natura, ma la natura stessa, si da ad intendere il nostro autore, che gran resia sarebbe il non credergli. R. Così è, in questo particolare, si come in molt’altre cose, Natura locuta est ex ore Aristotelis. C. Imperoche disputando egli di questo con Democrito, con Empedocle, e con Platone, tiene, che la vista si faccia intromettendo, e cosi bene spesso tiene ancora altroue. Ma non perciò mancano luoghi, donde manifestamente si può argomentare, che egli non dispregiaua, come fa quì il nostro Colombo. R. Come son’io vostro, se non conuenite in cosa niuna meco, accioch'io sia tutto mio? Voi fate à somiglianza di quei Tiranni, che fanno, e consigliano ogni cosa da sè, e per sè soli; e nulladimeno con finta modestia, dicon Noi, per non soddisfare anche in questo alla coscienza loro, douendo dire lo. C. Anzi molto apprezaua la contraria oppenione. R. Vi ingannate, che egli la dispreggia, come falsa, ma come non variante i suoi concetti, ne parla da perspettiuo, per accomodarsi a’ termini, e modo di intender comune, come hò fatto, e farò io ancora: e perciò nel secondo della Topica, dice, che dobbiamo vsar quel modo di parlar, che adoperano, e che intendono i più, quando però non varia il concetto. Cosi dicono eziandio Auerroe. C. Poiche, ricercando la ragione, perche una sola cosa alcuna fiata apparisca esser due; ciò accade , dice egli, perche i raggi d'amendue gli occhi non tendono allo stesso punto. Medesimamente, inuesitgando il perche d'altri curiosissimi effetti, solo col tenere, che la vista si faccia extramittendo, rende a pieno la ragione di essi. Ne si discosta da simil sentenza, volendo egli assegnare le cagioni dell'Arcobaleno, dell'Alone, delle Verge, e del Parelio, anzi auanti renda le ragioni di queste apparenze, faccendo prima tre presupposti fonda in questa opinione il primo, del quale poscia si serue, adducendolo, come prossima cagion di cotali effetti. Ne si dica in alcun modo, che egli in detti luoghi seguitasse l'opinione, che si faccia, extramittendo, non come propria, e vera, ma come quella, che allora era tenuta da’ più. Imperocche, se al Filosofo si conuiene saper le vere cagion delle cose, per potere attribuire à quelle gli effetti naturali, sì come ne insegna Aristotile stesso, vn bel giudizio sarebbe stato il suo, fondare la cagione di essi (poiche afferma sempre cotali accidenti cagionarsi dalla refrazione della vista) in fondamento debole, e tenuto da lui per falso, quantunque da altri accettato per vero. Onde se io non m'inganno, si vede manifestamente, che Aristotele non fu cotanto schizinoso in voler dare questa prerogatiua agli occhi, che auessero à esser visitati, senza poter rendere, come ben creati ancor’ essi; la visita agli oggetti visibili. R. Signor sì, che in questo , come nell'altre cose vi siete ingannato; poiche, ne anche per termine di creanza vuole Aristotele, che i raggi visuali debbano incontrar quelle venerande matrone delle spezie delle cose. Non direbbe il Galateo, che si come vn gran personaggio; per esemplo il nipote del Papa, per l'eccellenza del grado, riceue, e non rende le visite, eziandio a’ Cardinali; Così l'occhio, per esser luogotenente dell'intelletto, poscia, che tutto ciò che questi vede, quegli intende, la sua maesta ricerchi l'aspettar le visite de colori, che nella carrozza delle spezie il vanno a trouar, senza che, per dignità dell'officio, renda la visita? Aristotele, come stimate voi, non merita altramente nome di poco giudizioso, ma dee, per la stessa ragione, la prudenza di esso grandemente commendarsi; poiche egli, volendo non mettere in dubbio, che deboli fossero i suoi fondamenti in determinar la cagion di quelle apparenze, si seruì dell'opinion platonica di già diuulgata, e comunemente riceuuta, che la vision si facesse estramittendo, posciache l'effetto era il medesimo, sendo l'vna, e l'altra causa materiale; cosi afferma egli medesimo dicendo della causa dell'Arcobaleno. Nihil interesse an emissione, an receptione visionem fieri dicamus. Oltre acciò, non era tempo di trattar quiui, disputando, cotal materia, massimamente, che egli, come di sopra dicemmo, non vsò mai confonder le dottrine, ma quelle a’ propri luoghi disputare, doue mestier non faceua altramente. Questa medesima regola adoperò ancora nel render la ragion, perche la Lanterna mandi fuora il lume per quel vetro, dicendo, che ciò accade, perche il vetro, e l'osso hanno le porosita; e nulladimeno l'opinion sua, e vera è, perche simili cose trasparenti sono. Ma perche di questo parlò nella Posteriora, non era luogo conueneuole a disputar di tal materia: percioche ad ogni modo, trattandosi della causa materiale, l'effetto sarebbe stato il medesimo, benche la visione estramitendo non si faccia. E che direste, s'io vi citassi grandi ingegni fra’ quali vino, e il Mazzone, che pretendon Platone hauer tenuto, che la vision si faccia per riceuimento delle spezie? Ecco le parole di Platone da lor addotte, In Timeo. Colores ad efficiendum visum in oculum immitti. Ma se volete dirla, come ella sta, io men'auueggo, voi vorreste accommodarui appoco, appoco, che non paresse vostro fatto, col parer d'Aristotile, e perciò andate variando destramente, per calarui con manco vergogna. E io ve ne consiglio, perche [sapientis est mutare consilium; ] e'l douereste fare almeno per le ragion, che vi dirò adesso, atte a persuadere ogni altro piu ostinato di voi. Non è egli chiaro al senso, che le spezie degli oggetti visibili, si diffondon per l'aria, come gli specchi manifestamente ne dimostrano? sì. Qual perspettiuo farà mai cosi apertamente vedere i ragi visuali vscir fuor dell'occhio, e andar per l'aria a trouar le cose visibili? Sè quelle adunque si veggono sensibilmente andare all'occhio, chi ardirà dir, che non le spezie si riceuano entro di quello, ma che i raggi visibili a quelle giungano; per far la visione? Ne ha del verisimile, ne veruna necessita ne spinge a crederlo, che gli vni, e l'altre si vadano a rincontrare; perche sarebbe vn volere indouinar, per opporsi al senso, e a vna verissima proposizion riceuuta da tutti i filosofanti, cioè Quod potesi fieri per pauciora frustra fit per plura, nelle naturali cose, massimamente , perche a dirne il vero, qual ragion s'addurrà egli, per tal opinion, che vana non sia? E la doue alcuni non si rincuorano di ben rispondere, come gli occhiali faccian meglio veder, se non dicono farsi la visione estramittendo; io, per lo contrario dico, che non si può a bastanza rispondere, se non si afferma la vista farsi intramittendo. Imperoche, sè i raggi visuali hanno bisogno d'andare a ritrouare, ò incontrar le spezie visibili, a che fine adoperar gli occhiali per meglio, e più comodamente vedere? Non verranno impediti i raggi da quel vetro che, più oltre passar non potranno. E, se chi che sia mi rispondesse, che il vetro, per esser poroso, non può ritenergli, in quella maniera, che non ritiene i raggi del Sole; io replicherei, che, lasciando di dir, che i raggi visuali non son cotanto incorporei, come quegli del Sole; non posson penetrar per quel vetro rettamente (supposto, che lo penetrassero ) perche i suoi pori son tortuosi, obliqui, e non retti; altramente il vetro non si terrebbe insieme vnito, e non haurebbe le sue parti continue: onde non anderebbono a far la base della piramide sopra l'oggetto visibile da noi ricercato per linea retta, mediante la quali vogliono i perspettiui potersi far la visione intera, e perfetta. Anzi dico assolutamente, che non solo i raggi visuali non penetrano il uetro per li pori, ma ne anche il trapassano i raggi del Sole. E quel lume, che per esempio si vede passar dentro vna fenestra di vetro è vno splendor generato di nuouo, per cagion de'raggi solari in quel corpo trasparente, Di uero, che, sè i raggi visuali andassero, a trouar le cose visibili, non occorrerebbe adoperar gli occhiali, perche quel vetro, riceuendo il lume esterno illuminasse maggiormente la pupilla dell'occhio, accioche meglio discernesse i colori: perche, haurebbono lume a bastanza, sì gl'occhi de’ vecchi, come gl'occhi de'giouani, douendo riceuere il lume sopra l'oggetto visibile, e non dentro all'occhio. Per due altre cagioni sogliono gli occhiali adoperarsi; l'vna è per vnir le spezie, e l'altra per maggiori rappresentarle. Hora, che vtile apporterebbon con l'vso loro gli occhiali, se i raggi andassero a trouar le spezie, e le cose visibili ? Anzi danno apportarebbono; perche, si come in quel corpo diafano del vetro non passano sì le spezie de’ colori intenzionali, che nella superficie di quello non si terminino, e rappresentino; cosi vengon da quella i raggi uisiui rattenuti, e terminati, che i perspettiui direbbon refratti, come appunto si vede, che fa una moneta possa in vn uaso d'acqua, laquale, mandando la sua spezie alla volta della superficie di quell'acqua, vien' da essa superficie refratta, e terminata sì, che eziandio, che, per impedimento dell'orlo del vaso, a chi è lontano veder non si lasciasse la moneta, ad ogni modo si vede la sua spezie in quella superficie, come se la stessa moneta ui fosse. La ragione è, perche niuna cosa è visibile senza vna superficie terminante, la quale è uisibile inquanto, che rappresenta i colori, e mediante quella sono le spezieterminate, e fatte visibili. Onde i colori nell'aria non si veggono, perche non vi è superficie, che gli termini, e riduca in atto. Auuertasi ancora, che vna cosa non può vedersi, mediante più superficie, ma solo mediante quella, che è all'occhio più uicina, conciosiache quella, rispetto colui, che guarda, è superficie visibile in atto, e le più sontane in potenza, e perciò non si veggon, perche quel che è in potenza non è visibile. Donde si caua, che la moneta, che è nel uaso pien d'acqua non è ueduta, come pare, nel fondo di esso uaso, ma nella superficie dell'acqua in cui si rappresenta la spezie di essa moneta. Ecco vn'esperienza manifesta, che i raggi uisuali non uanno a trouar gli oggetti uisibili. Non è egli uero, che quella cosa, che fa l'azione, quella è causa della mutazione? sì. Ma noi ueggiamo, che a mettere una guastada d'acqua fra un'oggetto uisibile, e l'occhio, l'oggetto par maggiore all'ontanandolo è minore auuicinandolo, come si è prouato alla Considerazione 43. in risposta, e che non fa cotal mutazione accostandosi, ò dilongandosi l'occhio: dunque la uision non si fa, mediante i raggi uisuali, non si facendo l'azion da loro. Dico di più, che se la uista si facesse, per li raggi uisuali uscenti dell'occhio, questa azion non sarebbe immanente, come dice il filosofo, e nell'occhio; ma ne’ raggi, là doue riceuessero l'obbietto; e pure è uerissimo che, [Vbi est atio, ibi est passio. ] Ma la passion si fà nell'occhio: adunque iui si fa l'azione altresì del uedere. Ne è sofficiente risposta il dir, che basti, che rimanga l'azione in qualche cosa vscita dall'occhio; perche ne seguiterebbe, che la generazion fosse azione immanente, essendo, che ella riman nel seme dell'animale; il che è falso. Oltre acciò i raggi farebbon quegli, che senso haurebbono; facendo essi fuora dell'occhio la sensazione. Contro la sententia d'Aristotele, cioè, che la uista si faccia intramittendo, si dubita, come possa vn monte, mediante la sua spezie, che tanto piccola nella pupilla dell'occhio si rappresenta, ò gran parte del Cielo giudicarsi dall'occhio grande qual'è ueramente; non parendo, che sodisfaccia a pieno, la risposta comune, cioè, che le spezie intenzionali , che passano dall'oggetto uisibile all'occhio, per non esser corporee, e materiali, non sian quante, se ben rappresentan la quantità dell'oggetto loro; e che perciò non occupin luogo; atteso, che ad ogni modo resta in piedi la medesima dubitanza, sendo che l'essere intenzionale, perche è esser fisico, deemuouer la potenza fisicamente; e per conseguenza si stimeranno le cose, come le spezie loro, della stessa piccolezza, che l'occhio le riceue, e che elle si rappresentano. Hora, io mi crederei, che per maggior chiarezza la difficultà si potesse forse leuar cosi. Si come nella fantasia, racchiusa in quella piccola cella del capo dell'animale, si riceue, mediante la spezie intenzionale, la grandezza d'un monte, o di qualunque altro gran corpo; in qualche spazio di tempo, e successiuamente, se ben quasi impercettibile, sì che par, che in un'istante si riceua, quantunque uero non sia; peroche la cogitatiua, e la fantasia, non operan senza tempo: così, e non altramente nella pupilla dell'occhio le spezie intenzionali degli obbietti uisibili, benche grandi, si riceuono. Perloche, ancorche appaia, che in un momento s'apprendano tali spezie cosi grandi egli di uero non è cosi, conciosiache l'occhio, velocissimo essendo nella sua operazione ci fà stimar, che senza tempo si riceuan quelle imagini, che successiuamente si riceuono, come che in tempo brevissimo, e inconsiderabile, ciò accada. Bene è uero, che imperfetta è tal uisione, e confusa, non si potendo in cosi breue spazio, dice Vitellione, e gli altri perspettiui minutamente, e di perfetta cognizion riscorrer da tutte le parti l'oggetto visibile. conciosiache in quella sola linea uisuale, che passa per lo mezo della piramide, che forma l'occhio sopra l'obbietto, la quale, Asse i perspettiui appellano, si produce la perfetta visione, e non in tutta la base, che l'obbietto comprende in quel sì poco tempo. Sono le spezie, o imagini delle cose, che per l'aria si diffondono indiuisibili, perche sono immateriali, e intenzionali, come dice Aristotele nell'Anima. Omnes sensus esse receptiuos specterum sine materia. Onde non occupano mai luogo quatumque grandi siano gli oggetti, da cui elle deriuano; ma si bene rappresentan lo spazio, che occupa la magnitudine del loro obbietto, la qual non è rappresentata nell'occhio cosi grande, perche egli non è capace, quantunque materiali non sieno, ne corpulente, che possano impedirsi fra di loro. Esemplo chiaro ne siano le spezie de’ colori, che nellastessa aria, e nello stesso tempo, e luogo si spaziano, che, comeche contrari siano, nulladimeno senza mischianza alcuna, o confusion cagionare, non corrotti, ne alterati passano allo specchio, e all'occhio a rappresentare i propri oggetti loro, e molti colori, eziandio insieme distintamente nell'occhio, e nello specchio nel tempo stesso si riceuono, perche spiritali, e immateriali sono. Hora l'occhio, che è specchio viuo, e animato, e alla sua operazion uelocissimo di moto, scorre quasi senza tempo, e le spezie, che per l'aria sparte sono in ogni punto di essa, riceue, e fa la vision, non s'accorgendo, che successiuamente quelle riceue, per quanto si spazia l'oggetto, che le produce; e perciò, grandi com'elle sono, in un momento par che'l senso le riceua. Ne si rechi in dubio, se possa vn solo oggetto multiplicar le sue spezie per l'aria fin doue si dilata la sfera della sua attiuità. perche è natura, dicono i filosofi, delle qualità sensibili multiplicar le spezie nell'aria in infinito; e l'esperienza il conferma, e dimostra, che uno stesso obbietto si rappresenta tutto in ogni punto dell'aria, mediante la sua spezie, poiche infiniti specchi rappresenterebbono l'imagini d'una medesima cosa, infiniti occhi, e infiniti orecchi la spezie intenzionale d'vn solo obbietto riceuono per quanto si spazia la potenza dell'oggetto, che le spezie cagiona. E come che il medesimo oggetto visibile, diciamo un monte Morello, piccolo rappresentandosi nello specchio, piccolo altresì l'occhio lo giudichi, e non come è ueramente; cotal differenza non da altro adiuiene, che da quella superficie piccola dello specchio in cui si termina, non solo la spezie, e imagine del monte, ma la vista ancora: doue per lo contrario guardandosi verso il monte, la spezie di quello, che è di mezo fra lui, e l'occhio nostro, non hauendo altra superficie, che quella dello stesso monte, che la termini, e renda visibile, è necessario, che grande si rappresenti quanto la superficie, che la termina: onde l'occhio, per comprender tutta quella imagine si spazia, e trascorre tutta la grandezza della superficie di esso monte nella quale, e non in altra superficie egli si quieta; e per conseguenza non può giudicare il monte se non grande come è, se ben piccolo il giudica nello specchio; ma grande può dirsi, che lo stimi ancora in esso specchio, se rispetto habbiamo alla piccolezza nella quale alla pupilla dell'occhio si rappresenta; auuenendo ciò, come si è detto, dalla velocità dell'occhio, che quella imagine, e superfice trascorre in cosi poco tempo, che nol conosce. E a chi per auuentura dubitasse, come accader possa, se la vista si fa per riceuimento delle spezie nell'ochio, che noi veggiamo le cose in faccia, per la banda dinanzi, e non veggiamo la parte di dietro, come si vede, che l'imagine d'un'huomo è riuolta col viso uerso colui, che nello specchio si guarda, e il capo uiene a esser riuolto verso la parte deretana dello specchio: si risponde, che ciò addiuiene, perche, essendo le spezie, e imagini delle cose intenzionali, e senza materia, e passando nell'occhio, che è trasparente a guisa di cristallo, l'imagine della cosa si rappresenta tanto dall'vna parte, quanto dall'altra, in quella guisa, che veggiamo in vn sudario, ò in vn vetro l’imagine di che che sia scolpita, o dipinta d’amendue le bande, per esser trasparente quel corpo. La medesima risposta vale per isclor la dubitanza di coloro ancora, che dicono, che, se per intromissione è vero, che la vision si faccia, dourebbe altresì esser vero, che mutata apparisse la destra, e la sinistra parte delle cose rappresentate all'occhio, quale appunto nello specchio appaiono. Conchiudere adunque Sig. Mauri; che quegli, che difender vogliono gli antichi contro Aristotele, ne quegli, ne Aristotele intendono. Bel caso, mi ricorda in proposito. Vno scolare di ceruello assai tondo, che perspettiua ad apparar si mise, non fu mai capace, come i raggi visuali potessero andare a pigliare gli oggetti visibili, fin tanto, che il maestro suo non gliel cacciò nella testa con l'esemplo delle chiocciole, le quali, hauendo gli occhi sopra le corna, quando ueder uogliono gli cauan fuora alla volta della cosa visibile, con essi tutta ricercandola. Ma andò si la bisogna, che il buono scolare se l'impresse di maniera nell'imaginazione, che egli entrò in humor di non voler andar più fra la calca, parendoli andare a rischio di percuotere i raggi visuali, nel cauargli fuora, come le chiocciole le corna. Discorso. E chi è quegli, che dar si voglia a credere, che l'orizonte - della visual potenza, & c. Considerazione XX. Impara questa. L'Orizonte della visual potenza, in vece di dire Linea della visual potenza. Risposta. Non solo questa, ma cent'altre cose hauete da mè apparate, e siete per uia d'appararne molte più, che è peggio, in ricompensa de beffeggiamenti, ch'io riceuo da uoi. C. Vn semplice Astronomo direbbe solo. L’Orizonte del tal paese, come quegli, che per ancora non sà, in che modo possa auere la visual potenza l'Orizonte. R. E perciò Macrobio, che non è semplice Astronomo, ha uoluto lasciar, che, chi ama parlar da semplice, troui il suo luogo non occupato da lui posciache, Hic Orizon, dic'egli, quem sibi vniuscuiusque circunscribit aspectus. E soggiunge Centum enim, & octoginta stadia non exce- dit acies contra videntis. E ne’Saturnali dice lo stesso, Cicerone ancora afferma; l’Orizonte esser detto cosi, Quia cœlum diuidit, quasi medium, & nostrum aspectum definit. Centum, & octoginta stadia non excedere putatur, cum oculorum acies vltertus se non extendat. Ma che dico Macrobio, e Cicerone, se gli astronomi, e perspettiui, e matematici, e filosofi vnitamente dicono il medesimo? Il Sacrobosco non dice; Horizon vero est circulus diuidens inferius hemisphærium a superiori. Vnde appellatur Horizon, idest, terminator visus? Onde il Padre Clauio nel suo comento afferma questo esser l'Orizonte sensibile nominato, che secondo Macrobio non più, che cento ottanta stadi si spazia la meta di esso; e, referendo il parer di molti d'intorno a cotal lontananza, conchiude finalmente, la maggiore essere reputata di cinquecento stadi, che rileuano miglia sessantadua in circa. Voletene voi maggior canlendari ? Discorso. Si estenda fino alle stelle, che il medesimo quasi è, che dire in qual si uoglia distanza? Io non mi lascierò mai ingannar da color, che voglion fondarsi sopra l'autorita d'Hiparco, e altri perspettiui; posciache l'esperienza, madre delle cose questa falsa credenza ne palesa. Impercioche vn'oggetto, per causa di lontananza, non veduto, a quello auucinandosi, ò vero il mezo diafano ingrossando il veggiamo; come chiaramente lo ci fanno toccar con mano quegli, che, hauendo la vista corta, mediante gli occhiali, che maggior la cosa visibile rappresentano, scorgon quelle cose, che non potrebbon, senza cotal mezo altramente vedere. Segni cuidenti son questi, che non in qualunque lontananza si dilata la visiua potenza. Considerazione XXI. Si dee sapere, che tale apparisce l'oggetto visibile, quale e l'angolo, che si fà all'occhio, da’ raggi visuali, ò vengano quelli dall oggetto all'occhio, ò vero dall'occhio alloggetto. Risposta. O questa è solenne, Domin, che voi vogliate, che da l'oggetto possano vscir raggi visuali, e andare all'occhio ? Questa menziogna non mi farete uoi testimoniare a ueruno autore, come hò fatt'io la verità dell'orizonte della visual potenza. C. Perche io mi protesto, che per non importar niente, quanto e al nostro proposito, non ci farò differenza alcuna. R. Anzi importa tanto, che, se la vista si facesse, perche i raggi visuali andassero a trouar le cose visibili, impossibile saria, che arriuar potessero fino alle stelle, dice Aristotile. e cosi, non si vedendo, non haureste fattami questa guerra. C. Se adunque l'Angolo (intendendo però secondo Pietro de Alaico, che detto Angolo non possa mai passar l’acuto) sarà grande, grande ancora apparir à l’oggetto: se piccolo, piccolo: R.Chi ne dubita, che gli oggetti visibili posti in proporzionata distanza, essendo illuminato il mezo diafano, e non impedita la visiua potenza, che, le spezie di già sparte per tutta la sfera dell'attuita di essi oggetti gli rappresenteranno all'occhio, facendoli vedere ? Il fatto stà, che, se la vision si facesse estramittendo, la ragion della grandezza degli oggetti uisibili non varrebbe nulla per prouar l'intento vostro, ma più toste la falsità di quello ne dimostra. Concosiache i raggi, iquali, secondo voi, si dilungano dall'occhio, per giungere all'oggetto uisibile, hanno anch'essi la uirtù loro finita, e fino a certo termine si spaziano, oltre alquale non si estende la loro attiuità. Onde, se passato quel termine fosse vn'oggetto, per dir cosi, grande quanto tutto il Cielo, ad ogni modo visibile non sarebbe, non essendo compreso da i raggi visuali. Hora Aristotele dice, che stoltizia saria il dir, che alle stelle arriuassero i raggi uisuali: adunque è falso, secondo il vostro parere, che l'oggetto, crescendo secondo la lontananza, si possa in qualunque distanza uedere, se bene è vero, conceduto, che la vista non si faccia estramittendo. C. Ma per due cagioni l'angolo diuien grande, e per esser l'oggetto grande, e per esser vicino all'occhio. Onde se accadrà vna sola di queste due, l'oggetto apparirà mediocre ; perche sarà mediocre l'angolo. Se niuna, anzi la cosa da vedersi sia per se stessa piccolissima, e oltre a questo molto lontana dall'occhio, sparirà del tutto, perche all’ora quell'angolo s’auuiciner à all'angolo della contingenza, ilquale, come dicono i Perspettiui, non è per la sua strettezza basteuouole al vedere. Dì quì nasce, che vna cosa stessa veduta in diuerse distanze, diuersa altresì apparisce di grandezza: perche di continuo si diuersifica l'angolo, facendosi sempre più grande, per la vicinanza di quella, come manifestamente si scorge in questa figura. R. Di grazia non perdete tempo à disegnar figure, perche il fatto è verissimo, ne è chi vel neghi: ma la cagione è diuersa molto dal creder vostro non si facendo la vision se non per riceuimento delle spezie delle cose visibili nell'occhio. E perche voi non mi pigliaste in parole, come vorreste fare ad Aristotele, siaui à memoria, che, quando parlerò co’ termini perspettiui, non douete far capital, se non del modo del parlare, per esser inteso meglio, poi che l'effetto è il medesimo. C. Ora gettati questi fondamenti, dico, che l'autore hà il torto à non voler, che in qual si voglia distanza s'estenda la visual potenza, sì come aurebbe anche il torto ad affermare, che ella s'estendesse in qual si voglia vicinità, auuengache ponga egli pure un'oggetto lontano, quanto gli piace, e concedasi ancora à me (poiche ogni osa visibile hà una certa determinata, distanza, oltre alla quale più non si può scorge) pigliarlo à proporzion della lontananza, grande, quanto si conuiene, che io l'assicuro, che sempre cotale oggetto sarà visibile. Perlo contrario auuicini à se medesimo, quanto e' vuole, u. g. un'Atomo, che mai la sua virtù visiua sarà bastante poterlo scorgere. Imperocche, se la base di quella piramide, per la qual si genera la veduta, non cade sotto grandeza sensibile, essendo Atomo, che sarà l'angolo? R. Se non hauete miglior fondamenti, vi bisognera dormire a occhi aperti, come la lepre, acciò che Arno per la prima piena non ne porti voi, e loro insieme. Ma andate; che io voglio mostrarui, che quando voi voleste creder, che la uista, efframittendo, si facesse, non ui haurebbe mestier, che gli oggetti fossero maggiori per potersi ueder più di lungi; e che ogni oggetto, benche piccolo, si uedrebbe in qualunque lontananza, doue linea visuale, ò raggio tanto fuori dell'occhio vscisse, che la cosa sensibile non fosse sopra il senso, che il mezo illuminato non restasse, e la cosa da vedersi quantità sensibile non hauesse. Dico adunque, che, consistendo, secondo i perspettiui, la vision perfetta in quella linea visuale, che passa fuora dell'occhio, per lo mezo della piramide, laqual linea, se bene è quanta non fà angolo, ne piramide, però è detta Asse della piramide, cotal linea, arriuando in ogni lontananza, farà la vision d'ogni minima cosa, che minore non sia della grossezza di essa linea; sì che sè vna mosca fosse, per esemplo sù la palla della cupola del Duomo di Firenze, chi fissasse lo sguardo in quella, certamente la vedrebbe, come che piccola fosse. Anzi che, quantunque l'oggetto visibile habbia necessità d'esser tanto grande, che la piramide visuale faccia tanta base, che l'occhio riceua l'Angolo tanto largo, che non si accosti à quello della contingenza, ò del contatto, che dir vogliamo; quiui potrebbe farsi questo ancora, poiche la mosca è sopra vn corpo si grande, che l'occhio può comprenderla dentro vna piramide, che faccia base, quanto gli fa di mestiere. Non è egli vero, che vna macchia in vn corpo grande, che pur si può uedere, è alle uolte minor, che vna mosca? E le mi si risponde, che è visibile vina piccola cosa in vn gran corso, quando non è molto lontana; ma che leuatala di certa proporzione, sì che ella non faccia più angolo, l'occhio non può uederla: io replicherò, che adunque non sia vero, che la perfetta vision consista in quella linea sola Asse appellata; e che ella non uada sola altramente, per minutamente discernere, a'nfilzar la mossa: cosa, che è contro l'opinion comun de’ perspettiui, e vostra ancora. Bisogna perciò confessare assolutamente, che altra sia la cagion del uedere, che i raggi visuali. Sono alcuni vermicelli minori, che vn punto di penna piccolissimo, che lontani dall'occhio più d'un braccio si scorgono; nulladimeno, chi direbbe mai, che tanta base potesse far la piramide visuale in quel corpicciuolo, che per tre linee distinte, che pur hanno grandezza, per non esser matematiche, si potesse cagionar l'angolo nell'occhio, necessario per la visione? Queste difficultà non vengono, dicendosi, che la vision si faccia per riceuimento delle spezie, lequali, non potendo in qual si uoglia distanza difondersi; ma solamente in lontananza determinata, secondo la grandezza del corpo, da cui elle procedono; per questo, non giungendo all'occhio, egli non può uederle; e le troppo piccole cose, ò troppo vicine, non si veggon, perche suanisce dell'vne la spezie per l'aria, e dell'altre, perche non sendo il mezo illuminato, veder non si lasciano l'imagini, che le rappresentano. Discorso. Macrobio nel sogno di Scipione vuol, che la sfera della visual virtù si possa spaziar non più, che cento ottanta stadi, sia quella della retta, ò della pregata linea, e dicono essere vno stadio l'ottaua parte d'un miglio solamente di piedi geometrici. Hora se di qui alla superficie concaua del Cielo stellato son miglia cento milioni sette cento sessantamila cento nouanta noue; come potrà gia mai il raggio dell'occhio nostro fin la sù dilungarsi ? Dicasi adunque con Aristotele, che la verità del fatto e, che la vision si fa per riceuimento delle spezie delle cose visibili, che all'occhio s'appresentano, ma in distanza possibile, e proporzionata, e non si fa estramittendo altramente. Ma quando si ammettesse, per lasciar la contesa, che i raggi dell'occhio andassero a trouar l'obbietto visibile, e che penetrassero il Cielo, non per tanto non conchiuderebbe l'esempio. impercioche il raggio visuale non è corporeo, come i vapori, ma intenzionale, e però non possono i uapori, quale i raggi uisiui, penetrare il Cielo. E l'esemplo del Sole da lor portato in mezo, per prouanza, che in quella guisa, che egli penetra il vetro, e l'acqua, il vapor trapassa per entro il cielo; se io non m'inganno proua contro di loro, poi che si uede, che i vapori si posson tener racchiusi un vn vetro, e non esalano da quello, ne si partono, come fa il Sole: e cosi vano, per esperienza, sarà l'esemplo loro. Quando inferiscono, che si come, le prime qualità dentro le gioie durissime trapassano, diciamo il fuoco verbigrazia nel diamante; cosi il Cielo (auuenga che durissimo fosse) da quelle esalazion penetrato sarebbe; si risponde, che non corre l'esemplo, e perciò non proua altramente. Imperoche le qualità de'corpi misti son vicendeuolmente comunicabili infra di loro, perche conuengono in materia, e hanno i medesimi principi. Oltre acciò non è misto cosi puro, come che durissimo sia, che porosità non habbia, auuenga che al senso nostro non appaia. Onde i naturali affermano, che le gioie ancora suaporano, e gittano odore; hauendo ciò osseruato da alcuni animali, che all'odorato le ritrouano. Ma la sostanza celeste, che è semplice, di maniera è densa, che ha la diafanità senza pori; e senza crassizie, o siccita, è soda. E perciò il Cielo, non può con le gemme in questo compararsi. Ne si dee mica dir secondo il parer loro, che trattabile, e cedente, e condensebil sia la sostanza del Cielo, in quella guisa, che l'acqua, e l'aria esser si vede; si che le stelle, quasi tanti pesci, ò vecelli essendo, per lo gran campo celeste di uagare a lor uoglia hauessero talento. Impercioche, auuenga che, essi l'argomentino, dicendo, che altamente non potrebbon tra quelle sfere tanti epicicli, eccentrici deferenti, adeguanti, e altre simili diuision ritrouarsi: egli è da auuertire, che non solamente imaginarie son tutte queste partizion planetali, ma che, eziandio quando reali, e uere fossero, perche tutte mouimenti circolari rappresentano, e non contrari, perche sopra diuersi poli si girano; necessita uetuna ui saria, che arrendeuole fosse quella sostanza per dar luogo al riuolgimento degli altri circoli, che per entro di essa si muouono. Anzi che, quantunque denso, e durissimo sia il Cielo, ad ogni modo non fa mestiero, che tra le superficie dell'uno orbe, e dell'altro aria, ò simil corpo tenue si ritroui, per dar luogo al facilissimo uolgersi delle sfere uicendeuolmente l'una nell'altra. Conciosiache, nuda è la region celeste, e spogliata di tutte le qualita; che resistenza apportano, chente è la ruuidezza, scabrosità, e grauità dalla mistion resultanti de’ corpi elementari. Ma perche semplicissimo è quel corpo, quinci è che l'un Cielo nell'altro di mouimenti diuersi, ma non contrari si gira con somma agilita. Considerazione XXII. Non vi date ad intendere Sig. Colombo, ò almen non vogliate persuadere ad altri, che Macrobio sia dalla vostra, perche'l fatto passa diuersamente. Conciossiache egli afferma, che noi possiamo veder’ un monte posto in lontanissime parti, anzi le superne ragion del Cielo, distanti da noi di vero altro che 180. stadi; con la qual distanza, quantunque egli poi misuri il semidiametro dell'Orizonte, descritto da’ raggi nostri visuali: per lo piano, non si può per questo argomentare, che la nostra visual potenza, senza comparazione non si dilati molto più, quando ella non andando, come dic’egli, terra terra, se ne và per l'aria, solleuata, innalzandosi. A talche anche secondo Macrobio, contra'l vostro credere, à ragione affermeremo, che la nostra virtù visiua peruiene alla nuoua stella posta ancora nel primo mobile, per esser’ella situata in alto. Risposta. E chi lo dice noi, che Macrobio non tenga dalla mia? Da Macrobio si caua, che se l'orizonte della uista ha non più, che cento ottanta stadi di semidiametro guardando terra terra egli non possa far tanta differenza, guardando uerso il Cielo, che importi tanti milion di migliaia di miglia, che è quasi senza proporzione, e in comparabile. E a qual virtù mai s'ascrivera cotanta uarianza ? Per questo Arist. disse. Irrationabile vero omnino est exeunte quodam, visum videre, & aut extendi usque ad Astra, aut quodamtenus producente coadherere: sicut quidam dicunt. Come si è ragionato ancora in alcuni discorsi che io son per istam par d'intorno alle quattro marauglie dell'huomo, doue si dice de raggi, che dall’occhio si mandano, se sian uisuali, ò nò. C. E se io pensassi, che voi pure stesse ostinato nella vostra openione, auendo fitto il capo in quel suo Orizonte. R. Hora uedete, che io nel'hò cauato, e postoci il uostro, e non sò quando mai ui basterà l'animo d'vscirne, per molte girauolte, che dentro ui facciate. C. Per poco vi prouerrei, che quell'autore, per altro Graue, piglia notabile errore in determinare’ l detto semidiametro: ma non penso sia necessario. R. Piano, la uostra pacienza, non sia, come quella di quel pouero huomo, a cui sendo ricordato, che nelle sue miserie sopportasse in pace, rispose. Fratello, io confesso il debito, ma paga tù per mè, che io no ho il modo. E che importa disputar, se quell'è il semidiametro appunto, della sfera de'raggi uisiui, ò nò? A me basta, secondo questa lontananza poiche nulla rileua, quando ella fosse più trè uolte, hauere argomentato a sofficienza, che impossibil sia, secondo i perspettiui ancora, che fino all'otta a sfera, i raggi uisuali arriuar possano, per non vi esser comparazion di distanza tra il guardar uerso l'orizonte, e verso il Cielo, ne ragione alcuna, che uerisimile appaia. Dico ben, che egli nol disse per errore, poi che anche ne’ Saturnali afierma lo stesso cosi. Quorum indago fideliter deprehendit directam ab oculis aciem per planum contra aspicientes non pergere vltra centum octoginta stadia, & inde iam recuruatur per planum. C. Il perche passando più oltre, ditemi vi prego. Perche aggiugnete voi sia quella retta, ò della pregiata linea ? P. Perche lo dice Macrobio. C. Macrobio non dice mai questo, ne quando ei lo dicesse, voi haureste ad acconsentire. R. Io diuero poteua di ciò lasciare il carico a Macrobio, poscia che a me non rileua niente, come si hauesse inteso quel passo, se non fosse che uoi negate, che lo dica, il che nascer potrebbe da non l'hauer letto. Ecco adunque le sue parole. Sed visus cum ad hoc spatium venerit , accessi deficiens in rotunditatem recurrendo curuatur. E ne’ Saturnali Quæ si diutius pergat (Della vita parlando) Rectam intentionem lassata non obtinet: sed scissa in dexteram leuamque diffunditur. Hinc est, quod vbicumque terrarum steteris videris tibi quamdam cœli conclusionem videre: & hoc est quod horizontem veteres vocauerunt. Hora che difficultà hauete? C. Perche, chi è quegli cotanto insensato, che non sappia, che per linea curua non si può cagionar la nostra veduta ? R. Adunque vorrete, che, le parole di Macrobio, non si intendan per piegata linea ? Ecco il Mazone huomo addottrinato, e vniueriale in tutte le scienze, che nelle difese di Dante, al predicamento dalla qualità dice; Aggrandi dunque l'Ariosto. molto, la forza della potenza visiua in quel luogo, poiche la distese, per lo spazio di 1800 miglia, tutto il diametro, che 900 è il semidiametro, per quanto non può arriuare in modo alcuno il nostro aspetto, ne con la diritta linea, ne con quella, che piega, venendo determinata da i matematici, come Macrobio afferma; e referisce le citate parole. Che dite, non s'intende quella voce [curuatur,] per piegarsi? Replicate, e ui ostinate, con dir che, se Macrobio il dicesse, direbbe male. E il Mazone ancora, perche principalmente, attese alla Filosofia, e Teologia, meno pote conseguir questa ragion perspettiua. E io vi rispondo, che par, che facciate habito di lasciar sempre ciò che di buono dicon gli autori, e pigliare il cattiuo, poiche biasimate in ciò Macrobio, e lo seguite nell'hauer egli attribuito il suono, e l'armonia al Cielo: hauendo fatto, come Francesco della Luna architettore, ilquale in assenza del Brunellesco, seguitando di far la loggia degli Incenti, perche fece il ricingimento d'vn'architraue, che corre à basso, di sopra, fu sgridato da Filippo al suo ritorno. E perche si scusaua, dicendo hauerlo cauato dal Tempio di San Giouanni : rispose il Brunelesco. Vn solo errore è in quell'edificio, e tu l'hai messo in opera. Or eccoui Ignazio Danti, che principalmente habito faceua, di somiglianti facoltà, e per questo fù adoperato da Principi secolari, e Ecclesiastici, e pure anche egli vsa questo termine di piegata linea, dicendo, che quelle cose, che son uedute da i raggi, che più piegano alla destra ci appaion più destre; e cosi per lo contrario le vedute da i raggi, che più piegano alla sinistra, son più sinistre; e ne fà, la dimostrazione ancora, che è quel che uoi cercate. E Aulo Gellio, nel libro delle sue notti antiche, dice, che i perspettiui chiamano vedere obliquo, quando il raggio è refatto, cioè piegato. Siete voi chiaro adesso, che questo termine è ignoto solamente a voi ? Ne resta per ciò, che la linea visual, che va dall'occhio all'obbietto, secondo i perspettiui, non sia retta, ma ella si piega mentre con la sua estremità (per esemplo) disegna vn arco nel voltarsi a destra, ò a sinistra, non potendo più dilungarsi, e questo termine è l’orizone della visual potenza disegnato dalla piegata linea, dice Macrobio, e qualunque huomo, che perspettiua intende. L'orizonte adunque della potenza visiua, e la piegata linea visuale non saranno termini nuoui, ne falsi, se non secondo il creder vostro. Non vi pare strano d'essere stato preso a quel boccone, che voi giurato haureste esser senz'hamo? Non fareste uolentieri, come la scolopendria, che uomita tutte le viscere, per istrigarsi dall'hamo, che già, vede hauer ingozzato ? C. Che perciò d’vna palla non veggiamo, se non la metà, ò poco meno, essendo impossibile: che i raggi visuali si pieghino per veder l'altra parte. R. Orsù, sarà vero quel che dianzi si disse; che ne anche della vostra arte intendiate straccio. Il medesimo Ignazio proua, che quantunque retti uadano i raggi uisuali, ad ogni modo alcune fiate con essi possiamo vedere una palla di là dal mezo dalla parte, che piega, cosi dicendo. Se l'interuallo, che è fra’l centro dell'vno, e dell'altr'occhio, sarà maggior del diametro della palla, se ne uedra più della metà; se il diametro sara eguale alla detta distanza, se ne uedrà la metà ; se il diametro sara maggior dell'interuallo, se ne vedra meno della metà. Che potrete uoi girabizzar quì ? Son matematiche demostrazion queste, che son note al senso, e pure ardite di negarle. Oime voi neghereste il paiuolo in capo, e fareste à passar co’ passatoi, perche non rispondete a meze le cose. All'esemplo dato de’ raggi visuali, per prouar, che i vapori, come quegli penetrar possano il Cielo, che si è mostrato, che non proua, che ci replicate? Che alla falsità dell'esempio del Sole? Che all'esemplo delle prime qualità nelle gioie ? Che alla proua fatta, che il Cielo arrendeuole non sia ? Discorso. A quella moderna inuenzion dell'Epiciclo di Venere di cui vogliono ouale essere il mouimento per lo Cielo, niente altro direi, se non che, per tor le difficultà alle demostrazioni astronomiche, per causa di quella apparenza, che il capriccio è bello, ma non vero, per tanto dee stimarsi, come degli altri s'è detto. Onde non segue perciò, che il Cielo affermar si debba esser alterabile, dicendo, che egli rarefare, e condensarsi dourebbe, per dar luogo a quelle inegualita di quello epiciclo, poiche non reale, ma imaginario è veramente. Considerazione XXIII. Tengasi cara questa risposta. Perche ell’e diuero pellegrina ; e inaspettata. Conciosiache qualche Astronomo comunalmente aurebbe risposto: prima, che l'epiciclo di Venere non è insino à qui da niuno, che di quei moti abbia scritto, imaginato ouale, e che manco da altri di sì fatta figura dourebbe esser tenuto per l'auuenire: Risposta. Ecco, che io v'hò seruito, perche, come uedeste anche alla settima considerazione in risposta, non l'hebbi per reale. Mi marauiglio ben di voi, che in questo capriccio non seguitiate il uostro Copernico, seguendolo nell'altre sue fantasie di gran lunga più bizzare. C. Poiche quell'apparenza, nella qual sola è il fondamento di chi dice quell'Epiciclo non esser di forma rotonda, addotta ancora da in certo, per aggradire, mi penso, le inuenzioni del Copernico, semplicemente, sì come semplicemente s'adduce, potre' negarsi. Secondariamente, che dato ancora, che cotale Epiciclo fosse ouale, non ne seguita perciò necessa- riamente, che Venere con tale Epiciclo mouendosi di continuo intorno à un sol centro, rispetto à quello non si volga , ancorche à noi altrimenti apparisca, in circolo rotondamente, e perfettamente. Onde per mio auiso l'argomento, che per esser l'Epiciclo di Venere ouale, maggiormente si douesse dire il Cielo arrendeuole, non conterrebbe in se stesso, circa la proua di cosi fatta arrendeuoleza, niente più di vigore, che se circolare fosse stato creduto, e presupposto communemente. Poiche, e l'Epiciclo, e gl'altri cerchi, che vi bisognegebbon di Venere, co’ lor mouimenti, quantunque diuersamente apparisero, in se stessi nondimeno, per via ancor di demestrazione, si potrebbe affermare esser circolari, e rotondi. Ne darò quì per dichiarazion di questo l'esemplo nella Luna. Chi seguita la dottrina di Tolommeo, ne caua per corollario, che l centro dell'Epiciclo di essa Luna, ogni mese descriue vna figura ouale, senza tralasciar niente il corso circolare. R. Sig. Mauri, come quegli, che non attende, se non per diporto, a queste cose, ha uoluto anche per diporto farnela dimostrazion, con la figura: però si lascia, come vana fatica, non hauendo noi tempo da gittar ne’ diporti. C Quindi si può acconciamente, s'io non m'inganno, venire in cognizion di quello, che di sopra è da noi affermato di Venere: perche mi pare per tal figura assai ageuole lo’ntendere, che tanto l'Auge dell'eccentrico, quanto’ l centro dell'epiciclo, faccendo intorno al suo centro vn perfettissimo circolo, descriua, nondimeno, rispetto à vn'altro punto, o vero centro, vna figura ouale; non perche à suo capriccio, non girando eglino intorno à vn sol centro, suolazin per lo Cielo arrendeuole, ma perche detto lor centro è mobile, per la mobilità dello stesso Auge dell'eccentrico. Per conchiudere adunque, la seconda risposta, d'vn semplice Astronomo sarebbe cotale. Se quell'Epiciclo di Venere necessariamente per le osseruazioni si dee constituire ouale, di maniera si saprà secondo i precetti Astronomici accommodare, che con tutto ciò circolari sieno i suo’ mouimenti. Onde ragioneuolmente non ne segua, che più si possa dire arrendeuole il Cielo per parer l'epiciclo di Venere ouale, che per apparire egli circolare, e rotondo. R. Queste vostre opposizioni contro coloro, che tengono, che Venere, o la Luna ouatamente si muoua, strighinle, quegli à cui appartiene, perche io non ci sento stroppio; ne hauendole sostenute m'accorderò volentieri, con chi l'opposito afferma. Anzi che della demostrazion, che per farmi piacer fatta hauete; io ven'hò quel grado, che ha il Proconsolo a chi pesca per lui; perche nulla più mi gioua, che, se fatta non l'haueste. Duolmi ben, che, in vece di spiegar tante girelle in cui la Luna si gira, poteuate spendere il tempo dintorno a que’ luoghi, che sopra vi mentouai; perche haureste detto qualche bella cosa da pagarla va tesoro, come faceste alla considerazion quinta. Discorso. E io non dubito punto, che meglio filosofandosi ragione assai più verisimile ritrouar si potrebbe per questa, e per l'altre apparizioni, e potrebbonsi forse tor via l'imaginazion fauolose di tanti Epicicli; ma per hora intorno a ciò altro non fa mestiere ch'io dica. O Aristotele, sè tà in questi tempi viuessi; quanto riderestù di quegli astrologi, che rouinan tutto il Cielo per non rouinar se medesimi sotto vn'argomento? Vogliono altri, che queste nuoue stelle siano vna parte condensata di Cielo, affermando cotale spessamento in quel semplice corpo altro non cagionare, che perfezion maggiore, apportando in quello nouità di lumi, che son parti più nobili dell'orbe nel quale essi riseggono; e perciò tal mutazion non douersi la suso sconueneuole apppellare. Credonsi, che questa spessazione dal concorso di più stelle, e raggi si cagioni, per lo mouimento, e per l'vnita di quelli reuerberanti in quella parte di Cielo, si che, aiutata da raggi del Sole, poscia come l'altre stelle risplenda. Ma perche dicemmo di sopra il Mondo celeste essere in alterabile non par, che la bisogna richiegga, per non esser souerchio alle purgate orechie di cui dirittamente intende, di nuouo affaticar, il medesimo replicando. Diciamo per tanto che l'acquistamento di nuoua perfezione altro non inferisce, che riceuer nuoue forme, sendo questa perfezion niuna altra cosa, che generazion di nuoue stelle. Onde la materia di esso Cielo sarebbe stata in potenza ad altre forme, e insiememente corruttibile; cosa falsa veramente, come s'è dimostrato di sopra. Nè rileua nulla quello, che dicono, cioè, che al Cielo non sia nota di imperfezione l'acquistamento di migliori forme, come le stelle sono. Impercioche l'essere in potenza a miglior forma, o peggiore, altro non vuol dir, che essere capace d'alterazione; perche, la miglior forma acquistata, lascia la sua materia in potenza alla peggiore, di cui ell'è priuata. Aggiungo, che se per condensamento, e rarefazion si generassero lassù nuoue stelle, vicendeuolmente quelle si vedrebbono senz'ordine hora auuicinarsi, hora discostarsi, e confondersi tra di loro. Cosa, che all'esperienza stessa contrariar si vede. Considerazione XXIIII. E gran cosa questa. Vogliono i filosofi ne’ Cieli vniformità, e regolarita, e questa non imaginaria, non finta, ma vera, e reale. Risposta. Di grazia non vi disperate ancora, perche i confortatori son troppo impacciati, per adesso, dietro a quei tali, che dite esser da me stati mandati à giustizia, C. E perche alcuna fiata, per apparir u. g. il Sole quando di moto più tardo, quando di moto più veloce, e Saturno ora retrogrado, ora fermo, e stabile, il senso chiaramente repugna, se ne ricorrono per soccorso agli Astronomi; acciò eglino, poiche essi non possono, con l'apportar la cagione di cotali apparenze, mantengan per veri nelle menti de gl'huomini questi lor pensieri de' Cieli vniformi, e regolari. Cli Astronomi adunque, come fedeli amici, col pensare, e giorno, e notte, e a Epicioli, e à Eccentrici, e à Equanti, anno dato lor machine tali, che, volendo, possono contra ogni feroce mimico ageuolmente restare in sì fatta contesa vittoriosi. R. Se voi sollecitate così, io vi prometto, che spacciatamente vi spedirete, e non haurete a veghiare. Ah, Ah, in fatti voi siete garbato, poiche, s'io vi concede dianzi vna cosa (perche faceua al mio proposito) à me volete concederne molte, per non esser auanzato di cortesia. Onde io m'imagino, che alla fine saremo d'accordo, poi che per non parer prouano, e litigioso non volete guardarla cosi per la minuta. E che vuol dir, che non rispondete cosa niuna a gli argomenti, che prouano la nuoua stella, non poter’ essere altramente vna parte condensata di Cielo ? Egli e pur vero, che que’ tali, secondo i vostri fondamenti, hanno questa. Opinion suscitata. C. Ma ecco, che cotali strumenti, non prima posti loro in mano, essendo, ò per dispregio de’ donatori, da essi dannosamente vilipesi, ò per ignoranza ne’ suoi affari abusati, danno in uece di vinta, perduta lor la battaglia. R. Coccole d'olmo: quest'e vn calcio senza discrezione. Infatti quando il cauallo è toccato su'l guidalesco, se egli tira, che marauiglia? C. Per esemplo piglisi quì il nostro moderno Peripatetico, ilguale (faccialo per qual si voglia ragione) non s'accorge, che con l'affermare imaginari gli Epicicli, imaginarie altresì afferma, per consequenza, contro i suoi assiomi, le sue regolarità. Poiche, se è vero, come è verissimo, che gli effetti seguitan le lor cagioni, come si potranno giammai stimar realmente per regolare i mouimenti celesti, essendo gli Epicicli, Eccentrici, ed Equanti, per mezo de’ qua’ soli si può saluare, anzi farne cagionar l’vniformita de moti, tenuti fauolosi, e finti. R. Non vogliate darui a credere, che i filosofi non sapessero cosi ben come i matematici ghiribizare, e imaginarsi le cagion dell'apparenze diuerse de’ Pianeti. perche sarebbe il medesimo che dir, che quegli, che sà ritrouar le vere, e reali cagioni delle cose, non sapesse dire vna bugia, che faccia di vero hauesse. Io ho veduto vn discorso curioso, e dotto, e degno veramente, che i letterati lo leggano; doue, oltre che si piglia a dimostrar, che in tutte le scienze, e arti i cattolici sono stati più eccellenti degli eretici, egli non solamente, quando nouerai filosofi non fa memoria veruna di quegli, che per loro impresa si misero a contraddire ad Aristotele, si che voi Mauri non ui acconterete in quel bel numero ezandio, che voi foste eccellente; ma parlando de'ritrouatori degli strumenti, che voi negate a’ filosofi, mostra, che tutti Filosofi, e Teologi sono stati coloro, che i maranigliosi strumenti hanno fatti conoscere; come Ignazio Danti, eccellente filosofo, e Teologo, il Radio latino, il cui uso è mirabile: Alessandro Piccolomini, che vn nuouo strumento anch'egli ne'nsegna: il Cosmolabio, che da Iacopo Bessani è mentouato: L'Olemetro, che diede fuora Abel Fulone: e il Filandro l'Anello sferico: e Gemma Frisio l'Astrolabio cattolico: altro ne fece Giouanni Roias: Antonio Lupicini Fiorentino, che filosofo non mediocre fù ancora, insegna alcune verghe astronomiche, e altri infiniti. Che ne dite? Sanno i filosofi, senza gli Astronomi, adoperare, e ritrouare gli strumenti astronomici? Non ui lasciate più scappar di bocca, che i filosofi ne siano ignoranti: non perche importi a loro il cicalar vostro, ma per zelo di uoi medesimo guardaruene douete. Hora, che questi epicicli di Venere, e della Luna descritti ouatamente, e l'altre apparenze, reali non sieno, ma immaginari, il termine, e nome stesso, il manifesta; come afferma ancora il medesimo Ignazio, sopra gli specchi di Euclide, dicendo, che dal Greco gli diedero questo nome, perche si suppon quel, che solamente apparir si vede a gli occhi nostri. I moti circolari son reali, e veri, ma l'apparenze diuerse, che in essi pianeti si veggono, come i mouimenti ouati, e simli altri, reali non sono: e perciò non vi attaccate alla mala intelligenza vostra delle mie parole, per le quali vorreste, che io chiamassi fauoloso ogni circolo, e ogni mouimento celeste, hauendo io detto, che imaginarie sian tutte queste apparizion planetali, attesoche, dicendo apparizioni, chi non vede, che io distinguo da i mouimenti reali gli imaginari? E che ciò sia uero, hauete voi osseruato, che io dico, che si potrebbon forse tor via l'imaginazion fauolose di tanti epicicli? Adunque non dico di tutti, ne de moti reali. Oltre, che s'io lo dicessi senz'altra distinzione, quelle parole, imaginazione, e apparenza, basterian per dichiarar, che non di tutti assolutamente si parla. Ne, quantunque voi mi chiamiate nuouo peripatetico, ho io altramente, che da antico parlato, perche, concedutoui, che reali fossero queste apparenze, non ne segue però, che chi nega cotali esser le cagioni loro, neghi la realità degli effetti, poiche altra può esser la vera cagion da cui essi procedono. Quei filosofi in somma, che niuna cognizione hanno di cotali strumenti astronomici, e moti, e apparenze celesti, che bene intendono, filosofando la ragion delle cose, chi dubita, che facilissimamente: non l'apparino, leggendo cotali autori, e senz'altro maestro? Il che non posson cosi agiatamente far quegli, che, mediante le filosofiche speculazioni, non si son resi agili d'intelletto, e di facile apprensiua nelle squisite discipline, e varie esercitandosi. C. Ciò vegga il nostro Colombo. R. Voi pur mi chiamate nostro, e nel medesimo tempo fingete di non hauer mai hauuto lume de’ fatti miei, non che mia amicizia. Onde per altra cagione bisogna, che tale mi appelliate. Dite vero, forse, perch'io son vostro patriotta? Io mi pensaua, che voi foste del paese de Baschi; ma, poi che siete nostrale, mi crederò, che ciò adiuenga da esser voi stato gran tempo per le catapecchie fra le grotte di Merlino a douentar buon negromante; e hora, che l'indounar le cose passate ui riesce, siete scappato fuora, come nuouo bergolo a farui cosi valente conoscere. La doue non è marauiglia, che, mè non habbiate sentito ricordare, e conosciate poco altri, e voi stesso non punto. C. E ne sia egli stesso il giudice, percioche io penso, non istarà pertinace nella sua opinione, almen per fino à tanto, che egli meglio filosofando, come di corto per suo auuiso si dee sperare, non apporti aiuti cotali; onde, lasciati à Matematici gli estranei sussidi de’ lor finti Epicicli, e’ vegga alla fine di proprie forze fortemente circondata la sua nuoua, e vera filosofia. R. Se voi, messer mio, haueste saputo stringermi addosso il farsetto di maniera, che mi fosse conuenuto dar la fuora, per mio scampo, haureste sentito chente la nuoua maniera di filosofare intorno a simili cose, non già lontana dalla vera, e peripatetica filosofia, adoperata da me si haurebbe. Ma perche non mi hauete posto in cotal necessità (non vene basta l’ animo ) vi rimarrete con la voglia. Discorso. Oltre à ciò non trarrebbe il Primo mobile seco vniformemente tutte l'altre sfere sottoposteli, se elle fossero labili, e arrendeuoli, si come adiuenir si uede all'aria, che il suo moto non fa con quella uelocita di quel del Cielo, che la muoue. Non ha altramente balia il concorso di molti raggi, di cagionar tale spessazion in quella parte celeste, secondo che uoglion questi tali. Impercioche, non è egli uero, che il Cielo, per qual si uoglia concorso di lumi, e raggi, e uelocità di moto niuna alterazion patisce, ò uarietà di corruzione? Considerazione XXV. E pur tirato il fuoco con vna parte dell'aria, quantunque e’ non si possa ne gar, che è sieno arrendeuoli. Risposta. Si e dimostrato ancora, che non son tirati con la medesima uelocita, che si muoue il Cielo, e che non vanno vniformemente, per essere il corpo celeste di sostanza soda, e quegli di arrendeuole, e cedente; e perciò non capaci di girar col medesimo moto insieme, come che ui sforziate fargli girar voi, con aggirare i semplici, che ui credono. Discorso. Pure, datoche egli soggiacesse a cotali imperfezioni, egli dourebbe riscaldar di sì fatta maniera, che ormai tutto di fuoco esser dourebbe, e tutto haurebbe abbruciato questo mondo inferiore più tosto, che minimo segno hauer fatto di condensamento. Imperoche, chi non sa, che del caldo natura è di rarefare, e assottigliare, dicono i filosofanti, e'l condensare condimento esser del freddo? La qual condensazione, per mouimento, ò per lume non si produce. Onde, prima senza stelle è da creder, che resterebbe il Cielo, le veri fossero cotali accidenti in esso, anziche aggiungeruisi perfezion di nuoue stelle. Considerazione XXVI. Vedi la Considerazione ottaua: perche questa somiglia mirabilmente quella bella ragione del Lorenzini, Riposta. Piano vn pò; quest'è pur quel tempo, che voi spendete per diporto: fermate, non l'abborracciamo, non tanta fretta. Sapete, voi Signor Alimberto, come questo argomento somiglia quel del Lorenzini? come la vostra filosofia quella d'Aristotele, se già non haueste voluto dire, che questa considerazion vostra, e simile all'ottaua. Bene è vero che, io ancor parlo di fuoco, come fece egli, ma però diuerse son le maniere d'argomentare. Hora, perche non si risponderebbe Albubater Mauro, che fù si grande astrologo; pensate, se potrà rispondere il Mauro suo bisnipote, che ne sa tanto manco di lui, che per ancora non ha capito i miei argomenti. Discorso. Il corpo Lunare fa conoscere a qualunque huomo indubitatamente, che il moto, l’vnione, e ripercotimento di molti raggi, veruna mutazion nel Cielo non apportano, posciache, come che il Sole di continuo nella faccia della Luna ferisca, non per tanto non perde quel suo liuidore; e quelle macchie, che vn viso figurano son sempre le medesime, e nel luogo stesso senza varianza alloggiano. Considerazione XXVII. Ecco, che’ l nostro autore mette in campo madonna Luna, acciò sia quella che confermi, che ne per lo moto, ne per l'unione, e ripercotimento di molti raggi patisce veruna alterazione il Cielo. Ma nota prima, che’l corpo lunare per esser oscuro, e tenebroso, è diversissimo da quello delle sfere celesti, leguali son diafane, e trasparenti. Secondo che’ l Sole non ferisce altrimenti di continuo nella faccia della Luna, se però ella non è, come quel mostro Echidna, ilguale auea cento facce: il che è cosi chiaro à chi intende punto punto, inche guisa ella apparisca ora tonda, ora cornuta, che sarebbe cosa ridiculosa il perdere tempo. Intesi questi notabili, uà cortesissimo lettore da per te medesimo considerando sì fatta confermazione, e quanto per essa si rinugorisca l'argomento, e stà sicuro d'imparar di quì gran parte di Loica. Risposta. State di buona voglia, con questi vostri notabili, che per mia fè, andate a rischio di inuolare il vanto a Giorgion da Castelfranco, sì ben sapete distinguer, tritare, sminuzzare, e far per ogni verso apparir le vostre uerità. Era Giorgione huomo cosi ingegnoso, che fece veder, la Pittura non cedere alla Scultura nel mostrare i dintorni, con tale artificio. Figurò egli vna persona ignuda, laqual, voltando altrui le spalle, e hauendo da ciascun lato vno specchio, e vna fonte d'acqua a i piedi, mostraua nel dipinto il diretro, nella fonte il dinanzi , e nelli specchi i lati. Ma voi hauete fatto vn'inuettiua, che è vno specchio, in cui si scorge troppo ben quel che voi siete di dentro, e di fuora: cosa, che non potè mai far Giorgione. Che il Cielo non patisca alterazion corruttiua, sopra in molti luoghi prouato l'habbiamo. I notabili poi, non uaglion'vn fico. Perche, quanto al primo, s'è mostrato il corpo lunar, non esser di natura differente al suo Cielo, sì come l'altre stelle ancora. E che la Luna non è assolutamente tenebrosa, essendo il corpo celeste sempre luminoso in atto. Ma quando vi si permettesse il dir, che oscura fosse assolutamente la Luna, che ne seguirebbe? Anzi che, per esser molto differente, e più imperfetta del suo Cielo, secondo il creder vostro, dourebbe hauer fatto in tanto tempo qualche mutazione; e nulladimeno il contrario ci dimostra. Circa il secondo, se vostra openione è, che il Sol non ferisca continuamente nella faccia della Luna, altri uoglion però, che egli vi ferisca dentro, dicendo che la parte, in cui le macchie riseggono, mai non varia sito. Imperoche, mentre l'Epiciclo la porta, volgendosi, ella si gira per lo contrario di proprio moto, mantenendosi sempre nella medesima positura: cosi dicono i ritrouator degli Epicicli, Lascio di dir, che Aristotele, perche vide, che la parte della Luna, che faccia si appella, sempre staua nel medesimo sito, volle, che ella non si volgesse nel suo orbe; E'l medesimo afferma San Tommaso. Ma io dico di più, che la Luna, essendo sferica in forma di vna palla, viene, di uero, a non hauer propriamente faccia. Onde, vedendola il Sole alla scoperta, meza si può dir, che la ferisca nella faccia douunque ella si sia, saluo però, che alcuna stata nelle sue eclissi, per piccolissimo tempo. E che si dica la Luna hauer la faccia impropriamente, Aristotele medesimo il mostra dicendo, [Ad id Lunæ, quod facies nuncupatur,] perche quelle macchie veramente non son faccia: e perciò dissi [che vn viso figurano] Ne, ancorche i vostri notabili conceduti vi fossero, haureste conchiuso nulla. attesoche fa di mestier prouar, che quelle macchie lunari, non siano state sempre nel medesimo luogo, e siano andate variandosi, mediante il calor de'raggi solari, quantunque il Sole alcune fiate non percotesse in essa faccia lunare; se vero fosse, che ella potesse riceuere alterazion corruttiua. Ma non sò già veder perche, se io inteso hauessi delle macchie, e li si debba intendere strettamente, sì che non possa alcune fiate non percuotere il raggio in quelle, e ad ogni modo sia ben detto, che sempre il Sol vi ferisca; perche sempre, ancor si dice, che che sia fare vna azione, quantunque da alcuna fiata da certo interuallo di tempo interrotta. Onde si dice, che l'huomo, del continuo mangia per viuere, e pure mette tempo in mezo, da vna volta all'altra. Sapete adunque quel che è ridicoloso? Il dir, che quel mostro habbia cento faccie; e io vi confesso, che men duro mi farebbe a creder, che l'haueste voi, che egli. Imperò che cento fiate all'hora mutate parere. Echidna al mio paese non e altro, che l'Idra, ò fera Lerna di cui fauoleggiano i Poeti; fingendola di sette teste, e i Latini vogliono ancora, che sia Serpente, ò Vipera. Giudicare hor uoi Signori Lettori, anzi uoi medesimo Alimberto, se la mia loica, e buona, per inferir, che nel Cielo non si faccia per le dette ragioni alterazion veruna. Discorso. Le quali altro non sono, che parti più rare di quel denso corpo. Considerazione XXVIII. Non istarò à riprouar l'oppenione, che qui tenete sopra questa faccia macchiata lunare; imperocche Da me rifiutata prima con sottili argomenti cotal sentenza, ne adduce poscia vna sua, laquale, per esser meza Teologica, mi par, che molto ben sarebbe quadrata al titolo di questo trattato, e allo’ntento vostro di voler conformar l'Astronomia alla vera Filosofia, e Teologia, se da essa non s'apportasse per altro, sì come io penso, cagione poco sicura di quello splendor cotanto variato. Risposta. Se ben vorreste dare due tauole, cioè a Dante, e a mè, credo, che il giuoco andra al contrario. Quel famoso poeta secondo l'Astrologia terrena, rende ragion delle macchie della Luna, per la causa a posteriori, cioè dall'effetto, perche altro modo non habbiamo: onde in quel luogo, egli stesso dice. Poi dietro à i sensi, Vedi che la ragione ha corte l'ali. E perciò cotal opinione è la miglior, che addur si possa, ancor secondo il parer di Dante, intantoche ha mostrato di spregiar ogn'altro parere, non ne facendo pur menzione. Ma, volendo il parere, anzi la uera cagion dalla sapienza celeste, che uede, e intende le cose per le cause loro , ne domanda Beatrice, figurata per quella, à cui non conueiua rendere altra ragion, che per la causa a priori, diuersamente dalla filosofia, di cui l'Astrologia è parte. E, che sia uero, che l'Astrologia faccia le sue dimostrazioni da gli effetti, il Zabarella, e altri dicono, la Geometria esser più nobile dell'Astrologia, perche Demonstrationum certitudine excellentior est; Attesoche l'Astrologia. Infirmus demonstrat , & a posteriori potus quam a prioris, Se ben poi e vinta la Geometria. Nobilitate subiecti. Hora potete conoscer, che quando argomenta contro la rarità, e densità, ha voluto Dante mostrar, che questo modo di prouar da gli effetti, e da simili può ingannar, come negli specchi si vede. Ma con tutto ciò le ragioni non sono insolubili, e più tosto il fece, per mostrar la fallacia di quelle maniere di prouare'l raro e'l denso, che negarlo volesse. Vedesi nella similitudine del grasso, e del magro, che egli apporta; imperoche se ben paion simili nulladimeno molto diuersi dal raro e’l denso del Cielo veramente sono. però ingannato il senso ne rimane. Beatrice adunque adduce la sua sentenza dalla causa, e non dall’effetto perche. Est potior, & nobilior demonstratio. Ma in genere, perche il venir al particular non è cosa di capacitarci mentre quaggiù viuiamo. E certamente, che l'argomentar da gli effetti per similitudine con dir nello specchio; per esemplo, il lume fa questo effetto; dunque il medesimo farà nel Cielo, è cosa tanto fallace, che nulla più. Si che sola Beatrice poteua la sua fallenza conoscere; poiche di lei, cioè della sapienza, Salomone, dice. Gyrum Cœli circuiui sola: Perche lassù solamente si può vedere se l’ombra della Luna si cagiona nel modo stesso, che l'ombre nostre si cagionano. Seguitaua, per tanto Signor Alimberto, la comun de' filosofi, e degli Astrologi il nostro Dante, dimostrando dagli effetti, cioè, che dal raro, e denso le macchie della Luna procedono. Lo afferma ancora Egidio, Ricardo, e il Collegio Colnimbricense, il Cardano, il Vallesio, e altri dicendo, che le macchie di quel corpo appaion cosi oscure, perche leparti rare di esso, riceuendo il raggio, non lo rifletton nella superficie di quel globo, come le parti dense onde non posson generar lo splendor, come quelle, e cosi mostran quella oscurità. Ecco, che voi erauate ingannato a creder, che Dante fosse d'opinion contraria alla mia, si come altresì si siete ingannato, nel dir, che l’opinion di Beatrice sia poco sicura; e perciò come diceste, si conforma la Teologia, la filosofia, e l’ Astronomia col parer nostro, e con quel di Dante alla barba del Signor Mauri. C. Conciosache, se fosse vero come vuole quel diuino ingegno. R. Piaga per allentar d'arco non sana. Dateli pur del balordo, e poi medicatelo col diuino. C. Che quegli, che fabricò l'uniuerso doppo l’auer fabbricato stelle di diuersa materia altre lucide, e altre oscure, volle far’ vn pianeta , che composto di materia mista, della natura d'amendue le sorti participasse, vero sarebbe ancora, che si fatto misto, cioè la Luna, essendo alle sue cagioni conformi gli effetti, produrrebbe ne’ corpi inferiori i medesimi influssi, u.g. e di Venere lucida, è risplendente come è gran parte della Luna, e di Saturno oscuro, e plumbeo simile à quelle macchie Lunari: il che, per esser lontanissimo dalla verità, come sà chi hà dell'Astrologia alcuna cognizione, falso altresì viene ad apparir palesemente l'antecedente. R. Per non disputar se lo splendor di Venere s'agguagli alle parti più chiare della Luna, e alle più oscure quel di Saturno, si che da questo si possa argomentar degli influssi; basterà ch'io dica, Dante non hauer altramente dalla mistione argomentato, non sendo mistion di materia ne’ corpi celesti, ma dalla diuersità delle forme, laqual non adiuien nella materia del Cielo, se non dalla disposizion di essa, secondo il raro, e'l denso, dicono i doti; e perciò le stelle, secondo il raro, e'l denso, hanno diuerse forme specifiche; atteso che la forma resulta dalla potenza della materia, e secondo la disposizion di quella l'informa. Esemplo ne siano gli elementi, che, secondo che più densi, ò più rari sono sortiscono diuerse le forme loro, come il più denso alla forma della terra si dispone, e l'acqua men densa, altra forma riceue da quella diuersa, e cosi gli altri elementi. Auuertendosi, che nel Cielo non si ricerca la trasmutazion della materia secondo il numero, per la varietà; conciosiache questo solamente nelle cose naturalmente generate si richiegga, doue dalla corruzion d'vna cosa, vn'altra se ne genera cosa, che nel Ciel non addiuiene che è fatto da Dio, non per generazion, come le sullunari cose, Veggiasi quanto malamente voi argomentiate contro l'opinion di Beatrice. Voi stesso dite, che gli effetti son conformi alle cagioni, ma le cagion degli effetti (loggiungo io,) son le forme delle cose, che gli operano, e non la materia: adunque, dalle forme, e non dalla materia, si dee cauar la ragion delle cose; e voi cercate al contrario con biasimar Dante, che non intenda il modo d'argomentare. Credete voi però, che Dante habbia stimato, che non la forma, ma la materia sia cagion della virtù delle stelle? C. Ma, perche ciascheduna cosa hà la sua propria cagione, andrei per quella inuestigare altrimenti discorrendo, e direi, che, per esser la Luna, secondo Possidonio, e altri antichi Filosofi, come referisce Macrobio, cotanto simile alla terra, che un'altra terra è da lor nominata, non è sconueneuole il pensare, ch’ella non sia per tutto egual nello stesso modo, ma, sì come nella terra, ancora in lei si ritrouino monti di smisurata grandeza, anzi tanto maggiori, quanto à noi son sensibili. R. La Luna, che è tanto minor della terra haurà i monti quasi maggiori della stessa Luna, a voler che siano sensibili: e cosi farete, come quel rosignolo, che per farsi correr dietro a vn certo gocciolone, gli diede a’ creder d'hauer in corpo vn diamante grosso quant'è vn'uouo d'oca, non s'accorgendo egli, che non era si grosso il rosignuolo stesso.- C. Da quali, e non da altro, ne nasca poi in essa quella poco di chiazata oscurità; conciossiache la curuità grande de’ monti, non può, come insegnano i Perspettiui, riceuere, e reflettere il lume del Sole in quella guisa, che fà il restante della Luna piano, e liscio. E per proua di questo addurrei vn'ageuole, e bella osseruazione, che si può di continuo fare, quando ella è in quadrato, rispetto al Sole. Perciocche allora ella non fà il mezo cerchio pulito, e netto, ma sempre con qualche bernoccolo nel mezo. R. E che sì, che voi rinnouellate i capricci di coloro, che diceuan la Luna esser vn desco, altri vna barca, altri vna zolla di terra coperta di nugoli, e caligini, e presso ch'io non dissi ? Almeno faceste voi, come Democrito, che sempre rideua, mi penso io, perche dato haueua ad’ intendere al popolo questa chimera anch'egli, cioè, che la Luna fosse montuosa. Questa fauola non è men da ridere di quella, che si racconta d'vn pastor d'Arcadia, di cui l'asinello, beuendo a vn fiume, rasente al muso del quale risplendea nell'acqua la Luna, perche venne ricoperta da vn nugolo, parue che beuuta la si fosse. Il buon pastore, veduto questo, diede tante bastonate al pouero ronzin di Sileno, che’ l mise in terra per morto; ne vedendol rimandar fuori la Luna, lo sparò, e aperseli tutte le budella, perche la Luna ritornasse in Cielo. Onde, riuedendola poscia con quelle macchie, maladiua l'asin suo, che l'hauesse con le dentate cosi diserta. Ma, che la vostra ragion circa le macchie lunari sia falsa, lo stesso esemplo delli specchi addotto da Dante, il dimostra. perche, quando il Sole stà perpendicularmente, fra due monti, che ombra vi fa egli? Anzi vi fa reflesso, e reuerbero maggiore. Oltre acciò, nel plenilunio, perche diametralmente, e per retta linea feriscono in quella, i raggi solari, appena dourebbon, quelle macchie vedersi, ò per dir meglio non si vedrebbon, per la detta ragione. E vale l'esemplo degli specchi contro di voi, perche è dato di cose della medesima materia, e natura, posciache sostenete il Cielo esser della mistione elementale. Io mi pensaua, che voi credeste, che fossero stati que’ maladetti giganti di Flegra, che quando vollero battagliar con Gioue, s'affrontassero con quella cornuta della Luna, e le facessero que’ bernoccoli, che uoi dite. Aggiungo, che, essendosi prouato a bastanza la materia celeste esser diuersa dall'elementare, e che il Cielo non habbia mistione, non vi possono esser monti, ne scabrosità veruna: ma, perche è corpo semplice, è necessario, che sia sferico, liscio, e terso. Se la sù fossero i monti cosi nobili, grandi, e luminosi, io non istimerei tanto le Muse, come quelle, che habbiano tanta prudenza; poiche haurebbon fatto elezion del Monte Parnaso a somiglianza dell'altre femine, che sempre al peggio s'appigliano. C. Di che, qual cagione si addurrà giammai ancor probabile, se non la curuità di que’ monti ? per li quali, e in particulare in quel luogo, ella vien à perder la sua perfetta rotondità. R. E questo è’l uostro Achille? O pouer huomo, uoi vi siete ben fidato d'un rompicollo, che v'hà lasciato, come vedete nelle peste, e vi sò dir che mai più non m'vscirete. E a dirne il uero, che difficultà ci ha egli, supposto, che non vi si fosse mostrata la vanità del uostro parere, che, doue quelle macchie vi paion bernocoli, dà gli altri sian’ reputate parti più rare di quel corpo? Parui, che si sia facilissimamente sfangato di questa obbiezione insuperabile? E chi direbbe, la Luna esser di figura sferica, se ella hauesse quel monti cosi grandi, che la maggior parte occuperebbon di quel corpo, volendo, che sieno di grandezza à noi sensibile ? Gli astrologi dicono la terra esser rotonda, perche le sue parti montuose sensibili non sono, in comparazion del rimaso di quella, perche è trentatante uolte maggiori della Luna. Signori Lettori, perche in questa risposta vien soluto alcuna tacita obiezione, mi souuien d'auuertir, che, se per l'opera tutta si ritrouassero dichiarazioni, argomenti, soluzioni, che non paressero molto necessarie, per l'opposizion del Mauri, sì sono per altre, che amici, in voce, e per lettere, mi hanno fatte, e in particulare un dotto Padre Domenicano: e perciò potranno questi tali in leggendo trouar le soluzioni a tutte le difficultà loro, se non espressamente, almeno tacitamente ci saranno. Eccone una in proposito delle macchie lunari dello stesso Padre. Se è uero, che l'oscurità della Luna sia cagionata dal non reflettere i raggi del Sole in quella parte, per esser più rara; il medesimo seguirà dell'altre parti del Cielo, sendo rare anch'esse; e cosi oscure appariranno: ma questo non adiuiene; adunque è falso, che per tal cagione appaiano le macchie nella Luna. Hora si risponde, che questa oscurità non apparisce nell'altre parti del Cielo, perche non son circondate da quel chiarore, e splendor dell'altre parti assai più dense, come è circondato il raro della Luna; donde nasce, che per lo splendore opposito, quelle parti più rare, e per lo poco, e suanito lume, che fanno, appaiono oscure, e quasi vn sucidume in comparazion di quelle, che il solar raggio riflettono. Perche Opposita iusta se posita magis elucescunt. E che sia vero, anche le macchie della Luna sembrano del color celeste, quando elle non son circondate di splendore, come si uede, allor che ella è intorno al quadrato col Sole; attesoche, hauendo, come si disse di sopra, alquanto di luce da se medesimo il corpo celeste, e la Luna ancora, non è superato tanto dall'altro splendore, che non possa mostrare il color zaffirino a somiglianza del rimanente del Cielo. Discorso. Opinion d'altri è stata, che per l'incrocicchiamento di molti raggi ammucchiandosi, cagionato dalla concorrenza di più stelle, vibranti in vna parte di Cielo, benche rara, iui si possa con lunga dimoranza esser impressa quella luminosa qualità, nella guisa stessa, che verso la sera qualche nuuoletta percossa da i raggi solari, quantunque tramontato sia il Sole, resta della sua luce impressa per buono spatio della notte. Ma a questo si risponde, che se il Ciel non e capace di spessazione, quei raggi non saranno rattentuti per vn minimo che di tempo, accciò che restar vi possa cotale impression lucida. Anzi dico più, che eziandio, che quella parte di Ciel fosse condensata, ad ogni modo non hauria facultà quel lume, e splendor di rimaner nel corpo alieno, se non quanto è dal corpo luminoso ueduto. Imperoche quel lume, che è in corporeo non può imprimeruisi altramente. Onde ne anche l'esempio della nuuola è vero. Percioche, il lume del Sole spirituale essendo, non può mischianza di se medesimo far con quel vapore humido non sendo il solar raggio diuisibile. Attesoche, se egli fosse tale, esso ancora, come le cose materiali consumabile sarebbe; la qual cosa è falsa per lunga proua. E se ben quella nuuola biancheggia, quantunque sia il Sol valicato, il nostro Hemisperio, ciò addiuien perche ella ancor vedata è da quello, per esser tanto più da terra eleuata, che noi non siamo. Considerazione XXIX. Se adunque il Cielo, come si proua ai sopra è capeuole di condensazione, cotal sentenza è vera. Imperoche à quello, che voi dite per aggiunta, cioè, che eziandio, che quella, ec. si risponde, che ciascheduna stella, per esser maggior della terra, vede di continuo ciascheduna altra stella, quantunque oppostagli. Risposta. Il fatto sta che a voi è paruto di prouarlo, che il Cielo possa riceuer, condensamento, ma vi siete ingannato, come dimostrato v'habbiamo; e perciò non è vera cotal sentenza. Ben'è vero, che poteuate argomentare, e attentarui di prouare il vostro intendimento, supposto il Ciel condensabile, ma prouato non gia. E chi lo dice, che tutte le stelle sian maggiori della terra ? Mercurio, Venere, la Luna son maggiori ? Ma che rileua maggiori, ò minori? Bisogna rispondere a proposito, perche poco- importa, che le stelle veggan, sempre quella parte, se lo splendor di esse non vi rimane impresso di maniera, che generi vina luce simile a vna stella: la qual cosa, per le ragion dette, non può accadere. Il raggio del Sol riman'egli stampato nell'aria, e impresso, quando si parte il corpo solare, se ben per quella si diffonde? C. Onde molto ben poteua l'incrocechiamento de’ raggi di più stelle cagionar nel corpo alieno, cioe nel luogo della nuoua stella di continuo da quelle stelle veduto, lo splendore, non di continuo (come voi direste) ma infino à tanto, che cotali stelle furono in aspetto partile, ò platico al sito della nuoua stella. R. Donde riceueste voi priuilegio, che non si douesse intender la voce, [continuo] detta da me, sanamente, e detta da voi sì. Guardate a non por tanta osseruanza in quel che stimate error d'altrui, che non v'accorgiate, de' vostri. Vn musico entrò in tanta frenesia di por mente a ogni romor, che vsciua di tuono, che, intendendo vn dì, che la sua casa abbruciaua; e sentendo le diuerse voci del popolo, che gridaua al fuoco, egli abbrucia; resto in cosi fatta maniera offeso da quella discordinza di voci, che, senza darsi pensier veruno della sua casa, andaua con la maggior pena del mondo contemperando quelle dissonanze, perche facessero dolce armonia. Io vi domando, la stabilità, di tali aspetti, che si vanno continuamente variando, quanto volete, che duri? Diauol, che voi diciate due anni, che tanto durò la stella di nuouo apparita? O non haueste voi mai sentito ragionar d'aspetti di stelle? Adunque, se l'apparita stella doueua durar quanto la configurazion di quelle, riguardanti in quella parte, non poteua mai per si lunga durata vedersi. Discorso. Sentenza d'altri è stata, che la nouità dell'apparite stelle sia cagionata da vna certa disposizione aerea nella region suprema, per tutto vgualmente continua di maniera, che qualunque sua parte rappresenti, per lo circuito di questo Emisperio à gli occhi de riguardanti cotali stelle da qualunque regione osseruate; ma, però, hauuto rispetto a vna stella fauoreggiante quella apparizion sì, che ne più, ne meno stelle appaiano, ne altroue situate, che doue, e quante sono le stelle a cui riguarda cotal disposizione. Onde veramente, l'effetto sia, che niuna reale stella, ma apparente si vegga, come altresì veggiamo tanti colori nell'Iride, ò Arcobaleno, benche veri colori, e reali non siano. Ma sia con pace, e sopportazion di cosi graui autori, questo parere al mio parere è molto infermo, e fieuole, e niente appaga l'intelletto. Impercioche domanderò io, se la stella à cui riguarda tal disposizione è del nouero delle mille ventidue da i migliori osseruate, ò nò. Se vien risposto di sì; questo haurà apparenza di menzogna, conciosiache niuno de’ conoscitori delle stelle affermi, che le di nuono apparite siano del numero mentouato, fattesi veder maggiori, ma altre fuori di quelle. Se dicessero, che delle conosciute non sono, ma di quelle, di cui non si fa menzione, che mediante la disposizion nominata visibili fatte, a gli occhi de’ riguardanti si rappresentano, e di quella magnitudine. Ricercherassi, per qual ragione habbian cosi piccole stelle particulari tanta possanza di illuminar sì grandemente quell'aerea disposizione, e non l'altre cotanto maggiori, che la spezie lor senza altro aiuto agli occhi nostri cosi rilucente ne conducono? Onde, per tal cagione, chi negherà, che non vna per volta, ma quasi senza nouero, mediante quella disposizion, nuoue, e maggiori stelle si vedranno. E pure il contrario adiuenuto esser si mostra. Oltre acciò gli intelligenti vogliono, che la medesima proporzione habbia l'agente all'operar nel paziente, e che il paziente ha con l'agente a riceuer l'azion di quello. La doue ne seguirà, che non si potendo condur le spezie luminose di quelle cosi piccole stelle a questa disposizion riceuente, attenuate, e suanite essendo, mediante cosi lunga distanza, l’illuminazione altramente non si faccia, per la mancanza di proporzion tra’ l corpo illuminante, e l'aere cosi disposta da illuminarsi. Segno assai manifesto è, che apparite non siano tali stelle per disposizione aerea, il non si esser veduto eziandio ne’ pianeti queste mutazioni, come alcune fiate racconta Aristotile intorno a quegli essere apparite certe corone, che da refrazion di raggi nell'aria sottoposta, quando è molto vaporosa, si cagionano, ma non per ogni parte, e ragione si mostrano, ne per ciascun grandi nel modo medesimo si veggono, e piene di mille varianze, e alquanto abbaccinate sembrano, e non lucide, e chiare, come le nuoue stelle sono apparite a gl'occhi nostri. Hora perche vna sola stella per ciascuna uolta è apparita senza hauer cangiato sito, ò fatto uarietà d'aspetto, quindi è, che stelle ueramente reputar si debbono, e che non sotto l'ottaua sfera, come la scintillazion di quelle ne significa, eziandio, habbiano di lor fatto cosi graziosa mostra. L'esemplo dell'Iride a dirne il vero non proua. percioche non discendon co'raggi lor quelle minori stelle, come s'è detto, in quest'aria, ma si bene e’ raggi del Sole, passando, e mescolandosi tra mancante, e minutissima pioggia, quella apparenza di non reali color cagionano, mediante l'oscurità de’ nuuoli nell'aria, dinanzi alla quale si figura quell'Arco. Aggiungo di più, che non da ogni luogo, e positura si veggon quei colori, ma solamente donde hà deretano il Sol, chi l'Iride riguarda, e non dauanti a gli occhi. Ma queste fiammelle celesti di nuouo occorse a gli occhi de'mortali, per ogni regione a qualunque huomo, da ogni varieta d'aspetto, di sito, di splendore, e di grandezza sono state lontane per mesi, e anni interi. Altri, da altra parte, son, che per fuggir l'inconueneuolezza di far capace il Cielo di straniere qualità, e insieme, alle matematiche misure non volendo contrariare, hanno creduto l'vltima stella, ne diciotto gradi di Sagittario vedutasi non esser nuouamente generata, ma vna di quelle di non apparente grandezza, fattasi visibile, e della maggior magnitudine, per la vicinità di Gioue, e Marte, che di trino, e di sestile aspetto rimirandosi con le stelle di essa, imagine, reflettendo vno, ò vero amendue i mentouati pianeti co’ raggi loro in quella piccola stella, habbiano cagionato cotale apparenza; ma che, di vero, nuoua stella non sia. Questa considerazione a prima fronte d'essere ingegnosa molto ha sembianza: ma per mio auuiso, appo coloro, che cercano aprir l'anatomie fin dentro le medolle, credo, che molte magagne, sotto questa bella apparenza si ritroueranno. Considerazione XXX. Questo luogo hà due dichiarazioni: ò che, quando appari la nuoua stella, Gioue, e Marte si rimirassero, e di trino, e di sestile, ò che Gioue in quel tempo fosse in trino, e Marte in sestile con qualche stella del Sagittario. In qual si voglia di amendue trouerrai manifestissimi inconuenienti. Imperoche, essendo cosa certa, che Gioue, e Marte molto auanti la nascita di cotale stella, che fù, secondo la comune, nella congiunzione di quei pianeti, si ritrouauan nel Sagittario, come sarà egli possibile, che eglino, nello stesso segno ritrouandosi, facessero aspetto (se per aspetto impropriamente non intendentissimo ancora la congiunzione ) con alcuna stella di quella imagine? E medesimamente doue si trouò e’ giammai, che due stelle nello stesso tempo, nello stesso segno si rimirassero di trino, e di sestile, poiche, per ritrouarsi in qualunque di quegli aspetti , ò sessanta, ò cento venti parti almeno, l'vna dee esser lontana dall'altra? Onde mi marauiglio, che que’ tali, per leuar di Cielo vna inconueneuolezza, cercassero metteruene tante altre à dispetto di Madonna Astrologia. Risposta. Finalmente la vostra intenzion, con tanto fracasso di diuisioni, e dichiarazion d'aspetti propri, e impropri, come, se non gli sapessimo al par di voi, doue arriua ? C Ma più mi scandalezo di certi, che per non mostrarsi litigiosi (penso io) non solo acconsentono, quando più aueuano à schiamazare, à queste assurdità, ma di vantaggio danno loro ancora di considerazioni ingegnose. R. Ecco doue tendeua il Mauri, col suo scandalezamento à voler, in somma, ch'io facessi vn gran romore in capo all'autor di questa opinione; e, perche non l'hò fatto, n'ha voluto lacerar mè, e lui ancora. Non vedete, che egli intese, non degli aspetti propri de’ pianeti fra di loro; ma che rimirandosi con quelle stelle del Sagittario Gioue, e Marte, nel far la congiunzione, prima di sestile, e poscia di trino aspetto, impropriamente si risguardassero con esse ? Ilche non fù da lui detto (cred'io) se non per mostrare, in che modo elle fossero insieme situate: ma non già, che egli intendesse parlar di ueri aspetti planetali, che a gli influssi, e non all'illuminazion solamente, hanno riguardo. Hora, per non disputar io questo, che niente importaua, hauendo modo più facile, e più noto anche a’ vulgari, per dimostrare il mio intendimento; perche non poteua lodarlo di ingegno senza adulazione, e ad ogni modo mostrare il suo inganno consistere in altro, come dauanti alle considerazion 31.e 32. e 33. discorrendo si mostra? Guardate, che il pigliar ombra, fin delle cose, che non doureste, non vi faccia simile al Ceruo; ilqual, per la sua stupidezza,vggiando, e trattenendosi in ogni fronda, che si muoue, rimane alla fin dal cacciator' vcciso, pernon guardare a quel, che più gli importa. C. Il perche vò forte dubitando, non auendo visto ancora altroue cotale storpiata opinione dell'autor di quella, ò vero di qualche strauolgimento di testo. R. Marauiglia è, che n'habbiate veduta niuna altra, non che questa, essendo voi nuouo nell'Astrologia, come affermate con parole, e con fatti ancora. E habbiate per fermo, che il testo non è stroppiato, per non dire storpiato, come direste voi, se non quanto il giudicate tale, come vsato a non ui guardar da simili cosette: anzi ne siete sollecito maestro, come altresi vergogna non sentireste di finger l'autore. Discorso. Conciosiacosache, per non mettere in quistione, se quella piccola stella fosse con Gioue, e Marte, e con l'altre stelle del Sagittario, nelle positure sopranominate. Considerazione XXXI. Veramente fate bene à non mettere in lite cotali positure. Perche, se il quadripartito, e le efemeridi sono state già condannate à crudel morte, chi ne sarebbe giudice competente? Risposta.Voi; che già l'hauete con sì braue difese scampate, conseruandole appo gli altri simili strumenti, potrete, quando che sia, metterle in vso per tale esperienza, accioche poscia ne mettiate in luce vna leggenda, che habbia il medesimo applauso di questa, che hauete scrittomi contro; alquale è uiuuta quanto il pesce Effimero, men d'vn giorno, e morta, ha fatto come l'anguille, che mai più non si riueggono a galla nell'acqua riformare. Discorso. Chi vide mai, che lume veruno in altro lume reflettesse? Egli fa mestiere, accioche il raggio si refletta, che il corpo, in cui si debbe far l'illuminazione, sia non solamente denso, ma tenebroso eziandio, come adiuenir si vede al corpo lunare, che, per essere oscuro, i raggi del Sol percotendo in quello chiaro, e lucente il fanno. E che due lumi non faccian reflessioni fra di loro, la comun sentenza il conferma. [Adiueniente lumine maiori cessat minus.] Anzi è da’ Auuerti, che, se il primo lume è maggiore, il soprauegnente non gli da, ne toglie. Se ambedue sono eguali, la lor presenza lustra maggiormente l'aria, e'l luogo doue sono; ma non perciò appaiosi più lucenti i corpi loro. Se alquanto maggior del primo è il secondo lume, il primo, vn certo che abbagliato rimane. Ma, se molto maggiore è il corpo luminoso, che sopragiunge, il lume primo s’occulta, come appunto le stelle fanno alla prima presenza del nascente Sole. Considerazione XXXII. Piano non vi riscaldate. E'c'e chi giornalmente lo vede. Risposta: Anzi compatitemi; perche in questo particulare, poiche siete si tardo a capir cotal verita, se la mia non paresse ghittanzia, direr come Cicerone: Nam quoquisque est sosertior, & ingeniosior, hoc docet iracundius, & laboriosius: quo l'enim ipse celeriter arripuit, id cum tarde percipi videt, discrutiatur. C. E per dichiaranzion di questo, douete sapere, che le stelle son composte della materia del corpo del Cielo, doue elle si ritrouano, e, che per essere il Cielo di sua natura splendido, elle altresì sono splendide. Ne mi contraddico per questo auendo detto nella considerazione undecima, che le stelle riceuono il lume dal Sole. R. Mai si, voi ui contrariate, percioche, hauendo con Cecco affermato, alla Considerazion quinta, esser nel Ciel contrarieta di luce, e di tenebre, fù necessario, che la Luna non fosse tenuta da uoi hauer proprio lume, perche altramente non poteua argomentarsi di contrarieta, se la oscurità fosse stata secondo voi, respettiuamente nel corpo lunare; attesoche contrarie son quelle cose, che [maximè distant] dice il filosofo. - C. Imperoche, quantunque da per lor sien luminose, con tuttociò il compimento, e perfezione dello splendore è dato loro dal Sole, ilche si vede manifestamente auuenir nella Luna, lagual, come dice Rainoldo, se ella non auesse vn certo lumeproprio, e particulare, manifesto è, che ne' totali eclissi, quando ella del tutto perde di vista il Sole, non si scorgerebbe il suo cerchio di quel colore cosi tetro, e alcuna volta spauenteuole. R. Se haueste contrappesato ben le mie parole, e osseruata la distinzion de' lumi, e che è necessario, che il corpo in cui si reflette qualche lume, sia denso, liscio, e non luminoso, che perciò diedi l'esemplo della Luna, non hauerete perduto tante parole senza profitto veruno. Non si nega, che non possa vn corpo luminoso, ma di poco lume, reflettere i raggi d'altro corpo molto lucente; perche allora il corpo, che fa la reflessione è rimaso tenebroso di lume proprio, e solamente è lucido in potenza; conciosiache lo splendor, che rende è del raggio del corpo alieno, e non suo. Esemplo chiaro ne fanno le lucciole, e alcuni bruchi, i quali di notte risplendono, e di giorno son tenebrosi, e colorati appaion, per la presenza del maggior lume. Cosi auuiene alla Luna, che in comparazion del Sole è tenebrosa, tanto è debole il suo proprio splendore. Onde il Cardano dice, Luna lumen proprium habet simile flammæ, & hoc patet in deliquis maximis, quia rubet. E in quella parte non solo è tenebrosa, ma densa, e liscia , accioche niuna condizion le manchi, per far cotal reflessione. Hora, perche le stelle, massimamente le fisse, hanno proprio lume, come altresì lo stesso Cardano, e altri affermano; e hanno lume eguale fra di loro, o poco differente, secondo la proporzion della grandezza, e distanza loro, non possono altramente reflettere l'vna dell'altra il lume; conciosiache le condizion di sopra dette non habbiano, acciò far necessarie; e nulla cosa può da altra riceuer qualità veruna, di cui prima ella spogliata non sia. Se voi adunque Signor Mauri faceuate capital de miei occhiali, che mostran vero, non haureste detto, che ci sia chi giornalmente vegga vn lume con altro lume cagionar la in fra di loro. Io mi penso adesso, che voi dobbiate esser raffreddato assai più, che non credeuate mè dianzi esser riscaldato, e che vi sian cadute affatto le mazze, perche, se volete dire il vero, vi pensauate hauermi stretto fra l'vscio, el muro. C. Ora, se le stelle son per se stesse qualche poco luminose, e reflettendoui il lume del Sole, cioè arriuando i suoi raggi a quelle più splendide, e luminose si fanno, meritamente si concluda, contro il parer vostro, e che lume in altro lume reflettae, che il corpo, in cui si dee far la illuminazione, non è necessario, che sia al tutto tenebroso. R. Ola voi allargate troppo la bocca: da mè non trouate voi detto, che deua esser al tutto tenebroso. C. Seruendomi senz'altra proua à confermar la verità di queste conclusioni, la vostra stessa confermazion del corpo lunare. R. E vero, che la Luna, ciò che voi dite proua, ma non fa per la vostra intenzione. atteso che ella dimostra, che io intesi i corpi oscuri in comparazione, ancora poter cagionare il medesimo effetto di reflessione, come i totalmente oscuri. - Discorso. Oltre acciò, se, per causa di reflessione, apparita fosse cosi grande quella celeste lampada; quale stella gia mai potrebbe adoperar tale effetto meglio, che il Sole? E cosi reflettendo sempre in quella, perche sempre la uede, nuoua non apparirebbe. Onde possiamo dir, che altra sia la cagion di quella nouità; e che Gioue, e Marte niente più habbiano, che far seco, che qual si voglia altra stella. Potrebbesi dire ancora, che per lo rapido mouimento celeste, mutandosi continuamente gli aspetti, haurebbe durato cotal mostruosita di quella apparenza piccol momento: e nulladimeno altramente è andata la bisogna. Anziche, quando volessero pur, che per queste congiunzion di stelle nascessero cotali accidenti, farebbe di mestiere ancora, che molto souente, per lo Ciel nuoue stelle si vedessero, posciache di quelle positure, e aspetti di pianeti, in quei superni giri, ad ogn'ora si veggono. -Finalmente, sentenza d’vn'intero collegio è, che tali stelle, non per fisica generazion, siano comparite di nuouo in quelle incorruttibili sfere, ma dall'Autor della Natura miracolosamente create: ne perciò la sapienza humana, à cosi fatto refugio correndo, ripigliata esser ne debbe, dicono essi. impercioche, auuengache la cagion di alcuni prodigi sia nascosta, molti portentosi effetti, Iddio volente, accaddono lassù nel mondo celeste, di cui non intende il fine la nostra capacita. Esemplo ne sia la stazion del Sole in fauor di Iosuè: la retrogradazion del medesimo in segno al Rè Ezechia: e dello stesso Sole, alla morte del Redentor del Mondo, l'eclisse, quando la Luna nel punto opposto del Cielo, diametralmente riguardandolo, il fece immediatamente eclissare. Ma perche egli è comun parer de' Sacri Teologi, che, quando mostruosi accidenti occorrono, di cui si può la cagione alle naturali forze attribuire, miracoli altramente appellar non si debbano; impercioche affermano, i miracoli, senza necessità, non douersi multiplicare: quindi è, che fino a tanto, che la strada al filosofar non è impedita, a mè gioua ricercar più auanti cibo, che appaghi l'intelletto, per non rimanere assai più, che prima digiuno. Ne tralascio ancora, che i medesimi Teologi vogliono, quando Iddio fà qualche miracolo, che, se egli si può far quanto al modo, nol faccia quanto alla sostanza, come in pronto lo ci dimostrano gli esempi, che teste mentouati habbiamo. Conciosiache sempre fosse il medesimo Sole, ma diuerso, e sopranaturale il modo dell'operazion di quello. Ne eziandio argomenta in contrario la stella a i Regi orientali apparita: imperoche, se ben lasciar si dee questa materia a’ Teologi, egli e pur vero, che antichi, e moderni santi, e dottissimi scrittori hanno tenuto, che vera stella non fosse; ma, che vn'Angelo sia stato veramente, sotto sembanza di stella, posciache, innanzi, ne dopo l'effetto, veduta non fu mai. Non era nel Cielo, perche altramente non haurebbe potuto mostrar la strada, che dall'Oriente all'Occidente andaua contro il corso diuerso delle stelle. E non solamente di notte, ma di giorno, eziandio splendeua: non riceuena, come l'altre stelle il suo lume dal Sole, poiche tal ora si ascondeua, e quindi a uopo riappariua: si fermò sopra l'albergo finalmente del diuin Fanciullo. Circostanze tutte degne di crederle più tosto in persona d'vn Angelo, che in altra maniera. E perciò non fù uera stella, ne miracolo, circa la sostanza. Onde non si dee creder, le nuoue stelle eziandio, esser di nuouo state create miracolosamente. Siami lecito per tanto fra questi pellegrini ingegni, eccellenti, e letterati osare interporre il mio parer dintorno à cosa non men cara di sapersi, che difficile a inuestigarsi, come è il ricercar, che sostanza sia quella, che rassembra vna stella, e in qual modo sia fra gli vltimi lumi del Cielo a gli occhi nostri cosi risplendente, e grande fattasi vedere, Dio adunque, la stella vedutasi l'Ottobre 1604. ne' 18 gradi del Sagittario, si come quella, che nella Cassiopea si vide l'anno 1572. e se l'altre di questa guisa nel Cielo apparite ne sono, qual fù quella, che osseruò Hiparco ne'tempi suoi, niuna altra cosa esser, che vna vera stella di quelle; che furono da principio nel Cielo, non di nuouo creata, non generata, non apparente per reflession d'altre stelle, non per disposizione aerea, non per incontro di più raggi di stelle impressi nel Cielo, non per condensamento d'alcuna parte celeste, e fatta luminosa. Ma prima, che più innanzi passiamo auuertir si debbe, che dubbiezza non ci ha veruna il Cielo esser di maggior perfezion, dice Aristotile, in quella parte in cui le stelle rileggono, si come lo stesso splendor di quelle ne dimostra: e che altesì, come i Filosofanti vogliono, quanto vu Cielo all'altro è di luogo supremo, tanto sia la sostanzà dell'inferiore auanzata di eccellenza dalla sostanza dell'altro. Esemplo ne sia l'ottauo Cielo, che mediante, la moltitudine di tante stelle, che son la più nobil parte di quel corpo, manifestamente lo ci fa conoscere, L'ordine de' corpi elementari ancora indizio apporta, che le cose più eccellenti, e più pure in parte più sublime ricouerano; poscia che la terra dall'acqua; l'acqua dall'aria, l'aria dal fuoco auanzata è di perfezione, si come di altezza di luogo. Quindi la Luna, Mercurio, Venere, il Sole, Marte, Gioue, Saturno, lo stellato Cielo, il Cristallino, e'l Primo mobile sopra cui l'Empireo, e vltimo signoreggia, gradatamente inferiori l'uno all'altro di luogo, e dì nobiltà di sostanza riseggono, accioche proporzion tra’ luogo, e'l locato si serbi. Differenza di perfezione ancora, tra l’ vno orbe celeste, e l'altro argomenta, il farsi da i Teologi, e i filosofi distinzione specifica tra gli Angeli, o sostanze separate secondo la dignita de'Cieli, a cui per motor quegli Angeli assistono, acciòche sia vgualità fra’ l mobile, e'l mouente suo. Onde si come al superior corpo celeste di più eccellenza è l'Angelo, che v'impera, che non è quegli, che l'infima sfera gouerna; cosi di spezie più sublime dee esser quel Cielo, che questo non è. E se apparisse l'ordine forse variato ne'Cieli, conciociache il comun consenso de' sacri, e profani scrittori voglia, il Christallino senza stelle ritrouarsi, e che tutto diafano, e trasparente a somiglianza d'acqua, o di christallo sia, nulladimeno egli è veramente ordine bellissimo di prouidenza sopranaturale. Considerazione XXXIII. Tolommeo, quantunque per la vostra seuera sentenza, abbia gia la tauoluccia dauanti à gl'occhi, quì si risente, e da generoso, come egli è, fa una braua negazione. Conciosiasche, essendo la congiunzione molto più efficace, e potente ne’ suoi effetti, che'l sestile non e, il Sole, che risguardaua il luogo dell'apparizione di sestile; possedeua assai più debole, e sneruato dominio di Gioue, e Marte, i quali amendue congiunti à quel luogo, per altre diuerse cagioni, di esso si eran fatti assoluti padroni: Onde Gioue, quando ancor fosse stato solo per esser in casa sua, nel suo trigono, in congiunzion cotanto robusta, e forte, assai meglio, che’ l Sole poteua, e doueua adoperar cotale effetto. Riposte. La congiunzion, che poco fà spregiauate cotanto, hora è da uoi cosi esaltata, che più efficace, e piu robsta affermate esser, che il trino, e'l sestile aspetto non sono. La congiunzione, el’oposizione, benche in propri aspetti, ad ogni modo sono aspetti: poiche secondo gli astrologi son di pessima inchinazione. ll primo è quando vn pianeta raggia sopra l'altro del medesimo segno, da quindici gradi: ed è massimamente doloroso, afferma Azael, allor, che due pianeti, nel segno della medesima complession, si congiungono, perche significan confederazion di scelerati huomini, che vadan qualche mal fatto trattando. Il secondo aspetto è, quando due pianeti di contrarie qualità sono in segni opposti ancora; perche cagionan peggiore influenza, che non farebbono; come quando Venere è in Ariete, e Saturno in Libra, che nimistà pertinaci, e implacabili influiscono. Sappiate, che, se Tolommeo và à giustizia, e l'Astrologia ancora, io non fò in questa occasione altro officio, che quel del confortatore, che è atto di misericordia, esortandoli à morir con la buona religione, ma quegli Astrologi, che gli fanno negare il libero arbitrio, gli conducono a morire, e morire eretici, che è peggio. Anzi, io grido campa, campa, e gli difendo dalle calunnie delle male pratiche, che alle forche gli hanno condotti, per impacciarsi di latrocini, adulteri, di scoprir malignamente i segreti, e il cuore altrui, per arte del fistolo. Non crediate, ò non uogliate far credere ad altri, che nel Ciel sia stella, ò aspetto ueruno, che superi di virtù inveruna maniera, il Sole, ne da sè, ne per accidente, parlando dell'illuminazione, secondo il proposito nostro. E senza, che n'adduciamo altre prouanze, basterà dire, che è comun consenso di tutti gli Astrologi, per non men touare i Filosofi, Teologi, e la Sacra scrittura, eziandio; che vogliono il Sole esser locato nel mezo del Cielo, accioche illumini il Mondo; ma non già l'altre stelle. Anziè cotanto risplendente, che il suo reflesso nel corpo lunare è cagion, che la Luna è detta luminar magno, e costituita, per illustrar le tenebre della notte. Che più ? Oltre, che egli è maggior dell'altre stelle; uoi medesimo affermate, secondo il comun grido, ogni altra stella riceuer la perfezion della luce da’ raggi del Sole, che solo egli da altro lume il suo lume non va mendicando. Ma quando pur voleste, che possenti fossero state cotali stelle a produr col lume loro, nella lontauanza di quattro Cieli, il grande splendore apparito, chi negherà non potersi tale ancor produr dal raggio solare, tanto più efficace, che i raggi di quelle non sono? Nulladimeno, perche egli non produce tali effetti, come l’esperienza ne dimostra; bisogna dire adunque, che ne anche le stelle cagonar li possano. C. E veramente à ragione par, che egli così arditamente si risenta, poiche voi (dispregiate, senza dirne il perche, l'osseruanzioni da eccellentissimi ingegni, in tanti secoli, i raunate, insieme con le sue demostratiue ragioni, perche tra le reflessioni, ò voglian dire aspetti, sieno da gli Astrologi annouerati solo il trino il quadrato, e’l sestile) volete di più, che il Sole di continuo si dica reflettere, e riguardare, vna stella, perche egli di continuo la vede. R. Questo insipido risentimento in modo alcun non fa, ne farebbe Tolomeo, si come ne anche il farebbe niun famoso astrologo: non send'io entrato ne loro aspetti propri, ne impropri, se ben vi siete fitto questo pensier nella testa, di maniera, che non lo schioderebbon le tanaglie di Vulcano. Ma perche voi cercate honorarui di falsa lode, con voler, che gli autori habbian detto quel che non è, e Tolomeo, ne faccia testimonio, egli ve ne farà l'honor, che meritate. Demetrio, per alcune bisogne, mandò ambasciadori a Lisimaco Rè, il qual riceuutigli, dopo diuersi ragionamenti, mostrò loro vn Leone, cui egli haueua di fresco, in caccia con molta sua gloria strappato la lingua; e ne faceuano indubitata fede le nude braccia, che fè veder loro ancor tutte graffiate dalle branche del feroce Leone. Ma vn di essi, per ischerno del Rè loro, disse; anche il nostro Demetrio l'altr’ieri, hauendo combattuto con la fiera Lerna, ci mostrò , che egli n'hauea tutto il collo graffiato, e morso. E questo palesò l'ambasciatore, per beffar la vergognosa ambizion di Demetrio, che si vantaua d'hauer fatto alle pugna con vna vil meretrice, appellata Lerna. Perche io habbia detto, che il Sol sempre reflette i suoi raggi nelle stelle, perche di continuo le vede, non sò conoscer donde vogliate inferir, ch'io parli degli aspetti intesi da gli Astrologi, e da cui traggono i giudici loro, per causa dell'influenze, se io tratto di illminazione, e non d'influssi. Reflessione è nome generico, che comprende ogni rincontro, fatto per ripercotimento, di qualche cosa in vn'altra, in qual si uoglia positura; e perciò, parlando io del Sol, che reflette i suoi raggi nelle stelle di continuo; chi intenderà, ch'io ragioni d'aspetti astrologici? Anzi, che è modo improprio di parlare, appellar gli aspetti, reflessioni, e solamente dee vsarsi, quando non si può intender in altra maniera. Hauete ancora inteso? Quale astrologo dice in contrario ? Auuela barbata Tolomeo? C. Ragione per non diruelo dietro alle spalle, senza fondamento veruno, e ridicolosa. Ma lasciamo ormai questi ragiouamenti come chiari, e smaltiti, e vegniamo à quello, che più importa. R. Oime, quand'io sentiua, che faceuate cotanto rombazzo, io dissi, buona nuoua: costui ha le man piene; perche al gran fracasso, che egli fa, bisogna, che picchi col piede: ma di uero, io son rimato ingannato, perche il romor significa, che non le mani, ma il capo è pien d'ira, e di cruccio a sproposito. Ma che, io dico male: attesoche, se per voi ogni mia proposta è ridicolosa, ridicolosa ancor debbe esser la risposta, per farla secondo il proposito, che per ciò reputate chiari, e smaltiti, in fauor vostro, questi argomenti, che tutto il rouescio conchiudono. C. Vi dico adunque da parte sua, che, se voi sarete contento liberarlo dalla condennazione impostali, non senza malleuadori, poiche di que gli uno pretendo esser io. R. Ti sò dir, ch'io sarei bene assicurato da vn'homo in maschera, che è lo stesso, che va malleuador di paglia. O quì si, che il puntello sarebbe più debol, che la traue. I mercatanti se voglion, che alle lettere lor si creda, le danno fuor molto ben col proprio nome , e autentiche, e non le si tengono in tassa, come fate voi. C. Si proferisce, ogni volta, che saprete far vedere a lui vna medesima positura di pianeti di quella, che si ritrouaua ne’ superni giri in quel tempo della congiunzione di Gioue, e Marte, far vedere a voi, per ricompens’apparir, si come apparì allora vn'altra nuoua stella. R. Tolommeo, perche non era di quegli Astrologucci, che attribuiscono alle stelle i miracoli, non prometterebbe questo, ma ne lascerebbe volentier la cura a voi, che vene vantate; e lo potreste comodamente fare, mostrando prima tali positure per mè con gli strumenti, che per ancor conseruate nuou di pezza senz'esser adoperati, o fracassati come i miei. C. La qual positura ne’ Cieli, ad ogni ora affermando voi di vedere. R. Cosi è, ma non quella, che intendente voi. C. Tengo di certo, che senza altre preghiere, con l'esser’ auaro della cortesia vostra, à quel buon vecchione, in modo veruno siate per voler restar priuo di così belle vedute, e della vista, come le chiamate voi di cotanto miracolose mostruosità. R. Io ui sò ben dir, che quando cotali positure ui si facessero uedere, per esser gia morto il principale, e il malleuadore incognito, e per le buche, la promessa sen'andrebbe in fummo, non si ritrouando chi la mantenesse. Perche, à dirne il vero, se da quella positura fosse nato simile accidente, come affermate voi, qual'è quell'Astrologo, che senza niuna ammirazione, la cagion di tale effetto non hauesse antiueduta? E nulladimeno, dopo molti pareri, ancor è appò loro in dubbio la verità di essa produzione. Egli ci mancaua questo di più, che voi mi faceste l'Aristofane addosso, e il censor di lingua, voi, che non ne sapete straccio: e poi hauerete per male, s'io vi farò dell'Aristarco. Qual difetto conoscete voi, nell'hauer io detto, miracolose mostruosita? Non è comunissimo, e proprio della fiorentina fauella le cose maraugliose, miracolose ancor chiamarle ? Il Boccacio non disse, della peste parlando [orribilmente cominciò i suoi dolorosi effetti, e in miracolosa maniera a dimostrare ?] Ma voi, posciache destato hauete il can, che dormiua; per la viziosa figura, detta eclisse dalla mancanza del verbo principale, quanti periodi senza costruzione, duri di intelligenza, per causa del solecismo, cioè della viziosa composizione, e testura delle parole hauete fatti? Quanti barbarismi, per la corruzion de vocaboli, per tutta quanta l'opera, come che solo alcuni pochi auuertiti n'habbia, per non fare il pedante ? Quante voci di suon pessimo, improprie, di senso diuerso, e mille discordanze vulgari, ch'io taccio, per non far di questa materia il mio ragionamento ? Hauete detto in fin, Le, La, Loro relatiui, nel primo caso. Quegli nell'obliquo, nel numero dell'vno. Quello, nel caso retto del maschio. Gli, nel datiuo dalla femina. Nascano, Corrompano, nel presente del demostratiuo. Per i, in luogo di per li. Quali, in cambio di i quali. Oppenione, Gettati, Storpiati, Quercie, Vegniamo; per Opinione, Gittati, Stroppiati, Querce, Vegnamo. Auuengache, in significato di Conciosiache, e delle voci equiuaualenti, per tutta l'opera. Ne meno, Ne manco, in significanza di Neanche. Visto,Vista,Viste, per Veduto,Veduta, e Vedute, verbo. Conuexo, Conuexa, sempre con l'X. Assurdo, Assioma, e altre molte voci della schiera pedantesca da uoi vsate, in sì poca leggenduzza, che fatta hauete. E questo basti, perche veggiate, che qual'asin dà in parete, tal riceue. Sig. Mauri, io hò fatta vn'obiezione intera à vn parer dintorno alla stella, che non l'hauete rifrustrata: che non la vedeste, ò pur non haueuate oncini da pescar sì al fondo ? Discorso. Imperoche, influendo quel cielo humidità, e frigidezza grandissima, fù con proueduto artificio locato, in mezo all'ottauo, e'l decimo orbe, accioche i lumi dell'vno, e dell'altro, la virtù eccessiua di quello, rintuzzassero, e insieme insieme le vehementi influenze loro, mediante l'attiuità del medesimo, si correggessero, per mantenimento dell'ordine di tutto l'vniuerso, che l'vtile prima, e poscia l'ornamento riguarda. Chiara testimonianza ne fà il Sole, che, auuengache l'ordine dell'ornamento, e bellezza appaia mutato, più bello, e piu lucente dimorandosi, che Marte non è, egli nondimeno, in tutte l'altre cose alla sua operazion soggette, l'ordine del buono, e del bello produce, mentre che egli illumina, riscalda, genera, nutrisce, purga, ristora, rauuiua, e conserua. Considerazione XXXIIII. L'Autore già si è lasciato suolger da quei cotali, che di sopra hanno prouato per tante vie la corruttibilita de’ Cieli; poiche anch'egli quì da materia amplissima d’argomentare in fauor di quella loro opinione in questa maniera. Risposta. Se voi non fate conto d'altra materia, che di quella preparataui da mè, per arguirini contro, assicurateui, che i vostri sillogismi hauranno tanto difetto di materia, quanto vi credete hauerne abbondanza per formarli; dite pur via. C. Quel che è soggetto à qualità attiue, e pessiue, poiche secondo il nostro autore i lumi dell'uno, e dell'altro rintuzzan la virtù eccessiua del Ciel Cristallino, mentre, che egli ancora corregge le vehementi influenze loro, mediante la sua humidità, e frigidezza: R. Cosi stà, e lo dicono i Filosofi , e Teologi, e Astrologi ancora. ò guardate s'io voglio empieruela, perche, ad ogni modo vi auuerra, come a’ prugauoli, che si cuocon nella loro acqua. C. Adunque quelle celesti sfere sono alterabili, e corruttibili. R. Quest'è la chiaue del mellonaio; che vi siete creduto, che le qualita del Ciel sian le medesime, con le qualita elementari; e perciò nulla vale il vostro argomento; sendo che di sopra vi si è dimostrato de la materia celeste, e delle sue qualità resultanti dalla forma, non esser corruttibile quella, ne corruttiue queste; e cosi perche non connengono vniuocamente le qualita del Cielo, con quelle degli elementi, diuerie le operazion lor sono altresi. Onde non corruttiue qualità, come le sullunari, ma perfettiue le celesti sono. perche S. Tomaso , à proposito di ciò, dice. Cœlestia habent alterationem secundum illuminationem, & obscuritatem non tamen generabilia, & corruptibilia sunt. Ma è l'azion loro, azion di perfezion nel paziente, come per esemplo l'illuminazion della Luna cagionata da’ raggi del Sole. Ecco, che io non sono stato da quei cotali, ne da voi tirato a consentire a cosi vana opinione, perche è impossibile vnir le serpi con le colombe. Discorso. Oltre acciò, quanto all'eccellenza di essi Cieli, circa l'orbe tutto di ciascun parlando, l'ordine per auuentura non è alterato. Imperoche io non haurei per difficile a creder, che quasi tutta la perfezion del Cielo, in cui alloggia il Sole, ristretta fosse in quel globo cosi lucente. E il Ciclo acqueo, è cristallino, oltre che può la nobiltà sua consister nell'esser priuato di stelle, accioche egli sia di maggior virtù a lui propria guernito, operando negli altri Cieli, ha come dice l'Angelico dottor, nel secondo del Cielo, i suoi moumenti ordinati per le stelle de gli altri giri celesti, come, che questa non sia del moto suo causa adeguata. Conchiudiamo per tanto, che, se i Cieli, che piu altamente situati sono, maggior eccellenza posseggono, e quegli massimamente, che a gli altri souraitano, il Primo mobile sia leggiadramente di gran numero di stelle adorno. Considerazione XXXV. Dato, che tutta la perfezion, del Cielo in cui u.g. alloggia il Sole, sia ristretta nel globo solare, non so conoscere per questo, che l'ordine de’ Cieli non si debbia dire alterato, appunto appunto, come se perfezione non fosse di più nel globo del Sole, che nel restante del suo Cielo. Dico questo, non perche io tenga, che l'ordine della belleza appaia mutato, ma perche non sò quello si voglia dire il Colombo per questo [Oltre acciò] non ci vedendo alcuna conclusion necessaria. Risposta. Se voi non iscorgete questo vero, incolpatene la vostra cecità. Ch'in tutto e orbo, chi non vede il Sole. disse il nostro Petrarca. Signor nò, che l'ordine de Cieli non si dee chiama alterato; concioiache, non solo la virtù che è ristretta in quel globo solare, se fosse sparsa per tutto il suo Cielo,verrebbe tanto innacquata, che meno efficacemente, opererebbe, che non fà la virtù di Marte con tutto il suo Cielo; ma, che più importa è, che per esser differenti di spezie le celesti sfere, non può mai il Cielo inferiore, quando fosse tutto stella esser più nobile del superiore, si come altresi delle stelle fra di lor comparate, accade il medesimo: sendo che altro non siano le stelle, che parte più densa del suo Cielo; e, come i filosofanti vogliono, tale è la forma delle cose, quale è la disposizion della materia, che la riceue. Tolommeo ancora nel suo quadripartito, non dic'egli, che le stelle quanto più alte situate sono, più nobile, e più efficace è la virtù loro? Virtus Saturni, (dice egli) coaptatur ad vniuersalia tempora; louis ad annos; Martis, Solis, Veneris, & Mercurij ad menses; Lunæ autem ad dies. Ac primi tres planetæ superiores respiciunt ea, quæ ad existentiam rei secundum se ipsam pertinent: quatuor reliqui ad rei existentis motum ordinantur. Il medesimo afferma anche San Tommaso. Ecco adunque, che l'ordine del la nobiltà, e eccellenza, de’ Cieli, e delle stelle veramente non può dirsi alterato; e che quanto vn ciel più alto ascende, e luogo più eminente ottiene, si dee dire in conseguenza, che la sua natura sia più eccellente di quella degli inferiori, come che all'occhio nostro, quanto al Sole, altramente appaia, rispetto alla grandezza, e luce di quello, in comparazion dell'altre stelle. Ne si può ragioneuolmente porre in quistione, che l'influenze celesti più efficaci, e di virtù maggior non siano in quelle sfere, e stelle, che più alto riseggono, che nelle inferiori. perciò che, se à ogni Cielo assiste con la sua presenza, e virtù vn'Angelo distinto di spezie più nobile, secondo la nobiltà del Cielo, da lui gouernato, come il filosolo, e la comune opinion de’ Teologi afferma, chi non dira insiememente, la possanza, e gli influssi di quel cielo esser di gran lunga più nobili, che gl’influssi del sottoposto Cielo? Non e egli vero, che gli effetti corrispondono alle cagioni? Se, come ancor voi confessate alla considerazion 33. producon Marte, e Gioue influenze più nobili, più nobili ancora saranno le cause loro, cioè essi pianeti, e gli assistenti motor del lor Cielo, da cui le virtù riceuono. Hora, si come è chiaro, che il Ciel del Sol veramente non muta l'ordine della nobilta; cosi è falso, che quanto all'apparenza, mediante la grandezza, e splendor suo, non si potesse, per quello, che l'occhio giudica, dubitarne (se ben uoi non volete) poi che è pur quanto alla veduta, piu bello. Onde non doueuate dir, che quelle parole da mè aggiunte.[Oltre acciò] con quello, che segue, non hauessero conchiusion necessaria: poiche seruon per mostrar, che quel, che appare al senso, spesse fiate è inganneuole, e dalla verita, e ragion lontano. Ma quando si concedesse finalmente, che il Sole, e il Cristallino Ciel discordadssero da quest'ordine, la conseguenza non vorrebbe gia, che disordinati fossero gli altri Cieli ancora, se per qualche ragion non si conuincesse douere adiuenir ciò, in essi altresi. Perloche, se quegli vogliam conceder, che escan di cotal regola, diremo, che sia ciò addiuenuto per necessità della Natura, e beneficio universal di tutto il Mondo, che l’ordine del tutto riguarda, cosi disponente il somma artefice: e questo è a fin di maggior ordine, e perfezion, che altramente stato non sarebbe. Bene adunque si argomenta dalla nobilta de'cieli douersi ritrouare stelle nel Primo mobile. Discorso. Ne si debbe dubitarne altramente, poiche l'Empireo, che à quello immediatamente sourasta, per efser perfettissimo di tutti gli altri cieli, e stanza de’ Beati, sopra i quali, per modo indicibile Iddio siede, e gouerna, gloriosamente in se stesso felice, dicono i sapienti esser tutto splendore, e lucentissimo a somiglianza d'un fuoco, anzi d'un Sole, che perciò l'appellano Empireo. Ne in esso è già parte niuna men lucida, ò inferiore all'altre di bellezza, come nell'altre sfere, non hauendo altro ciel sopra di se, a cui l'ultima perfezione ascriuer si debba; ma in quello adiuien, che si termini, e finisca. Ne dee reuocarsi in quistione il suo nobilissimo splendore (comeche a gli occhi nostri non appaia) dicendosi; se egli è tutto quell'orbe di sostanza assai più lucente, che il Sole, come potra egli non rappresentarsi a gli sguardi altrui, quantunque lontanissimo? Impercioche il medesimo dottor Angelico afferma, non esser visibile, per vna di queste due ragioni, quel corpo risplendentissimo: ò perche non essendo egli spessato, e denso di maniera, che e' possa lanciarlo splendor suo raggiando, e terminare ancor la vista, e quindi non possa altramente farsi vedere. O perche il suo lume, che è di gloria, non di natura, non sia proporzionato oggetto, per farsi visibile all'occhio corporeo, caduco, e mortale. Ma, che la densità sia necessaria, per terminar la vista, acciòche la vision si faccia, l'esemplo nelle cose terrene, e molto più materiali chiaramente il fa palese. Imperoche, non e egli vero, che le spezie de’ colori, e l'imagini, che nello specchio si rappresentano, prima si figurano, e son riceuute nell'aria, e dall'aria passano a quel cristallo , che le ci mostra? Nondimeno elle non si scorgono nell'aria, perche non è densa di maniera, che in quella si termini la vista, per riceuer quelle imagini, come adiuiene in quel vetro, il quale è corpo denso, e terminato la guisa, che la superficie sua figura, e rappresenta a gli occhi quei colori, e imagini degli oggetti visibili, da cui la virtù visiua vien terminata. Non che i raggi dell'occhio, vicendo fuori, vadano a terminarsi in quella superficie colorata, ma quella imagine, terminata in quella superficie, se è specchio , ò cosa simile reflettendosi, uiene all'occhio, in cui ella si termina di nuouo, e rendesi uisibile. E l'altre che, per lo specchio si ueggono, fanno nell'occhio il medesimo effetto, ma addirittura, la spezie uisibile per l'aria passando, nell'occhio si termina, e figura. Ma, che tutto sparto di stelle sia il Primo mobile, da Aristotele la ragione apertamente s'appara, nel secondo del Cielo, tutto che egli stimasse il Formamento. Primo mobile, dicendo, che ciò si richiede a quell'orbe, per la sua eccellenza, sì perche da più nobile intelligenza è agitato: sì per che più immediatamente uicino al motor sommo si ritroua: sì perche l'altre sfere dal suo monimento portate sono. Considerazione XXXVI. Ansa si, è di più vi dico, che io hò sentito, che, se voi non vi aiuterete altrimenti voi haurete la sentenza contro: e veramente andianla vn poco discorrendo senza passione. Risposta. Che dite uoi di sentenza Signor Mauri? Non mela deste voi contro fin nel principio, intorno all'Astronomia ? Orsù manco male, che mi resta qualche speranza; e tanto più, che par che vi contentiate, esserne giudice altri che voi; perche altramente io non la voleua inghiottir senza appello. C. Che il Primo mobile sia leggiadramente adorno di gran numero di stelle, si proua da voi con queste ragioni, se però ho bene inteso il vostro linguaggio. R. Il mio linguaggio, e in buona gramatica fiorentina, separata dalla pedantesca, di cui la vostra leggenda è piena, per esserui, stata imburchiata da vn di que’ cotali, che per simil manifatture tosto n'haurà vn buon gratta capo; hor dite via. C. Prima il sito de’ Cieli si sà per via delle stelle, che quiui si trouano, ma del Primo mobile si sà il sito, adunque nel Primo mobile sono stelle. Seconda. Il Cielo è di maggior perfezione in quella parte, in cui le stelle riseggono: ma il Primo mobile è di maggior perfezione di tutti i Cieli per esser di tutti più sublime, adunque i Primo mobile, e pien di stelle. Terza. Quel Cielo il quale e agitato da più nobile intelligenza. Quel Cielo immediatamente vicino al Motor sommo: Quel Cielo finalmente, al cui moto obbediscono gli altri Cieli, facendosegli seco girare, è conueniente sia dotato di maggior belleza , nobiltà, ed eccellenza, il che consiste nelle stelle: ma il Primomobile è quella sfera di cotante perminenze: adunque. R. Se voi metteuate in carta prima le parole del mio discorso, oltre che uoi facciate il debito uostro, non mostrauate di non hauer mai veduto Loica, non sapendo ridurre i mei argomenti in fillogismo, ne ritrouarne il bandolo. Pensate quali saranno l'impugnazioni, e come a proposito. Quella voce [sublimita] non vedete voi, che ella non si dee prendere in sentimento d'alteza di luogo, ma d'eccellenza di stelle? E non poteua intendersi in altra maniera, poiche seruiua, per esemplo dell'eccellenza della sostanza celeste, e perciò dissi quella parola, [regolarmente] attesoche se ne dee cauare il ciel cristallino. Onde è falso, che io dalla veduta delle stelle argomenti l'altezza del luogo, ma si bene dall'altezza di esso luogo, la nobiltà maggior d'vn ciel rispetto all'altro; e da questa ragion si argomenta, il Primo mobile essere stellato, e il segno di ciò son le stelle numerose, di cui è l'ottaua sfera adorna; essendosi innanzi mostrato, le stelle esser la più nobil parte del lor cielo. Hora potrete uoi hauer per risoluto quel, che poco dianzi haueuate per dubbio, cioè di non intendere il mio linguaggio. Ma andate, che; per torui ogni speranza di refugio, voglio accommodarmi a’ vostri spropositati argomenti, e non lasciarui in asso com'io dourei. Che dite adunque? C Ma altri tenendo tutto il contrario, fondati particolarmente in questo, che’l Cielo, ilquale e cagion dell'uniformita, come è il Primo mobile, non dee esser difforme nell’auere stelle: rispondono al primo argomento, col negar la maggiore: poiche voi, per non si partir dalle proue somministrate loro nel vostro discorso, sapete il sito del cristallino, e pure affermate insieme insieme non essere stellato. R. O bella maniera di parlare; che adopera questo auuerbo replicacaro [insieme insieme?] egli ci stà più a disagio, che non istò io con la penna in mano, per rispondere a cosi stuccheuoli argomentazioni. Quest'e altro ripieno, chè quel de’ curandoli nella salsiccia, che pur vaglion qualche cosa. - C. Onde bisogna, che l'habbiate, col seguir, come dice il Copernico, le pedate de’ più antichi, e fasmosi Astronomi, rinuentato per altro mezzo, che delle stelle. R. Se altri tengono il contrario, non lo tien già Alberto nella metafisica, libro secondo, trattato secondo, capo venzei da voi citato; ne ragionò mai in quel luogo di cotal materia. Ma voi, che l'hauete segnato, e non veduto, douereste molto bene aprir gli occhi, perche non poteuate far peggio, che, quistionando senza occasione, ma solo, perche cosi vi aggrada, citar gli autori a rouescio, accioche v'habbiano a esser rinfacciati finili errori. Anzi, ne Alberto, ne altri dicono, che la ragion d'Aristotele non sia vera, e naturale, prouando egli, che le molte stelle, che nell'ottauo Ciel si ritrouano, sian segno della nobilta sua, e che al moto regolato, e velocissimo di quello, esse conuengono. E se ben poi e stato osseruato, quel cielo hauer più mouimenti, non per tanto non si può dir, che le stelle assolutamente sian cagioli, che egli habbia deformita di moto. Imperoche il Ciel cristallino è pur senza stelle, e nulladimeno più d’vn mouimento haner si ritroua. E perciò, se altri, poi che s'è ritrouato non esser lo stellato il Primo mobile, hanno detto, che il decimo ciel non ha stelle, per ragion dell'uniformita del suo mouimento, è manifesto questa ragione esser fallace; e tanto piu oggidi, che stelle ritrouatesi uisono. Onde la ragion d'Aristotele, che è la piu ragioneuole, e naturale, come si mostrerà poco appresso, confermata da altri, e negata da niuno, resta nel suo valor primiero. C. Al secondo affermando, che è cosi vero , che’ l Cielo, cioè l'orbe verbigrazia di Gioue, sia più perfetto, doue risiede quella stella, quantunque alcuni tengano, che qual si voglia parte del Cielo abbia vna stessa virtù, e proprietà; come per lo contrario è falsissimo, che del Cielo, cioè di tutti i Cieli, sia più eccellente quello, che hà stelle. Poiche l'Empireo è di ciascheduno, e più nobile, e più perfetto, e con tutto questo, eziando secondo’ l parer vostro, quiui non si ritrouano stelle. Il perche diuidon la maggiore, negandola, se per lo Cielo s'intende l'aggregato di tutte le sfere celesti : per lo contrario concedendola, senza temer danno veruno dalla forza di cotale argomento, per la sua moltiplicità de termini, se’l Cielo si piglia per l'orbe d'un sol pianeta. R. Io vi torno a replicar, che dissi, le stelle regolarmente mostrar la nobiltà d'vn cielo in comparazion dell'altro. Di più hò anche detto, che niuna stella ha tanto di eccellenza in se, che auanzar possa la nobilta della sostanza del ciel superiore, eziandio doue stelle non sono. Ma ui potrei ben negar, che l'Empireo fosse, eccettuato dalla regola. Anzi è tanta l'eccellenza di esso, che è tutto vna stella, come hò detto, se ben mi vorreste far Calandrino. Non hò io detto, che egli risplende più, che il Sole, e tutte l'altre stelle insieme, e che non ha parte ueruna, che inferiore all'altra sia, perche in esso è l'ultima perfezion, che possa hauere il Cielo? Hora poi che non temete del mio argomento, mediante quella stupenda distinzione; almeno bisognerà, che ui rimanghiate col danno, se non con la paura. C. Finalmente al terzo, adducendo in risposta, la dottrina per resoluzione del secondo apportata; poiche è chiaro, che in altro, che in essere stellato, può consister la maggior eccellenza d'un Cielo, cioè nell'esser egualmente per tutto risplendente. R. Se volete conoscer questa resoluzione irresoluta, digrazia non ui lasciate scappar della memoria quella parola, [regolarmente,] da cui potete cauar, che quegli, che ha la regola dal suo, mette in necessità il contraddicente di prouare il contrario, se vuol conseguir l'intento. C. Rendon molto deboli, anzi annullano i vostri fondamenti, e perciò, restando voi senza ragioni probabili, vi bisognerà, à guisa de’ Pittagorici, addurne solamente, per proua l'autorità de’ famosi scrittori. R. Quantunque io v'habbia fatto veder, che le Aristoteliche ragioni stanno in piedi, e che niuno è, che l'habbia impugnate, non che annullate, oltre la sua autorità, che andate ricercando, per esser di quei famosi, uoglio per abbondare, e sodisfarui maggiormente, nuoue ragioni, e autorità di scrittor famosi addurre. C. Ma à chi giammai ricorrerette? Alessandro, Alberto Magno tengono, e prouano, che il Primo mobile non è stellato. Auerroe, San Tommaso, con tutti i Filosofi naturali senza mancarne pur vno vogliono il medesimo: e per finirla tacendo di Dante nel Paradiso, quale è quell'astromo antico, ò moderno, che non affermi, e approui questa stessa verità. R. Questo è vn dire, io non ti vò creder, se tu non produci per testimon gli huomini ch'hanno ancora a nascere. Se al tempo della maggior parte di questi mentouati non era nata la cognizion di questo cielo, come volete, che la testifichino? Essi non son [de facto], ne per voi, ne per me, ma [de iure, ] son per me contro voi, perche dalle loro ipotesi si vede, che, se fossero all'eta nostra, direbbon, come dic’io. Hora, se vi basta l'animo di far comparir quì tutti quei tali, che non hebbero cognizion del decimo Cielo, che noi Primomobile appelliamo, come fece la Fitonessa comparir Samuel, ad instanza di Saul, io vi prometto, che diranno, il Primo mobile esser tutto parto di stelle. Non è vero, come in dianzi dissi, che San Tommaso con tutti questi autori, habbiaio contrariato ad Aristotele. Anzi che, affermando essi, il Cristallino esser Primomobile, perche, secondo la Scrittura Sacra, si conferma, il dir, che sia senza stelle, essendo simile all'acqua; dissero, ad ogni modo, per non discostarsi dalle ragion naturali d'Aristotile, che quel moto era ordinato per le stelle, cioè per la difformita. Dante ancora da voi citato (che benedetto sia quella volta, che voi non chiamate gli autor, che vi fanno contro) parla del Cristallino, e non del Primomobile. E tra i moderni eziandio il Collegio Conimbricense dice il medesimo, sopra lo stesso luogo d'Aristotele. Il Tostato ancora, che fu dopo San Tommaso tien; che noue sian le sfere, secondo gli Astrologi, e che il Cristallino sia Primomobile. I. Se bene al cercar, se altri moti, ò cieli si davano, s’aspettaua, secondo il Mauri, a quegli, che studian fuor di camera. Onde a gli Astrologi di que' tempi, che siauano alla capagna, hauendo il Ciel per camera, si rapportauan que nobili scrittori. Ma, se l'hauer dalla mia Aristotele, e per autorità, e per ragion, no vi quieta in maniera, che ad ogni modo non vogliate imputarmi di troppo ardito, crederei che, doue gli scrittori son dubbi; o vari, o non contraddicenti, e mutoli, non potendo dirsi, che altri vada contro la comune, perche altramente non haurei cotal cosa affermato; ci, douesse almen bastarui per conceder, che io potersi far proua dell'ingegno, senza sottener menda di arrogante. Ma voglio di più mostrarui, che non mancano altri attoreuoli scrittori, mediante i quali, e le lor filosofiche ragioni, io possa, contro la vostra vogia, loda riportarne. Il dotto San Bonauentura adunque, oltre a le ragioni addotte da Aristotele, proua per molte vie naturali, che, se il Primomobile fosse senza stelle, e vniforme, egli non dourebbe muoueri. Prima, dic'egli, il Cielo Empireo da i Santi Padri è reputato immobile, per la sua vniformita; ma il ciel, che vniversalmente manca di stelle è vniforme; adunque niun ciel senza stelle è mobile. Di più; douunque è moto, quiui è continuità, e variazione: ma la continuazion, che è nel moto, vien dalla continuita della grandezza del mobile; adunque, per la stessa ragion, la varianza del moto vien dalla varieta del mobile: ma il corpo celeste, che manca di stelle non ha vareta ne suoi moti; adunque, ne eziando ha mutatione. Oltre acciò, ogni mouimento serue per qualche bisogno di esso mobile, ò di qualche inferiore: ma il ciel, che non ha stelle non può muouersi per bigogno di se medesimo, attesoche, per quel moto, niuna mancanza di esso ciel si complice. Non può seruire anche per altro inferior corpo, perche egli cosi bene influisce stando quieto, come mouendosi, e influisce uniformamente; adunque in veruna manie a conuiene al ciel, che non ha stelle muoueri. Aggiungo alle ragion di San Buonaentura, che, se il moto procedesse dall 'vniformita, i cieli inferiori al Primomobile, per esser moltiformi, e stellati, non haurebbon moto proprio, ma solamente l'accidentale, cagionato dal Primomobile. Dico inoltre che, se il Primomobile stellato non fosse, egli saria nelle tenebre; il che veramente non si dee credere in modo veruno. Lo prouo, perche, se secondo voi, al Sol non illumina oltre la superficie stellata del firmamento; e secondo altri non illumina, se non il Cristallino; e’l Cielo Empireo non diffondendo, come si è detto, abbasso il suo splendore; ne seguita, che il Primomobile, non hauendo stelle, sia nelle tenebre, almeno in rispetto a gli altri cieli, che hanno stelle, ò son dal Sole illuminati. E perche si porreboe contro San Buonauentura argomentar, che, per esperienza, false appaion le sue ragioni, che prouano il Primomobil. non douer muouersi, per cagion dell'uniformità, poiche non solamente quel cielo, ma anche il Cristallino, che non hà stelle, si muoue: risponde i negando, che nel Primomobile stelle non siano ma se si concedesse, come nel Cristallino, si dice, eziandio che stelle non si ritrouino in essi, adogni modo uarietà, e difformita in quelli i ritroua, di moto, e di quiete, di destra, e di sinistra per comparazione all'influenza del moto e, e perciò si muouono. Se ben si potria dir, che vicisse il Cristallino dell'ordine naturale, per la perfezion dell'uniuerso, come afferma lo steffo Santo cosi dicendo. Quod est ponere aliquod cœlum moueri, quod careat varietate stellarum, & luminarium, & hoc est Cœlum aqueum, siue cristallinum, ad cuius cognitionem, & si pauci philosophi peruenerunt, quia corpus illud latet sensum, ratiocinando tamen peruenerunt aliqut, & illi qui peruenerunt posuernt ipsum moueri sicit quidam Astronomi nixi sunt hoc probare. Communiter tamen ad cognitionem existentiæ huius Cœli, peruenerunt omnes tractatores catholici, autoritate Sacræ Scripturæ diuinitus illustrati, quæ ipsius existentiam expresse declarat : motum tamen eius, vel quietem non explicat. Sed doctores Thæologiae, rationibus fulciti, communuter ponunt Cœlum illud moueri, & inter alias rationes potissima est illa, qua sumitur ex perfectione vniuersi. E soggiunge; Cristallinum potest dice, habere vniformitatem partium, sed habet diuersitatem secundum rationem dextri, & sinistri, per comparationem ad influentiam motors. E, chiamandolo Primomobile, perche non era ancor noto il decimo Cielo, dice. Motus Primi mobilis respectu allorum est vniformis, quamuis variatio dicatur respectu quietis, & motus. Ecco adunque, che non dalla uniformità, ma dalla difformità naturalmente si cagiona il moto; e per ciò secondo il filosofo, Motus est passio consequens ad multi formitatem corporis. E stellato per tanto il Primomobile Signor Mauri. C. E, se Aristotile, pare tenga dalla vostra, affermando il Primo mobile esser l'ottauo Cielo, doue grande infinità di stelle si ritrouano, con tuttociò il fatto passa altrimenti: Imperocche, per non si essere in quei tempi osseruato altri mouimenti, che’l diurno, e de’ sette pianeti, non abbisognaua oltre all'ottauo, alqual diedero nome di Primomobile, il numero de’ Cieli multiplicare. Onde per essere il firmamento sensibilmente stellato, insensato, e ridicoloso sarebbe stato quegli, che non ostante il vederlo continuamente, auesse creduto, che quel che teneuano per Primomobile, non fosse in niuna maniera ripien di stelle, si come per lo contrario sagace, e arguto chi ingegnosamente, lasciata la contesa dell'essere, come chiara, auesse ritrouata, qualunque ragione si fosse, perche in quella guisa si dimostrasse diuisato. Aristotele adunque, perche'l vedeua, ò per dir meglio pensaua di vederlo. R. Che vuol dir pensua di uederlo? Che il Primomobile, ò il cielo stellato? C.Non si discostò dall'uniuersale opinione, che egli fosse fermamente stellato, ma andò bene inuestigando probabili ragioni di quello, che per lo senso non gli pareua potersi negare, le quali, chi intende, quanta differenza sia dal render la cagione d’una cosa manifesta, e necessaria, e d'una incerta, e dubbiosa, non si persuaderà mai, che elleno fossero state addotte da quel pellegrino ingegno, per cagioni di quella varietà, se per Primomobile fosse stato al suo tempo tenuto, come è ora vn ciel superior al firmamento, e del tutto inusibile. R. Come vn ciel superiore? Anzi son due, e forse più secondo alcuni, pur de, mobili parlando. C. Oltre che io mi dò ad intendere, che se i seguaci della sua dottrina, ammaestrati, e guidati dalle medesime conclusioni, anno tenuto, e prouato, che il Primomobile del tutto manca di stelle, egli ancora infallibilmente tirato da gli stessi principi aurebbe giudicato non diuersamente da loro. R. Quest'è doue vi ingannate, come sopra vi hò mostrato. imperocche, i medesimi principi seguendo, faceua mestier, che eziandio i seguaci suoi affermassero, il moto nascer dalla difformità; ed è cosi vero, che, se Aristotele hauesse ueduto il Primomobile senza stelle, ad ogni modo attribuito haurebbe la cagion di quel moto alla difformità, come si uede, che hà fatto San Bonauentura, e altri, per le ragioni addotte, che son tutte naturali. E perche voi sappiate meglio, la vostra maniera di argomentar, si ritorce tutta contro di voi: percioche, si come Aristotele filosofaua la ragion delle molte stelle nel Firmamento, allor tenuto Primomobile, perche egli le vedeua; cosi que’ tali, che tengon nel decimo ciel, non essere stelle, filosofaron la ragion, perche non vene fosero. ma egli, che hà trouato ragion, che val, per dir la cagion del moto del cielo, e delle molte stelle insieme, che in quello si trouano, impon necessità a gli altri, che seguir debban le sue ragioni: tanto più oggidì, che stelle nel Primo mobil uedute si sono. C. E tanto più, che gli Aristarchi, i Tebezi, i Timocari, i Tolomei. - R. Fate pian con que’ Tolomei, se parlate dell'Alessandrino, e con que’Timocari. Se voi haueste veduto il Padre Clauio. il Collegio Conimbricense, e tanti altri famosi, che fanno le distinzion delle Classi degli autori d'Astronomia, non faceuate memoria di questi tali, che non fanno per voi. Tolommeo l’anno del Signore 131. incirca, ritrouò con gli altri de’ suoi tempi la nona sfera, e la chiamarono il Primo mobile, anzi che, Timocare, che fu 330 anni auanti la natiuità di Cristo, non osseruò altro ciel sopra lo stellato, se bene alcuni voglion, che egli, e Arsatile hauessero cominciato ad hauer qualche spiracolo della nona sfera. Dopo Tolommeo 1140. anni, ò quiui intorno Tebith, e Alfonso Rè con altri astrologi ritrouarono il decimo cielo, che oggi Primo mobile s'appella. C. A'quali in tal materia; come dice egli, si dee prestare intera fede, hanno stimata sempre verissima sì fatta openione. R. Agli Astronomi si dee creder più, che a Filosofi, quelle cose, che aspettano alla Astronomia solamente; ma non gia quelle, che alla filosofia ancora appartengono, come il trouar la cagion delle cose, quale adiuiene appunto in questo, cioè, se stelle sian nel Primo mobile, ò nò; perche non se ne può far demostrazione astronomica, per prouarlo dal senso, negando voi, che quelle stelle, che vedute si sono, secondo la uostra astronomia prouar si possa, che elle siano state in quel cielo. Perche gli Astrologi, uolendo negar, che tali stelle siano state da principio nel cielo, e nel Primo mobile, sariano contrari al filosofo, che veruna cosa di nuouo non concede generarsi in quel corpo, e’ perciò conuiene a lui, il trattar simil materia ancor, aper non dare il ciel corruttibile. Laqual dottrina, i buon astrologi seguitando, farà mestier, che stelle nel Primo mobile concedan, secondo il parer d'Aristotele. Non si deue adunque tralasciar la ragion naturale, per credere à chi nega senza riprouare, e senza alcun fondamento, che stelle sian nel Primo mobile; sappiendo ogni buon filosofo, che, gli argomenti presi dall'autorità negatiua, non prouan cosa veruna. C. Torniamo ora à quello donde ci dipartimo, e andate vn po considerando, Signor Colombo, se quello, che dite esser manifesto, può meritamente dirsi dubitabile, poiche l'opposto per l'appunto vogliono tanti scienziati huomini, i quali malamente s’altererebbero contr’a quel giudice, che senza apportarne voi nuoua autorita, e ragioni, vi dichiarasse vincitore. R. Signor mio nò, che dubitabile non può dirsi, da chi non cerca il nodo nel giunco; poiche i sapienti, da uoi ricercati, per che fede uene facciano, u'hanno lasciato sù le secche, con un braccio di naso. E se non uolete esser condennato nelle spese della lite, posciache mi dauate ragione, ogni uolta che, nuoue ragioni, e autori, adduceua, fuor d'Aristotele, il quale allegaste a sospetto; rinunziate alla causa quanto prima, e non ui fate più straziare. C. Ma che fà bisogno di sì lungo discorso: poiche'l vostro ritrouamento, e capriccio del vedersi la nuoua stella, dato ancora, che’l Primo mobile sia stellato, niente di più ha del probabile, e del verissimile, che, se si negasse, come si è fatto di sopra, che egli in alcuna maniera non fosse in quella guisa diuisato. Conciosiache non si potrebbe da noi con tutto questo giammai vedere, per esser l'ottaua sfera in niuna sua parte alla vista penetrabile, e l'ultima delle sfere visibili, come tiene con tutti gli intendenti d'Astronomia, il Copernico: e oltre à questi secondo ne scriue Antonio Dulciato, i Sacri Teologi ancora, perciò affermano non cader sotto sentimento alcuno il cielo Empireo, con gli altri, che si ritrouano sopra il Firmamento. R. Pian vn pò Signor Alimberto, che le cose vanno molto bene; Poiche, hauendomi voi conceduto, per ragion la nuoua stella poter esser nel Primo mobile, vi resta solo vna difficultà, ed è questa, che, per non esser penetrabile alla veduta nostra il ciel cristallino, vero esser non può, che tale stella sia stata veduta nel Primomobile. In vna difficultà minima, in vn capello consiste tuttà la vostra forza. Orsù leuiamo il capello a questo Niso, che in vero vn capello è, che vi tien, che non vi arrendete: e posso ben dir contro di voi le parole del Petrarca. Vedi Signor cortese, Da che leue cagion, che crudel guerra. Hora, che le sfere mobili sian tutte dalla vista penetrabili, non è in maniera veruna da reuocarsi in dubbio. Ma prima è da auuertir, che altro è dire vna cosa esser visibile, e altro è dir, che sia penetrabile dalla vista; poiche l'aria, e l'acqua, e'l vetro, e altri simili corpi, perche son trasparenti, son penetrabili alla vista, ma non son già uisibili. Come si vede auuenir delle gocciole d'acqua, che piouono, le quali, non si veggon per l'aria, se non doue fra l'opaco, e l'occhio elle piouono, e fra cosa colorata ancora; conciosia, che l'oggetto visibile è necessario, che lucido, e colorato sia. Quando adunque il Copernico, il Dulciato, e gli altri dicon, che noi non possiamo uedere, ò che non è visibile il Cristallino, e l'Empireo cielo, dicon vero; e io non discordo da loro, poiche il cristallino è senza colore, e senza stelle, ma non è già vero, ne lo dicono i filosofi, ne i Teologi, ne gli Astrologi, eziandio, che l'ottauo cielo non sia penetrabile dalla vista. E intendasi sanamente penetrabile, perche non dico, che la vision si faccia, mediante i raggi visuali. Ecco il Vallesio. Sol non illustrat totum ortem, sed eam solum partem, quæ motui subiecta esi, nam quandoquidem in quarto orte situs est, subtantque illi tres tantum, suberstant vero, plures: siquidem planetarum alij tres insuperque sellatus, & nona sphera, atque, qui his superstant, tanto sunt crassiores, quantò sublimiores, constat solis splendorem non possa sedem Beatorum attingere, aut adeò languidum, vt illa futura esset obscura. E San Tommaso dice. Sed quia corpus firmamenti, et si sit solidum, est tamen diaphanum, quod lumen non impedit, vt patet per hoc, quia lumen stellarum videmus non obstantibus medijs Cœlis. é cosi dicono i suoi comentatori. San Buonauentura afferma, il Cielo acqueo esser tale appellato, perche le proprietà dell'acqua ritiene, tra le quali, dic'egli, è l'esser recettino del lume, perche è trasparente. E adunque il Cielo alla vista penetrabil di maniera, che le spezie delle stelle, che fossero sopra il firmamento, si posson diffondere, e trapassare alla nostra vista, come di fatto si vede accadere. Ma per finirla, quanto all'Empireo ancora, se fosse uero, che i raggi, e lo splendor non penetrassero lo stellato cielo, e che fosse non pur comune, come voi dite, ma almeno di pochi, e probabil cotal'opinione; a che fin tutti gli scolastici metterebbono in question, come possa star, che il Cielo Empireo sia così lucente, attesoche noi non ueggiamo il suo splendore ? Non è però chi risponda trà i famosi, che ciò addiuenga, perche il cielo stellato dalla vista impenetrabil sia; ma per le ragioni, che adduce l'Angelico dottor, come sopra ho mostrato, nel dicorso. Paru'egli ancor, che sia leuato quel peluzzo, nel qual uoi confidauate tanto ? Restaci altro da dire? E auuertite, che io, se bene affermo, che il cielo stellato è penetrabil da raggi del Sole, per questo non determino quanto in suso essi raggi si estendano; non per l'impedimento, che faccia loro il corpo celeste, ma perche, per l'impotenza di essi raggi, è la distanza lor terminata. C. Sicome adunque è cosa da non credersi, che essendo u.g. di mezo tra gli occhi miei, e l oggetto visibile vna gran marauiglia, per vsar qual si sia più perfetta sorte d'occhiali, che à Murano in Venetia, ò altro luogo si fabricassero, io auessi à potere scorger cotale oggetto separato, cosi appo di me e medesimamente cosa ridicolosa, che non leuandosi prima lo’ mpedimento dell'ottaua sfera non altrimenti, che vna grossa muraglia penetrabile alla vista, per virtù di certi occhiali, i quali quì appresso in considerazione appartata mi riserbo à dichiarare, nell’apparizion della stella, trasposti per lo mouimento del cielo Cristallino fra quella, e gli occhi nostri, si sia potuto la veduta di cosi bel lume à noi mortali cagionare. R. Hor che noi habbiamo leuata quella sottil tella di ragno, che à voi pareua vn muro ben grosso, se non vi dispiacerà metterui i miei nuoui occhiali, vederete, che per essere di più bello artificio, che non pensauate, essi vi mostreranno, ponendoueli sopra gli occhi (se però il vostro naso n'e capace) le stelle del Primomobile. Ma perche vi fidate tanto in quegli, che vi fanno trauedere, e penetrar di là dal Mondo, di qui e, che non volete sentir parlar de miei, non che veder con essi. Sappete quali sono i vostri occhiali? Quegli, di cui disse vn faceto giouane, che sentendo in vn cerchio di letterati domandar, che fosse più a proposito per veder lume bene, ed essendo risposto, il finocchio: soggiunse, io hò sempre creduto, che l'Inuidia auanzi qual si voglia sorte di rimedio, ò d'occhiali per veder di là da i monti. Horaper ueder la nuoua stella, questi occhiali Signor Mauri, non so no il caso vostro, perche non uagliono ad altro, che a cercar di vedere i difetti altrui, ben che minimi; e nella mia stella non è magagna. Quì reputo, Sig. lettori, esser molto acconcio luogo, per rispondere a vna dubitazion d'un Padre teologo; ed è questa, che dice non hauer del uerisimile, che nel Primomobili siano stelle, attesoche la Scrittura Sacra non ne fa menzione, e che par conueneuol, che noi altri cattolici dobbiamo accomodar le materie filosofiche al la Scrittura Sacra, massimamente io, che hò detto di conformar la mia opinion con la Teologia. Ma si risponde, che, se ben l'argomentar per negatiua, non rileua cosa ueruna, dicendo egli, che, se la Scrittura non fa menzion, che stelle sian nel Primo mobile, bisogna, che non uene siano; nulladimeno, assai si conforman con la Scrittura quelli, che trattan materie filosofiche non repugnanti alla fede Cattolica, ne discordanti con la Scrittura; che perciò sono state uarie l'opinion de’ Teologi, circa le parole della Genesi, di quel che si debba intender per Firmamento, in cui ella dice esser le stelle; si che non pochi hanno affermato douersi pigliar per Firmamento tutto il cielo insieme senza distinzion di sfere. Onde secondo tal sentenza le stelle del Primo mobile si potranno dire esser nel Firmamento conforme alla Scrittura. E a dirne il uero questa esposizione è ragioneuole molto, perche, chi non sà, che non tutte le stelle son nell'ottauo Cielo, che altri intendon per Firmamento? La Luna, il Sole di cui la Scritura dice Vt luceant in Firmamento, & illuminent terram; son l'una nel primo cielo, e l'altro nel quarto. Ma, condedendosi, che per Firmamento si douesse intender l'ottauo cielo, o l'aria come altri uogliono, dico non esser necessario, che, se la Scrittura non ha fatto menzion di stelle fuor dell'ottauo cielo, preso per Firmamento, egli non si possa dir, che anche in altri cieli ne siano; poiche, quel che è da essa Scrittura taciuto, o detto implicitamente, non è inconueneuole, che altri affermi, e dichiari, come è ma manifesto de’ Pianeti, i quali sono stati taciuti, perche son compresi nel Firmamento, inteso per tutti i cieli insieme, poiche essi pianeti non son nell'ottauo cielo. Ma perche, essendo stelle anch'essi, come la Luna, e il Sole, furon presi con un sol nome, massimamente essendo ancor tutte a un fine ordinate, sotto le quali ragioni si ritrouan anco le stelle del Primo mobile, e perciò benissimo mi son conformato con la Scrittura, non sendo marauiglia, che elle sian da essa state taciute, posciache ha taciuto i pianeti, che pure son molto più uisibili, che le stelle del Primo mobile, delle quali pochissime si son vedute in lunghissimi tempi. Ne si dica, che le stelle del Primo mobile non seruon, ne sono ordinate al medesimio fin della Luna, e del Sol, come gli altri pianeti; essendo, che elle non illuminan come il Sole, e la Luna; perciòche io risponderò, che, in proposito nostro, due sono i fini delle stelle; l'uno d'illuminare, e questo al Sole, e alla Luna propriamente s'aspetta secondo la Scrittura, l'altro d'influire; e questo conuiene a tutte, tanto a i pianeti, e le stelle del Firmamento, quanto alle stelle del Primo mobile. E se pur volessimo, che anche l'illuminazion douesse conuenire alle stelle, almeno secondariamente; chi dirà, che l'apparite stelle non lucessero quanto i principali pianeti Venere, Marte, e Gioue? Discorso. Si ancora perche il moto di quello è semplicissimo, velocissimo è regola di qualunque altra mutatione. Tutte prerogatiue, che al nouero quasi infinito di quelle stelle appartengono, in cui risiede la virtù ualidissima all'operar di esso cielo, come parti di gran lunga più eccellenti, che tutto il rimaso di quello non è. Quindi è che, il Primo mobile di tante stelle adorno essendo, la nuoua stella, e qualunque altra delle mentouate di sopra, da altro Cielo, che da esso a gli occhi nostri apparite non sono. Considerazione XXXVII Anzi per esser egli semplice, veloce, e regola de gl'altri è necessario come dice Alberto Magno, che per non confessar la cagione difforme dall'effetto, il cielo à cui è attribuito quel moto, sia semplice vniforme, e per tutto, quantunque meno dell'Empireo, lucido, è risplendente. Risposta. Che vna medesima causa produca diuersi effetti, rispetto la disposizion del subbietto in cui ell'opera, appo gli intelligenti non sene dubita. Oltre acciò, secondo i diuersi modi di considerar la medesima causa, può dirsi, che vniforme, e multiforme sia, come si è prouato di sopra. Ma perche non hauete prouato l'intento vostro, non occorrera, che perdiamo più tempo, poi che il nostro si è manifestato a bastanza per con chiuder la verità de'nostri proponimenti: ricordandoui pure, che Alberto non è contrario ad Aristotele, se ben pare a voi. Scriuono i naturali, che nell'Indie, doue nascono gli Vnicorni, l'acque patiscono assai di ueleno: onde niuno animale è, che ber ne uoglia fin tanto, che l'unicorno non leua di quelle il contagio, tuffandoui il corno dentro. Il pelago della filosofia è stato da capricciosi filosofastri tutto infettato, per la mala intelligenza: è però chi non beue di quella parte, doue l'unicorno Aristotele, per esser unico, ha beuuto prima, si auuelena di corrota filosofia, come hauete fatto uoi. Discorso. Ma, che non molte, ne molto souente habbian fatto di se nuoua mostra, ciò addiuenuto è, perche egli hauuto hà di mestieri, che alcuna parte del cielo Cristallino, a quello immediatamente sottoposto, alquanto più densa, traponendosi alla vista de riguardanti, e all’ apparita stella, la veduta di essa cagioni. Considerazione XXXVIII. E di nuouo apparita questa stella (dice il Colombo) perche una delle parti del ciel Cristallino alquanto più densa à guisa d'occhiali, i quali maggior l’oggetto visibile rappresentano, s’e interposta alla vista nostra, e alla nuoua stella. E questa sua opinione la conferma dal non saper egli render’ altra ragione, perche finalmente ella sia mancata, e sparita, che questo denso, cioè questi occhiali, de quali manchiamo, ogni volta, che il cristallino, per lo suo mouimento gli ci toglie dauanti à gli occhi. Quasi, che voglia dire. Io che infallibilmente so l'ultime cagioni degli effetti naturali, considerando soura l'apparizione, e mancamento di cotale stella, ne ritrouando altra cagion proporzionata, à quella, e à questo, che l'abbondanza, e mancanza d'occhiali, è necessario per conseguenza, che questi sieno loro la cagione di simili effetti. Conciosiacosache se altra ragione più conueneuole sene fosse potuto addurre, senza fallo à me sarebbe caduta in pensiero. Risposta. Saggio voi, che per non hauer di questi ribrezi, ancora hauete a pensar di risoluer, qual volete, d'intorno a ciò, elegger per vostro parere; e finalmente, dopo molto cercare senza ritrouar nulla, hauete deliberato, lasciarui pensare ad altri, per non ci intisichir dentro affatto. C. Confermazion di vero, laquale (oltre all'esserci ancora in istampa vn'opinione dirittamente opposta, cioè, che per la interposizion di maggior rarità, non densità si sia fatta vedere cotale stella) la quale, dico, per esser solo fondata nell'autorità propria, da non si stimare forse niente da quegli, i quali non conoscendo la fama, e’l valor del Colombo, richieggono migliori; e più stabili fondamenti alle loro conclusioni. R. Perch'io sò, esser vero, che solo, chi è di torto appetito, vuol, nel ber, più la bonta del paese, che quella del vino, come, se non il vino, ma il paese a bere hauesse, non hò timor di non darui sodisfazione, comeche a gli huomini di sana dottrina bastin le ragioni, e l'Astronomica autorità, quanto alle stelle del Primomobile; e'l raro, e denso, ritrouarsi nel cielo: oltreche son confermare da grauissimi scrittori. Ma quanto all'esser tal densita nel Cristallino, e che ella cagioni la veduta di tale stella e la stella esser nel Primomobile medesimamente, per che non debbon loro aggradir più le ragioni conuincenti, e ben fondate nella vera filosofia, e astronomia, che il solo fondamento dell'autorita di nobile scrittor, che il dica? Basterebbeu'egli, che Alpestrago Astrologo eccellente dicesse, che nel ciel son tuttauia nuoui moti da conoscere, ilche essendo, vi possono esser ancor nuoue stelle, enuoui corpi, come afferma eziandio. Fauorino filosofo, appo Gellio, nella sua, orazion contra i Genetliaci? Nò, perche non dicon perciò, che vene sia niuna. Leggete adunque il famoso Francesco Vallesio, de Sacra Philosofia, che dice cosi: Censeo stellam illam à mundi principio , ibidem extitisse, [Parlando di quella della Cassiopea, che è il medesimo, che se dicesse di questa] Ac nunc extare exiguam adeo, vt videri, nisi debiliter, non possit: tuncque visam esse increscere usque ad primam magnitudinem ob aliquam medij mutationem: quæ tandiu durauit: cum enim cœli partes non sint æquè crasæ, vt via Lactea, & Lunae maculae, & ipsa astra indicant, fieri potuit, vt ea stella, per proprium stelliferi motum, incideret in partem aliquam proximi cœli, densiorem reliquis per quam densatum lumen, maioris stellæ exhiberet speciem, deinceps vero inde decedens, videretur esse minor, vt nune quidem, aliquando videtur exigua, aliquando nulla, vi aer habet Eccoui tolto ogni speranza di contradire. Direte voi forse, che, ne anche l'autorità di cotale huomo basti? Egli aggiugne eziandio, che quegli, che negasse cotale stella esser di quelle create da principio, sarebbe degno di riprensione, parlando contro la Sacra Scrittura. Imperoche ne seguiterebbe, dic’egli. Quod non esset perfectus omnis ornatus cœlorum E perche è veduta, e poi è sparita cotale stella , Bisognerebbe dir, che Iddio l'hauesse creata, e annichilata contro il detto, nel capo, Dell’Eccles. dicente, Omnia opera Dei perseuerant in perpetuum. Vagliami almeno, per tanto, appo voi, l'autorità di tant'huomo, che io mi possa far lecito con ragioni efficacissime, poi che nol fece egli, per non lo ricercare il concetto, e la materia, di che egli ragionaua; di hauer dichiarato il luogo della densità, e della stella, non potere in maniera veruna esser altroue, che l'vna nel Cristallino, e l'altra nel Primo mobile, come si vede nel discorso, ne voi hauete saputo conuincere in contrario; posciache non v’aggrada concedere à me solo tutta l'iuenzione. E da esso Vallesio si caua, che al Primo mobile haurebbe attribuito tale stella, poiche reputa inconueneuol dir, che quel ciel non habbia luce: e questo dice, poco dopo nel medesimo capo, affermando, che il Sole illumina sino al Cristallino cielo; e soggiugne. Atque qui his superstant, tantò sunt crassiores, quantò sublimiores, constat Solis splendorem non posse sedem Beatorum attingere, aut adeò languidum,vt illa futura esset obscura; quia cum corpus luminus susceptiuum sit, esset in tenebris, si lumine careret. quid magis absurdum? Hora il medesimodee dirsi del Primo mobile, poiche, ò non ui arriua, ò debolmente il raggio solare, secondo questo autore, e altri. Circa quel vostro Gio. Heckio, di cui dite il parere essere opposto al nostro, atteso, che tien, che la maggior rarità, e non densita sia cagion della veduta di tale stella; perche mi vò imaginando, che gli crediate meno, che à mè, non facendo menzione alcuna delle sue ragioni, io non istarò a pigliar briga di vederlo, non mi occorrendo. Ma, per dir qualche cosa, e mostrar, che simile opinione, hà poco del rationeuole, e che, per non cadere in molti errori, egli dourebbe conceder, secondo il nostro parere, cotale stella esser nel Primo mobile, e mediante quella densità apparira; non è egli manifesto, che, se l'apparita stella fosse tra l'altre dell'ottauo cielo, douendosi veder, mediante maggior rarità d'una parte del ciel sotto posto, niuna altra stella veder si potrebbe, per esser ricoperte dal rimaso del cielo, che le occuperebbe con la sua densezza? E se pur volessimo, che la detta rarità, situata fosse nell'ottaua sfera; chi mai direbbe, che la stella apparita facesse dimoranza nel Cristallino cielo, per contraddire a tutti gli scrittor Sacri, e profani? Oltreche voi non concedereste, che vna stella di tanta grandezza potesse a gli occhi nostri occultarsi da quel cielo, se, come hauete dimostrato, per matematica ragione, ella fin dal Primo mobile veduta si sarebbe, quantunque io v'habbia reso vano l'argomento, rispetto al mio concetto per ragion della densita, che maggiori fa apparir le cose, che elle diuero non sono, come appresso vedrete. Cosa, che non proua la rarità. conciossiache la stella si rappresenterebbe per quella gran fenestra senza alterazion della sua stessa grandezza, non altramente, che l'altre si facciano. Non s'è ancor prouato, che le parti dello stellato cielo, doue stelle non sono, son tutte rare, penetrabili, fuor che la Galassia? Sì: adunque sempre si rappresenterebbe tale stella, pur che sopra di altra stella non si ritrouasse, per esser molte, e spesse le parti rare, e senza stelle di quel cielo. Aggiungansi a queste ragion tutte quelle, che dette si son nel discorso, per prouar, che la densità, e la stella, non poteuano essere altroue, che ne’ luoghi detti; attesoche la medesima ragion della densità vale della rarità ancora. C. Adunque per comune soddisfazione, andremo passo passo, di considerazione in considerazione. R. E sì par ben, che ven'andiate in considerazione, poiche non annodate nulla. Eh finitola ormai? C. Discorrendo della nuoua inuenzione di questi occhiali, accioche, ò la bontà, ò l'inconuenettolezza, e falsità loro venga con ragioni manifestissime palesata. R. Io mi marauglio che voi, non approuiate alla libera questa sorte d'occhiali, che fanno trauedere; conciosiache ogni semplice huomo affermerebbe, che gli haueste tenuti attaccati al naso, per tutto quel tempo, che perduto hauete in compor questa leggenda. Discorso. Che per sè medesima, senza quel mezo più denso, che maggior l'oggetto visibile rappresenta, non hauria potuto altramente farsi ueder, mediante la distanza lunghissima, che dalla terra à quel ciel si ritroua. - Considerazione XXXIX. Come si è di già accennato nella considerazione 36. basterebbe, per atterrare alla bella prima il nuouo pensier del nostro Colombo, addurre senza cotanti argomenti l'impenetrabilità al vedere dell'ottauo cielo, come cosa certa, e infallibile. Risposta. Se, nella considerazion, da voi mentouata, io sbarbai quel fatato capello, che vi faceua cosi pertinace; in questa presente auuertite, che la vostra ghia tanza d'arriuar tanto insuso, non vi faccia come l'Aquila alla Testudine, che la porta in grande altezza, per maggior precipizio: perche s'io non son forte ingannato, n'hauete a riportare il medesimo honore. C. Ma perche la quistione cosi sarebbe molto breue, e pur ueggo alcuni, che mostrano di desiderar queste vconsiderazioni, alquanto più lunghe. R. Sig. nò, più sugose, e cosi v'attereste al consiglio di Plinio, di Collumella, e di Virgilio, [minus serore, & melius arare] cioè dir meglio, e manco. C. Dò parola all'autore, che di questa sua opinione disputando, non mi son mai per seruire nel ributtarla di simili strumenti veramente ineuitabili. R. Se, doue gli strumenti, e armi ineuitabili adoperato hauete, non vi è toccato pure à dir galizia, pensi ciascun com'ella vi andra per l'auuenire, stancato di forze, e con armi più deboli. C. Dato adunque, che l’ottauo cielo sia tutto diafano, e trasparente, niego primieramente, che se il Primomobile è adorno di tante stelle, quanto lo stellato, la distanza di quel cielo dalla terra, possa ella esser cagion basteuole à torcele tutte di vista, e in particolare la nostra nuouamente apparita, laquale è annouerata da voi medesimo tra quelle della prima grandeza. R. Sì rappresentata da quegli occhiali, che non istanno bene al vostro naso, e perciò, nel discorso posto sopra la considerazion 53. ancor dissi, [che la spezie luminosa di quelle, assai maggior rappresentando, in sembianza delle prime stelle a gli occhi nostri,] Perche non crediate già, che io tenga, ne è necessario, che le stelle del Primo mobile debbiano esser simili, ò forse maggiori di quelle dell'ottauo cielo; ma reputo ben, che le maggiori veder non si possano in tanta lontananza, senza quel mezo della densità, che maggiori le rappresenta. Volete veder, che non è necessario? Mercurio, che è in vn ciel supremo alla Luna, è minor di quella cent’ottanta volte, e Venere trentaquattro in circa: il Sol contien cento sessanzei volte, e tanto la terra, quantunque sia in un cielo inferiore a Marte, che solamente vna volta, e mezo comprende la medesima grandezza della terra. E acciòche uoi non pensaste, che solamente la Luna, e’l Sol variassero quest'ordine con gli altri pianeti; Gioue, ben che inferiore, vn cielo a Saturno; ad ogni modo nouantacinque uolte, e quegli nouantuna la terra stessa contiene, e un certo che più, che non rileua dir l'appunto. Anziche nel medesimo cielo stellato, non si scorge ordine di grandezza tra l'vna stella, e l'altra, ma confusamente sparte son per tutto quel cielo, non serbando regola da noi conoscibile nella situazion loro, circa la grandezza. C. Conciosiache ogni oggetto visibile, auendo una certa lungheza di distanza, oltre alla quale, come si dimostra nell'Ottica, egli diuiene inusibile, vi domanderò, quanto voi pensate, che sia la grosseza del ciel Christallino. E per conseguenza, quanto sia la nuoua stella lontana da noi più di quelle del firmamento; sò al sicuro, che se voi credeste poterlo dire senza repugnanza di verisimilitudine, volentieri affermereste, che quel cielo fosse grosso, quanto insie- me le sfere dell'aria, del fuoco, e de sette pianeti col firmamento, come quegli, che per ciò vi dareste ad intendere poter dir poi con ragione, per esser quell'ultimo cielo il doppio più lontano dell'ottauo, che un niun modo e credibile, che per mezo di cosi smisurato interuallo, la si potesse da noi vedere senza la’nterposizione di quella spessata parte del Cristallino. R. Signor Alimberto, non ui affaticate più, che a mè non abbisognano queste premesse, perche io rispondo il medesimo, che dissi testè, cioè, che tale è la grossezza del Cristallino, e la lontananga della stella apparita, qual basta a far, che, senza la densità di mezo, noi vederla non potremmo, come di vero accade, poiche prima non si è veduta. Non doueuate metterui già voi a ricercar, se tanta, ò quanta douea esser la distanza, e grossezza de cieli, che fra la stella, e la densità, e gli occhi nostri si ritroua, non sapendo prima la grandezza delle stelle del Primo mobile, massimamente della apparita di nuouo, perche ogni fatica è vana, se non sapete calcular prima ta grandezza. Ne poteuate, per argomentarmi contro supporla dalle mie parole, come vorreste far, dicendo, che io le reputo della grandezza, prima di quelle del Firmamento; imperoche, se ho detto, che elle son della prima grandezza, egli si dee intender di quelle del Primo mobile, doue elle sono, e non d'vn'altro cielo: la qual grandezza e tale, che non può condur la sua spezie visibile a'nostri occhi, senza quel mezo della densita del Cristallino. Ma poi che, per non sapersi, come situata, e quanto grossa sia la densita, e da questa anche inuestigar la grandezza della stella; non fa mestier calculare ancor la grossezza del Cristallino, per trouar, se è vero, che tale stella vedere, o non veder si possa. Pur, se a voi non ne bastasse la vista, e desideraste di saperlo; e del Primomobile altresi, con la sua lontananza, vi dico, che secondo alcuni, potete suppor, che il Primomobile sia lontan da noi nouecento, e nouautanoue milioni, e - nouecento, e nouantanoue mila miglia, e cinquecento : e di grossezza, due migliaia di milioni di miglia. Il Cristallino vogliono esser di grossezza, poiche della lontananza si disse nel discorso; migliaia vno di milioni, e dugento milion di miglia. Ma che rileua questo? Quì non si posson fondare i vostri argomenti, per esser non reale, ma apparente la grandezza di quella stella. C. Ma siaui concesso pure, che non solo vna volta ma quattro volte più ancora (vengo a concederui cose quasi impossibili, per maggiormente manifestare la falsità delle vostre inuenzioni) sia lontana con quel cielo cotale stella, che ad ogni modo, se per ora lo stimeremo grande quanto quelle della prima classe del firmamento, quantunque io sia più abbasso per prouare, che ella dee esser tenuta di quelle molto maggiore, indubitatamente senza tanti occhiali, noi ancora lo vedremmo, si come molte, ne veggiamo di quelle del firmamento. R. Di grazia questa finta cortesia del concedere acciò, che ella ritorni in vostro prò, non vogliate vsarlami contra mia voglia: percioche per mè, non bisogna, e per voi pensate pure ad altro. Il fatto stà, che tutto l'inganno vostro, circa la grandezza di essa stella, nasce da que maladetti occhiali. Chiara cosa è, che molte stelle del Firmamento non si veggono, e nulladimeno è di gran lunga più vicino a noi, che non è'l Primomobile. E quando l'aria è vaporosa, perche fa l'effetto di quegli occhiali, più stelle nel Firmamento, e più scintillanti appaiono, si come, se quelle stelle, che iui non si veggono, fossero nel ciel di Saturno, per la maggior vicinità, si scorgeriano. C. Imperocche, se un’ oggetto, ilguale è maggior del la terra 107. volte, come son le stelle della prima grandezza. R. Perche voi fate profession di buono astronomo, come di filosofo, non posso non ricordarui, che egli comprende 107 volte la la terra, ma non è già maggior tante uolte. - C. Per esser lontano 130715000. di miglia, mi si mostra sotto l'angolo di dieci primi scrupuli, vn'altro visibile oggetto egualmente grande, ma quattro uolte più lontano da noi, cioè 653575000 di miglia mi apparirà, come vogliono le proporzioni, sotto l'angolo di due primi scrupuli: ilquale angolo è proporzionato anch'egli al vedere, poiche non solo le stelle della quinta grandeza, le quali anno due scrupuli di diametro apparente; ma le stelle ancora della sesta, nel firmamento si veggono, quantunque il lor diametro sia solamente d'un primo scrupulo. R. Ma ponete cotali stelle nel Primomobile, elle non si vedranno per non hauer tanto diametro, che possa cagionare angolo proporzionato al vedere; per non istare à riuederui il conto di questi calculi, non facendo di mestiere. C. Se adunque questa nuoua stella si ritrouasse, come affermate nel Primomobile, conciosiache la grandeza della cosa veduta apparisce, come hò prouato nella considerazion ventuna, secondo la grandezza dell'angolo constituito all'occhio, non ostante la sua lontananza vi sarebbe sempre stata vista da noi, eguale almeno à quelle della quinta grandezza del Firmamento. R. E perche almeno della quinta grandezza? Non s'è ella ueduta fin della grandezza di Gioue, che 59 volte più di quelle è maggiore? Ma il peggio è; che bisognera, che ui cerchiate chi s'accordi con esso voi, non solamente a dir, che le stelle del Primomobile, eziandio quelle della maggior grandezza, sian tanti scrupuli larghe, che la piramide lor cagioni angolo atto al uedere; ma conuerra prouarlo ancora, che io per mè lo nego, non si rapresentando, per quel mezo della densita, che maggior le fa apparir, come si uede nell'esemplo, che diedi della candela accesa, dietro posta à vna guastada d'acqua. C. Potendo dir solo per aggiunta (se per fare al vostro ritrouamento buono, qualche cosa in ricompensa della vostra fatica pensassimo gratificarui) R. Crediatemi da huomo da bene, che io mi reputo a maggior honor, che l'opera mia da voi sia biasimata, che se lodata l'haueste, per non esser annouerato tra que’ filosofastri, doue, per vostra testimonianza, siete ancor voi. C. Che ne’ mesi passati alla apparì assai maggiore di quelle, forse mediante la interposizion, di quegli occhiali, i quali dite, che maggior l'oggetto rappresentano. R. E così appoco, appoco, concedendomi finalmente ogni cosa, rimarremo d'accordo, come che da principio ritroso, e gonfio beffeggiator vi mostraste; perche, dicendo come dic’io , cesserà questa burrasca, la qual'io temeua, che douesse insistolire, stando voi fermo in così folli opinioni. In Atene, per quietar certa nimista popolare, montato in ringhiera vn'orator di mostruosa, e quasi smisurata grossezza, e corpolenza, ma di ingegno sottile, e acuto; vedendo tutto il popol rider della sua deformata; tosto, senza punto turbarsi; di che ridete, disse, o Ateniesi? Forse per ch'io sia così grosso, e panciuto? Sappiate, che io hò moglie assai più di me corpulenta: tuttauia, se siamo d'accordo, vn piccol letto da alloggio ad amendue; ma in discordia non ci cape tutta la casa. Così potete dir voi Signor Mauri, a’ vostri derisori d'hauer fatto meco. C. Conchiudiamo adunque, che non la distanza grande di quell’vltimo Cielo dalla superficie della terra doue abitiamo noi, ma si bene la sua mancanza di stelle, habbia cagionato, e cagioni continuamente, che noi nol vediamo stellato. R. Anziche, per esserne state uedute è necessario confessar, che sia stellato il Primomobile, e che la gran lontananza le ci tolga di vista, quando non si interpon qualche parte di ciel più densa, che le rappresenti assai maggior, che elle non sono; e perciò ne veggiamo cosi di rado, massimemente, douendo rappresentarsi solo le maggiori, che poche, e sparte sono in si spazioso cielo. Ma dite, e direte bene, che per non saper voi col vostro non mediocre ingegno ritrouar altro modo, come possa star questo fatto, volete negar con la bocca, quel che l'intelletto vinto concede. C. Poiche non d’vna sola, ma di quindici, delle sue stelle almeno, conciosiacosache voi affermate, che la’ sperienza, e la ragione v’insegna, che di quelle della prima grandeza tante ne contiene il Primomobile, quante ne contiene il firmamento, senza impedimento alcuno lo douremmo lungo tempo auer veduto, e ora altresì vedere variato, e adorno. R. Hormai hauete inteso, perche non lo veggiamo: ma non doureste già testimoniar di me quello, che la mia scrittura altramente dimostra. Rilegge te vn pò le mie parole, poste per fronte alla considerazion 42. le quali, per esser grandi come lettere di scatola, doureste pur hauer vedate senza occhiali. Paruiche io affermi il numero delle stelle della maggior grandezza del Primo mobile, esser di 15. ò d'altro nouero determinato? E che elle debbiano esser grandi, come quelle del Firmamento ? Ho bene esemplificato, quanto, al numero di quelle del Firmamento. Di maniera, che, se molte più fossero quelle del Primo mobile, ad ogni modo, per esser tanto più spazioso quel corpo supremo, non sariano men distanti fra di loro, che si sian quelle poche del Firmamento respettiuamente considerate. C. E in corroborazione; e confermazione di questo aggiungo ancora, che non solo della quinta classe ci sarebbero di continuo apparite, le dette quindici stelle della maggior grandeza del Primomobile, s'elle ui fossero, tra le quali è annorata nel discorso la di nuouo apparita, ma assai maggiori, e assai più, poiche quelle eziandio della seconda, e terza grandeza in quell'ultimo cielo sarebbero visibili. R. Voi dareste ragioneuolmente nel buono, signor Mauri; se leuandone tutto il cattiuo, vi si concedesse, che se stelle del Primo mobile fossero della grandeza, che vi imagnate. C. Ciò cauo da voi medesimo, poiche affermate. che i cieli, che più altamente sono stimati, per posseder maggiore eccellenza più risplendenti, e stellati si ritrouano. Il Primo mobile adunque essendo superiore al firmamento e secondo il parer vostro stellato, contiene, ò più, ò maggiori stelle del firmamento. R. Da me non potete voi cauare altro, se non quel ch'io vi concedo,- cioè, che egli possa contener più stelle, ma non già maggiori di quelle del Firmamento. Anzi è necessario che elle non sian tanto grandi, che elle possan vedersi, senza quel mezo della densita; e questo si caua dall'effetto, che lo ci dimostra, non sene vedendo, se non vna per volta, e molto di rado: e questo è quanto dal mio discorso trar ne potete. C. Imperoche altrimenti a proporzione della sua grandeza, alla grandeza di quello, non sarebbe, come conuiene, e più nobile, ed eccellente dell'ottauo cielo, ma più tosto di gran lunga inferiore. R. Signor Mauri, quella voce [regolarmente] picchia la porta della vostra memoria; però mettetela dentro, e ella vi farà conoscer, che le stelle, non son necessariamente indizio della maggiore, o minore eccellenza de’ cieli; e massimamente la grandezza loro, ne vi douete scordare ancora, che l'eccellenza d’vn ciel superiore non può essere auanzata da qualsiuoglia stella del cielo inferiore, eziandio in quelle parti, doue stelle non sono, poiche son differenti di spezie, come di sopra dimostrai, e, che le stelle non serbano ordine di grandezza in fra di loro, ne anche rispetto all’altezza de’cieli. Voi adunque dalla nobilità maggior di quel ciel non conchiudete di necessità, che maggiori debbano esserle stelle di esso che non son le stelle del Firmamento, se ben dall'effetto si conchiude, che secondo la regola, il Primo mobile sia stellato, e forse, che in numero elle son molte più di quelle dell'ottauo cielo. C. Il perche, cauandosi da uoi, che cotante stelle si contengano nel Primo mobile, quante se ne veggono nel firmamento, ne seguirà che, se pari sono di numero, almeno sien maggiori di corpo: onde se u.g. le stelle della primi classe nell'ottauo cielo, anno il lor diametro apparente dieci primi scrupoli, le stelle altresì della maggior grandezza nel Primo mobile, quantunque da noi più remote, auranno diametro eguale; poiche la maggior grandeza, laqual conuien che sia proporzionato alla distanza, che tra quei due cieli si ritroua, le ricompensa in quello, che è tolto loro dalla maggior lontananza. Il medesimo dico dell'altre stelle di diuersa grandeza. E perciò tornando al mio proposito, in quella guisa appunto, che è l'Ottauo cielo, con stelle eguali, e di numero, e di forma, auremmo di continuo ueduto, e per ancora vedremmo, se veramente fosse il Primo mobile stellato. R. Anzi douete meco conchiuder, che il Primo mobil sia non senza stelle, perche il senso cel'ha dimostrato: e che le sue stelle sian di cotal grandezza, che per vederle abbisogni quella densita sottoposta, che le ci rappresenti, poiche in altra maniera non si veggono. Questo è quanto, si caua di qui, e dal discorso ancora, se già, stando pertinace, uoi non faceste, come Diogene, che si staua in vna meza botte di continuo, e perche i fanciulli hauessero a ridergli dietro maggiormente, badaua pur à dir, che ell'era vna camera, ne si potea persuadere a confessare in contrerio, C. Ma auertisco quì, che io vorrei che desidera intender perfettamente queste mie proue, le quali à prima giunta paranno à chi che sia alquanto difficilette, desse prima vna lettura alla considerazione 21. poiche questa presente in quella hà il suo principal fondamento. R: Ti sò dir’io, che ci vuole una grande attenzione, per capir cosi fatta proua: cosi foss’ella stata a proposito. E ben vero, che a uoi è stata tanto difficile a distender, che, per dubitanza di non esser inteso, vi siete messo a farne stampar sin la figura. Ma per conchiuder mille in vno, e finir la uostra diceria, cotal dimostrazion non può applicarsi, per prouarne il vostro intento, se prima non si sapesse, per quella grandezza apparente, quanta la grandezza real fosse. Hora, perche non si sà quanto dalla stella, e come figurata sia la densità; essendo astrologi: che il Cristallino voglion, in luogo di stelle, hauer certi caratteri diuersi, e imagini di parti più dense, da cui prendano impressione e forza le stelle del firmamento: ne può sapersi, come situata sia, e in che positura con la stella, detta densità rappresentante; di quì è, che la vera grandezza della vera stella non si può, per mezo del Planisferio, o dell'Armilla; ò di tauole, ò altro simile strumento, hauere; ne conseguentemente giudicar poteuate, se ella, per esser d'vna tal grandezza sarebbe stata ueduta da noi senza altro mezo; essendo, che quella non sia la sua real grandezza, ne potendo inuestigarsi altramente. Vadano, per tanto i lettori alla considerazion mentouata, e chiariscansi, che se pur voi ballaste bene, non ballereste già a tempo, ne secondo il suono, per non hauer che far quella grandezza apparente con la real della stella. Discorso. Imperoche, se ben gli astrologi non hanno calculato la sua lontananza, ad ogni modo si può a proporzion del Cristallino giudicare, secondo gli abbachi loro. Essendo che, cinquecento nouantanoue milioni, e nouecento nouantacinque mila miglia, e cinquecento, siano da esso Cristallino alla Terra. Come adunque mai le stelle del Primo mobile, e le maggiori eziandio, per mezo di così smisutato interuallo veder si potrebbono se intraposta quella spessata parte del vicino ciel non le ci mostrassse, rappresentandole maggiori assai, che elle non sono ? E che egli sia vero abbisognar quel mezo denso, per cagionar la vision di tali stelle, assai manifesto appare. Imperoche, altramente essendo io non sò veder ragion, perche sempre non si mostrassero altrui; come quelle dello stellato fanno, senza occultarsi già mai. Ma certamente, in cotanto lungo viaggio, quelle spezie, ancor che luminose, suaniscono: e lo ci fa veder l’esperienza, in quelle piccole stelle del Firmamento Nebule appellate. Considerazione XXXX. Se ne’ cieli, si danno queste proporzioni, per le quali si può saper di tutti la lontananza, dirà chi che sia; e perche non calculo il Signor Colombo, per liberarci di così fatto intrigo, la distanza di questo suo Primo mobile ? E pur particolarmente lo doueua egli fare, poiche nella lontananza di esso è fondato il suo ritrouamento. Risposta. Queste calculazion di lontananze, e grossezze, che di vero, dal più al meno, poco al nostro concetto rileuano, contro il creder vostro, consistendo la veduta, è non veduta di tale stella nelle cose dette di sopra, mi parue a proposito lasciarle fare a uoi, o a chi che altro si fosse desideroso di saperle. Ma hora l'ho notate solo perche ueggiate, che quel che toccaua a uoi, per mostrar maggiormente il uostro ualor matematico, adopera il medesimo, che se allor fatto cotal calculo si fosse, cioè niente in prò del nostro argomentare. C. Ma notate, come egli confessa, che questa lontananza si può giudicare solo secondo gli abbachi degli Astrologi, non adunque secondo i suoi, i quali bisogna, sieno diuerssimi da quelli, posciache l'Astrologia, nel fin di questo discorso è sì fattamente da lui dispregiata. R. La modestia insegna altrui non appellarsi scientifico, perche saria prosunzione annouerarsi tra gli Astrologi, o Filosofi, e simili e cacciarsi in dozina, dicendo u.g. noi altri Astrologi facciamo, ec. Ma se pur tenete altramente, fate vn nuouo Galateo, che io v'assicuro, che non vi sarà impugnato da niuno inuidioso. Non hò io mai dispregiata la vera Astrologia, ne i veri Astrologi, come nel principio, accennai e si dirà nel fine, ma quella turba bugiarda, che i medesimi Astrologi, vituperano. C. Ma se io l'hò à dire com’io la'ntendo, mi persuado più tosto, che l'autore non lasciatosi ingannare da’ Platonici, accorgendosi alla fine, che non in tutti i cieli, ed in particolare nel Cristallino si ritrouano veramente stelle, e proporzioni cotali, per le quali si potesse sapere di tutti la lontananza, e la grossezza, da galant’ huomo si risoluesse di non si voler beccare il ceruello in simili calculazioni, come quegli, che gli pareua di essere mancheuole de’ modi di poterle fare. R. Tal biasina altrui che sè stesso condanna. A voi toccherà questa fiata a esserui lasciato menar per lo naso da i Platonici, poiche, quantunque, secondo il creder vostro, vi fosse di mestier calcular queste lontananze, per mostrar, che elle non potrebbono impedir la veduta di tale stella, non l'hauete fatto ad ogni modo. Ma, perche, il fare altre calculazion non fa di mestier, perancora, aspetteremo di vsar la regola del buon Cirugico, che lega il baccio infermo con la fascia, e poi aspetta a pungerla vena, quando è ben gonfiata: e questo addiuerrà, se mene darete occasion nella replica, dimostrandoui, che non sole sappiam far simili calculazioni; ma gli error delle vostre non rimarranno senza visita. Platone, e Macrobio, che voi citare in postilla, come volete, che parlassero del Cristallino, o d'altro ciel superiore all'ottaua sfera, se non n'nebbero notizia? Ecco Macrobio. Prima illa stellifera sphæra, quæ proprio nomine Cœlum dicitur, & aplanes apud Græcos vocatur arcens, e continens, cæteras. I. Discorso. Le quali, ò non si veggono, ò mal si ueggono, auuenga che a quelle molto più vicine siano a gli occhi nostri. Considerazione XXXXI. Sono molto più vicine, ma molto più piccole ancora il perche, per quel che si dice nella considerazion 21. questa uostra esperienza non proua niente. Risposta. Il douer voleua, che secondo i vostri presuposti, se ben vi hò mostrato, che son vani, voi cacciaste fuora gli strumenti, che hauete saluati dalle mio maladizion, e che che osseruaste per la minuta queste differenze tra quelle del Firmamento, e del Primomobile, e non ven’andaste in parole, determinando alla magistrale, quello di che hauete mosso la quistione. E crediate pur, che, se à me fosse stato di bisogno, non l'hauerei passata cosi di leggier, come voi senza annodar nulla. - Discorso. Hora quella densità, che in detto Cristallino si ritroua, può render visibili le stelle della prima grendezza solamente, che nel Primomobile si ritrouano auuenendosi tal volta in esse; le quali; in poco numero essendo, molto di rado apparir possono, come l'esperienza ne'nsegna, e la ragione ancora, poiche di tante, che nello stellato alloggiano; quindici, e non più della maggior magnitudine da gli Astrologi annouerate ne sono. Considerazione XXXXII. Bisogna bene, che questi sien perfetti occhiali à render visibili nel Primomobile le stelle, che non vi si ritrouano, ma poiche si è prouato questo Primomobile mancheuole in tutto, e per tutto di lumi. Risposta. Si, secondo il creder vostro, che hauete cacciato quel pouero ciel nelle tenebre, come voi, che siete al buio di questa verità. C. E che la sua lontananza non è cagione ella, che non gli perdiam di vista, dato per ora. R. E per sempre con vostra pace, come hauete veduto per le nostre dimostrazioni. C. Che detto cielo ne sia pieno, e che di più, per la sua distanza non si possano senza qualche mezo simile vedere. R. Non vi allargate tanto nel conceder perche vorrete poscia ritirarui, e non passera senza vergogna vostra. C. Andiamo considerando, se questa densità del Cristallino, possa esser stata cagione. R. Non sapete forse, che la fiorentina fauella, non riceue il fin di niuna voce terminante in R, doue a quella seguisti altra parola, che l'S, con altra consonante habbia a canto? C. E proporzionato mezo à cotale apparizione, ilche conosceremo indubitatemente, se per attribuire a quella, come vera cagione, simile effetto, non ne risulti impossibile alcuno, ò qualche strauagante inconueneuoleza. R. Ma, se egli non ne accade veruno inconueniente, voi mi concedete vinta la disputa è? Seguitate adunque, perche tosto si vedrà, che vi siete data la sentenza contro da voi medesimo, e per esser di consentimento delle parti non vi haurete appello. C. Dico adunque. ò voi volete, che questa densità, ò uoglian dire occhiali cominci à poco, à poco, cioè nelle sue prime parti, essendo molto sottile vadia di mano in mano più ingrossando; ò che ella cominci à un tratto nella sua maggior grosseza. R. Pur ci veniste ancor voi: questo dubbio certamente, non è bamberottolo, a cui non venga in mente, ne huomo è d'ingegno così dozinale, che non mel'habbia mosso, parendoli, che, perciò al durata, e accrescimento, e mancanza di tale stella arguirne si possa, ingannati dal suppor, che non sia veramente così adiuenuto, Hora io, che l'antiuidi, tacqui è posta la soluzione, per prouocar chiunque si fosse, accioche io potessi, disputando, apprender qualche cosa più di questa vostra scienza: ma hò troua- to più tosto lite ingiuriosa, chi gara virtuosa. C. Qual si voglia delle due opinioni u’ indurrà à manifesti assurdi. Imperoche, se tenete la prima, la nuoua stella, poiche voi affermate, che per interporsi parte più grossa, e più spaziosa, ella ancora più spaziosa, e più grande apparisce, douea vedersi nel’ principio della sua apparizion molto piccola, poi di giorno in giorno, crescendo continuamente secondo la grandezza di quella densità alquanto maggiore. R. Dissi nel discorso, in quella particella posta d’inanzi alla considerazione 46 che poteua maggiore, e minore apparire, e sparire affatto, e per più, e manco tempo lasciarsi veder, secondo che più, e men grossa, e spaziosa era quella densità, che a tale stella era sottoposta; e perciò è chiaro, che [più è men grossa, e spaziosa] ha rispetto alle sue parti, e non alla stella; ma quanto al fatto, intorno acciò, niente affermai comeche adesso, io sia per prouar, che ciò addiuenuto sia veramente. C. Il che è stato come s’è veduto sensibilmente falsissimo: Poiche afferma il Padouano, e Gio. Eckio, che ella nel principio apparue nella sua maggior grandezza. R. Il Padouano, perche vuoi, che ella sia generata di nuoto, può senza scandol veruno anche dir, lei essere apparita in vn tartto grande nella sua maggiore apparenza ma egli non douette osseruarla, poiche non dice hauer ciò fatto, ò non l'osseruò nel suo principio squisitamente; perche, dicendo egli, che appoco appoco andò scemando nella partenza, par conueneuole ancora, che nella venuta crescer douesse. Onde più si dee credere a Baldassar Capra, il quale afferma hauerla minutissimamente osseruata in Padoua, e più volte, e d'essere stato il primo, come altri matematici di Padoua concedono; dicendo egli, che il giorno dieci d'Ottobre 1604 vide vna stessa nel colore, e grandezza in tutto simile a Marte; e che, per certa stagion piouosa, fino alli 15. del detto mese, non potendo riuederla, trouò, che era cresciuta fino alla grandezza di Gioue, e più; e mutata ancora assai nel gionial colore. Il Signor Dottor Lorenzini afferma anch'egli, che primieramente piccola appari; quindi di giorno in giorno crescendo diuenne in apparenza di figura, e di lume superiore a Gioue, e a qual si voglia delle stelle fisse. E'l Signor Raffael Gualterotti osseruò, che ella cominciò ad apparir circa a’ noue d'Ottobre, e che essa nel principio si mostrò piccoletta; poi grandemente s'accrebbe, e durò fino, che vespertina si mostrò; posca, quando mattutina riappari, si vide diminuita, e impallidita; quindi piccolissima diuenne. Così occorse a quella, che nella sede della Cassiopea apparue. Hora perche in tal materia vi rapportate al creder di pochi, e io all'esperienza di molti, di poca fede, anzi di niuna dee il vostro parere stimarsi. E come che i miei testimoni non vadano così vniti in tutte le cose, basta che non son contrari, poiche alcuni hanno apertamente detto, quel, che gli altri tacciono, ma che più importa niuno è, che non dica essa stella esser cresciuta, e scemata conforme all'opinion nostra. La ragion conuince il parer del Padouano eziandio: perche, se il Cielo non è corruttibile, come si è apertamente dimostrato, e secondo lui cotale stella è andata scemando bisognera dir, che ella si sia nascosa, e non annichilata; e conseguentemente, si come, non in vn tratto è sparita, così non potè subitamente apparire. Conchiudasi per tanto, che, essendo vera stella, & essendo mancata di vedersi appoco, appoco ; ella alttesi apparita sia non a vn tratto, ma di giorno giorno fattasi maggor, mediante quella densità. Che più: non vi basta il testimon di voi medesimo? Non dite voi alla considerazion 39. che ne'mesi passati ella appari assai maggiore ? Adunque è cresciuta. Non dee già apportar marauiglia la diuersità de’ pareri nell'osseruazion di cotale apparenza. conciosiacosache, nuoue stelle apparendo nel cielo, e uerisimile molto, che, fin che elle non son di notabil grandezza, essendoche appariscan fra tante di grandezza diuerse, e spesse, e confusamente sparse, gli astronomi non l'osseruino, e che quegli prima, e questi poi s'accorga, che elle apparite vi siano, come è addiuenuto di questa, che tardi è stata considerata non solo, una in diuersi giorni da diuersi Astronomi. C. Se la seconda, il medesimo ne risulta. poiche certo è, che questa densità non si potette interporre tra la stella, e gli occhi nostri in vn momento, ma con molto tempo, come io prouerrò più di sotto, per lo tardo mouimento del Cristallino: R. Di grazia non perdete questo tempo a prouar, che ella douesse apparire in lungo tempo, percioehe, noi non discordiamo in questo, ma solamente dal voler voi, che ella sia apparita in vn'istante, e io in tempo, come per l'esperienza osseruat, ae per le ragioni vi hò dimostrato. C. Doueua adunque la stella, nel principio, per esser ingolfata in quella densità parte, e non tutta, non apparir rotonda, ma in quella guisa, che si vede la Luna infino, che ella non e arriuata alla pienezza. R. Se la Luna fosse in quel cielo, non solamente ella non apparirebbe tale, ma eziandio punto non si vedrebbe; e quella stella in cosi gran distanza, massimamente per esser corpo lucido, non può mai apparire altramente, che rotonda. Perche, non è, egli vero, che vna fiaccola accesa, rimirata di Firenze, per esemplo, sù’l monte Morello, a qualche hora di notte, apparisce rotonda in sembianza di stella? Pensate hor voi quel che parrà quella densità illuminata, per esser senza comparazion cosi lontana, quantunque grande incomparabilmente sia, rispetto alla detta fiaccola. Il vostro Vitellione, e tutti i perspettivi dicon, che vna cosa quadra, ò d'altra simil figura veduta da lontano, sferica ci sembra. Oltre, che l'esempio, che voi date della Luna, non è à proposito, non solo per la vicinanza maggiore, ma ancor, per che non hà quello splendor, che la stella apparira hauea; la qual, per lo maggior lume, che spaziaua più i suoi raggi, e offendeua maggiormente la vista, maggiormente rotonda ci appariua. C. O, se rotonda per la sua lontananza, almeno molto minore, che quando ell'era poi tutta ricoperta dal denso. R. A questo voi dite bene, e perciò è adiuenuto, come desiderate. C. Le quali cose quanto sieno lontan dal vero, lo può senz'altra testimonianza affermare, chi per alcuna fiata inconsideratamente s’abbatè à rimirarla. R. Voi, che siete di quei tali, che mariuiglia è, che l'abbiate affermato senz'altra testimoaianza? Ecco, che, ò più sottil nel principio, ò grossa per tutto vgualmente, che fosse quella densità niente rileua in prò del vostro argomentare. C. Dica inoltre, che, se i vostri occhiali. R. Oh Oh. Questa occhialata comincia a saper di stucco. C. Ci auessero essi cagionato la veduta di cotale stella, noi non gli auremmo perduti, e perciò auendo al naso simile impaccio. R. Andare a leggerla lettera de nati composta dal Caro, e quiui trouerete a quali nasi stian bene i miei occhiali, e non diano impaccio, come danno al vostro. Per mia fe, che vi bisognerebbe esser nasuto; per que celesti occhiali molto più, che non vi date adintendere; sì che voi potreste, restandone douizioso ad ogni modo, farne carità a quello sgraziato di Pasquin di Roma, che si ritroua senza almeno per qualche affezion, che mostrate d'havere al suo parlar satirico. C. Godremmo al presente, e per molti anni ancora in ricompensa la veduta di stella cosi lucente: conciosiache, quantunque sia verisimile, e voi senz'altro, il concedereste, quella parte più densa del Cristallino essere assai più spaziosa della nuoua stella. R. Anzi vi ingannate di molto, perche, sì come veruna altra cosa, che faccia al uostro proposito non ui habbiamo acconsentita, cosi questa ancora, ui si nega, come falsa. C. Posto nondimeno, che cotal densità fosse eguale al diametro apparente di quella, ilquale, dicendo voi, che quella stella rassembraua Gioue, forse era maggior di dieci primi scrupuli, e secondo il sopradetto Gio. Echio, maggior ancora di venti, dico, che per 44 ò per 32. anni almeno, quantunque ora minore, e ora maggiore doueua esser è noi visibile. R. L'inganno vostro Signor Mauri è tutto qui, che voi fate capital dello splendore, in luogo della stella, a somiglianza di vn certo, assai dolce intingilo, che, hauendo, senza ueruna considerazion, donato vn grande, e frondoso olmo, che piaceuole ombra dauanti vn suo praticel facea, a vn gentilhuomo della nostra città, che vicino a lui villeggiaua; tosto, che vide sendo gittato l'olmo a terra, mancar la grata ombra, che apportar soleua, alzò la voce, benche tardi pentito, così. Messer nò, ch'io non vi dono anche l'ombra: diauol che non vi basti l'olmo? Il valent’huomo, che sapea costui hauer poco sale in zucca, rispose: come? Io non vi chiesi mai altro che l'olmo, e perciò non vi scandalezate, che l'ombra sarà sempre la vostra. Non v'hò io detto, che quella densità rappresenta la stella maggior, che ella non è ? E che non si può proporzionalmente, per quella apparenza, la vera grandezza del diametro inuestigare, non sapendosi, come disposta sia l'una verso l'altra, quanto lontane, come qualificata è figurata la densità, e altre circonstanze, dintorno a ciò necessarie? Può quella densa parte, per le sue varie disposizioni, accidenti diuersi, e incredibili cagionare. La onde vadansi pure i vostri calculi a riporre, che per questa occasione vanamente da voi sono stati messi in opera, e conseguentemente tutte le vostre supposizion vanno in rouina. C. Imperoche, secondo le vostre supposizioni: se la stella diuiene scorgibile, per sottoporsele il denso; il cui mouimento è quello del ciel Cristallino, da Occidente à Oriente, tanto durerà la veduta della stella, quanto per dir così la sotto posizion del denso. R. Ne anche questo è necessario, attesoche tale stella può, secondo le positure, e le uarieta del denso, fare strauaganze grandissime, co'suoi reflessi, come si è detto, e si mostrerà poco appresso, per quello, che la specularia ne'nsegna. C. Se adunque il Cristallino, e per conseguenza quella densità, che è iui incorpata finisce tutto il suo circolo in 49000 anni, di esso, cioe dieci primi scrupuli li finirà in 22. R. Crediate, che ancor noi sapeuam far quest'abbacchi, se ben dite, che i miei son d'altra sorte, che non son quegli, che fanno gli Astrologi, se fosse stato di mestiere. Ma perche bisognauano altre ragioni, gli tralasciammo, come vani, sappiendo, che l'inganneuole apparenza, che quella densata parte produceua, non lasciaua luogo a’ Matematici di ritrouare il vero diametro della grandezza di tale stella, nè da quello, al calcular la lontananza, per ueder, se cotal grandezza poteua, ò nò, mandar, non solamente le spezie sue alla vista de'mortali, senza qualche mezo, che maggior la rappresentasse, ma eziandio, se ella douea durare, ò non durar tanto tempo, a lasciarsi uedere. Il filosofare adunque per ragion naturale intorno acciò, fù necessario, e non gli abbachi vostri Sig. Alimberto, da’ quali hauete cauato il diametro di tale stella, e da questo il tempo, che durar douea a farsi ueder sopra la terra; che, come ui hò fatto, per ragion vedere, vano, e stato il tutto: e l'esperienza, dalla sparita stella il conferma. perche non è durata quanto pensauate, secondo il calculo di tal diametro. Ma perche voi seguitate di far la figura per ficcar meglio nel capo altrui, quel che stimate hauer dimostrato contro di me, io giudico esser ben fatto, ch'io non la rimetta dinanzi a gli occhi de’ lettori, senza bisogno; poiche s'è abbastanza risposto, e abbattuto le prouanze vostre, come non a proposito da voi adoperate in tal materia. C. Onde più di 44 anni ancora, mercè di questi occhiali doueremmo goder la bellezza, e splendor di quella lampeggiante fiammella, se i ritrouamenti vostri, Signor Colombo, fossero veritieri. Il medesimo dico, se al Cristallino voi attribuite il moto di 36000. anni proporzionatamente diminuendo il tempo, si come diminuisce il moto. R. Io non mi posso tener di non copiar quì una dimostrazion sorella della vostra , ma più poueramente vestita, e di panni alieni alla natura sua, fatta di propria man del Pomarance Matematico dello studio Pisano. Si mouea in giro, dic'egli, vn pallone smisurato, per vn uerso in spazio di hore 24 e per l'altro uerso facea il giorno. tanto poco, che appena in cento anni passaua di lui una trocensessantesima parte. Le sue couerte galanti si moueano in 24 hore similmente, come il vestito, e coperto uentre. Ma per l'altro uerso una in più, l'altra in manco tempo faceua il suo proprio mouimento. Che occorse? Vna delle couerte, col suo lentissimo moto, venne appunto col suo rotto sopra l'animella del pallone, e in questa maniera si cominciò a uedere bene l'Animella prima ricoperta. Hora, se questa narrazione è uera; come può stare, che l'animella solamente in uno, ò due anni apparisca, e tanto uariamente, quanto al sito, poiche il rotto di quella couerta cammina adagissimo? Tali, e di sua mano, appo di me son le sue parole. Certamente, che l'esemplo del pallone mi muoue à dir, che il Pomarance, nella bottega del qual se fosse entrato Aristotele, come Socrate in quella di Simon filosofo Ateniese, che prima lauoraua di cuoiami, dice il Fulgoso; lib.8.c.7.egli in tutto li saria simile. Questa dimostrazion senza tanti aggiramenti di lettere alfabetiche, incollate aposta sù le uostre inconsiderazioni, per farui tenere vn solenne matematico da chi apparò l'A, b, c, sul Mellone, rileua il medesimo, che la uostra. Sig Alimberto io sò, che uoi medesimo direste al Pomarance, se il Colombo hà con tanta facilità risposto, e abbattute le mie ragioni, e mostrato, che non fanno al proposito del suo concetto a che fin uolete, che risponda à tal dimostrazion, che più tosto scema la forza, e l'efficacia della mia? E con ragione il direste, poiche niuna parte, benche minima è in questa dimostrazione, a cui non seruano le medesime soluzion fatte alla uostra. Egli dice ben qualche cosa contro di uoi, posciache afferma, che ella non apparirà un tratto; ma in un'anno, ò due, e uoi concedete, che 18. mesi ancor consumò nella partenza, alla considerazion 51, sì che trè anni, ò quattro sarebbe stata, tra'l uenire, e l'andarsene, in quella densità. E questa è la cagion, che mi hà fatto notar qui, il parer di quel ualent'huomo. Ma se pur uoi uoleuate, quanto al tempo, adoperar le calculazioni, e regule ordinarie degli Astronomi; perche non hauete seguitato le calculazion del Magino, da voi riceuute per vere; massimamente, dicendo voi, che io seguo l'Ipotesi Alfonsine, che son superstiziose? Ne potete risponder, che vi accommodauate alla mia opinione, perche non determinai più vera quella, che l'altre, non mi facendo di mestiere. Ma sò perche il faceste: per pigliar più cagion di disputar, che di trouare la verità; essendo, che, se il moto del Cristallino, e compito in 1717. anni, secondo il Magino, veniua manifestamente a esser vero, che l'apparita stella potea , nel tempo da voi assegnatole, esser entrata, e vscita della densità sottopostale. imperoche, se ben mostraste, che al calculo di 49000 anni 22. sarebbono stati quelli, che bisognauano a ricoprir tutta la stella dalla densezza del Cristallino; al calculo di 1717. anni trouerete, che à mesi noue, e mezo incirca ridotti saranno, se vi si concedesse, che dieci scrupuli fossero i diametri della densità, e della stella ancora. Non rimane adunque più luogo al vostro dubitar, che stirpato, e diradicato totalmente non habbia. Discorso. E che mediante quella densità, maggiori appaiano, quelle celesti fiammelle, esempio ne sia il ueder, che, se altri in uaso di Cristallo pien d'acqua rimira, doue moneta d'argento, ò che che altro ui sia, molto maggiore apparir si uede, che ueramente non è. E in somiglianza d'un Sol risplende piccola candela accesa, dinanzi a cui, s'oppon guastada d'acqua, è di simili cosa piena. Fissa, e non errante quella nuoua stella, e l'altre simili ancora affermano gli Astrologi essere. Imperocche mai non hà distanza, ne aspetto uariato con le medesime stelle, che seco nel Sagittario configurauano, ò non è uarianza stata, che sensibile appaia: conciosiache il Primo mobile, in cui cotale stella fa dimoranza, habbia un sol mouimento da Oriente in Occidente, facendo tutto il giro, per lo spazio di uentiquattr'hore, seco riuolgendo qualunque altro cielo inferiore. Ma dissi, che sensibile appaia: imperoche ueramente egli ui è qualche poco di uarietà; attesoche ella si cagiona, ben che menoma sia, da i mouimenti del Cristallino, e dell'ottaua sfera. Considerazione XXXXIII. Si troui altro esempio. perche questo, con sopportazion vostra, di Macrobio, del Sacrobosco con tutti i suoi commentatori, non è vero; Risposta. Dagli, che e' non uede. L'impresa del Duca di Borbone non ci sarà per nulla. Leuò, egli, un pignattello di fuoco lauorato per impresa; il motto dicea, Zara à chi tocca. così uoi, senza rispetto ueruno, tirate alla ritonda. Ah Signor Mauri, così trattate chi ben ui serue? Non fecero già, come uoi gli Ateniesi, deliberando, in quella lor legge, che, chi seruiua altrui sino alla uecchiezza, douesse essere spesato fino alla Morce. Lascio andare un soldato à sua liberta un cauallaccio, già uecchio, il qual, come cittadino, errando per la citta, e morendo di fame si mise a roder'un pezzo di uitalba attaccata in luogo di corda alla campana, che soleua raunare il Magistrato sopra ciò eletto, sì che la campana sonò da lui tirata. Vnitisi uidero il ridicoloso spettacolo, e comandarono al soldato, che osseruasse il priuilegio ancora al cauallo, e lo spesasse. O Macrobio, o Clauio, o Sacrobosco: alle mani del Mauri accadera a uoi peggio, che a quel cauallo? Voi, che fin'ora hauete sparte per lui tante fatiche, e di cui, per impugnar opere altrui, egli si è fatto scudo, farete a torto contanta ingratitudine uilipesi da lui, e dispregiati? C. Anzi vi dico, che io perciò, se voi non vi dichiarate, di che forma vogliate, che sia questa vostra densita, vi sono vniuersalmente per negare, che ella maggiore possa render l'oggetto, al quale ell’e posta dauanti, poiche vna moneta ò altro in vaso pien d'acqua apparisce nella sua vera quantità, come se fuori di esso vaso si ritrouasse: Onde mi vò maraugliando d'alcuni valent'huomini, che, dall'autorità del Sacrobosco, si son senza ragionone alcuna in ciò lasciati ingannare. R. La marauglia vostra nasce dal non saper voi, che questi valent’ huomini, non sono stati presi alle grida dell'autorità di veruno, ma dalla stessa esperienza, che ne dimostra cotal verita, da voi non conosciuta, come io vi prouerò appresso. Come volete ch'io mi dichiari meglio, di che forma la densita del Cristallino sia stimata da me, che con l'esemplo del vaso di cristallo, e della guastada dell'acqua ? E perche dissi di cristallo, se non perche rotondi si fanno simili vasi, e perche, essendo trasparente, si rimirasse per quello l'oggetto, che vi traspare? Io raddoppiai in fin l'esempio, per esser bene inteso; e di più volli propor due oggetti visibili, vn luminoso, e vn colorato, per mostrar, che amendue faceuano tale effetto, se ben l'vno assai più, che l'altro; posciache i raggi del luminoso si spaziano oltre la grandezza del proprio corpo, che gli produce, e reflettendo si in vn corpo sodo, e terso, si fa la multiplicazion di essi, che lo splendore accresce. Ma ditemi di grazia, che pensier capriccioso si v'è egli toccato di negar l'esperienza del Sacrobosco, e di tanti altri famosi? Dirò, che egli v'è paruto di hauer occasion bellissima, per mostrar le vostre profonde osseruazioni; e insiememente le balordagini di quei tali, perche si vede, che l'hauete ricercata col fuscellino, hauendo fatto vista di non intender, se piana, ò rotonda debba esser la superficie della densita, mediante la qual si e dimostrata la stella a gli occhi nostri, per dinegare assolutamente, che vero sia, che, mediante vn’ corpo più denso di superficie piana, se ben trasparente, gli oggetti visibili maggiori appaiano, che di vero non sono. Hora perche, forse, vi siete posto a guardar sopra vn vaso d'acqua, in cui sarà stata moneta, ò altra somigliante cosa, da voi offeruata, per la sua piana superficie; ne parendoui maggior di quello, che fuor dell'acqua si paia, per esser poco sensibile tal differenza, hauete creduto più all'ingannato occhio, che alla persuasa ragione. Imperoche se bene è vero, che, a rimirar per la parte curua, quella moneta, o altro visibile oggetto molto maggior si rappresenta, per la parte piana del vaso pien d'acqua; nulladimeno, ancora per la stessa piana superficie, maggior, che egli non è, si fa vedere. E questo, perche la disgregazion delle spezie, e de'raggi, mediante la refrazion, che in quel corpo denso, e trasparente si cagiona, rassembra maggior gli oggetti visibili. Prouo, che l'occhio in si poca differenza rimane ingannato, e non conosca la maggioranza della apparenza, quantunque ella vi sia. Non dicono i matematici, e perspettiui, che due oggetti di ugual grandezza posti l'un, per esemplo, venti braccia lontano, e l'altro quindici, per la medesima dirittura dauanti a gli occhi, quello oggetto, che più lontan si ritroua, apparisce minore, e maggiore il più vicino? Si. E questo, per cagion dell'angolo, che è più acuto nella piramide dell'oggetto più lontano, che in quella del più vicino all'occhio, dicono adiuenire; e nulla dimeno cotal differenza per esser poco sensibile, non è conosciuta da l'occhio. Tale è la moneta, che nel vaso dell'acqua si ritroua in rispetto alla sua spezie, ò simulacro, che nella superficie dell'acqua si rappresenta. Imperoche, se l'acqua non vi fosse, la moneta si vedrebbe nel fondo del uaso, che è più lontano all'occhio, e non si rappresenterebbe nella superficie dell'acqua, che è più vicina. Onde per conseguenza, maggior si rappresenta, perche sotto maggior angolo, si vede, come l'esperienza insegna, e'l dite voi medcimo ancora. Ma con tutto che questo sia verissimo egli è vero, eziandio, che il senso, in cosi poca differenza rimane ingannato, sì che niente maggior li par la specie più vicina, che la moneta più lontana, quantunque ui s'aggiunga la refrazione. Cosi appunto à voi è accaduto, per esser la differenza in poca distanza, poco sensibile, ma diuero differenza ui è. Sento, che uoi rispondete, che l'esempio non corre; percioche le monete poste in diuerse distanze, fanno quella differenza di maggiore, e minore apparire, ma non già la moneta nel fondo del vaso, e la sua spezie nella superficie dell'acqua , perche nel venire all'occhio và sempre diminuendosi, perche passa in forma di piramide, e cosi nella superficie, dell'acqua sarà più tosto minor, che maggiore. Ma io replico, che questo sarebbe uero, se dalla moneta all'occhio non fosse altro mezo, che aria pura, doue non si potesse far la refrazion, che dilata molto più la spezie della moneta; che perciò uien terminata in quella superficie dell'acqua, prima che uenga a terminarsi, e far piramide nell'occhio. Ne sia chi mi replichi non esser uero, che l'imagine, ò spezie della moneta si rappresenti nella superficie dell'acqua, dicendo, che la moneta si uede propriamente nel fondo del vaso, come se acqua non ui fosse, per esser trasparente imperoche questo sarebbe non solo vn error solenne in filosofia, che uuol, che le cose in potenza non sian sensibili, ma solamente quelle, che sono in atto; poiche la superficie della moneta nel fondo dell'acqua è in potenza, perche in atto è solamente quella dell'acqua, non potendo, rispetto all'occhio, che guarda, uedersi due superficie, l’vna dopo l'altra, sendo solo la prima in atto uisibile, e l'altra in potenza ma sarebbe eziandio pertinacia contro l'esperienza stessa, attesoche, chi non sà, che è metter la moneta in un uaso di rame, ò d'altra simil cosa, e tirarsi in dietro tanto, che l'orlo del naso la tolga altrui di uista; se il uaso si farà empier d'acqua, la spezie della moneta si lascierà ueder nella superficie, ancorche ueramente la stessa moneta nel fondo rimanga ? La spezie adunque si vede, e non la stessa moneta. C. E ben vero (e per questo forse sono scorsi in cotale errore, pensando, che l'esperienza fosse in fauor loro) che vna moneta, o pomo posto in bicchiere, o vaso rotondo di cristallo pien d'acqua, e rimirato, non di sopra, ma da banda del bicchiere, o vaso, sì che sia di mezo, tra quello oggetto, e gli occhi nostri il cristallo, e insieme qualche quantità d'acqua, apparirà molto maggiore, che egli veramente non è, non per la densita semplicemente, o dell'acqua, o del sottilissimo cristallo, ma per la forma conuexa, che riceue quell'acqua dal detto cristallo. Ed è chiaro; imperoche, se sola la densità dell'acqua, o di quel cristallo cosi sottile potesse cagionare cotale effetto, e la moneta messa nel vaso pien d'acqua veduta di sopra; e’l pomo posto nel bicchiere voto, rimirato da banda, apparirebbe maggiore, e non eguale alla sua vera quantità. R. Per ch'io non feci i vasi senz'acqua, egli feci di figura sferica, e di materia trasparente, accioche dalle bande si potesse guardare, io dico, che voi non parlate meco, ma con quei valent'huomini i quali credo, che risponderianò così: che in grande errore incorrerebbe chi credesse, che voi haueste carpati loro in errore; e che l'esser voi auuezo à sensazion molto sensibili v'ha fatto scorrere in questo error di negar quel, che all'occhio dell'intelletto è chiaro, perche non appare all'occhio del corpo; si come, per lo contrario, perche dal ciel sentiuate riscaldarui, affermaste contro le ragioni irrepugnabili, che egli fosse di fuoco, seguitando il senso inganneuole. Ma che anche, per mezo de'corpi piani diafani maggiori appaian le cose visibili, che, elle non sono, oltre a quello, che detto n'habbiano, sentite il sottil Cardano: C. Lapilli in acqua, & pisces maiores videntur quam sint. Ecco, che, senza che il mezo sia curio, o rotondo, maggiori ad ogni modo appaiono. e se bene in simili cosa non è molta apparente la diversita, basta che ella vi è; e questo si conosce ancor maggiormente esser vero, in comparazion delle cose molto sensibili, per esser fra di loro proporzion di più, è di meno maggiori, come manifestamente vede accader nelle stelle, dice Aristotele. Perche quando l'aria è vaporosà molto, e densa, le stelle si rappresentan maggiori in maggior numero, e più scintillanti ancora; e con tanta euidenza, che niuno è che lo neghi. Ma se pure a voi fosse venuto questo humor fisso, che non poteste credere altramente, io non istarò persuaderui, che il lasciate andare, poiche niente più n'auuerrebbe in prò mio. Ma di grazia, state sesto con questi capricci, perche vna volta non vi accada, come a quel pouero astrologo, che per la guasta imaginazione, parendoli sostenere il ciel sù le spalle a guisa d'Atlante, non volle mai partirsi d'una piazza per molte notti alla fila, benche fossero i freddi grandissimi, dicendo, che non gli patiua l'animo di lasciare andar il Cielo in terra; di maniera, che egli lasciò andar se stesso quasi morto per lo freddo. C. Il medesimo affermo, se alcuno volesse, che la densità dell'acqua insieme con la densità del Cristallino, senz'altra condizione semplicemente fosse basteuole a produrre negl'oggetti si fatta maggioranza: poiche vna moneta u.g. in vaso colmo d'acqua, sopra il quale vaso sia contiguo all'acqua vn cristallo diritto, e piano, rimirata per detto cristallo niente cresce, anzi apparisce di continuo egualmente grande. R. Hormai si comincia a non far piu frutto veruno, se voi non riprouate, di quei tali le ragion filosofiche, le dimostrazion matematiche, e l'esperienza del senso stesso, con far trauedere altrui con gli occhiali di Ghiandone, che eran di panno; poiche non vi contentate di traueder co'miei, che son di sostanza celeste. C. Si conchiugga adunque, che la curuità cagionata nell'acqua, mediante il cristallo sia di ciò la vera cagione: e conseguentemente si scorga insieme, che quella candela accesa con la guastada d'acqua messale dauanti, per prouare, che detta parte più densa del Ciel cristallino, senza altra considerazione, possa far parer la stella maggiore, anch'ella come vana, e superflua niente viene à confermare, ò dichiarare la vostra opinione: poiche ella apparisce, come voi dite, in somiglianza d'un Sole, non per la semplice densità, ma per la forma insieme dell'oggetto oppostole: onde da questo più tosto argomento, che’ l Sig. Colombo, non auendo data alla sua densità cristallina, la forma stessa della guastada, ne l'effetto di quella forma doueua altresì in alcun modo attribuire à quel denso. R. Conchiudasi, pur come si è prouato, me voi adesso il neghereste, che non solamente il cristallo, ò altro simil corpo trasparente di figura sferica, ma di figura piana eziandio, può rappresentar gli oggetti visibili, per cagion della refrazion, maggiori, che veramente non sono, se bene, assai più grandi per ragion della curuità, si rappresentano da i corpi diafani di rotonda figura. E di più vi fò saper, che il solo cristallo, se la sola acqua, e i soli vapori posson cotale accidente cagionare, posciache, come si e prouato l'esperienza il dimostra nelle stelle, e ne i Pesci, e nella moneta, ò altro oggetto visibile; come ancora si sperimenta tutto giorno da chi adopera occhiali, che le cose maggiori fanno apparire. Si che non vi affannate per verso veruno a volerci mostrar difettosi nel prouare, perche vana è ogni vostra fatica. Anzi, che, quando non hauessimo dato gli esempi di vasi di figura rotonda, non si poteua credere altramente esser da noi intesa la forma della densità; poiche è nel corpo celeste, che è rotondo, e non di piana figura. C. Ne alla verità di quel che hò detto di sopra, niente importa la proua del Sole addotta per lo contrario, come esempio da Macrobio, e da altri, ilquale apparisce maggiore, dicono essi, situato, e nell'Oriente, e nell'Occidente, che nel mezo cielo; perche i vapori intraposti in quel tempo fra’ l Sole, e noi, ingrossando, e faccendo più densa la strada, per doue la nostra veduta passa, disgregano, à guisa dell'acqua corpo più denso della sottiglieza aerea, i raggi nostri visuali; R. Anzi i raggi del corpo luminoso, secondo la verità, se ben poco importa, poiche l'effetto è lo stesso come dice Aristotele. C Che perciò poi non ci è concesso veder l'oggetto nella sua vera quantità. Imperoche non sempre dalla combinazion di due proposizioni vere ne seguita la verità di quella combinazione. Dò vn’ esemplo. i pianeti son più vicini, e le stelle fisse più lontane. Inoltre: i pianeti non iscintillano, e le stelle fisse scintillano. Queste son due proposizioni verissime, ma l'accoppiamento loro, fatto da filosofi, che le stelle scintillino, per la loro lontananza, come si è prouato, è falso. Cosi dico; venendo al nostro proposito. Che il Sole ne’ detti luoghi appaia alcuna fiata maggiore, e che fra noi, e’l Sole sieno i vapori, è vero: ma vero non è già, se io non sono ingannato, che i vapori semplicemente sieno essi la cagion di quell'effetto. Ne mi dire: Perche nò, disgregando la vista ? Conciosiache io replico, che lo stesso douerrebber fare; quando il Sole è nel mezo del cielo. Forse, che non vi son vapori allora, che’l Sole per esser potentissimo, è conueneuole, che di essi in maggior quantità ancora, rispetto a quell'Emisferio, ne tragga fuor della terra? R. Questa fiata dalla combinazion di queste due proporzion vere, ne resulta di necessità la conseguenza attribuita loro, ciò è, che i vapori tra gli occhi nostri, e'l Sole verso l'orizonte fanno ingrossar di maniera il mezzo diafano, che ne cagiona refrazion di raggi, e da questa l'apparenza maggior del Sole. E vero è, semplicemente i vapori esser cagion della refrazione, se ben la figura rotonda, che pigliano, aggiunger suole augumento alla refrazione, e per conseguenza alla grandezza del rappresentato oggetto. L'esemplo, che voi date, per dimostrar, che non sempr'è vera la conseguenza da due vere combinazion cauata, conchiude contro di voi, perche di necessità da i filosofi quella conseguenza si caua, ciò è, che le stelle fisse scintillano, perche la lontananza loro cagiona difetto alla vista, donde appar, che tremin le stelle, come alla risposta della considerazione 11. si mostrò concludentemente, e si prouò ancora, che i pianeti, per accidenti, che alla lontananza equiuagliono, alcuna siasta scintillano, se ben regolarmente in essi non suol cotale effetto adiuenire. Ne vale il dir, che, se i vapori fossero cagione assolutamente della maggiore apparenza del Sole, che egli apparirebbe, tale anche nel mezo del cielo, per la maggior copia de vapori, che egli attrae dalla terra. Imperocche, se bene attrae molti più vapori, egli per la medesima ragion, che gli attrae in alto, per la stessa gli consuma, e risolue, ciò è perche maggiormente riscalda, più à retta linea reflettendosi i suoi raggi: il che accader non può, quando il Sole è nell'orizonte, non reflettendo con angolo acuto, e per retta linea sopra il nostro Zenit; e perciò, rimanendo i vapori per l'aria in molta quantità, e humidi molto, e grossi cagionan la maggiore apparenza del Sol, per causa della refrazione. Oltre che il mezo tra il Sole, e gli occhi nostri, nell'orizonte guardandosi, è più lontano, che nel mezo del cielo, sopra il capo nostro; e conseguentemente in maggior copia ci si parano dauanti i vapori; ma di gran lunga son più, per amor della superficie della terra, lungo la qual noi guardiamo, da cui i vapori procedono: perciò che, a guardar sopra il nostro capo solo quegli, che occupan lo spazio della terra, doue locati siamo, si paran dauanti agli occhi nostri, si che, il viuo, e possente raggio del Sole, supera quel leue impedimento, come se non ui fosse; e però, refrazion di raggi, non si cagiona, ne per conseguenza apparizion maggior del Sole. Aggiungesi, che a guardar verso l'orizonte, i perspettiui dicon che i raggi visuali, attrauersando il moto retto de’vapori, si produce maggior impedimento al vedere, che guardandosi in alto, secondo il mouimento loro, perche si fa l'intersecazione, o tagliamento di quei vapori dal raggio visiuo. E secondo Aristotele si può dir, che i vapori sono intersecati da i raggi solari. E che queste sien le cagioni, che il Sol nel mezo del ciel, rispetto a noi non appaia maggior, come nell'Orizonte, l'esperienza nelle stelle il dimostra, poiche, per essere il raggio loro meno efficace, per la maggior lontananza, e per esser minori, e simili altre differenze, appaiono alcuna fiata, mediante l'aria vaporosa, assai maggiori, quantunque elle siano sopra il nostro Zenit, e non nell'Orizonte. e questo massimamente accade nel seren del verno doppo notturna pioggia, perciò che molto humida l'aria si ritroua, come nel luogo sopra mentouato afferma Aristotile. C. Ma sien pure, per non istare a contendere, i vapori, come à voi piace, solleuati dalla terra solo, quando’ l Sole, ò si leua, ò tramonta; Imperoche con tutto questo, senza contrasto alcuno cotale opinion si scorgerà falsa. R. Concedete pur’ alla verità, che io per mè non uoglio in dono quel che di ragion mi si viene. Ve lo prouo con altra ragione euidentissima. Non è egli vero, che se il Sole non consumasse molti più vapori nel mezo giorno, che egli non eleua dalla terra, non solamente non consumeria quelli della notte, ma multiplicherebbono in tanta abbondanza, che, se non in continua pioggia, almeno in perpetua nebbia ci ritroueremmo ? Ma questo non adiuiene; adunque è falso, il vostro supposto. Non veggiamo noi, che quanto più il Sole, s'auanza sopra la terra, più si va l'aria purificando, e rischiarando da la caligine; e poi verso la sera comincia a ingrossare, e farsi più humida, e vaporosa ? C. Auuengache, se’l Sole tramontando apparisce maggiore, per eccitare in quel tempo gran quantità di vapori, la Luna, trouandosi nello stesso tempo, che quelle esalazioni vaporose son tirate per l'aria, nel mezo cielo, non ci dourebbe ella per la medesima cagione apparir molto maggiore, che comunemente non fà ? Certo sì. E pure ne crescendo, ne scemando ella resta la medesima. R. Se voi rispondeuate, certo nò, diceuate vero, e io mi sbrigaua. dalla risposta. La ragione è, perche, douendo la Luna cagionar la refrazione in quei vapori per apparir maggiore, non può produr tale effetto, mentreche il Sole illumina questo emisperio, conciosiache, ella non può mandar lume, e raggi, che superino il Sole, da cui essa Luna, il lume riceue; onde, il suo lume impedito, anche per buono spazio, dopoche à noi è tramontato il Sole, perche in quella alteza, doue i vapori sono, arriua di quello il raggio, null'altro adoperar può, che se luminosa non fosse, non potendo i suoi raggi ammortiti, e abbacinati venire alla uolta de’ vapori, per cagionarla refrazione in essi. C. Bisogna adunque, più sottilmente discorrendo, inuestigare altra ragione, che l'addotta per insin quì vniuersalmente dagli scrittori, della maggioranza più in vn luogo, che in un'altro dell'orbe solare, e di qual si voglia altra stella, ò pianeta. R. Io vò pensando, che, se voi foste da tanto, contro questi valent'huomini, di trouar nuoua ragione, e farla conoscer per vera, bisognerebbe, alla vostra ambizione, altra soddisfazion, che quella, che di sua propria man si volle pigliar quel dottor, che leggeua in Padoua; il quale, stimandosi ritrouator di nuoue dottrine, nè vedendo, chi sù le cantonate mettesse il Viua, per honorarlo, si risolue da valent'huomo di notte a pigliare vna scala, e per tutte le piazze seriuea su'l cantone, Viua il Signor tale Lettor Magnifico. Onde, in questa, fu dal bargello scoperto, che egli montaua su per la scala, e perciò creduto vn ladrone il fe da i birri fino alle prigion menare: e se non veniua lor veduto i calamaio della sanopia; che il buon huomo a cinto la hauea, e i pennello in mano, che assai chiaro testimon faceuano della sua innocente pazzia, la facenda gli passata molto male. Hora perche i ritrouator di nuove cose sono stimati come Dei, sarà mestier farui vn ciel nuouo a somiglianza di quello, che si fece il Rè de’ Persi, Sapore appellato, il quale era di Cristallo, poiche non poteua esser da vero. C. Ma auanti ch’io dica soura ciò l'opinion mia, si dee saper prima, che gli umori, e i vapori tirati in alto da forza, e virtù celeste, s'innanzano da qual si voglia parte della superficie della terra non in infinito, ma infino à vn certo prefisso termine, che molti dicono esser l'altezza di 52000. passi. R. Vedete come da voi medesimo contrariandoui da quel, che già conchiudeste, confessate adesso, che i vapori non posson penetrare il cielo, posciache arriuar non è conceduto loro a tanta eleuazion, come ancor'io di sopra vi prouai. C. Perche adunque la terra è sferica, sferica altresì viene à essere la superficie concaua, cagionata tutti quei vapori terminanti. R.Terminanti che? C. Secondo, che rimirando noi vn'oggetto, interposto vn cristallo di forma concaua, quanto più discosteremo detto cristallo da noi, tanto maggiore, come ne insegna la sperienza, ci apparirà l'oggetto proposto, se franoi, e’l cristallo sarà alcuna quantità d'acqua, ò altro vapor di mezo. R. Habbiate per vero, secondo gli occhi di chi non gli hà composti a rouescio, che l'effetto va tutto al contrario. O corpo del mondo, uoi doueuate pur farne prima l'esperienza, e poi dir, che ella uel'insegnaua. Io, che la feci fin da fanciullo, non l'ho però mai dimenticata. Il Cristallo, essendo il mezo, che cagiona cotal diuersità di maggiore, e minore apparenza nell'oggetto, è quello ancora, che accostandosi, ò discostandosi dee la uarietà detta produrre. sì che, se accosterete il cristallo all'occhio, perche egli si discosta dall'oggetto, l'oggetto appar maggiore; e disco standolo, perche si auuicina all'oggetto, l'oggetto appar minore. La ragion di questo è, perche in quel corpo trasparente, la lontananza dell'oggetto visibile, cagiona più spaziosa refrazion, che non fa la uicinità del medesimo, perche meno disgrega le spezie, e i raggi dègli oggetti visibili son più vniti, e il mezo appar men grosso, donde la refrazion si cagiona maggiore, e minor, secondo che è più, ò men denso. Ma uoi dobbiate hauer cambiato da ueder per uetro vna cosa, a vederla in ispecchio, benche della stessa figura concaua, ò rotonda egli sia. Percioche è uero; che nello specchio l'imagini appaion maggiori da presso, che da lontano; ma non fa questo a nostro proposito: Questa sarà l'altra: come uolete mai, che fra noi e'l cristallo sia situata alcuna quantità d'acqua ? Il cristallo sì, bisogna, che sia di mezo tra l'acqua, e gli occhi nostri, se ben l'acqua, e il cristallo insieme non son necessari, come uorreste, se non perche l'apparenza sia molto più sensibile, come che tale apparirebbe l’oggetto ancora, posto dopo vn grosso cristallo, come saria vna palla. C. Ora vengo al nostro proposito. Douendo noi vedere il Sole, sia egli situato in qual si voglia parte del cielo è necessario, che trapassiamo con la vista, per vederlo, la detta concauità, per tutto nascendo dalla terra vapori: e per essere per tutto quella superficie concaua lontana egualmente dal globo della terra. Perche adunque è più distante da noi quella concaua superficie, per laquale passano i nostri raggi visuali, quando noi rimiriamo il Sole posto e nell'Oriente, e nell'Occidente, che quella, per la quale passano, - quando lo rimiriamo nel mezo giorno; non è marauglia, direi io, ci appaia egli maggiore, e nel nascere, e nel tramontare, poiche, per vederlo, in qual si voglia altro luogo, dobbiamo passare con la veduta superficie à noi più vicina, sì come manifestamente si scorge nella presente figura. R. Non nasce altramente, dall'esser più lungi da noi quella concaua superficie, la maggiore apparenza del Sole come si è detto, perche farebbe l'effetto al contrario, sendo più vicina al corpo solare; ma la cagion di ciò sono i molti più vapori, che verso l'Oriente, e verso l'Occidente s'interpongon trà gli occhi nostri, e'l Sole, come dianzi si disse, ne'quali si cagiona la refrazion maggiore. E chi non sà, che la maggior lontananza, nel guardare il Sol dall'Orizonte, a guardarlo dal mezo cielo, non è tanta, che possa cagionar differenza così grande, quando questa fosse la vera cagione, si che nel mezo del cielo, il Sol grande, come veramente è, e nell'Orizonte cotanto maggiore apparisse? Poiche dalle Teoriche si caua, che dalla superfieie al centro della terra non sia differenza sensibile di lontananza, per pigliar le giuste misure degli emisferi; sì che tanto vede mezo il cielo quegli, che è nella superficie della terra, quanto quegli, che nel centro di essa si ritrouasse. Hora perche la vostra figura non solo non dichiara niente più il concetto, che si facciano le figure nelle fauole d'Esopo, ma eziandio suppon fondamenti, ò falsi, ò in prò del nostro parere, non farà mestier il ristamparla, sendo superchie cotali girelle, come dell'altre si è detto. Fra tanto potrete confessar, che, dopo vn lungo aggiramento, sendo fatti al vostro dosso que’ versi del Tasso. Così diceua, e s'auuolgea costui, Con giro di parole obliquo, e incerto. Poiche, in somiglianza d'huom, che sogni, siete caduto nelle medesime ragion di que’ buon Filosofi antichi, non ui essendo auueduto in qual maniera la vostra nuoua ragion, senza uerun fondamento, suanita sia; che non altramente vn ciel vi siate guadagnato, ma vn forno in cui potrete a vostra posta cacciarui. Discorso. Volgendosi il Cristallino, secondo il suo natural corso oppostamente, ma sopra diuersi poli, che tolgon la contrarietà, da Occidente verso Oriente, in 49000. anni il suo circolo finisce, auuengache alcuni dicano in 36000. che nulla al nostro proposito importa: e l'ottano cielo da Mezo giorno verso Settentrione, in settemila anni termina il suo periodo. Ondela positura delle stelle del Firmamento, con quella del Primo mobile, e la porzion della densità del cristallino, à quella sottoposta, fanno differenza da tre minuti l'anno, e meno eziandio. Considerazione XXXXIIII. Sono andato vn pezo frà me stesso considerando, perche'l Sig. Colombo, sù quali ragioni fondato, attribuisca'l moto di 36000, ò 49000 anni al Cristalino, e all'ottauo cielo di 7000. Poiche Astronomi famosissimi, ributtate, come inutili, e vane le Ipotesi Alfonsine, col dare all'ottauo cielo il moto di 25816. al nono di 1717, e al decimo di 3434 anni, apportate anno ferme ragioni, e dell'anticipazione molte volte degli Equinozi, e della maggiore, ò minore declinazion Sole, e di mill’altre curiosissime, e difficilissime apparenze, alle quali, per le inuenzioni del Re Alfonso, quantunque a questo effetto non con dimostrazioni, ma superstiziosamente immaginate, non si può, rispondendo, in alcuna maniera soddisfare: ma finalmente, perche io mi dò ad intender, che’l nostro Autore, per appigliarsi alla miglior di queste due opinioni, non abbia voluto cercar per la minuta delle lor ragioni; per che i Quadrati, Sestanti, Astrolabi, i qua’ soli gliele poteuan somministrare, essendo da lui mal trattati, a ragion di mondo, non gli erano troppo amici, mi son risoluto à credere, che egli, per andar più sul sicuro, senza tanti beccamenti di ceruello, si sia attaccato alla venerabile antichità. Risposta. Habbiate per indubitato, che se egli mi fosse stato mestier ritrouar la verità di cotali calculazioni, che io non haurei fatto come voi, che senza farne riproua, sempre hauete supposto il falso per vero, come poco dianzi vi mostrai, e v'hò dimostrato in molt'altri luoghi. Anziche, io n'hauea tanto poco da curare, che, per render più chiaro il mio pensiero, elegger volli quel calculo, che men fauoreuole esser potesse; per mostrar, che non hauea, che far col mio concetto, nè perciò mi è bastato. Ma facciamo di grazia, che, per lo vostro schiamazzio, io non me ne andassi preso alle grida. Che dite voi d'antichita? Questa opinion del Rè Alfonso è stata fin ora da tutti i posteri suoi riceuuta, saluo, che dal moderno Signor Magino e quegli, che oggidì il seguono. Onde non si può dir, che io mi sia messo a cauar delle tenebre vna opinion non riceuuta da verun famoso; come faceste voi della terra; dicendo, che si volgeua in giro, e che il Sole era nel centro del Mondo.Vi vò dir più, che io il feci ad arte, per mostrar, che qualunque si volesse di questi computi, ò non impediua, ò s'adattaua a mostrar la verità del mio proponimento, come veduto hauete, non che stroppio arrecarse. La doue, sè le calculazion del Magino, seguitato hauessi, non sarebbe rimaso cotal dubbio irresoluto a coloro, che non bene eran capaci del mio concetto, come è adiuenuto al Mauri, che, per la prima fiata, che ha messo alla stampa; ha dato in questa rete, per farsi scorgere. Se volete veder; se gli strumenti matematici mi son nimici; e se chi attende alle filosofiche scienze gli sà maneggiare, a vopo, come si sappia quegli, che è semplice matematico, e massimamente applicando le matematiche a simili concetti, se bene io cedo a molti, e sò che molti, ne san più di mè, da mè conosciuti per tali, replicate pure alle mie risposte, e vedretene la proua (perdonimisi questa iattanzia) che per diruela iò non hò di voi paura veruna. C. Il perche quì ancor’io, se non temesi, è guisa d'vn corbo crocitando con la mia roca voce, muouere a riso, aurei buona occasion di far l’huomo, alzando la voce, sì come’ l nostro Colombo, e fare vn’ Apostofre in rommarichio à questi nostri moderni astronomi, dispregiati solo per quello, perche doueano esser da più reputati, quali perche conosceuano, che l'Astronomia si fonda sù le osseruazioni, e che queste nel mouimento de’ cieli tanto si anno più sicure, e perfette, quanto maggior tempo e trascorso, si affaticarono per innalzare, e aggrandire perfezionando, questa nobilissima scienza: onde poi non per arroganza, ma per auere miglior fondamenti, ch’e’non aueano essi, essendo à loro potesririo, trauiarono dagli antichi, delle loro. I potesi, manifestando la falsità, e lo’nganno, e delle proprie la verità con istabili, e fortissime dimostrazioni. R. Di uero, che molto meglio faceuate a comparar voi al Coruo, che mè, conuenendoui assai più, non solo il suo mantel morello, che a un Colombo, ma eziandio per le sclamazioni insolenti, che fate, e da ogni prudenza lontane. Onde di certisimili cicaloni, Euripide disse, Clamoribus tanquam Corui imperfecta sonant, Iouis aduersus auem diuinam. E tale sembrate voi contro queste salde dottrine. Io non solamente non dispregio, ma honoro, e reuerisco i buoni astronomi, leuandoli delle mani à voi, che non sapendo seruiruene à tempo, gli strapazzate, e vene valete, contro il creder vostro, in mio fauore. Perche si come di età, in età volete, il che è vero, che essi di maggior perfezion diuengano, per le nuoue, e lunghe osseruazioni, sì che a lor sia stato lecito sin di ritrouar nuoui cieli; perche non sarà conueneuole ancora il ritrouar nuoue stelle, come di fatto è adiuenuto? E perche non si potrà ritrouar luogo comodo a quelle, e modo alla apparenza loro, che ragioneuolmente, e senza inconueneuolezza alcuna habbia del probabile, come è l'esser nel Primo mobile, comeche finora non vene siano state da gli Astronomi credute? Discorso. Non sendo il mouimento dello stellato diametralmente opposto à quel del Primo mobile, e perciò non è diuersita d'aspetto considerabile; massimamente, che i medesimi astrologi af- fermano, che non così puntamente, bene spesso, le misure di cotali differeze ritrouar possono. Considerazione XXXXV. L'Autore non ha detto cosa più vera, che questa [Non esser diametralmente opposto; ec.] Poiche ne diametralmente, ne in qual si voglia altro modo è opposto (seperò della Loica nonmi sono affatto dimenticato ( il mouimento del lo stellato da Mezo giorno à Settentrione, à quello del Primo mobile da Oriente à Occidente: ed è appunto, come s'egli auesse detto. La Neue non è nera. Il perche non è pericolo, che in questa parte egli abbia à temer d’alcuna contradizione. Risposta. Se io hò detto bene, à che fine hauete fatta questa inconsiderazion, per aggrauar più voi medesimo? Per certo, mai niuno stimerebbe, che voi vi foste dimenticato della Loica, essendo questo manifesto indizio, che pur non l'habbiate apparata. Che bella comparazion’è questa? Il bianco, e’l nero, Alimberto, son tanto contrari, che l'vno è priuatiuo dell'altro, e non capiscon nel medesimo tempo, nel medesimo subbietto; e perciò non vi e occasion di dubitar, se contrari siano, ò nò: ma i moti di quei cieli ragioneuolmente possono apportar, come hanno fatto ancora a voi, nel principio dell'opera, dubitanza di contrarietà, ed è accaduto ciò eziandio ad altre barbe, che alla vostra. Adunque le uostre proporzioni, e similitudini, non son di buona loica altramente, a dir, che è il medesimo, che se detto hauessi, la Neue non è nera. Orsù io non voglio scappar fuora ancora; e vò ritenere in mè molte cose, aspettando miglior tempo à cauar contro di voi i miei artigli, à somiglianza del Leone, di cui dice Plutarco, che mentre cammina, e passeggia tien l'vnghie raccolte, e nascose, per non le spuntare arrottandole, ma quando è'l tempo della caccia, le caua fuora in graue danno dell'inimico suo. Discorso. Per difetto di strumenti, e di che che altro si sia. Testimonianza certa ne fa, in proposito di quest'vltima stella, il S. Baldassar Capra, il quale scriue, che in Padoua osseruò diligentissimamente le distanze, e latitudini di quella, e'l proprio seggio, per mezo di Quadranti, e sestanti , ben due volte; e nulladimeno egli afferma di alcuni minuti esserui stata da una volta all'altra differenza, ò per causa di refrazion di raggi, ò per difetto di strumenti. Può ancora, dì quella densa parte vscendo, sparir tale stella, e minore, e maggior farsi vedere, e per più, e men tempo, secondo che più, e men grossa, e spaziosa è quella spessata parte, che s'interpone alla stella, e che assai, ò poco la stella, è ingolfata in essa. Considerazione XXXXVI. O poueri Astrologi, se prima non poteuate condurre à fine le vostre operazioni, per difetto di strumenti, che sarà di voi per l'auuenire, che mancherete degli Astrolabi, Sestanti, e Quadranti, i quali fra poco, per sentenza del Sig. Colombo, deono andare à giustizia. Vi moueranno una lite mi par, che rispondano tutti à vna voce: però in tanto preparateui à dar lor sodisfazion con vostri nuoui strumenti. Risposta. Per mia se, che voi non sareste gia l’auuocato, se io hauessi dato lor cagion di lite: anzi che non dourete per hauerli mal trattati, senza querele passarla già voi; Crediate pur, che vi morrete di freddo, se pensate scaldarui con accendere'l fuoco a casa d'altri. I miei strumenti a chi ben intende sono i medesimi degli altri, e solo a voi appaion nuoui. C. Io fra tanto vi prometto, come amico comune, cercar di alleggerire in parte lo sdegno conceputo contra di voi, spesso ricercando loro la cortesia vostra, poiche gli auete co’ vostri occhiali arricchiti del modo di vedere stelle, le quali non si ritrouano, ne ritrouaron giammai. R. Sì di grazia, per questa volta mutate natura poiche questi occhiali, v'hanno cosi sdegnato, con tanto lor beneficio, contro il vostro Colombo. Egli si conosce ben dalle vostre parole, che veramente, voi m'hauete ingiuriato, e spregiato, non per altra ragion, che per quella di quello Spagnuolo, come racconta Pietro Messia. Costui ferì in Barcellona Ferdinando Rè di Spagna, detto il Cattolico; il quale esaminato, perche ciò fatto hauesse, rispose costantemente; perche, se ben non mi hà fatto cosa veruna, con tuttociò il Rè non ha mia grazia, e non lo posso ueder, ne sentire, sì che, quantunque mi fosse perdonata la vita, non la perdonere’ io a lui. Caso certamente singolare, se voi non li haueste fatto compagnia, ferendomi con la lingua, che è peggior della spada; e non per altra cagion, se non perche, auuengache le mie ragion sien vere, elle non hanno vostra grazia, e non piacciono a voi. Vedete pouerello, in che saldi, e pesanti ferri io v'hò stretti i piedi, accioche per lo vostro miglior siate forzato ancor voi à star in camera à studiar, come fo io. Ben'è vero, che potrebbe esser, che faceste, come Egesistrato Eleo, per uscir de’ ferrei legami, di cui referisce Erodoto, che si tagliò il piede; ma io non credo, che'l faceste. Chi dirà, che lo sdegno sia d'altri, e non si conosca solamente, esser in uoi, poiche egli vi ha di maniera affummicati gli occhi dell'intelletto, che ancor che veggiate con gli occhi del corpo la nuoua stella, volete pertinacemente dir, che non si ritroua, ne ritrouerà già mai? C. E di vero, che per questo dourebbero rappacificarsi, e restar di voi sodisfatti in tutto, e per tutto, attesoche, se la perfezion dell'Astronomia consiste nello speculare, e conoscere i corpi celesti, quale obbligo conuiene abbiano gli Astronomi à chi hà cotanto aperto, co’ suoi ritrouamenti, loro l'intelletto, che per arriuare con la veduta a' cieli, i quali altrimenti sono inusibili, anno maggior facultà di potere acquistare con sì fatto mezo, una cognizion più perfetta di cosi nobile scienza. R. Cosi foss'io sicuro, che vi rappacificaste voi, come son certo di non hauer guerra con altri astronomi, non hauend'io parlato, ne contro la uerità delle discipline loro, ne contro niuna persona: ma io ne stò di mal talento, non vi essendo potuto scapriciar, come pensauate. Pur, se uoi siete crucciato a torto vostro danno. Che dite uoi di inuisibile? Non si prouò egli, che, inuisibile, e impenetrabile alla vista non e il medesimo, se ben uoi gli confondeuate, e che quelle parti di ciel, che stelle non hanno, per esser diafane son penetrabili; e uisibili son quelle, che son lucide, come le stelle, pur che la troppa lontananza, non le tolga di vista ? C. Voi Sig. Colombo alla barba di quegli antichi Astronomi, che con tutti i loro arzigogoli nò si seppero immaginar cotali inuenzioni; auete loro additato, e fatto vedere il Primo mobile stellato. R. Al seruigio vostro Sig. Mauri, se ben vi dispiace. Percioche, si come dissi alla Considerazion 44 fù lecito all'Eccellente Sig. Magino, e con molta sua loda ritrouar nuoui cieli, perche non sara lecito a mè ritrouar nuoue stelle ? C. Conciossiache quantunque gli occhiali si ritrouassero la prima volta nel 1208. nulladmeno l'uso loro, essendosi in questa lungheza di tempo annighittito solo in oggetti vili, non è stato mai, se non ora da voi, adoperato, e adattato in fauor’ dell'Astrologia à cose sourane, e celesti. R. State attenti Sig. Lettori, che questo prode huomo, non per altro ha appiccato il discorso de gli occhiali, se non per dire il parer suo d'intorno all'inuenzion di essi la qual consiste nell'autorità, di fra Giordano da lui citato in margine. Signor Mauri fare a mio senno; vn'altra volta nelle prediche di fra Giordano apparate le cose spirituali, quale è quella del non dispregiare il prossimo come fate voi, e nelle secolari, se pur volete qua che cosa apprendere, vna sia la fiorentina fauella, della qual, se voi ne siate bisognoso, dianzi vi feci vedere. E certamente le prediche sue son lodate di lingua purissima dal Saluiati, per esser nate in quel buon secolo, non lontano da quel del Boccaccio, quando fiori il Passauanti della medesima religion Domenicana, scrittor nobile. Ma se pur nell'origine degli occhiali haueste per autoreuole il parer di Fra Giordano; dite, che intende dell'inuerzion più polita, e perfezionata, e non dell'assoluta, di cui fa menzion Plauto antichissimo poeta dicendo; [ Conspicillo vti necesse est. ] Perche, altramente, io dirò, che voi intedete tutti gli autori in quel modo appunto, che non vorrebbono esser intesi. Io vi veggo cotanto inchinato à ritrouar le deriuazioni, e gli inuentor degli strumenti, che mi fò marauiglia, che non habbiate ricercato dell'Astrolabio, per nobilitarlo, a cui sò, che hauete molto più affezion, che agli occhiali; se è reputata per vera, nel Ghetto dagli Ebrei, la sentenza de’ lor Rabini; ciò è che nel Razional del Sommo Sacerdote fossero scolpiti i nomi delle dodici Tribu, e con ciascun nome vna costellazione, donde gli Astrologi habbiano appreso il concetto del fabbricar l'Astrolabio, dice Auenezra. E certamente hauete mancato, perche questa non era men bella, che quella degli occhiali. - Discorso. Esemplo ne siano alcuni specchi con certo artificio lauorati, che l'imagini, hor grandi, hor piccole rappresentano, se per lo dritto, ò capo volti in mano si tengono. E ciò non da altra cagione ad uien, che dall'esser quel vetro pien di alcune inegualità di grosezza, e sottiglieza studiosamente fatte. E io n'ho veduti certi, che il viso altrui cosi disfoggiata grandezza rappresentano, che muoue a riso chiunque rimira in quello. Dimostrazione in vero, che leua ogni dubitanza, come per mezo di quel denso apparir possa così grande quella stella, che Gioue rassomigli. Ma che nel Cristallino cielo il raro, e'l denso ritrouar si possa, la stessa Luna, il fà palese, non solamente con le sue macchie, che altra cosa non sono, che parti più rare, non dal Sole illuminate, cedenti al trapassar de’ raggi di quello; ma eziandio la Galassia, o vero Circol lateo lo ci conferma: conciossiache, quel piazzamento di biancheggianti particelle, altro indizio non mostri, che di molte densita di raro compartite e fatte dal raggio solare del color del latte apparire. Non dico gia, che quella densa parte del Cristallino sia oscura, e spessa a guisa di quelle del corpo lunare; imperoche, sì come la Luna il Sole occupa traponendoglisi, cosi le stelle verrebbon da quella densità nascose, anziche portate a gli occhi de'riguardanti. Onde affermar si dee, che ella sia in somiglianza di cristallo, quale appunto il nome di quel ciel ne significa di manierache, nel modo stesso, che l'aria humida, e vaporosa, nel seren del verno, doppo vicina pioggia, più stelle, maggiori, più chiare, e scintillanti ci fà vedere, così, e non altramente adopera quella spessata parte del Cristallino cielo, per rappresentar le stelle, a cui s'interpone. Hora, se chi che sia domandasse, per qual cagion, tale stella, esser non può nel Cristallino, e quella densità sottoposta nello stellato, ò nel ciel di Saturno, ò di qualunque altro pianeta: io risponderei, che nè la stella, nel Cristallino, nè la densita, sotto di quello può hauer luogo. Primieramente, perche non solo, con l'autorità si proua il Cristallino cielo, esser di stelle spogliato, come tutti i sacri, e profani scrittori affermano, ma la ragione ancora dall'esperienza si prende, attesoche, se stelle nel cielo acqueo si ritrouassero, bisognerebbe dire, ò che, per sè medesime visibili si farebbono a gli occhi nostri, e cosi mai non si perderiano di vista, e veddrebbonsi, oltre acciò, mutar positura, con quelle dello stellato, per la varietà de’ mouimenti dell'vno, e dell'altro cielo; cose, che amendue per tanti secoli trascorsi, false appaiono. O veramente, perche siano apparenti, vi fa mestier di quella parte di ciel più densa, che sottoposta cagioni la veduta di esse stelle. Ne questo eziandio hà di verisimile apparenza: conciosiache, dal Sole verebbe quella densa parte illuminata, come adiuiene alla Galassia; e perciò sempre apparirebbe visibile quella densita, ancorche buia, e spessa, quale il corpo Lunare, ella non fosse. Impercioche le molte parti, e quasi infinite di cielo, che in sì smisurata altezza l'vna dopo l'altra si ritrouano sopra quella densità, e la gran lontananza, che è da essa a gli occhi nostri, officio adoperano equiualente alle molte parti d'un corpo in poca mole ristretto, e oscuro; attesoche, per tali accidenti ne’ corpi diafani, e che traspaiono, l'oscurita si cagiona basteuole per far la reflessione, e refrazzion de'raggi, e diuenir luminosa quella più densa parte. Onde per simil cagione ci sembra colorato il cielo in somigliauza di Zaffiro, quantunque colorato non sia, dice lo Scaligero contra il Cardano, e'l Cardinal - Contareno, con altri famosi autori. Percioche i corpi trasparenti, o diafani, che dir vogliamo, dilungandosi molto, sproporzionato mezo douentano al vedere; e da tale sproporzion le tenebre si generano, terminanti dell'occhio la virtù visiua. Eccone l'esempio in queste cose terrene. I Laghi, Pelaghi, il Mare in somma, per la profondita loro, del color dello smeraldo appaiono, comeche verun colore in quell'acque non sia. e non per altra ragione, se non perche la moltitudine delle parti in tanta altezza d'acqua non cede il passaggio alla debolezza della nostra vista, e quella tenebrosita cagiona, che termina la visual postenza. E a chi uolesse pur creder, che, almeno da l'ottaua sfera in giù, non fosse distanza tale, che alla potenza visiua cotale oscurità rappresentar si potesse; nè conseguentemente illuminate ci apparisiero quelle parti di cielo più dense; ma l'apparenza di quella stella producessero: si risponde, che ad ogni modo non può questa densezza ritrouarsi in alcun degli orbi de’ pianeti. imperoche non vna sola stella per uolta; ne di lunghissimi tempi distante l'una dall'altra, apparita saria, ma molte, e molto souente vedute se ne sarebbono. Conciosiacosache quella densezza allo stellato sottoposta, ad ogni momento nelle stelle di quello s'auuerrebbe. Nè, per tutto ciò, argomentar mi si può egli contro con la medesima ragione, dicendosi, che quella densa parte, ch'io ascriuo al Cristallino, altresì dourebbe esser lustrata da i raggi del Sole, e per tanto nel medesimo inconueniente, ritrouarsi il mio concetto, nel quale hò cercato di porre il prodotto di sopra, circa la densità attribuita a gli altri cieli, cioè, che sempre veder si dourebbe, e nulladimeno perche il contrario appare, falsa debba la mia obbiezione stimarsi. Imperoche, se il Cristallino si ritroua cinquecento nouantanoue milioni, e nouecento nouantacinque mila miglia, e cinquecento lungi dalla terra; come sarà egli credibil mai, che, vn poco d'albore, che i raggi del Sole producessero in quella densezza, come egli si vede nella via Lattea, non si disperda, nel diffonder la sua spezie, per sì lungo mezo, accioche l'occhio la vegga ? Aggiungo, che il Sole non arriua co' suoi raggi tanto insuso, perche il suo lume non vi fa di mestiere, stelle non vi essendo; e la nobiltà, e dignità di quelle, che nel Primo mobile alloggiano, richiede splendor natiuo, e non accattato. Anzi vogliono scrittor famosi, oltre a Macrobio, e Auicenna, che niuna stella, fuor solamente la Luna, riceua luce dal Sole. Ma conceduto, che elle hauessero necessità de'raggi di quello, per farsi luminose, secondo alcuni, egli si dee intender di tutte le stelle conosciute da gli Astrologi, sino allo stellato cielo, se bene il viuace lume, che è in quelle m'induce à creder, che mendicato non sia, come quel del corpo lunare, che ammortito sempre rassembra. Conchiudesi adunque, i raggi del Sole, ò non traualicar l'ottauo cielo, ò cosi debolmente, e fiaccamente illuminar quella densa parte del Cristallino, che apparir non possa all'occhio de'riguardanti, come il senso uede per esperienza. Altra dubitazion sento uenire in campo, ed è tale. Se questa nuoua stella, mediante cotal densita appare, come potrà ella per ogni regione, e luogo vedersi, se tra quella, e la densezza sottopostale è tanto d'interuallo, che quegli, che, alquante miglia di sotto la linea retta perpendicolare alla densità, e alla stella si allontanasse, vedrebbe rimaner la stella allo scoperto, e non più apparire? E nulladimeno, per tutto questo diametrò della terra, s'è fatta questa celeste lampada vedere. Ma a questo si risponde, che, non solamente il Cristallino cielo, e per conseguenza quella sua densa parte ascende sopra la terra, in tanta altezza, che non ci è clima, ò confin si remotto, doue altri allontanar si possa sì, che mutazion sensibile d'aspetto si facesse: ma, che assai più rileua è, l'esser quella densa parte (altramente non produrrebbe tale effetto) di circuito molto maggior, che la terra non è. Testimonio della sua magnitudine fanno le stelle della sesta grandezza, che, quantunque le minori siano sì, che appena si ueggono, elle contengono l'ampieza della terra, dicciotto uolte cotante, e vn decimo incirca. Che adunque si dira egli di quella densista del Cristallino, in proporzione, e tanto più eleuata, che quelle non sono? Considerazione XXXXVII. Se questi vostri specchi, tenuti u.g. per lo dritto, facessero le immagini rappresentate loro dauanti. Risposta. Dauanti a gli specchi si rappresentan gli oggetti visibili, e non l'imagini, ma si ben gli specchi, riceuendo le spezie, in sè degli oggetti, gli oggetti rappresentano. C. Grandi semplicemente, mediante alcune inegualità contenute da essi, di grosseza, e di sottiglieza non sò per qual ragione poi capouolti (come voi dite) tenuti in mano, contenendo pure le medesime inegualità di grosseza, e di sottiglieza, perciò le medesime cagioni, per le quali e’ faceuano per lo diritto apparir maggiore l'oggetto, abbiano del tutto à produrre effetti contrari. Desidero di saperlo: ma di grazia non mutate pensiero, attribuendo à tali accidenti diuersa cagion da quella, che già quì auete arrecata; perche vorrei prima intender ben questa, per non esser fra quelle, che io stimaua perfettissime ragioni à sodisfare à si fatto dubbio; allo’mprouso m'è giunta addosso. R. Io diuero non mi marauiglio, che neghiate queste apparenze, perche, se per vostro difetto ciascuna cosa è da voi giudicata arrouescio, che gran fatto è, che l'arrouesciate vi paion per lo dritto? Chi meglio dourebbe saper, se cotale apparenza nasce da la detta cagione, ò nò, di voi, che vi reputate sì gran perspettiuo della cui disciplina è parte la Catoptrica, ò specularia, che dir vogliamo? E se altra credete, che sia la cagione (che a mè poco importerebbe, pur che l'effetto sia vero, per conseguire il mio intendimento) perche non l'hauete addotta, prouando, la da me assegnata esser falsa? Credete voi ch'io sia per farui vn libro intero di questa materia, doue tanti illustri scrittori ne hanno largamente fauellato, che non è huomo di mezana intelligenza , che non sappia i marauigliosi effetti, e quasi incredibili della specularia? Voi, che siate di quegli Astrologi, che si dilettano arrecar marauiglie, e stupore in certi cotali, che, dalle vostre ciance ingannati, oracoli v'appellano, non posso giudicar, che non sappiate far per via di specchi in apparir nell'aria l'imagine di chi che sia, come anticamente alcune donne maliarde faceuan per dar’ adintendere alle male femine, che per arte del Fistolo il facessessero, acccioche, da loro adoperate, fossero per cauarne buon danari. Dicono gli scrittor di questa facultà, che, per simili specchi, alcuni fanno apparir la faccia lunga, altri storta; schiacciata; tonda; molto larga; co'piedi in sù; con l'effigie fuor dello specchio; d’vna sola cosa diuerse sembianze; in diuersi colori; le cose grandi piccole; e le piccole grandi, le lontane da presso; e le presso lontane; e quelle, che son sotto i piedi di sopra; le soprane in fondo; quelle, che son in vn sito, in vn'altro; alcune cose ancor esser molte, se ben son’ vna sola; la destra parte destra; è la sinistra sinistra. Celio nelle sue antiche lezioni referisce, che un certo chiamato Histio, al tempo d'Augusto, fece specchi, che rappresentauano le cose tanto maggiori , che il dito auanzaua la grandezza, e grossezza del braccio. Il Fiorauanti racconta, che in Napoli un Gaualiere hauea vno specchio, che mostraua le spalle in cambio della faccia. Il qual caualier per gioco, daua ad intender che quegli, che non si uedeua in uso, non era nato legittimo. La Reina d'Inghilterra, si racconta che, essendo uana, fù dalle sue dame ingannata con una spera, che giouane, e bella apparir la facea, ma quindi a poco, accortasi dell'inganno, fece all'inuentrice di quella adulazion leuar la testa. Lo scelerato Agrippa faceua specchi, in cui le cose di quattro, ò cinque miglia lontano si vedeano, se dentro vi daua il Sole illuminandole. Pittagora sapeua farli cotanto lucidi, che diede occasion, per gli effetti che di lontano adoperauano, che si fauoleggiasse, che egli, in essi scriuendo, faceua per via direstesso ueder le stesse lettere nella faccia della Luna, di uarie parti del Mondo. Ma io hò letto in graue autor, che afferma, che questo era un gioco di Pittagora fatto così. pigliaua uno specchio, e uoltate le spalle alla Luna ci scriuea dentro col sangue; onde quegli, che leggeua le parole scritte, le uedeua nella faccia della Luna, mediante quello specchio. E il Cardano di sè medesimo dice, essersi ueduto con quattro orecchi, in uno specchio. Finalmente uolete altro, che questi tali uogliono potersi far apparir con gli specchi fin uolare un'huomo, come, se fosse un'uccello per l'aria. Molti de nominati autori insegnan le cagioni di cotali effetti, e insegnano ancora il modo di far questi specchi, se haueste voglia da'appararlo. Vogliono, che quest'arte habbia per soggetto la linea visuale reflessa, e refratta, ricordandoui però, che niente rileua, in questo proposito, se la visione intramittendo, ò estramittendo si faccia; è perciò si discorre co'termini de’ perspettiui, non ischifando di nominare i raggi visuali, o linee reflesse, e refratte, e somiglianti, perche non variano il concetto. Imperoche, secondo la verità, la refrazione, e reflession si cagiona ne i raggi dell'oggetto visibile, e luminoso dal mezo ingrossato, e denso, e non ne i raggi visiui, come si è detto alla considerazion 19. in risposta, e altroue. Di più dico, che refrazione, e reflessione impropriamente si dicono: imperoche quel che non è corporeo, ne materiale diuisibile, come è il raggio, non patisce simili accidenti; ma quel che appare esser refrazione, e reflessione altro non è, che generazion di nuoui raggi, e splendore come i filosofi vogliono, e in particolare il Zabarella. Tornando a proposito, questa è quella spezie di perspettiua, detta dà i Greci Catopatrica, e distinta dall'Optica, che la prima, le linee reflesse, e refatte; e la seconda, le rette consideria, pur nelle visuali parlando. I fondamenti delle apparenze di questa specularia sono i lumi, l'ombre, i colori, la tersezza, l'aspreza, il luogo, la distanza, la grandezza, la figura, la diuision dell'imagini, il sito, e la vista in vniuersale. Quanto a gli specchi, secondo la figura, se ne fan de’ Colonnari, piramidali, angolari, triangolari, quadrangolari, trombali, gobbi, sferici, torti, concaui, e somiglianti. Alcuni specchi son, che hanno forza di ristringer i raggi del Sole, che abbruceriano ogni gran cosa, che lor dauanti si ponesese; altri le cose ascose riuelano; altri fanno, che l'huomo appaia con due facce, con quattr'occhi, con trè, è monocolo ancora e il viso riuolto, la faccia corta, e larghissima. Hauete voi prouato a guardarui in vno specchio concauo, e ancora in cucchiaio d'argento, ò d'ottone, che non hà altro artificio, che quella concauità, e nulladimeno il viso apparisce volto in giù? La ragione è perche la spezie, o simulacro piegandosi, piramidalmente, per cagion del lume in giù, non trouando nello specchio il piano, doue fermarsi, scorre verso il centro per trouarlo, e così premuta in giù, verso l'estremo orlo, subito si ferma, per che termina quiui anche il lume, e perciò resta capouolta, e la destra si riscontra con la man sinistra, di colui, che nello specchio si rappresenta, ma capouolta: e tutto per ragion dell'aria, ciò operante, in quella figura di specchio, si cagiona. Che marauiglia, adunque vi fate voi, che uno specchio medesime, tenuto in mano, per lo dritto apparir faccia piccola vna cosa è capouolto, grande la stessa cosa rassembri? Che vi pensate, che quelle inegualità, per esser le medesime, mutando sito di già capouolte, e lumi, e ombre, e concauo, quel che era conuesso, e grosso, quel che era sottile nella suprema parte tornando, non facciano diuersita d'apparenza? Voi medesimo il sapreste fare, se quel cristallo rotondo, e grosso, di cui diceuate dianzi inseriste con l'arte solita in vna spera, che di fuora piana apparisse, ma dentro quella inegualita, o altre, diuersamente disposte serbasse. Non è egli vero, che alcuni pittori per uia di certe pieghe situate in guisa, che non appaiono, fanno ueder nel pian d'un quadro stesso, à chi per diuerse positure il riguarda, hora una sfera celeste, hora vna Scimia, hora vna Morte, hora vna bellissima Venere; e tutte queste cose a diuersi huomini nel medesimo tempo diuersamente posti à guardare apparir fanno ? Niuna dubitanza, per tanto dee hauersi, ò Alimberto, che la densita celeste non posta cagionar cotale apparenza, come l'esemplo, verissimo, e proprio totalmente, degli specchi ne dimostra. Discorso. Souuiemmi vn concetto d'un bell'ingegno, che tutte le raccontate opinioni, e, se altre cen’ ha ancora, stima non esser da accettar per vere, dicendo, che è molto più verisimile, questa nuoua stella non esser fissa, ben che nel firmamento, ma che, volgendosi per lo suo Epiciclo, non prima, che hora sia discesa nell'opposito dell'auge di quello; e perciò fatti i ueder nella parte intima, ciò è nella concaua superficie del suo cielo. Ma a dirne il vero, uadansi pur gli Astrologia lambiccare in altro il ceruello, se in tante miglia io d'anni non han saputo per tante osseruazioni conoscer, se le stelle erranti nello stellato ciel dimorino. Considerazione XXXXVIII. Risponderebbe vn'Astronomo, che non è verisimile, che questa nuoua stella, per voltarsi in vn suo Epiciclo, dal girar dell'Apogeo al Perigeo, diuentasse visibile: imperocche, per conseguenza, ella prima sarebbe apparita piccola, e poi di mano in mano, secondo l'auuicinar si al Perigeo, maggiore: ilche, come si è detto di sopra nella Conderazione 42. è falso. In oltre ella dal suo apparire, al suo sparire aurebbe di continuo fatta gran diuersità d'aspetto : le quali cose quanto lontane sien dalla verità, ciascheduno sensibilmente l'hà conosciuto. Ma vadasi pure à riporre l'Astronomia con tutti quanti i seguaci suoi, che le vere risposte son quelle del nostro Colombo, che è Filosofo naturale. Attendete, che elle s'andranno sempre esplicando. Risposta. Anzi che vn’ Astronomo, che hauesse risposto, come voi non poteua esser’ altri, che il Mauri, che per non esser filosofo in veruna maniera, se ben mostra di intender le proposizion in vniuersale, applicando a’ particulari non se ne serue a tempo, e luogo, ne come conuiene. Ma questo può benissimo adoperar quegli, che filosofia intende, sapendo elegger le più efficaci maniere per argomentare, e prouar quello che gli aggrada, lasciando le proporzioni in vtili, per non parlar senza profitto, come voi. Vedete se è vero. Perche uoleuate uoi, che io argomentassi, non poter, per uia d'un'epiciclo, cotale stella, esser apparita; attesoche ne seguitaua lei esser cresciuta appoco appoco, sè questo accidente è ad uenuto in essa, come sopra vi prouai? E perche dalla mutazion dell'aspetto, se in quella altezza non può hauer luogo la paralasse? Certamente ch'io sarei stato vn valente laua ceci. E se pur voleste per aspetto intendere impropriamente la varieta del sito di tale stella con l'altre; questo sarebbe maggior marron del primo. perche non solo quando la stella fosse stata nell'ottauo cielo, non sarebbon bastate le settimane ne i mesi, ne alcune volte gli anni, e i secoli eziandio per osseruar le mutazion de'siti, come gli Astronomi sanno; me che più importa è, che essend'ella in vn ciel superiore, la sua lontananza non potea lasciarla veder, se non quando era vicina al Perigeo del suo epiciclo. Onde, per esser minima parte di quel circolo; non poteua cotal diuersita esser sensibile a gli occhi nostri. E perciò tale argomento sarebbe stato di nulla valore. Di più, l'essere stata osseruata tardi cotale stella, non haurebbe lasciato conoscer questa differenza. Oltre che, per le uarie opinioni, cioè, se'l ciel'ottauo, sia penetrabile, ò nò, come tenete voi, se i raggi del sole illuminan tanto insuso; se le stelle hanno lume proprio, ò accattato, potendosi hauer cagion di si lunga disputa, per negar, ò affermarsi da gli vni, e da gli altri la varianza di tali aspetti, ò siti, in questa apparizione: perche non haurò adunque più lodeuolmente, lasciate queste vie incerte, e fallaci argomentato contro cotal parer nella maniera, che ho fatto di gran lunga più sicura? Discorso. E perche, dimanderò io, abbisognato sia tanto spazio di tempo a quell'Epiciclo, per condur dall'Apogeo al Perigeo suo quella luminosa fiammella, e farlaci vedere? Qual ragion da esso, addur si potera egli, che forse ridicola non sia, per dar luogo in quel cielo a vn'Epiciclo? Considerazione XXXXIX. Per essere cotale Epiciclo di smisurata grandeza. Ne questa ragione può esser ridicolosa, se voi mi concederete come veramente non potete mancare, che l'Epiciclo possa esser grande, quanto la grosseza del cielo, nel quale egli è situato. Risposta. Oh, noi siamo addietro vn pezzo: a dir, che voi vogliate che io non possa nega tal grandezza d'Epiciclo nel ciel Cristallino, se io non concedo eziandio, ne veruno scrittor sacro, ò profano, che epicicli vi siano, poiche non vi sono stelle. Ma ditemi grazia, non vi sarebbe in vano cotale Epiciclo, per nascondere, ò palesar la stella, ben che egli fosse grande, come tutta la grossezza del Cristallino posciache ad ogni modo mai non l'occulterebbe, quantunque fosse nell'Apogeo, se, mediante i vostri calculi, hauete prouato, che vna stella di simil grandezza si vedrebbe fin dal Primomobile? Dunque ui sara questa sola, poiche altre non vi si ueggono? E pur dourebbon uedersi le minori di gran lunga, come uoi medesimo affermate. Forse, che l'altre ancora ci occulta l'epiciclo? Voi stesso dite, ed è vero, che non si debbon conceder gli Epicicli, se non per saluar quell'apparenze, che in altra guisa, difender non si possono. Ma, perche per altra via, molto e più ragioneuole, si salua cotale apparenza; uano adunque sarebbe assegnaar, con tante inconueneuolezze, Epicicli al Cristallino cielo. Discorso. E se quegli replicasse, che, se nello stellato non vogliamo concederli esser l'Epiciclo, non per tanto non ui haura contrasto, che egli nell'Acqueo cielo, è quello immediatamente, supremo esser non possa, doue non sarà d'ammirazion, che tale accidente in quel ciel non sia stato osseruato, come altresì della medesima stella è adiuenuto; noi habbiamo di già, per le ragioni, e autorità, pur dianzi mentouate, chiaramente mostrato niuna stella questo ciel possedere. Considerazione L. Quantunque io non sappia, senza trarne qualche inconueniente, cauar construtto veruno di quelle parole [Doue non sarà d'ammirazione, che, ec.] mi pare nulladimeno, che cosi mostri segno di bello ingegno costui, in sì fatta gusa replicando, poiche ( e ciò si vedrà nella Considerazione, che segue ) mediante detta replica si conferma’ l suo parere. Risposta. Quelle parole mie, che hauete racchiuse, come scandolose, son di buone brigate, e non son comparite quiui per far mal officio, e à sproposito altramente: perche elle argomentano in fauor di quella opinione, mostrando, che, per esser fuor dello stellato cotale Epiciclo, non è da marauigliarsi, che non sia prima stato osseruato da gli astronomi, si come altresi noi reputiamo della stella del Primo mobile essere adiuenuto. Ma, se pur si douesse far rammarichio delle maniere di parlare oscure, di grazia osseruino i lettori, per non cercar altroue, questa considerazioni stessa, e dicanui poi, se meglio per voi era il tacere. perche, oltreche la gramatica è infelicissima, egli non se ne caua sugo veruno. C. Si come di poco valore quegli, che non abbatte i suoi fondamenti di maniera, che egli non possa farne disegno veruno, che vaglia. R. O uoi sì gli hauete rouinati, i fondamenti suoi con quelle risposte, non da filosofo naturale, come dite, che son le mie, ma da astronomo più che mediocre; poiche, come vi ho dimostrato, essi fondamenti appaion più gagliardi, nulla adoperando lor contro, ma giouando, l'obbiezioni, che voi fate dell'accrescimento, e dell'aspetto di essa stella; Discorso. Ma quando costui, qual miscredente, e pertinace creder volesse, il Cristallino, come gli altri cieli, non esser di stelle mancheuole; chi non vede, che il disegnar nuoui Epicichi, niuna cosa proua circa l'apparizion di nuoue stelle ? Imperoche non è egli vero, che quel cerchietto, dentro a cui si volge la stella, non la toglie mai di vista a riguardanti, portandola nella porzion superiore, come nella parte opposta, che la concaua superficie del suo ciel riguarda ? Saturno, per esemplo, ritrouisi nell'Auge, ò nell'opposito dell'Auge del suo Epiciclo, altra differenza non fà, che maggiore, è minore apparire, ma non mai si perde la veduta di quello, per ritrouarsi nell'Apogeo di esso circolo, in cui si gira quel pianeta. Hora, sè la stella nuouamente apparita, non mai più s'è veduta, se non in questi tempi, chiara cosa è, che per altra strada, che per mezo dell'Epiciclo a gli occhi de’ riguardanti s'è dimostrata. Oltreacciò, non tutte le stelle di quei cielo debbono hauere Epiciclo. Onde di quelle, che non si portano da gli Epicicli verso l'Apogeo, ma fisse nella concaua superficie del Cristallino cielo si ritrouano, supposto, che ve ne fosse, perche non si veggono almeno le maggiori? Che forse non v'è altra che quella ? E poi, farebbe di mestier, che il suo Epiciclo fosse maggior di tutto il ciel, nelquale egli si ritrouasse, à voler che vna stella, che grande rassembra esser, come Gioue la sua veduta ne togliesse, girandosi uerso l'Auge di quel circolo. Cosa, che veramente difficile sarebbe a persuadersi da Bruno pittore a quel melenso di Calandrino. Considerazione LI. Costui miscredente, e pertinace è quegli, che ne crede; ne vede per le vostre ragioni, che’ l disegnar nuoui Epicicli à nuoue stelle, non abbia à prouar niente intorno alle loro apparizioni, poiche la proua, ed esemplo dell'Epiciclo di Saturno, ò di qualsiuoglia altro pianata, non gli pare, che sia se non debolissmo. Risposta. Ella non è mica debole, come che voi, stimandola tale, vi siete fittole addosso con tanta voga, che, lasciando tutte l'altre al solito vostro, disperato di poterla con esse, non hauete pur fatto lor motto. C. Posciache, essendo’l diametro di quell'Epiciclo lungo, quanto è solamente grosso l'Eccentrico di Saturno; e piccolo à proporzion di quello, che è da lui assegnato alla nuoua stella. Onde, per allontanarsi poco dal Perigeo all'Apogeo, Saturno non si può perder di vista. R. Il fatto stà, che bisogna prouarlo, che egli sia tanto grande epiciclo, che possa leuarci la stella di vista nel suo Apogeo; il che non farete gia mai, posciache, quando fosse quanto è grosso tutto il suo cielo, ad ogni modo non basterebbe, come si è detto, per esser cosi grande la stella, secondo i vostri calculi, che hauea diametro non meno, che Gioue: e sareste contrario alla considerazion 39. affermando, che Gioue, fin dal Primo mobile, si vedrebbe. Voletene voi più ? C. Per un'altra ragione ancora, cioè perche egli è maggiore in se stesso di qualsivoglia stella della seconda grandeza Se adunque queste di continuo son visibili, e quello altresì, per esser sotto à quelle si dourà vedere, ancorche egli, arriuando’ l suo Epiciclo non solo al termine dell'orbe proprio, ma ancora, per dir così alla conuexità dello stellato, nell'auge di esso si ritrousse. Ma poiche, è Sig. Colombo, voi concedete, che questo Epiciclo sia nel ciel Cristallino. R. Adagio Signor Mauri, perche quegli, che troppo furiosamente corre a ferire il nemico souente accade, che ferisca se stesso. Voi il concedete; che vorreste esser quel miscredente : perche io hò molto ben prouato, che in quel cielo non posson gli Epicicli hauer luogo. C. Dicendo poscia, che egli à guisa di quel di Saturno, e degli altri Epicicli, non può far perdere di vista la stella, che è portata in giro, questo bello ingegno non potrebbe egli à vn tratto replicaruì (tacendo, che per esser il Cristallino di grossezà immensa, l'Epiciclo ancora potrebb'esser di smisurata grandezza) che non peruenendo co’ suoi raggi il Sole se non alla conuexità dello stellato, perche il suo lume più sù, come affermate voi, non vi fa di mestieri. R. Signor nò, che egli non solamente in va tratto replicar non potrebbe questo, ma ne anche, se egli duresse vn'anno a gridare senza vostra contraddizione, e delle demostrazion matematiche, fatte da voi, doue prouaste, che anche dal Primo mobile tale stella si potrebbe da noi vedere, per non istar'a disputar, se da mè sia stato conceduto, che il Sole ascenda co'suoi raggi al Cristallino, è nò [stelle non vi essendo] come io dissi allora, e voi non l'hauete osseruato. imperoche, secondo quegli che voglion, che le stelle riceuan lume dal Sole, è necessario dir, che il suo raggio vi arriui, conceduto, che stelle vi siano. Hor tirate innanzi a vostra posta. C Questa nuoua stella, arriuata che ella fù al Perigeo del suo Epiciclo, contiguo al conuexo dello stellato, venisse allora ad apparire, e risplendere, per essere in quel punto alluminata dal Sole, la qual, non potendosi prima da esso far cotale effetto, era sì, come è ora, discostata dal Perigeo, oscura, tenebrosa, e però come è la Luna inuisibile. Conciosiache, come afferma il Clauio, e voi, eccettuando solamente quelle del Primo mobile, non lo negate, tutte le stelle, e secondo i Filosofi, e secondo gli Astronomi, in quella guisa, che si è detto di sopra, riceuono la chiareza, e splendor dal Sole, come lor Signore, e padrone : e cosi replicando questo vostro auuersario miscredente, non sarebbe finita frà voi la contesa? Se però non voleste à voi stesso contraddire col negare, che più in suso non arriuino i raggi del Sole, e che le stelle, per farsi luminose, non abbiano necessità di quelli, contro alle cose da voi più volte concedute. R. E possibil, che voi pensiate , che sia chi vi creda, che, se stelle fossero nel Cristallino, elle rimanessero mai cotanto oscure, che veder non si potessero, sè però abbisognasse lor la luce del Sole per la perfezion maggiore? Quale stella vedete voi sopra la Luna, che non habbia lume più viuo di essa? Vn ciel tanto più nobile di quel della Luna, che voi stimate simile alla terra, haurà le sue stelle oscure come è il corpo lunare? Ma andate; che si come la Luna si vedrebbe, se il Sole non la illuminasse: perche non sarebbe il medesimo d'vna stella del Cristallino, grande come Gioue senza il lume del Sole, se è più lucida della Luna? E che'l corpo lunare si vegga senza che illuminato sia dal Sole, ciò appar manifesto nella sua ecclisse. Il Padre Clauio al capo primo da voi citato dice il contrario di voi; atteso che tien che le stelle habbiano lume proprio, se ben crede, che elle n'habbiano anche dal Sole, [ Saltem perfectius, ] palando delle stelle note e non di quelle, che fossero sopra l'ottauo cielo, le quali, per esser di sostanza più nobile, non dee credersi, che lucentissime non fossero. Anzi che come di sopra si disse; Macrobio; a cui voi credete, fino il suon celeste, afferma con Auicenna, e altri, che le stelle, fuor solamente la Luna, non riceuon lume dal Sole : e io dissi, che gli Astrologi intendeuan solamente, le stelle conosciute, fino all'ottauo cielo, mendicare il lume dal Sole, se bene il viuace lume di quelle ne persuade incontrario, come ancora afferma il Pererio, dicendo, che è più conforme alla Sacra Scrittura: portando in mezo le parole del Dottor delle genti, che vuole ciascuna stella hauer proprio splendore, e differente frà di loro ancora cosi discendo. Aliam esse claritatem Solis, aliam Lunæ, aliam stellarum, & stellam à stella differre in claritate. Ecco, che la lite è finita; non con esso lui, che non sarebbe entrato in queste contese vane, ma con esso uoi, e diuersamente da quel, che pensauate. Ne mi contraddico per certo in niuna cosa, che nel discorso, ò qui habbia affermata, ò negata, come hauete veduto, se ben non - inteso. Ma voi, buon prò ui faccia, sempre riscontrate cioche andate cercando. imperoche voleuate, che io mi ricordassi di scoprir le vostre contrarietà, poiche affermate adesso, i raggi solari passar fino alla conuessa superficie dello stellato cielo, e nella considerazione 39. 53. 36 e 11, volete, che appena arriuino alle stelle nella concaua superficie, dicendo, che fiaccamente arriuandoui i raggi del Sole, quindi la scintillazion nelle stelle sì cagioni: e mostrate ne’ detti luoghi, che non sia penetrabile il cielo stellato in modo veruno da i raggi eziandio. C. In questa maniera adunque, mediante le stesse uostre conclusioni dichiarata, e accommodata l'opinion di quegli, à cui di bello ingegno, forse per ischerzo, auete dato il nome. R. Non per ischerzo, ma con arte da voi non conosciuta. C. Non potrà esser refutata, e annullata, perche cotale stella nel principio non apparisse piccola, ò non abbia mai cangiato aspetto : poiche l'oposto dell'Auge, doue ell'appari, e quasi, che vn punto. Dalladual cosa si può arguire anche alla ragione, perche mai più ella sia stata veduta: auuegna ch’e' sia chiaro, che se ella à passare quel poco di spazio hà consumato più di dicciotto mesi, gran tempo altresi le è bisognato à girare, ò la metà, ò tutto l'Epiciclo, ilquale molto più grande potrebbe esser del Firmamento, per quanto si è ragionato di sopra della grosseza del Cristallino, per farsi luminosa, e à noi visibile. Mi da solamente noia, per affermar questa opinione, l'esser cotale stella nello sparire diminuita. R. E a mè, per negar quest'opinion danno aiuto, come hauete veduto, tutte quelle cose, che pensauate, che la fauorissero, e quelle, che vi danno vggia per mio creder la confermano, massimamente seguitando i fondamenti vostri. C. Conciosiacosache, se ella si fosse lasciata vedere, e fosse sparita per arriuare, e partirsi dal Perigeo del suo Epiciclo, sì come ella non venne crescendo nella sua apparizione, cosi non sarebbe à poco à poco venuta mancando nella sua dipartenza. R. Anzi che se ella senza scemar dipartita si fosse, come credete, che senza crescere apparita sia (secondo i supposti fondamenti vostri) non poteua in ueruna maniera da voi credersi, che per mezo d'vn'Epiciclo si dimostrasse à gli occhi nostri, ma si bene essendo cresciuta, e scemata, come hà fatto veramente. C. E dico, che ciò solo mi da noia, per affermare e tener per vera inuenzaon così fatta, non perche io per altro non la stimi falsa, ma perche se mi risoluessi alla fine à creder, Sig. Colombo, i uostri pensieri, cioè, e che la nuoua stella si dea situare sopra’l firmamento, e che i raggi del Sole soura quello non trapassino per la qua’pensier soli si e dato a colal ritrouamento qualche someglianza di verità, quella apparenza del diminuire nello sparire, mi farebbe titubare, anzi tenere simile opinion poco veritiera - R. Finalmente crediate pur, Signor Mauri, che, perche vi hò prouato niuna di queste cose à cotale opinione impedimento apportare, ma si ben quelle di cui vanamente fate molto conto; se io stimato hauessi probabile cotal ritrouamento, più che il primo da me riceuuto, io solo riporterei di esso il vanto, che che egli si fosse, per non vi tener più a bada. Discorso. Gli Epicicli, in somma, non furono ad altro fine ritrouati da gli Astronomi, se non per saluar quell'apparenze, e accidenti de’ Pianeti, quali son le retrogradazioni, stazioni, e minori, e maggiori apparenze, e simili affetti di quegli. Ma quando si vide mai la nuoua stella cotali varianze hauer fatto, à cui sia stato di bisogno assegnar l'epiciclo? Considerazione LII. Gli Epicicli furon trovati per saluar qual si voglia apparenza, allaguale non si possa, rispondendo, sodisfare per altro mezo: anzi dico di più per saluare apparenze, delle quali dagli Astronomi, ezandio per altra via, come degli Eccentrici, si rende sufficiente cagione. Onde io non sò perche voi vogliate ristrigner l'uso, e la giuridizione di questi poueri Epicicli. Risposta. La Marchesana di Monferrato, quantunque apprestasse la tauola di saporite viuando, in cento maniere di sapor variate, nel banchetto, che fece al Rè di Francia, seppe cosi bene ordinarle, che ad ogni modo fe conoscere a esso Rè, che tutte erandi gallina. Ma voi, come che di questi Epicicli habbiate, con diuerse parole dalle mie, detto l'vso loro; vero è, che non solo il medesimo inferissono, ma al contrario de’ manicaretti della Marchesana, molestia, e afa, anzi che nò apportano. C. Credo solo, perche sia loro destino d'esser sempre sbattuti, e trauagliati da’ vostri Peripatetici, e pure in fauor loro, come caualier valorosi, anno di continuo messo la vita con tutto’ l suo auere, mantenendo con la lancia sù la coscia la conformità, e regolarità de’ mouimenti celesti. R. Hauete ragion certamente di pigliar la per loro. E che poteuate voi far peggio, che leuarueli dinanzi affatto senza volerli pur sentir ricordare, come inutili, e vani, poiche, se’ il cielo è corruttibile, e penetrabile, secondo voi, non vi fa mestier d'Epicicli? I filosofi, se ben non si fidan di loro interamente, almeno gli vanno comportando, fin che miglior serui non vengan lor per le mani. C. Laquale altrimenti, senza aiuto simili, sarebbe già buona peza stata dall'esperienza medesima fracassata. R. Ormai per vostro conto farebbon’ andati a spasso quegli, e questi, che è peggio. C. Il perche voi, se di quella setta, come mostrate, siate così suiscerato, sappiendo quanto errore è l'essere ingrato in particolare a’ benefattori doureste auuertirgli, acciò non sien con loro ignominia notati di ingratitudine. R. Chi è de Consoli non debbe dir mal dell'arte come fate voi, appuntando gli ingrati, se però fosse vero, che tali si dimostrassero i filosofi. Di sopra non vi mostrai forse l'ingratitudine, che vsaste al Sacrobosco, al Padre Clauio, e a tant'altri valent'huomini, che pur son altra cosa, che vn circolo astronomico? E poi, se la disauuentura di questi Epicicli è da voi, come astrologo eccellente attribuita alla possanza del destino, che colpa ci hanno i filosofi ? Ma pure, se per difetto lor fossero gli Epicicli da i filosofi scacciati, poscia che hauete fatto conoscer loro, che gli eccentrici non son da manco di essi Epicicli, ecco che per grazia vostra non rouinerebbe loro il cielo addosso ad ogni modo, perche farebbon carezze a questi, puntelli adoperando il medesimo. Discorso. Risoluesi adunque la nuoua stella, e l'altre simili apparite in diuersi tempi, e se altre sene uedranno, esser vere, e reali stelle da principio create nel cielo, ma nel Primomobile, e fattesi uisibili mediante alcune parti più dense del Cristallino cielo sottoposte, che la spezie luminosa di quelle assai maggior rappresentando, in sembianza delle prime stelle a gli occhi nostri palesate si sono: e che, per le ragioni, autorità, e esempli mentouati di sopra, non vi habbia dubitanza ueruna potersi le nominate stelle esser uedute non sempre, e per più, e manco tempo, e poter maggiori, e minori dimostrarsi, e sparire affatto, e ritornar senza fallo ueruno: e ciò non essere alla uera Filosofia, e Teologia, e alle demostrazioni astronomiche repugnante; ma con tutte è trè le nominate scienze, la uerità del presente discorso, e parere, e la fallanza dell'altrui manifestamente, secondo il creder nostro fattasi uedere. Considerazione LIII. Risoluasi, adunque S. Colombo, esser falsissimo, che la nuoua stella, e similmente l'altre apparite in diuersi tempi, ò se altre se ne vedranno, sien vere, e reali stelle da principio create nel cielo, e nel Primomobile, poscia fattesi, a noi visibili, mediante certi occhiali, che altro non sono, che parti più dense del Cristallino, le quali sottoposte, la spezie luminosa di quelle assai maggiore rappresentando, in sembianza delle prime stelle, ce le habbiano nella loro apparenza fatte vedere, sì perche nel Primo mobile non sono stelle; si perche quantunque elle vi fossero, non si potrebbero, contuttociò, da noi scorgere, per la impenetrabilità al vedere dell'Ottauo cielo, sì perche, dato è il primo mobile stellato e'l Firmamento diafano, e trasparente, senza tanti occhiali di continuo le douremmo auer viste, e ancora di presente vedere: sì perche finalmente concedendoui, che non sia possibile, che la nostra vista, per la lunga distanza, arriui cotanto lontano, senza aiuto alcuno; se questo vostro denso fosse egli il mezo, e la cagione di quello effetto, che dite apparir nel Primo mobile, 42. anni ancora dourebbe la nuoua stella à noi nascere, e tramontare faccendosi godere (se però ella non fosse di quelle schizinose) con la sua nobilissima veduta, in quella cotanto risplendente, e tremoleggiante apparenza. Onde per fine meritamente si conchiugga, che mercè delle ragioni, autorità ed esempli mentouati di sopra non ci è dubbio veruno, che la vostra openione non è molto conueneuole, anzi al tutto contraria, e alla vera filosofia, e alla vera Teologia, e alle vere demostrazioni Astronomiche. Risposta. Perche, parte per parte habbiamo con efficacissimi argomenti, e dottrine irrepugnabili, non solo apertamente dimostrato la uanità delle uostre impugnazioni, e la sufficienza delle nostre proue fatte nel discorso, circa la sostanza, luogo, e modo della apparita stella; ma perche, eziandio le ragion uostre medesime, ci sono state arme, e scudo per discoprir maggiormente la uerita di cotal parere; di quì è che arrouesciando tutte le uostre conchiusioni, dirittamente haurete conchiuso. Perche hormai son certo, che i lettori conosceranno, che solamente, perche ui aggradano le controuersie par, che siete uscito contra il mio discorso, e non per ricercar la verita, ò perche diuero sentiste altramente, poiche siate cotanto oltra trapassato contro di me, che fino all'irrisioni hauete proceduto. Ma di nulla mi debbo dolere, posciache hauendo voi occultato il dritto nome, mi fate pari in questo fatto al prode Enea, cui mentre duellaua con Turno fù da incognita mano lanciato un dardo: Nec sese Aeneæ iactauit vulnere quisquam. Anzi che io, il medesimo stral ritorcendo in dietro, credo di hauer colto il feritore stesso, se il potessimo sentir gridare. Pur, perche da principio voi dite, che non per questo mi siate nimico, volendol'io più creder, che cercarlo, mi offero al medesimo, con la ragion di chi cantò. Non sentire bonos eadem de rebus iisdem Incolumi licuit semper amicitia. Aggiungendo, che, se paresse, che io non fossi stato molto dolce nel rispondere, ne incolpiate voi medesimo, che sotto finto nome m'hauete con non finte maniere di parlar percosso, e oltraggiato, come che io habbia veramente più tosto scossa, in difendermi, la spada all'aria che nò. Nulladimeno, se haueste scoperto il vostro nome haurei proceduto con quel rispetto, che a gentil'huomo conuiene, lasciando a i vili d'animo la proprietà dell'Anguilla, che è debol di schiena, e forte di denti. Di mia natura io cimo, e non taglio. Finalmente con l'occasion della stella non più veduta, necessaria, e non mendicata esagerazion contro i Genetliaci, o giudiciari Astrologi, volli che fosse fin del mio discorso. La qual non mi è paruto, che ristampar si debba in queste mie risposte, non vi hauendo voi fatto alcuna impugnazione, acciò che io douessi de particulari della astrologia ragionar con più lunga, e ordinata scrittura. Ma, per darui à conoscer quale Astrologia da mè si biasima, e per ritrarne voi, se gli credeste, e vi accontaste in fra gli astrologi, e Mauri; desidero, che vna volta lasciate in questa caccia correr prima l'intelletto, che la volontà, come dee fare ogni capace ingegno; perche son certo, che vi pentirete d'hauer fin ora malamente giudicato. Conchiusi contro i giudicari quel che forse à voi par falso, a molti dubbio, e a mè certo. Non vi richiamo io a nuoue, e non più considerate ragioni impugnanti l'astrologia, ma alle antiche salde, e non mai sciolte di que’gran lumi del Mondo, che le fecero. Difficulta, che diuero han fatto sudar le tempie a Bonato, Pietro Aponense, Lucio Bellanti, e molti altri, ne per ciò vi ha chi sia sfangato a bastanza di alcune più importanti. In due fondamenti principali si regge l'Astrologia Il primo de’ quali comprende la cognizion di tutti i Cieli; delle stelle, de mouimenti, della natura di esse stelle, degli aspetti, e simili. Il secondo Fondamento è la natiuita dell'huomo, di cui si dee fare il giudicio, e senza la cognizion di questa i giudciari sariano totalmente al buio. Hora quanto al primo innumerabili le difficultà appaiono. E perche nel principio delle considerazioni mi scopriste mancheuole d'Astronomia secondo il creder vostro, che rispondereste alle difficultà di coloro, che ne dell'astronomia, ne dell'Ostrologia mancheuoli sono? Le stelle sono innumero infinite, e tutte hanno qualche virtù, e gli astrologi non ne conoscon se non mille uentidue in circa. Come adunque potranno gli astrologi senza error fare i pronostiei loro? Il nouero degli orbi celesti, fu da Platone, Proclo, Aristotele, Auerroe, e quasi tutti auanti il Rè Alfonso stimato arriuare a otto, e non più. Ermete, Azarachel Moro, Thebith Maestro Isaac, Alpetrago, dissero noue cieli ritrouarsi. I moderni Astrologi fino a dieci sfere. Ne mancaneo di quegli, come Alfonso Rè, che mutando parere son tornati a dir, che le sfere celesti non sian più che noue, e altre fiate dieci, e quindi son ritornati à atto, seguendo Albubassem del Moro, e Albategno. Abram Auenezra, e Maestro Leuì, con Maestro Abram Zacuto confermano, che sopra l'ottauo cielo no sia altro corpo mobile. Il moderno Magino trà l’ottaua sfera, e'l Primo mobile pon due cieli per ragion del moto della trepidazione. Ne finisce quì il potersi ritrouar nuoui cieli, poiche secondo Alpetrago, e Fauorino, come dicemmo nella risposta alla considerazion 38. si posson ritrouar sempre nuoui mouimenti, e per conseguenza nuoui corpi, e nuoue sfere. L'intorno a’ moti celesti non son minori le controuersie, poiche i Caldei, gli Egizi con cui s'accorda Alpetrago, e Alessandro Achilino tra i moderni, voglion, che l'ottauo ciel si muoua solamente per vn verso, Gli Astrologi da Hiparco sino a’ tempi nostri assegnano a quel ciel diuersi mouimenti. I Giudei Talmutisti, e Thehith dicono esser due moti in esso; l'un proprio, e l'altro accidentale causato dalla nona sfera. Azarachele, e Gio. Monteregio reputan, che solo il moto della trepidazion sia proprio di quel corpo. I moderni astrologi ascriuono al medesimo ciel tre mouimenti; il primo di settemila anni, e proproprio; il secondo della nona sfera; il terzo del Primomobile, e accidentali ambedue. Il moderno Magino da questi discordando vuol, che in 25816. anni si termini quel periodo. Non conuengon gli scrittori, eziandio nella durata del moto del nono cielo. attesoche, Tolomeo vuol, che ogni cent'anni importino vn grado. Albategno, Maestro Leuì, e'l Zacuto attribuiscono a ciascun grado sessanzei anni egizi. Il Rè Alfonso nella correzion delle sue tauole con Azaracchie afferma, volgersi cotal ciel, per vn grado in sessantacinque anni. Hiparco tien, che in settant’otto anni scorra quel cielo vn grado; Maestro Iosuè, Maestro Mosè , Auenezra, e Berrodam reputan compirsi in anni settanta; il Monte regio in ottanta; Agustin riccio tra i sessanzei, e i settanta. Il Magino vuol, che tutto quel riuolgimento di cielo si termini veramente 1717. anni; Ariel Bicardo in 49000 anni. Purbachio ogni dugent'anni vn grado; e altri compirsi tutto il circolo in cinquemila anni. E che direm noi del decimo cielo, posto dal Magino sotto il Primo mobile, a cui attribuisce 3434. anni per lo suo intero riuolgimento? O che diuersità son queste, non solamente fra gli antichi, ma tra i moderni eziandio? Quando adunque si fece egli mai, ò si faranno pronostici sicuri? Afferma il Monteregio, e qui non è scusa, ò rimedio in fin de’ propri pianeti non esser cosi noto di tutti i mouimenti, poiche egli si duole in vna pistola a Bianchino, che il vero moto di Marte non sia ancora stato conosciuto? E chi non sa altresì, che il vero entrar del Sole ne i punti equinoziali è giudicato impossibile ritrouarsi, dice Maestro Leui, e lo proua ? Lascio di dir, che quasi tutti gli Astrologi moderni non conuengono con Tholomeo, che, il principio, e figura della reuoluzion del Mondo, sia altramente l'entrar del Sol nell'Ariete. Così vari fra di loro, altri dicon che ciò si può ritrouar per altra via, come per le congiunzion magne, ò per le ecclissi, e altre congiunzioni, e opposizion di lumi. Dalle cui diuersità dicono gli stessi Astrologi accader, che i giudici, e pronostici delle stagioni, e uariazion dell'anno non dicon vero. Andrea Summario grauissimo matematico parlando de’ moti delle stelle dice . [ Motus stellarum an sciri possit nescio, nondum essescitum certissime teneo;1 E nasce questo dic'egli, dagli strumenti, perche son pieni di fallacia. Anzi che Henrico Machilinense nel trattato della composizion dell'Astrolabio, afferma niun potersene fare, che imperfetto non sia, così dicono ancora Abram Giudeo, e Leone Ebreo, Il Pico nel 9. lib. contro l'Astrologia, referisce d'vno strumento fatto con ogni perfezion possibile, hauer ad ogni modo, nell'osseruare alcuni pianeti, l'vn variato dall'altro, due gradi per cagion dell'aria, a cui non posson gli strumenti rimediare. Potrei dire ancora che discordano, circa la misura dell'anno descritto per lo moto del Sole. Tolomeo, e Hiparco; si come altresì Albategno Auenezra, e Alfonso, non son diuersi da Maestro Leui ? Aggiugnesi, che non son conformi eziandio quanto all'imagini, e figure celesti, gli Indiani, i Caldei, e gli Ebrei, gli Arabi; tra i quali è Timoteo, Arsatili, Hiparco, e Tolomeo disputasi de gli aspetti, se l'opposizion sia proprio, e improprio aspetto. Onde il Satlero, e altri dicon solamente la congiunzione esser improprio. Non è men controuersia tra gli Astrologi nell'ordine de’ pianeti, poiche alcuni han detto, che il Sole è nel centro del Mondo immobile, come disse Aristarco Samio, e dal Copernico seguitato, e da alcuni moderni, come voi Signor Mauri sapete. Voglion per tanto, che il Sol sia circondato da Mercurio, quindi da Venere; e poscia sopra di essa pongono l'orbe magno abbracciante la terra con tutti gli altri elementi, e la Luna insieme. Archimenide, e i Caldei alluogano il Sol nel quarto luogo. Metrodoro Chio, Anassimandro, e Crate il pongono immediatamente doppo la Luna. Senocrate vuol, che tutti i i pianeti, e le stelle fisse, cauatone il Sole, e la Luna, siano in vn istessa superficie, e in quella si muouano. Paionui adunque, Alimberto, queste innumerabili difficultà, e di si gran momento, che alcune restano insuperabili dall'arte, anche a gli astrologi di questi tempi; atte a render la naturale Astrologia difficile, e la giudiciaria impossibile, almeno, per quello, che nel secondo fondamento si vedrà ? Lascio di ricordarui quanto sia necessario al buono astrologo, esser buon filosofo, e naturale; e morale, e cosmografo, e istoriografo, per conoscer le complessioni, i temporamenti dell'arie, dell'acque, de cibi, i costumi, condizioni, e qualità degli huomini, le regioni. Onde Ioseffo, nel libro primo, capo terzo delle antichità, vuole, che vna delle principali cagioni, perche si lunga vita hauessero quei padri antichi, che molto souente passauano sette cento anni; fosse, perche potessero acquistar gran parte della scienza Astronomica e della geometria, e simili. Crederono ciò, stimando in cotale spazio di tempo, comprendersi l'anno grande, cioè il riuolgimento intero de cieli. Pensate, quel che debbian dir noi, oggidì, che si breue è l'humana vita, e che l'anno grande si reputa da Aristarco, Arato, Draccino, Caclito, Lino, Tullio, Seruio, Andalone, Paol Gineta Fiorentino, e altri, in trentasei mila anni terminarsi, per non dir che alcuni stimano tutto quel periodo compire il riuolgimento in quarantanoue mila anni. Ma quanti de'famosi Astrologi habbiano hauute tutte queste facultà, dicalo il Pico, il quale afferma, che gli Astrologi habbiano molto ben ragione a odiare i filosofi, posciache i principali astrologi, dic’egli, sono stati la maggior parte pedanti, ò almeno senza filosofia son passati da la gramatica a far l'astrologo. Onde che marauiglia, se essendo puri gramatici, non veggon le difficultà, e cotanti inconuenienti affermano? Anzi vi s'imbriacano di maniera, che Celio referisce di Trimegisto astrologo hauer sognato vna volta di vomitar Cieli, Soli, stelle, e Lune. Questi sogni accadono a’ giudiciari, perche si come chi è souerchio crapulatore vomita; così, essi, per voler troppo specular la virtù delle stelle di cui non è capace, chi non è bene scienziato, le vomita tutte, perche il suo stomaco non può ritener tante bugie. E chi è quegli che mai habbia fatto calculi senza difetto? Quali strumenti non sono stati mendaci, come dianzi si disse? Quali Tauole, quali efemeridi son così giuste, che non habbiano hauuto contraddittori? Tolomeo, Alfonso, il Magino, e Ticon Brae, e altri non conuengono già ne’ calculi loro, e sono da altri stati impugnati. Potrei dimandarui di più; quale Astrologo sì può dar vanto d'hauer saputo, ò potuto pigliare il vero punto, e l'oroscopo del natal di chi che sia, per farne sicuro pronostico? Eccoci giunti al secondo fondamento spettante in particolare alla giudiciaria, per accenarne qualche cosa, ed è questo: che non conuengono gli astrologi, ne è determinato qual sia il vero punto di tempo da pigliarsi per fare il giudicio degli huomini. Impercioche alcuni vogliono, che dalla concezione il cielo si osserui; altri dall'instante dell'introdotta forma humana, che è l'anima intellettiua; e altri dall'ora del natale. Chi dirà adunque la giudiciaria non esser vanissima? Giouami per adesso di recar in mezo vn'esemplo illustre d'intorno alla naturale, che pur se ne può saper qual che cosa, e ad ogni modo molte son le sue fallacie. Legganti le istorie, e trouerassi, che intorno all'anno 1524. astrologi di grandissimo nome predissero douer'adiuenire vna delle maggiori inondazion, che mai fosse, e perche procedeuano secondo i termini dell'arte, si diede lor piena fede, e per tutta l'Italia sene sparse nouella, temendosi per ogn'vno. Onde Agostin Nifo suessano compose vn trattatello, essendo filosofo di molta memoranza, è l'indirizzò all'Imperador Carlo primo, acciò che si quietasse il romor del popolo, mostrando con possenti ragioni, quegli astrologi non sapere in quant'acqua si pescassero di presente, non che in futuro. Egli finalmente s'appose, e essi bugiardi, e beffati rimasero. Mà chi sa, dice il Suesiano, forse si apposero; potendosi dire, che quella inondazion si verificasse del mal francese, che in que’ tempi, per la congiunzion di Saturno, e Marte dell'anno 1496. alli sei di Gennaio nel 3. de' Pesci, dilatandosi quel morbo acqueo l'habbia sparso più, che non fece il diluuio al tempo di Noè, per tutto il Mondo. O se nelle pioggie si trauede, che si dirà egli di ciò che pende dal libero voler dell'huomo? Questa astrologia giudiciaria è quella, o Mauri, che biasima, e vitupera il Colombo con tutti i filosofi, e astrologi ecceilenti. Percioche del rimaso io fo profession, che la vera astrologia habbia più obbligo a mè, che a voi di gran lunga; conciosiache, io la fò corteggiar da’ filosofi, e uoi confondendola con la giudiciaria, e superstiziosa la vituperate, ponendola nelle man degli zingari, che d'ogni cosa fanno la ventura, per cambiar ciance à moneta co’ Principi, che gli credono. Giouanni Zonora racconta, che Augusto Imperadore si faceua condurre spesso in camera quelle donne belle, che egli volea, copertamente in lettiga. Antenodoro filosofo v'entrò egli, vna volta, in luogo d'vna femina trauestito, e fè condursi in camera. Lo'mperadore, scoperta la lettiga, vide scappar fuora il filosofo con la spada ignuda, gridante, Ah Imperadore, che senno è il tuo? A che pericol pon tù la tua vita? Non poteua cosi fare vn tuo nimico? Emendossi Augusto. Conducon questi indouinatorelli dinanzi a i Principi falsissima giudiciaria, trauestita delle verita della reale, amata, e bella astrologia naturale; la quale non a somiglianza d'amico si scopre, ma di nemico vano, bugiardo, trauiato dalle furie, e dall'auarizia d'alcuni, che per non hauer filosofia, ne teologia, son condotti, e conducono altrui in graui errori, purche ne cauino opinion popolare, e danar da’ Principi. Fuggangli i Principi, apran gli occhi, per veder che dentro la lettiga non v'è la vera Astrologia, ma la superstiziosa, e nemica con la spada in mano, perche nuoce, e non gioua. O Dio, che bugie non dicono gli astrologi? Anzi cosi ben sanno coprir le lor fellonie, che le doppiezze de’ sensi infino adoperano, accioche veri tieri appariscano, à somiglianza degli oracoli de’gentili, in quella maniera appunto, che auuenne al tempo di Giustiniano Imperadore. Sì cauò fuor romore, che il Mondo con tutta la sua prole douea perire, come se fosse per venire il giudizio, mossi da non sò che oracolo, ò astrologo. Ecco comparire vn capitano chiamato Mondo per liberar l'Italia da i Goti; ma infelicemente fù vcciso con tutta la sua famiglia, e cosi verificossi l'oracolo, con le risa nel fine, che diede cagion di molto pianto nel principio. Certamente queste impossibilità con questi difetti, di strumenti, e mancanze di cognizione, apertamente manifestano la giudiciaria, e massimamente per quello che dalla libera volonta depende, esser salsissima, superstiziosa, e da abborrirsi da ogni buon filosofo. Io per me son di parer, che più difficile sia all'Astrologo il far ben la natiuità d'vn huomo col suo giudicio, che non è il fare il Lapis Phylosophorum degli Alchimisti, di cui si dice essere auuenuto à sì pochi, che per non vero si reputa, è per virtù di qualche spirito esser accaduto. Aragione adunque si dee dir, come molti graui autor, che scriuon contro l'Astrologia Astrologiam esse damnatam a phylosophis, a prophetis, a Cesaribus, a Pontificibus atq, Conciliis. E diuero, che la giudiciaria è simile alla superstiziosa Cabala. In vltimo Sisto V. l'ha proibita totalmente, ed è fatto con molta ragione, come dimostrano le parole di Agustino sopra la causa 26. capo, sors, dicendo. Astronomia apud Catholicos in desuetudinem abiit, quia dum propria curiositate ei nimis erant intenti, minus vacabant his, quæ saluti animarum erant accommodata. E parla solo dell'Astronomia, che dell'Astrologia harebbe detto come San Tommaso, che quantunque fosse grande astrologo, e mostrasse ne' suoi opuscoli di intendere tanto bene i particulari dell'astrologia, ad ogni modo disse, e conchiuse, con giudicio di piombo, quella sentenza d'oro. Et ideo pro certò tenendam est graue peccatum esse, circa ea quæ a voluntate hominis dependent, iudiciis astrorum vti. Perche sapeua, come dottissimo, che non le prossime cause, ma le remote, e vniuersali si posson conoscer da gli Astrologi. E con tutto ciò di lui disse il Pico, Verum, ut AstrologiS demus quantum illis Aquinas Thomas; O pensate, se poco hauesse attribuito alli astrologi, quel chehaurebbe detto. Douea, quando non fosse peccato assolutamente, almeno proibirsi, per gli scandoli infiniti, e prossimi pericoli, che son in quella, con poca, ò niuna vtilità, per l'incertezza sua. perche quegli che semplici sono, ò, che sanamente non intendono, ò che troppo alle stelle attribuiscono, douentan superstiziosi, e tanta fede al valor delle stelle prestano, che ogni cosa per necessità di quelle accader credono, senza dar contingenza ne gli effetti antiueduti, e che nel ciel si conoscan tutte le particolari differenze da gli astrologi, e che non soggiacciano le cose da loro annunziate alla diuina prouidenza, e che niuna cosa fuor dell'ordine de'cieli adiuenga per voler diuino. Hanno bene in bocca; sara quelche Dio vuole, ma nel cuore sarà quelche vuol la stella. Dicon bene; non presto fede certa, ma se l'astrologato mostra di non credere; giurano, e spergiurano, che la cosa è pur vera. E che è peggio, e per cui dourebbe , detestarsi, vogliono i Genetliaci, che al male inchinin le stelle, facendo Iddio autor del male, essendo, che egli è autor della natura, e delle cause naturali, da cui gli effetti si producono; e gli effetti seguitan le cause loro. Il cielo assolutamente inchina al bene, e respettiuamente al male, ciò è in rispetto all'inchinazione al bene, perche, inchinando l'huomo a non rattenere, douenta facilmente prodigo in cambio di liberale: e inchinandolo a esser tenace, da nell’auaro. Quando adunque l'inchinazion s'accostan più all'esser motiuo al vizio, che alla virtù, elle si domandan male inchinazioni, perche, per lo più, il senso predomina, e fa l'huomo malo. Ma, quando l'inchinazion son più simili alla virtù, buone s'appellano. Sì che u.g. non inchinano alla gola sotto ragion formale di vizio, ma di gusto squisito, e di mangiare assai; onde si dà poscia nel goloso. Assolutamente, poi son buone l'inchinazioni perche, come naturali non possono esser male, essendo, Propter finem conseruationis indiutdui, & istius particularis indiuidui. Il cielo adunque , non hauendo imperfezione alcuna non può hauer cattiue influenze, ma tutto nasce dalla materia quaggiù mal disposta, e dall'agente quaggiù imperfetto. Sono i cieli causa vniuersale, perfetta; e la volontà causa i particolare indeterminata. Non da i cieli per tanto, ma dalla volontà mal disposta procedono i mali effetti. È a chi dicesse, che se fosse vero, che la giudiciaria si intendesse proibita assolutamente per cagion dello scandolo, e pericoli, ne seguirebbe, che anche il trattar della predestinazione, e simili, douessero proibirsi, per molti scandoli, che possono accader tra i semplici nella cristiana fede: si risponde, che l'esempio non conchiude. perche il trattar della predestinazione, ec. son cose ordinate alla salute, e il trattar dell'astrologia è impedimento, come dicemmo, che afferma Agustino. Il trattar di quelle è di edificazione, e perfezione: e il seruirsi di questa è peccato, come vuol San Tommaso. La predestinazione, solo i dotti l'intendono, e per ciò non si proibisce, i quali sanno, che non si può capire appieno, e di primo lancio sanno l'immobilità d'Iddio potere star con la mobilità del nostro libero arbitrio, e questo insegnano, come indubitato al popolo, ma il modo, confessan non sapersi a bastanza. La doue l'astrologo balza di posta a leuare il libero arbitrio, con dir, che sarà quel, che mostran le stelle. La predestinazion concede la contingenza, e la accomoda alla necessità della scienza diuina. L'Astrologia non accomoda nulla, ma attende a dire, che vincon le stelle. La predestinazione è in mano del Teologo, che si regge dalle scritture; L'astrologia è nelle man dell'ignorante matematico, che dalle superstizion si gouerna. Nella predestinazion l'indotto dice, habbiamo da’ teologi, che non ben s'intende; nell'astrologia i semplici dicon, l'astrologo afferma, che ciò si tocca con le mani. Nulla rileua per ciò l'elemplo, e rettamente e proibita la astrologia, ma non così dir si potrebbe delle teologiche cose mentouate. Vn esemplo di perpetua memoria sia, circa gli scandoli, e false opinion, che gli astrologi metton ne troppo creduli, che da vno astrologo nacque il principio della rouina del Regno, d'Inghilterra. Odiaua la Reina Caterina moglie d'Arrigo ottauo, l'ambizion d'vn cortigiano. Costui vedendosi non gradito da lei, cominciò a machinarle contro. In tanto vn'astrologuzzo gli disse, che vna donna saria cagion della sua morte: ond'egli più insospettito persuase ingiustamente il Rè a repudiar Caterina, il che fatto, hauendo inchinazione ad Anna Bolena, la sposò; dendo poi son nate tante calamità, e suenture di quel Regno fioritissimo. Osseruate Alimberto, che due errori fece il mal cortigiano. Credette primieramente, la giudiciaria Astrologia arriuare a quelle cose, che dalla spontanea volontà dependono; e secondariamente stimò, la Reina Caterina esser quella donna, da cui douea venir la sua morte. Chi non crede agli astrologi, è libero da due cose: da ignoranza, e da giudicio temerario, fonti d'infiniti mali. Questi ingannatori furon cacciati di Roma al tempo di Diocleziano, di Costantino, di Teodosio, di Valentiniano, e di Giustiniano. E se furon cacciati i Medici ancora, questi sono stati rimessi, ma gli astrologi non già, che, oggidì maggiormente, si precipitan, perche tutto il torrente de letterati è certissimo della lor vanita superstiziosa, poiche anche Platone, Aristotele, Pittagora, Democrito, nulla stima ne fecero. La ragion si caua da Tolomeo stesso, che dice nel centiloquio, che l'astrologo dee guardarsi da pronunziar le cose particolari, e singolari, perche il filosofo dice, che non sene può hauere scienza. E negli Apotelesmi, Astrologia magis vniuersalia captat (dic’ egli) quam quicquam pro vero decernat. E se questi non vi bastano, Signor Mauri, perche haueuano solo il lume naturale, andiamo al nouero di coloro, che dal diurno illustrati la vituperano, e scherniscono, come Agustino, Ambro io, Crisostomo, Tommaso, e cent'altri. Ne si risponda, che i Teologi non intendon l'astrologia, ne sanno metterla in pratica, perche essi ancora san farle natiuità, se ben fosse la vostra, che è tra le più difficili. Non la fece il Sepulueda da Corduba Teologo, e mi nentissimo a Martin Lutero demonio in carne, e carne in ispirito? Natus est enim Martinus, astris tam incommodis & importunis, vt ex ipsius genitura, natalitijsque sideribus, si quid veri ratio habet mathematicarum, facile appareat, ipsum ad talia perpetranda scelera maximè fore propensum, & accommodatum. Habuit enim Horoscopum Capricornum, quì , nisi aliorum astrorum benigniore aspectu temperatur, falsa religione solet nascentium animos imbuere, & ommes facit simulatores, mendaces, inconstantes, loquaces, infidos, libinosos. Oppositio Martis, & Mercurij vanitatem rursus & mendacitatem Martini confirmat; quatuor planetæ in nona cæli regione, magnas eum turbas falsa specie religionis concitaturum esse portendebant. Quam vittosissimam proclutatem ratione corrigere usque adeo nunquam tentauit, vi omni studio, & opera alere, & augere contenderit, & cuntis animi virtutibus fouere perseueret. Ma egli la fece dopo il fatto, che rende più facile il negozio, e puossi più particolarizare, e sì impacciò più di confermar la riuscita, che di pronosticarla, e perciò aggiunse [ siquid veri ] perche sapeua anch'egli il valor di essa Astrologia. Veggasi perciò quanto ben ragionare, e disputar ne possono i Teologi. Ma chi pur volesse duellare, e combatter con le squadre d'Isdraelle a guisa dell'empio Golia, prouueggasi prima a sepoltura, per che n 'haurebbe poi carestsa. Hora se voi Signor Mauri non foste chiaro, e desideraste saper da mè, se replicando, io tornerò in arme alla tenzone, per adesso vi rispondo, quel che risposero i Cartaginesi a i Romani, che, hauendo lor mandato la Lancia, e'l Caduceo, significando l'vna la guerra, e l'altro la pace, acciòche eleggessero quel che piaceua a lor. Non chieggiamo ne l’ vna, ne l'altro, risposero i Cartaginesi ma quel che lascerete, quel piglieremo. Auuertendoui, che, se tornerete mascherato, noi ve la caueremo sul buon della giostra, e quì vi lascio. IL FINE. In Fiorenza, Per Gio. Antonio Caneo, e Raffaello Grossi compagni. 1607. Con licenza de' superiori.